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La Francia è sempre l’inizio, anche per i precari può essere così
by Federico Pace Tuesday, Mar. 14, 2006 at 9:39 PM mail:

La legge italiana è più accorta, ma la maggior parte dei "lavoratori interinali" è nelle stesse condizioni.

La Francia è sempre ...
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"La Francia è sempre l’inizio anche per i precari può essere così"

di FEDERICO PACE


Cpe. C’è una sigla di tre lettere al centro della protesta dei giovani francesi. Contrat première embauche, ovvero contratto di primo impiego. Un rapporto di lavoro che permetterebbe, secondo il primo ministro francese de Villepin, di ridurre la disoccupazione giovanile. Un contratto che, secondo i ragazzi, farebbe diventare l’occupazione sempre più instabile e incerta. Sì, perché con il Cpe le imprese potranno, da metà aprile quando cioè Jacques Chirac potrebbe promulgare la legge, assumere i giovani fino a 26 anni e licenziarli nei primi due anni di impiego senza particolare restrizioni.

Gli uni parlano perché si sentono schiacciati dalla precarietà che sembra avvelenare il mondo del lavoro. L’altro parla perché vuole sconfiggere il fantasma della disoccupazione giovanile. Di certo c’è che la transizione dallo studio al lavoro pare essere diventata, per chi la deve compiere, una vera e propria traversata nel deserto. Esattamente come in Italia. E anche in Italia, a parere di tutti gli osservatori, c’è un malessere che monta pronto ad esplodere: arriverà il "vento francese?"

"La cosa più incontestabile degli studi sulla precarietà - afferma il sociologo del lavoro Aris Accornero che sta preparando un libro sull’argomento - è che a pagare sono i giovani, in particolare le ragazze. La quota dei giovani che viene assunta in pianta stabile è esigua: non più di un terzo ce la fa alla prima botta e spesso ce la fa chi ha un elevato livello di istruzione o chi ha un canale privilegiato di accesso al mondo del lavoro. Per questo non credo che sia stata la cosa più sensata da parte di de Villepin andare a dire proprio a questi giovani che per due anni possono essere licenziati."

In Francia il tasso di disoccupazione giovanile raggiunge il 22,2%, un valore di poco inferiore a quello italiano che si aggira da qualche anno intorno al 24 per cento. La gran parte di chi un lavoro ce l’ha si trova in condizioni economiche sempre meno confortevoli e con pochi diritti. Se si guarda ai lavoratori sottopagati, ovvero a chi guadagna meno di due terzi dello stipendio medio di un lavoratore a tempo pieno, ci si accorge che (dati Ocse) in Francia il 26,1% dei sottopagati ha meno di 25 anni mentre in Italia si arriva addirittura al 60,9 per cento.

Dopo l’esplosione delle proteste, de Villepin ha difeso strenuamente il nuovo contratto e in risposta i giovani francesi hanno deciso di non fare passi indietro e hanno promesso per oggi nuove manifestazioni, mentre i sindacati si muoveranno giovedì e sabato.

Saranno manifestazioni che però non riguarderanno solo Parigi e la Francia. Perché i giovani sono i protagonisti, malgrado loro, di un processo di ristrutturazione del mercato del lavoro che investe la gran parte delle città europee. "Se una legge simile dovesse essere proposta anche in Italia - dice Accornero - potrebbe succedere la stessa cosa. Da noi però ce la siamo cavata con l’interinale, una soluzione che costa un po’ di più per le imprese. L’interinale sembra pensato per i giovani tanto che l’80 per cento riguarda proprio loro e un quarto degli interinali viene assunto in pianta stabile."

Il posto stabile appunto. Un miraggio sempre più remoto. Se c’è un’area dove i giovani, e i meno giovani, vengono mantenuti con più drammaticità in una situazione di permanente precarietà è proprio il settore pubblico e in particolare le università. Ne sa qualcosa Pierluigi Contucci, giovane docente del dipartimento di Matematica dell’università di Bologna con un passato negli Usa che è stato tra i coordinatori dell’"esercito degli idonei", ovvero quei professori che avevano vinto un concorso e hanno dovuto aspettare a lungo prima di essere impiegati nel ruolo.

