Al liceo classico "Lucrezio Caro" l'insegnante di storia ANGELA PELLICCIARI utilizza come libro di testo i monologhi di HITLER. Da destra la difendono!! (esempio in http://liberoblog.libero.it/cronaca/bl2573.phtml e http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=64582)
COME MAI???
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in http://www.unavox.it/Segnalazioni/PellicciariRisorgimento.htm dell'Associazione Inter Multiplices Una Vox (l'asociazione "nasce a Torino nel settembre del 1994, per iniziativa di un gruppo di fedeli già da tempo convinti della necessità di mantenere il piú rigoroso e doveroso rispetto della Tradizione cattolica, apostolica, romana") viene segnalato:
ANGELA PELLICCIARI, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata
Se si guarda alla storiografia ufficiale, quella insegnata ancora nelle cosiddette “scuole dell’obbligo”, si comprende come le nuove generazioni, ormai da piú di un secolo, siano state e siano educate con una serie di informazioni lacunose, spesso “di parte”, molte volte false. Cosí che delle tante vicende che compongono il racconto delle esperienze dei nostri padri abbiamo finito col farci un’idea che non corrisponde alla realtà e che continua a condizionare i nostri giudizi, non solo su quanto è accaduto, ma anche su quanto sta accadendo.
In verità, da alcuni lustri, si sono moltiplicati i lavori di “revisione storica”, ma essi restano appannaggio di pochi specialisti e appassionati. Tra questi lavori rientra il libro che qui segnaliamo: L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata.
In esso l’Autrice tratta alcuni importanti aspetti di quella leggenda che vorrebbe far credere che l’unità d’Italia fu un appassionato lavoro di amor patrio fortemente contrastato dalla Roma reazionaria e papalina che vedeva come fumo negli occhi la libertà degli Italiani. Sulla scorta dei documenti dell’epoca, si compone invece un quadro complessivo nel quale i soggetti principali sono il liberalismo antireligioso piemontese che da quella sparuta minoranza che fu, riuscí a violentare il sentimento religioso della maggioranza dei Piemontesi e degli Italiani; l’odio contro ogni istituzione cattolica e la persecuzione sistematica a cui vennero sottoposti la Chiesa e i cattolici; l’arrivismo e l’ingordigia di potere di uomini politici che ancora oggi affollano le nostre piazze con le loro effigi di pietra.
Se è comprensibile che il passato debba essere rivisto con un certo spassionato distacco, non è accettabile che questo avvenga quando esso segna ancora fortemente il presente e il futuro prossimo. Leggendo questo libro, che parla di vicende apparentemente “vecchie”, è come se sotto gli occhi del lettore scorresse la falsariga di quanto è accaduto alla Chiesa e dentro la Chiesa da un quarantennio ad oggi. Con la differenza che la lotta alla Chiesa e alla Religione, allora condotta da tutti i suoi nemici dichiarati, oggi viene condotta dai suoi falsi amici utilizzando le stesse argomentazioni e quasi le stesse tecniche.
Fu in nome della libertà religiosa che si volle allora la fine dello Stato Pontificio, mentre in realtà si voleva la demolizione della Religione; ed è in nome della libertà religiosa che oggi si continua a perseguire la demolizione della Chiesa.
«Rifiutando la Rivelazione, i liberali non capiscono piú, e, non capendo, ritengono prive di senso le modalità dell’esistenza cristiana. I liberali non si limitano a non capire: giudicano ciò che non capiscono, lo condannano e lo negano. Ritengono assolutamente vero e giusto solo quanto è ritenuto tale dalla Ragione, che inevitabilmente finisce col coincidere con la loro ragione.» «… l’ideologia liberale non rinuncia all’assoluto, cambia semplicemente il luogo in cui cercarlo e da Dio passa al Progresso. Appellandosi al progresso, e quindi al continuo cambiamento verso il meglio, il pensiero liberale trova una nuova fede e una nuova ragione di vita: la fede nella mancanza di assoluto. I liberali negano «in assoluto» la possibilità per l’uomo di fare scelte «assolute». La contraddizione è evidente e tuttavia sono in molti a non rendersene conto. Rifiutata la fede nella Rivelazione perché ascientifica, si finisce per credere «scientificamente» alla (propria) ragione.» (pp. 142-143)
Questa lunga citazione aiuta a comprendere lo spirito che ha finito col prevalere nell’Autrice, via via che si è addentrata nello studio delle vicende storiche del secolo scorso. C’è da augurarsi che molti preti modernisti si soffermino a leggerlo… chissà, potrebbe aprirsi in loro uno spiraglio di luce.
ANGELA PELLICCIARI, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme Edizioni, Casale Monferrato, 2000, pp. 288, £ 30.000. (4/2002) _____________________________
in http://www.cronologia.it/storia/biografie/margotti.htm viene riportato articolo su "giacomo Margotti.
