Partita la corsa per bloccare la legge
Da Ciampi alla Consulta i possibili stop allo stralcio. L'Unione: «Se vinciamo lo cancelliamo»
CARLO LANIA
ROMA
La parola d'ordine adesso è una sola e unisce tutti da Rifondazione alla Margherita: se l'Unione vincerà le prossime elezioni, quella sulle droghe sarà tra le prime leggi del governo Berlusconi a essere cancellata. «Promesso», dicono quasi in coro tutti, da Rosy Bindi a Franco Giordano. «Ad abolire questa legge ci penseremo quando torneremo al governo», promette il Verde Paolo Cento, per il quale è «vergognoso che si imponga al Parlamento, attraverso il ricorso alla fiducia, una legge proibizionista che non colpisce il grande mercato del narcotraffico». Già, ma se dalle urne dovesse uscire un risultato diverso da quello sperato? Senza aspettare il voto, sono già in molti a darsi da fare. Già pronto, ad esempio, un appello al presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi perché non firmi la legge. A proporlo è stato il segretario dei radicali Daniele Capezzone, ma ha subito aderito anche Fuoriluogo insieme ad attori e musicisti. I motivi per cui Ciampi potrebbe rinviare alle camere anche lo stralcio Giovanardi ci sono tutti, a partire proprio dalle scelta fatta dal governo di unire a un decreto legge un testo che stravolge completamente, riscrivendola, l'attuale legislazione sulle droghe. Procedura a dir poco inusuale e applicata di solito solo nel caso di provvedimenti straordinari e di particolare urgenza.
Non è detto, comunque, che Ciampi lo faccia. L'ennesima bocciatura di una legge targata Casa della libertà potrebbe infatti essere letta come una scelta di campo da parte del Quirinale, sempre molto attento a non schierarsi. Così, se la legge dovesse superare anche l'esame del Colle, la mossa successiva sarebbe il ricorso alla Corte costituzionale. Motivi per farlo, anche in questo caso, ce ne sono a bizzeffe. A partire dal fatto che la legge si propone di punire severamente chi fa uso di sostanze stupefacenti, senza però decretarne da nessuna parte il divieto. Una contraddizione bizzarra, spiegata bene dal Franco Maisto, sostituto procuratore generale a Milano: «Il disegno di legge Fini, vietava all'articolo 72 l'uso di sostanze stupefacenti, reintroducendo così un divieto che in realtà era stato abolito con il referendum del 1993. La Corte costituzionale ha già stabilito che una legge ordinaria non può in alcun modo ripristinare norme abolite da un referendum». Un problema aggirato con uno stratagemma dallo stralcio Giovanardi: «E' stato semplicemente ignorato - spiega Maisto - prevedendo le sanzioni senza aver posto prima il divieto».
C'è poi un fondato sospetto di «irragionevolezza di comportamento», sul quale la Consulta potrebbe avere qualcosa di ridire. «Prima - spiega sempre Maisto - la legge prevedeva pene dai 2 ai 6 anni per chi faceva uso di droghe leggere e dagli 8 ai 20 anni per chi usava droghe pesanti. Ora invece abbiano pene che, a prescindere dal tipo di droga usata, vanno dai 6 ai 20 anni di reclusione. Quello che prima era considerato il massimo della pena, diventa invece il minimo, dando luogo a un'irragionevolezza di comportamento». E si potrebbe anche continuare, come spiega Franco Giordano: «La legge - dice il parlamentare di Prc - viola palesemente il principio costituzionale di uguaglianza: il governo si preoccupa unicamente di perseguire gli interessi dei centri di recupero gestiti da privati».
Ma le strade per bloccare la legge non sono ancora finite. Nel caso che tutto, ma proprio tutto dovesse andar male, resta sempre la carta del referendum che i Verdi, ma non solo loro, si sono detti pronti a giocare. Insomma, per la legge di Fini la partita è appena aperta, e non è detto che il provvedimento tanto caro al presidente del consiglio riesca ad arrivare fino alla fine.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Febbraio-2006/art31.html
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