"Io sono stato a Parigi per dei seminari questo gennaio. Conosco molti colleghi. Quello che sta succedendo in Francia - dice Contucci - manda un segnale molto forte a tutti noi. Da Parigi arrivano sempre dei campanelli d’allarme per l’Europa. Certi malesseri diffusi sembra che lì riescano ad emergere con più forza. Il dieci marzo è scoppiata la protesta e oggi già la metà degli atenei francesi vi ha aderito. Non che questo sia di per sé positivo, ma i francesi si uniscono in alcune battaglie con molta più decisione di noi."

Qualcosa di simile a quello che accade oggi era accaduto alla fine del 2003, quando la gran parte degli stati europei aveva cominciato a fare tagli alla ricerca scientifica e i francesi si erano mossi con grande rapidità. "In Francia allora era subito nato il coordinamento ’Salviamo la Ricerca’, dopo pochi giorni avevano sei mila iscritti e all’inizio del 2004 erano in 45 mila, ovvero la totalità del corpo accademico dei ricercatori. In Italia abbiamo impiegato quattro mesi per avere duemila iscritti. E poi il coordinamento si è sciolto come sale nell’acqua. Anche oggi, se devo dire la verità, tra colleghi non si parla molto di quello che accade in Francia".

Con gli studenti Contucci però parla, spesso di prospettive occupazionali, quando i ragazzi gli chiedono cosa possono fare "dopo". E non può fare altro che metterli in guardia: "Non posso che dire loro che non sarò in grado di assicurargli un futuro. Quel che più dispiace è che qui non c’è spazio per tutti gli studenti bravi."

Il rischio di rimanere in quella specie di "apartheid permanente", come la chiama Pietro Ichino, non può che portare conseguenze negative. "In Italia - conclude Accornero - c’è un’idea della precarizzazione del lavoro forse superiore a quella effettiva. Comunque sia però è certo che le idee e le percezioni contano, e inducono molti comportamenti. Un mondo del lavoro precario disorienta e disarma. Se dura ancora qualche anno potremo misurare gli effetti sul tasso di nuzialità. Ed è solo un esempio. Il rischio che corriamo è di avere una società che si avvita su stessa e che spegne ogni stimolo ed iniziativa".



Di : Federico Pace
martedì 14 marzo 2006


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"Siamo in troppi, basta una scintilla..."
by DANIELE SEMERARO Thursday, Mar. 16, 2006 at 11:19 AM mail:

La storia di A., anni di insicurezza alle spalle. Tra le difficoltà a crearsi una famiglia a quelle di reinventarsi, ogni anno, una nuova occupazione

"Il mio futuro? Precario a vita
Siamo in troppi, basta una scintilla..."

"Storie come quelle della Sorbona potrebbero accadere anche in Italia"
di DANIELE SEMERARO

ROMA - "Le nuove generazioni, i ragazzi al di sotto dei trent'anni, molti di quali escono dai percorsi di laurea in Scienze della Comunicazione sono la nuova manovalanza del 2000. Senza diritti né sicurezze". Così A., il nome lo omettiamo perché, se rivelato, potrebbe perdere il posto di lavoro, ci racconta la sua esperienza da precario nel mondo della comunicazione. Un mondo al quale cui i neolaureati si affacciano con grandi propositi e grandi speranze e dove invece si ritrovano con contratti che cambiano ogni anno e senza alcuna garanzia. Una storia simile a quella di altre migliaia di lavoratori in Italia. Che potrebbe esplodere da un momento all'altro, come è successo alla Sorbona di Parigi.

Qual è stato il suo percorso?
"Il mio storia è simile a quello di molte altre persone che si sono professionalizzate per lavorare nel campo della comunicazione. Mi sono laureato in Filosofia con studi sull'estetica del cinema. Il primo approccio di lavoro l'ho avuto con una grande azienda del Nord dove mi hanno fatto un contratto a tempo determinato. Da lì, dopo qualche anno, sono approdato a un'altra azienda molto grande, a Roma, dove ho iniziato un percorso tutto contraddistinto dalla precarietà di lavoro".

Di che cosa si occupa?
"Lavoro nel campo della comunicazione. Un anno faccio l'autore di programmi, un altro anno faccio il giornalista, un altro ancora mi occupo della regia. Il mio lavoro, di solito, va avanti da settembre a giugno. E così all'inizio dell'estate, ogni estate, devo rimettermi a cercare un'altra occupazione, inviare curriculum, fare colloqui per cercare quelle che si rivelano, alla fine, solamente condizioni di lavoro mai ben definito".