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in http://www.liberalfondazione.it/lib_libri/pagpelli.htm viene riportata la seguente scheda:
L’invasione del Regno delle Due Sicilie e i sistemi con cui fu preparata e realizzata sono ben lontani dall’oleografia risorgimentale a cui siamo stati abituati. Attraverso le dirette testimonianze scritte (epistolari, diari e pamphlet, recuperati con un paziente lavoro di archivio) di tre esponenti di primo piano del mondo liberale e pro-Savoia, vengono alla luce i lati spesso inconfessabili degli avvenimenti che portarono la dinastia piemontese alla conquista del Sud d’Italia. I tre involontari testimoni ‘a carico’ dei Mille sono il segretario della Società Nazionale, Giuseppe La Farina, l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano e il deputato Pier Carlo Boggio. Nel suo saggio introduttivo a questa nutrita documentazione originale e ‘al di sopra di ogni sospetto’, Angela Pellicciari ricostruisce le tappe di una vicenda che è sempre stata raccontata con unilaterale indulgenza e ci costringe a rivedere molti luoghi comuni.
Angela Pellicciari è da anni co-nosciuta come studiosa della storia del Risorgimento, della nascita dello Stato italiano e del conflitto tra Stato e Chiesa. Ha pubblicato L’altro Ri-sorgimento (Piemme, 2000), e Risor-gimento da riscrivere. Liberali e massoni contro la Chiesa (Ares, 1998).
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in http://www.padan.org/padan/contentid-182.html+Angela+Pellicciari&hl=it&gl=it&ct=clnk&cd=8 viene riportato il segunete articolo:
Garibaldi: un uomo dal "cuore tenero" di Angela Pellicciari
Aspetti sconosciuti della vita dell’eroe dei due mondi: amava gli animali, trasportava schiavi e odiava i preti. Che avrebbe mandato volentieri ai lavori forzati.
Un tenero di cuore. Ebbene sì; Giuseppe Garibaldi era tenero di cuore. Come spesso capita a chi con gli uomini non ha troppi scrupoli – ci si ricorderà di Hitler -, il cuore del generale batte di amore paterno per gli animali. E dire che oggi quasi nessuno se ne ricorda. Come mai la sorte degli animali sta tanto a cuore all’eroe dei due mondi? Perché la loro situazione nei paesi cattolici, in primis ovviamente l’italia, è letteralmente da compiangere sottoposti come sono dai seguaci di santa romana Chiesa - che non credono di essere loro diretti discendenti - a brutalità di ogni tipo. Da sempre attento alle esigenze del mondo femminile, il cuore del generale è attartto dall’amare sorte toccata agli animali di una nobildonna inglese che, in viaggio per l’Italia, constata di persona i gravi maltrattamenti inflitti dai superstiziosi e ignoranti cattolici alle bestiole. È così che, sull’onda dello sdegno, il generale fonda nel 1871 la Società per la Protezione degli Animali.
Forse che i cattolici del secolo scorso erano davvero così spietati nei confronti delle bestie? A leggere i documenti dell’epoca non si direbbe. Sembrerebbe anzi che fossero proprio i cattolici a farsi paladini delle bestie cadute sotto il bisturi positivista di provetti scienziati umanitari. Un gruppo di scienziati stranieri aveva infatti iniziato a Firenze la pratica della vivisezione "per sorprendere i misteri della vita nei suoi recessi". Fu proprio una campagna stampa sostenuta dal "partito cattolico" ad impedire che simili sperimentazioni continuassero in Italia. E così chi li faceva continuò il suo lavoro nella più ospitale - calvinista e puritana - Ginevra.
Garibaldi, oltre che tenero di cuore, era anche fantasioso romanziere. E pure questo aspetto del poliedrico generale è rimasto praticamente sconosciuto anche perché difficilmente la sua produzione letteraria potrebbe definirsi riuscita.
Interessante sì. Perché testimonia, se ce ne fosse bisogno, l’odio che uno dei padri nobili della nostra patria nutre per la Chiesa in generale, i suoi ministri in particolare, i gesuiti in modo speciale. Sì, perché se il prete è "il vero rappresentante della malizia e della vergogna, più atto assai a la corruzione e al tradimento dello schifoso e strisciante abitatore delle paludi", il gesuita è "il sublimato dei prete".
"Quando sparirà - si chiede, affranto, Garibaldi - dalla taccia della terra questa tetra, scellerata, abominevole setta, che prostituisce, deturpa, imbestialisce l’esser umano?".
Tanto è lo schifo che il generale nutre per tutto quanto ricorda santa romana Chiesa ed i suoi rappresentanti, che per i preti arriva ad immaginare un rimedio attuato circa un secolo dopo dalla fantasia malata di un altro grande della storia: Mao Tse-Tung.
La Cina degli anni Sessanta assiste esterrefatta ad uno straordinario esperimento: come gli odiati "borghesi", nella fattispecie i boriosi intellettuali - medici, ingegneri, professori -, possano imparare dai contadini l’arte, preziosa, di vivere. La "rivoluzione culturale’ , i cui milioni di morti non si sa quando potranno essere contati, distrugge la vita culturale, e quindi economica oltre che familiare, della nazione cinese.
