Secondo i consulenti della famiglia il diciottenne morto a settembre davanti agli agenti sarebbe deceduto per soffocamento
Federico Aldrovandi non morì per colpa della droga e nemmeno per le percosse (ipotetiche). A provocarne il decesso , il 25 settembre 2005, davanti agli agenti del 113 di Ferrara, intervenuti per calmarlo, fu un'asfissia provocata dalla «compressione toracica» di un quarto d'ora cui fu sottoposto dai poliziotti. Sono queste le conclusione a cui sono giunti i consulenti della famiglia del ragazzo, e che saranno depositate lunedì, quando dovrebbe essere depositato anche la perizia medico-legale disposta dal pm Mariaemanuela Guerra (che coordina le indagini sulla vicenda) sul corpo dell'allora 18enne Federico. I risultati della consulenza sono stati anticipati in una conferenza stampa. Secondo i legali della famiglia «l'assunzione di modesti quantitativi di sostanze stupefacenti (eroina e ketamina) da parte del giovane, alcune ore prima della morte, pare avere efficacia causale assai discutibile». Ad illustrare le conclusioni del pool di medici legali e tossicologi, consulenti della famiglia (Giorgio Gualandri, Manuela Licata e Antonio Zanzi) sono stati gli avvocati della famiglia, Riccardo Venturi e Fabio Anselmo. Dagli atti di polizia e procura emerge, per i consulenti, che «dopo l'arrivo della prima pattuglia del 113, vi fu una violenta colluttazione tra il ragazzo e gli agenti» a cui seguì «l'immobilizzazione forzata a terra, protrattasi per alcuni minuti, in posizione prona ed ammanettato con le mani dietro la schiena, mentre almeno un agente di polizia gravava su di lui, comprimendogli la cassa toracica». Dal referto del 118, emergono i tempi dell'intervento del personale sanitario: «la chiamata dalla centrale operativa del 113 è delle 6.08, l'ambulanza della Croce rossa e l'auto medicalizzata partono alle ore 6.10, l'arrivo sul posto della prima risale alle 6.15 e della seconda alle 6.18». Inoltre, «Dagli atti della polizia emerge, per i legali, che la richiesta di inviare un'ambulanza è stata radiotrasmessa dalla volante "alfa 3" alla centrale operativa del 113 alle 6.04, quando sul posto era già intervenuta la volante "alfa 2"». E' in base a questi rilievi che i periti deducono che il ragazzo è rimasto a terra in posizione prona, con braccia ammanettate dietro la schiena, almeno per undici minuti (dalle 6.04 alle 6.15) e che l'emergenza sanitaria («intesa come presa di coscienza da parte degli agenti della necessità di soccorrere i giovane») deve essere precedente alla chiamata al 113. Il soccorso è stato «tardivo» per i legali, che invitano anche a valutare «il mancato utilizzo del defibrillatore portatile che si sarebbe trovato a bordo di una delle auto del 113» Gli avvocati poi citano una teste che avrebbe riferito che Federico «rantolava e chiedeva aiuto» mentre un poliziotto tentava di ammanettarlo. Inoltre, nella prima richiesta di intervento da parte di una cittadina non ci sarebbe traccia di allusione ad atti autolesionistici del ragazzo (come sostenuto dalla questura) ma si parlerebbe solo di un ragazzo che «tira calci a tutto». «Non è una battaglia contro la polizia - ha spiegato Anselmo - ma quello che è successo dopo i fatti non è accettabile». La famiglia del ragazzo infatti ha sempre puntato il dito contro una supposta sottovalutazione dell'accaduto e una stasi nelle indagini «ripartite solo a gennaio quando la madre ha aperto un blog su internet» ha aggiunto l' avvocato. Blog tra i più visitati d'Italia e che contribuì a far sì che della vicenda si interessassero i media nazionali. La segreteria provinciale del Siulp chiede chiarimenti rapidi, perchè la pressione psicologica del «processo mediatico» inficia la serenità degli operatori. Il Siulp ricorda che il carabiniere Cristiano Scantamburlo è morto anche perchè «per non mettere in essere comportamenti da far west», un latitante, Antonio Dorio, è stato perquisito sommariamente e ha potuto nascondere l'arma con cui poi domenica ha ucciso il vicebrigadiere. http://www.corriere.it 17 febbraio 2006
www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2006/02_Febbraio/17/aldrovandi.shtml
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