L'allarme dell'associazione: «Il lavoro dei tavoli programmatici, su carcere, immigrazione e tossicodipendenze, è contrastato dal "partito di Porta a porta"». Un dibattito rilancia la battaglia per libertà e diritti
L'Arci: «L'Unione non sia ambigua sul proibizionismo»
di Checchino Antonini
Superare la logica del proibizionismo: l'Arci continua a interrogare l'Unione sui punti qualificanti del documento "Cambiare si può", che sta girando l'Italia alla ricerca di un milione di firme, richieste di nuova democrazia e di economia sostenibile ereditate dalla stagione dei movimenti. Da quella stagione l'Arci, che tra meno di un mese affronterà il suo congresso nazionale, ha conservato le «domande scomode» - parole di Filippo Miraglia, responsabile nazionale immigrazione della storica associazione delle case del popolo - che gira alla compagine che si appresta a rimpiazzare il centrodestra a Palazzo Chigi. Esempio: che ne sarà dopo il 9 aprile dell'«apartheid legislativo» che colpisce immigrati, consumatori di sostanze e ospiti delle patrie galere?
Su immigrazione, tossicodipendenze e carcere, «l'Unione risulta ambigua», spiega Miraglia, introducendo il dibattito di ieri a Roma su libertà e diritti. C'è un «partito di Porta a Porta», fatto da esponenti del centrosinistra, che contrasta con «l'elaborazione dei tavoli programmatici». La contesa, oltre che sui contenuti, è di metodo. L'Unione promuoverà partecipazione o rivedremo il film già visto di una politica che «tende a semplificare, individuando facili capri espiatori da dare in ostaggio alle paure degli italiani»?
Intanto si deve prendere atto che «il liberismo non argina i fenomeni ma tende a criminalizzare». Livio Pepino, di Magistratura democratica è nettissimo nel mettere in evidenza il «doppio livello di cittadinanza» introdotto da leggi come la ex Cirielli, la Bossi-Fini e la nuova normativa sulle droghe. «Come nelle società pre-moderne», migranti, "tossici" e carcerati sono «meteci del neoliberismo» a cui prelevare impronte del piede o da sbattere nei Cpt senza che abbiano commesso reati. E' la dissoluzione dell'"habeas corpus", il principio che fonda il diritto moderno per cui ciascun accusato non può essere imprigionato più del necessario, dove il «medesimo comportamento (come il mancato possesso di documenti) viene sanzionato diversamente se a compierlo sia un migrante o un nativo». Quote di ingresso realistiche, duttilità nel governo dei fenomeni e abolizione dei Cpt. Questo suggerisce all'Unione il magistrato che smonta il mito su cui sono state costruite quelle strutture: su 25mila "ospiti" solo 6mila vengono espulsi. Ma su quei centri si fonda l'ossessione sicuritaria di una destra che «con pratiche da "avventurieri della democrazia"», spiega Grazia Zuffa del Forum Droghe, ha appena appiccicato le nuove norme sugli stupefacenti nelle maglie di un decreto di tutt'altro argomento (le olimpiadi torinesi). La nuova legge unifica le tabelle sulle sostanze (uno spinello vale quanto una "pera"), prevede pene da 6 a 20 anni e reintroduce la famigerata dose minima giornaliera abrogata nel '93 da un referendum. «E prefigura - aggiunge Zuffa - l'idea di un trattamento "manicomiale" (gli arresti domiciliari in comunità-carceri) per sanzionare stili di vita, anche se compatibili con una vita normale (a differenza dell'eroina degli anni '80), per i quali è prevista solo una deriva sociale». Dal Tavolo dell'Unione, per Zuffa, è scaturito una sorta di «proibizionismo riformato», ma almeno è un «primo passo» per la sperimentazione di forme di depenalizzazione e di riduzione del danno.
«E' sul carcere (in 60mila per 42mila brande) che si vanno a condensare gli effetti delle leggi proibizioniste», avverte Stefano Anastasia di Antigone includendo nella lista di leggi «criminogene» anche la "riforma" della legittima difesa. Ma le carceri, rispetto ai regolamenti, sono esse stesse fuorilegge e affidarsi ai piani di edilizia carceraria è «ridicolo», dice Anastasia rilanciando l'urgenza di mettere mano al codice penale e di promulgare amnistia e indulto per intervenire sui «fattori di accumulazione della popolazione carceraria». Prima delle veloci conclusioni di Paolo Beni - che ha reclamato all'Unione una «riforma culturale» e proposto una campagna nella società per ribaltare la tendenza alla precarizzazione, radice dell'insicurezza - ci sono stati gli interventi dei parlamentari (elenco falcidiato dagli impegni politici). «Depenalizzare, decriminalizzare, decarcerizzare», ha sintetizzato Giovanni Russo Spena, deputato Prc: «La discontinuità con questo governo deve essere radicale». Le posizioni restano articolate. A margine del dibattito, Cristina de Luca della Margherita, dichiara all'Ansa che i Cpt vanno «ripensati» e devono essere considerati «come ultima istanza». In sala, il diessino Brutti, appare più drastico sulla formula del "ripensamento" inserita nel programma dell'Unione: «I Cpt non sono umanizzabili» e le norme proibizioniste della Cdl sono da «azzerare e sostituire». Decisiva in questo quadro, per la destrutturazione del proibizionismo, la spinta dei movimenti. http://www.liberazione.it/giornale/060201/LB12D6BF.asp
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