Ebbene Garibaldi questo provvedimento lo aveva anticipato, anche se solo nelle intenzioni. Solo che, invece dei borghesi, nei campi ci voleva mandare i preti. Nelle sue intenzioni "i preti alla vanga" avrebbero realizzato una magnifica bonifica delle paludi pontine.
Questo benefattore dell’Umanità (con la U rigorosamente maiuscola come i massoni - di cui Garibaldi èautorevolissimo esponente - scrivono) oltre che tenero di cuore e romanziere è pure commerciante di schiavi. E anche questo aspetto della vita del liberatore d’italia dal giogo pontificio poco si conosce. L’attività di negriero Garibaldi la esercita negli anni eroici passati a combattere per la liberazione dell’America Latina. Convinto di vivere una vita memorabile, è Garibaldi stesso a redigere un resoconto delle proprie azioni in una lunga autobiografia. Solo che, a questo riguardo, le Memorie sono leggermente reticenti e devono essere integrate con altre fonti.
Garibaldi non racconta del commercio di carne umana. Si limita a specificare che il 10 gennaio del 1852, da comandante della Carmen, parte dal porto del Callao, in Perù, alla volta della Cina. La nave trasporta un carico di guano che è una qualità di letame molto pregiata. Il generale è in genere molto preciso nel racconto delle proprie gesta che descrive in dettaglio; così dei viaggio Callao-Canton-Lima sappiamo praticamente tutto: giorni di traversata, carichi trasportati, traversie. Manca solo un particolare: non viene specificato con che tipo di merce Garibaldi, dopo aver venduto a condizioni vantaggiose il guano, faccia ritorno in Perù.
A questa dimenticanza provvede fortunatamente l’armatore ligure Pietro Denegri che volendo lodare il capitano della Carmen, racconta all’amico di famiglia nonché biografo del generale, tale Vecchj, il dettaglio mancante: Garibaldi "m’ha sempre portati i Chinesi nel numero imbarcati e tutti grassi e in buona salute; perché li trattava come uomini e non come bestie". Protettore degli animali, romanziere e negriero? Garibaldi non è passato alla storia con questo clichet. Tutti lo conosciamo come impavido eroe dei due mondi, libertador, disinteressato condottiero, esule volontario, uomo puro e scevro da compromessi. Garibaldi con questa immagine è conosciuto e rispettato in tutto il mondo. Basti dire che nella centralissima piazza George Washington di New York, nuova capitale mondiale, la statua di Garibaldi è una delle due che accompagna, con minor magnificenza e con dimensioni molto più ridotte è vero, ma nondimeno con grande valore simbolico, la statua a cavallo del generale Washington, padre della patria americana. Davvero grande e onnipresente è l’odio per santa romana Chiesa. È stato profetizzato.
Bibliografia
Angela Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Piemme, Casale Mon.to 2000.
Artgela Pellicciari, Risorgimento da riscrivere. Liberali & massoni contro la Chiesa, Ares, Milano 1998.
Patrick Keyes O’Cleary, La rivoluzione italiana. Come fu fatta l’unità della nazione, Ares, Milano 2000.
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in riposta alle tesi sostenute viene citata in http://www.carboneria.it/avversari.htm
Avversari del Risorgimento Antichi e Moderni
La polemica anti-Risorgimentale di matrice cattolica è antica quanto il Risorgimento stesso. Il suo maggior risultato è stato l'alimentare l'anticlericalismo: un risultato forse ricercato, e perseguito con cognizione di causa, se si conviene che un po' di guerre verbali, un po' di "sana" persecuzione sono il miglior strumento per cementare un gruppo, scremarlo degli elementi tiepidi e opportunisti, temprarlo alle lotte future.
L'anti-Risorgimento sembrava ormai superato, così come superato sembrava il Risorgimento quale "mito fondatore" dello Stato Italiano. Era stato soppiantato dal mito nuovo, la Resistenza, e quindi alle vicende che condussero all'Unità si poteva guardare con un occhio più disincantato, e critico. C'era poi il paradosso della Democrazia Cristiana, che si trovava ad essere il partito egemone di governo non "per sé", per i suoi valori caratteristici di partito cattolico, ma in quanto baluardo sicuro e garantito "contro" il Comunismo.
E' un caso che la polemica anti-Risorgimentale sia riemersa in forme francamente truci DOPO che il Comunismo ha cessato di essere una opzione praticabile, e la Democrazia Cristiana il suo antagonista?
Sia chiaro: il Risorgimento NON E' un'icona, un santino da idolatrare. La storia del Risorgimento è piena delle battaglie fra i suoi protagonisti, e i limiti di questo processo storico sono stati da loro stessi denunciati. Il problema dell'anti-Risorgimento è che tutto livella, tutto confonde, tutto prende per buono (quando sostiene la sua tesi) e tutto rifiuta (quando è contraddetto dai fatti).