Come cambia la vita di un precario? Quali sono i problemi principali che bisogna affrontare?
"Il primo impatto che ho avuto - io vengo da una città del Sud e quindi ho dovuto per prima cosa trasferirmi - è quello della ricerca di una casa: bisogna affittare un appartamento e i soldi non bastano mai. Per qualche anno ho condiviso l'abitazione con studenti o colleghi, poi da alcuni anni convivo con una ragazza e sono riuscito a trovare una sistemazione. Ma, voglio sottolinearlo, non per meriti miei. Questo significa vivere sempre con una spada di Damocle tutti i giorni. Alla fine diventa un disagio, che non ti permette di fare programmi a lungo termine e ti obbliga a trasformare la tua vita e prevedere percorsi sempre nuovi. Per me non esiste il classico percorso fidanzamento - matrimonio - famiglia: questo richiede sicurezze e benefit. Io non ho nemmeno una pensione! E non è tutto: questo ti preclude anche la possibilità di avere diritti a mutui, finanziamenti... Ormai vivo alla giornata, passo da un contratto all'altro e cerco di non pensare troppo a quello che accadrà in futuro".

Ogni tanto però ci penserà al futuro... cosa le viene in mente? E quali speranze ci sono?
"Mi viene in mente, ad esempio, che se avessi un figlio non potrei mai accompagnarlo a scuola, non potrei garantirgli niente: con il datore di lavoro non si può scendere a patti ma bisogna accettare qualsiasi orario, qualsiasi lavoro. E così un giorno potrebbe capitarmi di lavorare dalla mattina presto, un altro giorno tutta la notte e così via. E poi esiste un altro fattore interessate: ormai c'è un percorso strutturato per cui coloro che vengono assunti sono solo quelli che, dopo 10-15 anni fanno causa all'azienda dove lavorano: se hai un contratto a tempo determinato che viene sempre rinnovato, infatti, è possibile dimostrare la continuità e trasformare il contratto da tempo determinato a tempo indeterminato. Ma non è semplice: se si hanno delle conoscenze la trasformazione non ci mette tanto ad arrivare, altrimenti ci sono i tempi lunghissimi della giustizia... E così capita ormai che coloro che vengono assunti sono quasi esclusivamente persone di 55-60 anni".

Secondo quanto vede ogni giorno nel suo settore e tra i suoi colleghi, il vento francese di protesta potrebbe arrivare anche in Italia?
"La situazione del precariato non esiste solo in Italia. Forse nel nostro Paese è ancora troppo sotterranea, c'è una maggiore contrazione. E poi c'è una lunga serie di ammortizzatori sociali, non dello stato ma dei famigliari: si cerca di risolvere i problemi sempre in famiglia, ma è che chiaro che anche da noi basta una scintilla per far scattare una grande protesta. L'importante è che la nostra generazione si comporti in modo maturo e che non si passi dalla parte della violenza. È chiaro che è facile ripetere le esperienze del passato, come nel '68 o nel '77. Mi aspetterei forse però un intervento politico più incisivo".
(14 marzo 2006)

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precariato ........
by Paola Angelini Sunday, Mar. 19, 2006 at 6:10 PM mail:

Da quello che ho capito, del fantomatico milione e mezzo di nuovi lavoratori di questo governo, il 90 % hanno un contratto a tempo indeterminato. Com'è che tra i ragazzi che conosco io è vero il contrario? E sempre a proposito di lavoro, non so quale sia il programma dei due schieramenti ma sull'apprendistato ci sono cambiamenti? Perché (almeno in Umbria) il lavoro si trova facilmente solo fino a 24-26 anni, qualcuno arriva anche ai 29, dopodiché.. il nulla. Ma se io a 33 anni non ho mai fatto il panettiere, per dire, non sono "apprendista"? Come si fa a parlare flessibilità se ci sono tutti questi vincoli? Saluti

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Con una crescita zero
by Vittorio Sunday, Mar. 19, 2006 at 6:12 PM mail:

Con una crescita zero, come è possibile avere avuto oltre un milione di posti di lavoro in più?

Che hanno prodotto, polvere?