Scatta così la reazione: esplodono i titoli sui giornali, i labari escono di naftalina, si organizzano sul tamburo i convegni dell'indignazione, arrivano le offerte di collaborazione e le interviste ben pagate, decollano le carriere universitarie... Anti e anti-anti sono finalmente a posto...
L'articolo di Angela Pellicciari, con tutto il rispetto che la Signora merita, mi sembra indicativo di questo clima.
Esso fa riferimento a delle fonti documentarie che, benché non citate, riportiamo in extenso. Essa furono pubblicate da Henry Delassus, uno scrittore antisemita di fine '800. (Si tratta di un antisemitismo non "razzista", ma religioso e "culturale". Un antisemitismo del quale le pagine de "La Civiltà Cattolica" furono piene fino agli anni '30, quando forse si cominciò a rendersi conto di dove avrebbe condotto un tale abominio. Uno degli ultimi epigoni "colti" di questa corrente fu il padre Agostino Gemelli, fondatore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore).
La sensazione che riporto ad una prima lettura è che si tratti di APOCRIPHA: non di falsi puri e semplici, ma di documenti composti intercalando materiale originale a materiale composto per la bisogna, che doveva rendere il tutto plausibile per chi avesse DESIDERATO trovarlo tale. Un'altra OPERAZIONE TAXIL ai tempi del Taxil .
Fra le mani ho un documento molto simile, ma di contraria parte (e molto più antico): una lettera apocrifa del papa Pio VII che, dall'esilio di Savona, invita i preti del Mezzogiorno ad aderire in massa alla Carboneria. DESIDERAVANO che fosse autentico i preti del Mezzogiorno, che aderivano in massa alla Carboneria e ricoprivano le prime posizioni nell'Alta Vendita (di Salerno, perché ce n'era una anche a Napoli, e da un certo periodo in poi una a Parigi: poi, forse, delle altre - di quale Alta Vendita sono dignitari Nebulus, Vindice, Beppo e compagnia?).
________________________________ Recensione del suo libro anche in http://www.civitaschristiana.it/libri.htm
Angela Pellicciari, "I panni sporchi dei Mille" (L’invasione del Regno delle Due Sicilie nelle testimonianze di Giuseppe La Farina, Carlo Pellion di Persano e Pier Carlo Boggio) Liberal Edizioni, (€ 15, 00 + 2,71 per spese postali). Tel. 081 66 64 40
L’unificazione d’Italia fu una vera e propria rivoluzione, pensata, organizzata e realizzata contro la volontà dei popoli e sulla loro pelle, per interesse – politico, economico e di loggia – di una oligrachia sostenuta dalle potenze straniere, le cui armi principali furono la menzogna, la corruzione e il tradimento.
La falsità dell’leografia risorgimentale ha fatto credere a generazioni d’italiani che Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II fossero i Padri della Patria, ma grazie a studiosi come Angela Pellicciari sta finalmente venendo alla luce l’inoppugnabile verità dei documenti.
L’autrice, al suo terzo titolo basato su un paziente lavoro d’archivio, riporta i carteggi di Giuseppe La Farina – segretario della Società Nazionale e braccio destro di Cavour – il diario di Carlo Persano – comandante della flotta sarda – e un pamphlet del deputato Pier Carlo Boggio.
Testimonianze fedeli delle attività realmente svolte dai protagonisti degli eventi del 1860, nelle loro parole, gli alti ideali, i sentimenti di pietà e di amore fraterno, il sacrificio per la patria sono sostituiti dagli intrighi, dalle lotte intestine, dalla reciproca, mancanza di fiducia, dai tratti miseri ed oscuri delle diverse personalità, che ci permettono di scoprire fatti ben diversi da quanto ci hanno raccontato.
Ad esempio, lo sbarco dei Mille mobilitò le masse siciliane alla rivolta antiborbonica? Risponde indirettamente una lettera di De Medici a Garibaldi: Caro Garibaldi, sono giunto questa mattina in questa rada di Cagliari con due battelli a vapore carichi di volontari. Attendo quindi notizie ed istruzioni. Ti segno intanto il totale della spedizione: 3500 uomini – 8000 fucili – 400.000 cartucce”
E ancora: i popoli napoletani lanciavano ‘grida di dolore’ sotto ‘l’oppressione borbonica’? Risponde Cavour in persona a diverse lettere a Persano: "La prego di porgere al Generale Garibaldi le mie sincere e calde congratulazioni. Sarebbe stato meglio che i napoletani compissero, od almeno iniziassero l’opera rigeneratrice: ma poiché non vogliono, o non si possono muovere si lasci fare a Garibaldi. L’impresa non può rimanere a metà […] Il problema che dobbiamo risolvere è questo: aiutare la rivoluzione, ma far sì che al cospetto d’Europa appaia come atto spontaneo."
Senz’altro il grande merito che va riconosciuto alla Pellicciari è l’aver reso impossibile continuare a ripetere i soliti luoghi comuni sugli ‘eroi’ che hanno fatto l’Italia. È grazie a libri come questo che possiamo rispondere con cognizione di causa a coloro che credono ancora che una menzogna ripetuta diventi verità.
Pietro Adamo, (Università di Napoli)
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Notizie sul personaggio si ritrovano anche nel sito di PINO RAUTI in http://www.misconrauti.org/reader.php?id_articolo=382
“I PANNI SPORCHI DEL SUD” Su molti giornali locali del Sud, che sono poi quelli più attenti alla “storia” di un territorio specifico, si sta facendo strada la tendenza a riscoprirla, quella storia, e soprattutto a rivederla criticamente. In questo nostro Sito ci proponiamo di riprendere quanto si pubblica in materia. Ecco, per esempio, quanto ha pubblicato di recente “Meridiano del Sud” a firma di Gaetano Marabello, sotto il titolo “I panni sporchi dei mille”, che è un’ampia recensione di un libro che ha quel titolo, scritto da Angela Pellicciari per le Edizioni “Liberal”:
“Angela Pellicciari, studiosa di area cattolica del Risorgimento, ha recentemente pubblicato per le Edizioni LiberaI (via del Pozzetto 122, Roma) un interessante libretto intitolato I panni sporchi dei Mille, che racconta l'invasione del Regno delle Due Sicilie ad opera di Garibaldi attraverso la voce di tre suoi contemporanei, non sospettabili certamente di simpatie borboniche vista la loro matrice liberale. Trattasi di quegli scritti di Giuseppe La Farina, Carlo Pellion di Persano e Pier Carlo Boggio, cui la Pellicciari stessa aveva fatto cenno in una sua precedente opera edita nel 2000 da Piemme col titolo L'altro Risorgimento. Per non incappare nell'accusa di revisionismo che oggi si usa lanciare a chi rivendica la ragione dei vinti, la scrittrice si ripromette di non fare "questione di Savoia o di Borbone di massoni o di cattolici" e lascia che siano piuttosto i fatti a parlare, limitandosi ad illustrare alcuni aspetti della conquista del Sud in poche pagine di chiarimento, l’unica pecca è talora 1'assenza di riferimenti puntuali alle fonti. La studiosa riprende la tematica dibattuta nel 1998 dal suo Risorgimento da riscrivere, per dimostrare come la vera e propria guerra di religione condotta contro la Chiesa di Roma dal Parlamento di Torino tra il 1848 e il 1861 abbia fatto da prologo alla spedizione dei Mille, per ingraziarsi i favori degli Stati protestanti e della massoneria mondiale. Le tre testimonianze di cui si è detto rivestono notevole rilievo documentale perché svelano i retroscena non edificanti di un'azione, che fu studiata a tavolino per annettere al Piemonte con la violenza e l'inganno gli Stati della penisola. Massimo D'Azeglio, scrivendo al nipote Emanuele il 29 settembre 1860, mentre era ancora in corso quella che la stampa liberale già spacciava come un'epica impresa di un pugno di audaci, diceva che "quando si vede un regno di sei milioni ed un'armata di 100 mila uomini, vinti con la perdita di 8 morti e 18 storpiati, chi vuol capire capisca". L'accusa è grave anche se proviene da chi aveva scarsa simpatia per i metodi politici sin troppo disinvolti di Cavour. Ma come dubitare dei tre "galantuomini", le cui testimonianze costituiscono il fulcro del recente testo della Pellicciari? Poiché essi furono tutti fedelissimi del conte, quanto dicono appare per ciò stesso come oro colato. La Farina ne fu il braccio destro al punto di vantarsi nel suo epistolario di averlo visto "quasi tutti i giorni prima dell' alba", nel corso di una serie di "relazioni intime pur tenute segretissime dal' 56 al' 59". Egli, essendo stato messo alle costole di Garibaldi da Cavour, lo informa giornalmente degli scempi compiuti dai Mille, sottoponendogli un crescendo di episodi sufficienti da soli a polverizzare il mito da cui furono poi circondate le loro gesta. Non si comprende comunquecome La Farina osi gridare allo scandalo, dal momento che quale organizzatore della spedizione non poté ignorare che i suoi componenti erano (son parole di Garibaldi!) "tutti generalmente d'origine pessima e per lo più ladra; e tranne poche eccezioni con radici genealogiche nel letamaio della violenza e del delitto". L'ingratitudine del condottiero non fu meno riprovevole perché. si concretizzò in un gesto squallido verso lo scomodo emigrato siciliano, che fu rispedito al mittente sotto scorta armata. A ricevere in consegna l'ingombrante personaggio è l'ammiraglio Persano, comandante della flotta piemontese inviata nelle acque siciliane per fornire ai garibaldini un appoggio mascherato dietro una neutralità di pura facciata. Anch'egli ha l'incarico di "proteggere - tallonare - controllare Garibaldi", cui deve assicurare l'invio di ulteriori uomini e armi e la complicità dell' Armata di mare borbonica. La sua opera di corruzione è infaticabile, come dimostrano i Diari da lui pubblicati meschinamente dopo essere stato processato per la vergognosa disfatta ,subita a Lissa ad opera della modesta flotta austriaca. Il libro della Pellicciari si conclude con un pamphlet di Pier Carlo Boggio, noto politico dell' epoca, che seppe morire da valoroso nella battaglia appena ricordata. Nell'opuscolo Cavour o Garibaldi?, uscito a fine settembre 1860 e, come nota la Pellicciari, "stranamente quanto ingiustamente dimenticato dalla, storiografia", egli paventa che la guerra in corso contro i Borbone possa fomentarne un'altra più vasta a causa dell'atteggiamento sconsiderato di "quell’ anima candida e onesta" di Garibaldi, "facile ad essere raggirato" dai rivoluzionari di professione che lo circondano. Boggio, per indurre il Dittatore a disfarsi dei cattivi consiglieri, non esita a ricattarlo con la divulgazione di qualche episodio squallido messo in atto da quella frotta di "immondi parassiti" che sono calati sulle nostre terre. Il "saggio di quel poco che del moltissimo giunge" sino a Torino è così infarcito di gesta criminali da indurci a non indulgervi sopra, auspicando che il lettore curioso abbia voglia di andarsele a scoprire da sé.”
Gaetano Mirabello
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Radio Maria riporta le due lezioni (in pdf) che il personaggio in questione ha tenuto nella sua rubrica mensile dal titolo "la vera storia della chiesa" in http://www.radiomaria.it/nonsolot/istituz/documenti_2005.htm
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Sempre su Radio Maria si può trovare la programmazione in http://www.radiomaria.it/nonsolot/program/lune.htm
________________________________ in http://old.lapadania.com/2002/aprile/26/26042002p12a1.htm viene riportato il seguente articolo:
in Riprende la rubrica di Angela Pellicciari Oggi la prima puntata Una boccata d’ossigeno con un’“altra storia” di Angela Pellicciari La storia, si sa, a volte ritorna. E con essa, anche la necessità di rileggerla e di reinterpretarla, alla luce delle conoscenze che periodicamente vengono acquisite grazie allo studio e alle nuove scoperte effettuate negli archivi oppure nei luoghi dove i fatti stessi si sono compiuti, tanto tempo fa ma anche ieri. C’è una storia, però, che pur non essendo, almeno in questi anni, particolarmente soggetta a risvolgimenti dovuti a scoperte sensazionali, merita lo stesso di essere sfogliata e riletta. Quel fenomeno storico noto come “Risorgimento italiano” finora è stato da legioni e legioni di storici, più o meno faziosi, oggetto di manipolazione e strumentalizzazione, politica e ideologica. Di questi fatti, personaggi, movimenti e vicende si è detto non il falso, ma una sola parte della verità, mentre l’altra è stata per motivi diversi taciuta quando non occultata. Forse perché scomoda. A questa seconda “faccia della medaglia” avevamo dedicato, lo ricorderete, una rubrica intitolata proprio “L’altra storia”. Un appuntamento che ci aveva tenuto compagnia per tre volte la settimana e che ci aveva lasciato col fiato sospeso, grazie alla sapiente narrazione di una studiosa coraggiosa e senza peli sulla lingua, Angela Pellicciari. La sua indagine è stata condotta anche attraverso la rilettura di documenti dimenticati. Questa serie prende spunto dalle memorie e dagli articoli di don Giacomo Margotti, direttore de “l’Armonia”, quotidiano cattolico di Torino che seguì “criticamente” il processo unitario gestito dai Savoia. Ora il respiro interrotto finalmente riprende con un secondo ciclo, che vista la continuità di temi mantiene intatti sia il titolo sia l’ispirazione. Buona lettura, dunque. All’insegna della verità. Le Memorie per la storia dei nostri tempi di don Margotti si aprono con la descrizione di cosa succede al Congresso di Parigi del 1856. Qui le contraddizioni non mancano. A Parigi il conte di Cavour tesse le fila della rivoluzione italiana in nome della pace e dell’ordine. Francia ed Inghilterra danno il benestare alla conquista piemontese in nome del non intervento. A dispetto del non intervento si pretende di mettere bocca nelle gestione degli stati italiani. Il principio di nazionalità è invocato da nazioni imperiali, padrone del mondo. In questo mare nuota a suo agio il conte di Cavour: «Non è tanto facile definire la politica del nostro Presidente del ministero; non già ch’egli appartenga a quei caratteri serii, taciturni, che pensano tanto e parlano pochissimo; ma perché il conte di Cavour parla troppo, parla sempre, gira come un arcolaio, discorrendo diversamente, secondo i tempi, i luoghi, le persone; in modo che tutti credono d’averlo con lui, ed egli non è con nessuno, ma solo con se stesso e per se stesso». Seguiamo dunque il girotondo di Cavour al Congresso di Parigi. Il suo intento è quello di utilizzare qualsiasi pretesto, qualsiasi fantasia, qualsiasi calunnia, pur di diffamare lo Stato della Chiesa. Pur di suscitare lo “sdegno” internazionale contro i domini del papa (le cose non sono cambiate e gli “sdegnati” fanno sempre lo stesso mestiere). Parole, parole, parole. Parole in libertà che hanno uno scopo ben preciso: preparare gli animi alla “necessaria” invasione dello Stato pontificio. Alla fine del Congresso dunque, i rappresentanti sardi presentano alle nazioni una Nota verbale sulla situazione delle Legazioni pontificie [quella parte dello Stato della Chiesa governato da un cardinale ’legato’]. Quali elementi ha Cavour per condannare il governo di Pio IX? «La Nota sulle Legazioni presentata dal ministro Cavour è opera di quattro emigrati delle province romane, fra i quali un preside ed un congiunto di N..., che, pel primo, ne trasmisero copia all’Imperatore medesimo», scrive Margotti. E commenta: «Rimetteremo ad altri l’uffizio di ricercare sotto altri nomi il nome vero. Per noi autori della nota sono i due plenipotenziari sardi che la sottoscrissero, ed in specie il conte di Cavour che ne porta tutta la responsabilità». Segue un ritratto della disinvoltura morale e diplomatica del conte di Cavour: “Il conte di Cavour, volendo introdurre riforme nelle Legazioni Pontificie, avrebbe dovuto affidare l’esecuzione delle proprie idee a chi già godesse in casa propria delle riforme medesime. In caso diverso egli degenerava, come di fatto degenerò, nell’assurdo. Il conte di Cavour, rivolto all’Inghilterra, la prega di introdurre nelle Legazioni Pontificie la coscrizione militare. Mettiamo che l’Inghilterra s’indirizzasse al Papa con una simile proposta, e gli dicesse: stabilite la coscrizione militare nelle Legazioni Pontificie. Ognun vede la trionfante risposta che potrebbe rendere il governo del S. Padre. «E come? potrebbe dire agli inglesi: voi volete ch’io introduca la coscrizione militare in casa mia? E perché non avete incominciato dall’introdurla in casa vostra? Voi, che andate raccogliendo soldati per tutta Europa, che non volete assoggettare i vostri alla leva forzata, pretendete ch’io faccia altrimenti? Ma, o la coscrizione militare è cosa buona, e adottatela voi, o non è quella delizia che altri suppone, e non imponetela al Papa. Ci pare impossibile sprigionarsi da questo argomento. La coscrizione militare nacque nella Francia repubblicana colla legge del 18 fruttidoro, anno VI, che fondavasi sul principio: tutti i cittadini esser soldati. Che cosa vi pare di questo principio? È egli vero che tutti nascono con disposizioni naturali alla milizia? Nessuno oserà certamente affermarlo. La coscrizione forzata si può quindi considerare piuttosto come un’imposta; e imposta gravissima, in quanto si dee pagare non col denaro, ma col proprio sangue. Color adunque che rimproverano al Papa di non avere ordini di milizia coscritta, gli rimproverano in sostanza di non avere ancora gravato i propri sudditi colla più terribile imposizione; di non aver stabilito un ordine di cose da cui può sfuggire chi ha denari e che deve invece sopportare colui che nacque nella povertà. Noi siamo ben lontani dal condannare la coscrizione militare: ma diciamo doversi accettare come necessità solo in tempi anormali, non canonizzarsi some regola o invidiarsi come beatitudine. Nel 1849 [all’epoca della Repubblica romana guidata da Mazzini] la coscrizione militare era stata introdotta negli Stati Romani col decreto del 27 aprile il quale fondavasi su questa considerazione, che la vita e le facoltà dell’uomo appartengono di diritto alla società ed al paese, nel quale la Provvidenza lo ha posto. Tremendo principio che sacrifica l’individuo sull’altare del Dio-Stato. Vorrebbero i plenipotenziari sardi che s’andasse in cerca dei sudditi Pontifici per crearli militari loro malgrado? Questo sì che sarebbe liberalismo di nuova stampa!». Ebbene sì: quello del conte di Cavour è un liberalismo davvero molto strano.
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Orari delle lezioni tenute in http://www.lucreziocaro.net/profs/pellicciari.htm
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Articolo della professoressa di storia in "Diorama Letterario" (di Marco Tarchi) nel sito della Cooperativa Culturale "La Roccia di Erec", delle riviste "Diorama Letterario" e "Trasgressioni", delle Edizioni Akropolis. In http://www.diorama.it/n219.html
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Le Ediazioni Ares organizzano una tavola rotonda dove è presente il personaggio in http://www.ares.mi.it/eventi_txt_newdet.php?id=7
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Nel sito dell associazione culturale "IDENTITA' EUROPEA" in http://www.identitaeuropea.org/archivio/articoli/francescoagnoli_laici.html si trova:
Ebbene questa mitica Italia, che Boselli e Pannella vorrebbero difendere, abita, risiede e riposa, in verità, con molti suoi ministeri, scuole, tribunali, ospedali e quant’altro, proprio nelle proprietà avidamente e violentemente espropriate alla Chiesa, ante, in e post Risorgimento.
C’è un noioso ritornello che viene spesso ripetuto e che ha sempre come oggetto la santa e venerabile “laicità dello Stato”. Sembra, a sentirlo, che vi sia da tutelare una bambina innocente, esposta alla malvagità di un vecchio cattivo, di nome Camillo e della sua losca compagnia. Una bimba immacolata, intendo, senza peccato originale, chiamata “Repubblica italiana”, e “fondata sul lavoro”, come recita, senza nulla dire, la sacra Carta; oppure “generata da una calcolatrice” (“questo l’Italia lo sa/ma non lo dice”), come sostiene invece una vecchia canzone monarchica che allude, evidentemente, ai brogli elettorali del 2 giugno 1946.
Ebbene questa mitica Italia, che Boselli e Pannella vorrebbero difendere, abita, risiede e riposa, in verità, con molti suoi ministeri, scuole, tribunali, ospedali e quant’altro, proprio nelle proprietà avidamente e violentemente espropriate alla Chiesa, ante, in e post Risorgimento.
Ce lo ricorda, con un’opera inconfutabile, “Risorgimento da riscrivere” (Ares), Angela Pellicciari, allorché racconta, documenti alla mano, le oscure trame degli anticlericali e dei massoni piemontesi che sin dal 1848 puntavano a “uccidere le vespe e a bruciare o sequestrare i vespai”, come dicevano loro, con un po’ di retorica, mirando, fuor di metafora, alla eliminazione dei gesuiti e di altri ordini religiosi e al sequestro delle loro proprietà. Incameramento di beni altrui, precisamente della Chiesa e dei cattolici: è qui l’origine ideologica, economica e storica, dello Stato laicista risorgimentale.
Si ripetono così le imprese di Napoleone, i suoi furti imperiali, le chiese profanate e gli Ordini spogliati per saziare le brame dei soldati, del Direttorio e di altri pescicani. Poi, tornando al Risorgimento, che di Napoleone è figlio, dopo gli espropri laici, antenati di quelli proletari, ci sono i plebisciti farsa, raccontati da Tomasi di Lampedusa ne “Il gattopardo”, attraverso la figura di Ciccio Tumeo: “Io, eccellenza, avevo votato no … e quei porci in municipio si inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco”.
Contemporaneo ai brogli, falso come loro, c’è l’“eroe dei due mondi” (o “dei due milioni”, dalla lauta somma donatagli per metterlo buono), anticlericale violento e donnaiolo misogino e crudele. Al sud si dà anche lui ai sequestri, a danno dei Borboni e della Chiesa, e non devolve certo ai poveri, come in principio aveva promesso. Anzi, lascia in meridione solo morte e miseria, come testimoniano la novella “Libertà” di Verga, o gli accenni, ne “I Malavoglia”, alle nuove, durissime tassazioni e al servizio militare obbligatorio, imposti per la prima volta dal nuovo Stato piemontese.
Amara delusione per le vicende risorgimentali viene espressa anche da Luigi Pirandello, nel suo romanzo “I vecchi e i giovani”, o nella novella “L’altro figlio”, in cui sono raccontate le devastazioni compiute in Sicilia dai delinquenti cui Garibaldi aveva aperto le galere. Dopo l’impresa dei Mille, c’è la morte misteriosa di Ippolito Nievo, cassiere della spedizione, e, “finalmente”, il 20 settembre 1870, l’aggressione ingiusta e immotivata a uno Stato libero e sovrano, quello pontificio.
Dapprima si era cercato in tutti i modi col potere dell’oro, di far sollevare la popolazione romana contro Pio IX, ma senza risultato; invano si era atteso un solo gesto di ribellione al pontefice, come scusa per intervenire: “Ci basterebbero solo dieci schioppettate dei romani”, sospirava a Firenze il primo ministro Giovanni Lanza. Nell’assedio del 20 settembre Nino Bixio, l’autore del massacro di Bronte, ci riprova: invece di bombardare le mura della città nemica, alza il tiro, sul centro abitato, sull’ospedale di San Gallicano e su altri edifici civili, sperando ancora di far insorgere i romani alle spalle dei pontifici che sono sulle mura. Come tutti i violenti, Bixio crede di essere il popolo, la libertà incarnata e incompresa.
Roma viene espugnata e può essere finalmente piemontesizzata e colonizzata: accorrono i figli di Garibaldi, Ricciotti e Menotti, rapidi, per trarre guadagno dal boom edilizio della nuova capitale. Poi ci saranno lo scandalo del Banco di Roma, la solenne sconfitta degli eserciti di Crispi in Etiopia, e i meridionali che per la prima volta nella loro storia dovranno emigrare in massa. Queste, sinteticamente, le origini della creatura immacolata di cui si diceva. Ora, i neo risorgimentali vogliono abolire il concordato, l’8 per mille e i crocifissi nei luoghi pubblici, e intanto urlano al lupo cattivo.
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