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Piperno: "Imitiamo la Francia"
by CalabriaOra Sunday, Mar. 19, 2006 at 6:16 PM mail:


Da un articolo-intervista pubblicato su CalabriaOra.

<< Ritrovo forti analogie con il Sessantotto, ma è presto per parlare di maggio francese>>. Dal suo osservatorio privilegiato, di chi ha vissuto i mitici anni della rivolta studentesca e mantiene un rapporto stretto cin i propri compagni esuli a Parigi, Franco Piperno accetta volentieri di commentare con noi la storia più recente.

Parigi è già la capitale del precariato insorgente. Porquoi Paris?
<<Ci sono delle ricorrenze tipicamente francesi: grandi movimenti sociali finiscono sempre per focalizzarsi su Parigi, per la struttura assai centralizzata dello stato. Questa consuetudine fa si che il conflitto assuma inevitabilmente aspetti insurrezionali, aldilà della stessa volontà dei soggetti che vi partecipano. Nel '68 la rivolta iniziò nelle università fuori dalla capitale, come Nanterre, ma divenne significativa solo quando arrivò a Parigi, dove ebbe un effetto esplosivo>>.

Si può parlare di nuovo maggio francese?
<<E' un pò presto per dirlo: certo ci sono tutti gli elementi in questo marzo perchè sbocci il maggio. Ma molto dipende come allora, da quello che farà il governo. Chirac tende a prendere le distanze dal suo primo ministro: una volontà di compromesso in grado di arrestare la crescita del movimento. La linea dura invece preparerà un maggio>>.

Gli studenti del Sessantotto oggi sono lavoratori "garantiti". Qual'è la prospettiva degli studenti e dei precari del 2006?
<<Quello che sta succedendo in Francia parla anche dell'Italia e degli altri paesi dell'Europa occidentale: lo sviluppo tecnologico della società elimina molti lavori, soprattutto quelli ripetitivi, che diventano precari non tanto per la cattiveria del padrone, ma perchè la domanda varia in maniera rapida, aumentano i costi, e molti vengono buttati fuori dal corpo lavorativo. D'altro canto i ragazzi sono relativamente più preparati ma si ritrovano a fare lavori non gratificanti, che richiedono una minima parte delle conoscenze acquisite, sicchè c'è una condizione di frustrazione di massa. Le vie d'uscita sono un'appropriazione sociale generalizzata, la sicurezza del reddito e lo sviluppo di attività gratificanti>>.

Perchè in Italia non c'è stata la stessa opposizione alla legge Biagi?
<<Una delle ragioni per cui la mobilitazione non è stata forte è che la sinistra istituzionale ha contribuito ad incanalarla ed addomesticarla, cosa che tenterà anche la sinistra francese. Se la sinistra italiana vincerà le elezioni però i nodi verranno rapidamente al pettine. Io ho visto nascere a Roma l'ultimo movimento degli studenti contro la riforma e affrontava già il tema del precariato in generale e del precariato intellettuale in particolare. Una buona parola d'ordine per gli studenti può essere "Facciamo come in Francia....">>.

Appare critico invece il dialogo fra gli studenti francesci e i ragazzi delle banlieus, presenti alle manifestazioni...
<<Il movimento delle banlieus esprime il punto di vista differente da quello degli studenti universitari, i ragazzi delle periferie hanno un atteggiamento negativo, tendono a distruggere. Forme violente come la distruzione delle librerie nel Sessantotto erano inconcepibili, mentre per loro i libri sono strumenti d'oppressione. L'unione fra le due anime del movimento sarà difficile ma avverrà sicuramente, perchè in Francia i migranti - come in Italia - sono i più precari, relegati in una condizione di seconda classe. Gli studenti medi saranno il collegamento: non tutti gli strati sociali sono presenti a livello universitario mentre così non è per la scuola media, per i licei professionali. Se avverrà questa coniugazione allora la Francia conoscerà un Sessantotto, ma elevato a una potenza più grande>>.





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"Andrò in pensione da precaria"
by Salvo Intravaia Monday, Mar. 20, 2006 at 12:25 PM mail:



Ha 36 anni d'insegnamento alle spalle, ha girato tutte le scuole della provincia, come supplente. E l'anno prossimo smetterà di lavorare

"Andrò in pensione da precaria"
Anna, una vita in attesa del ruolo

di SALVO INTRAVAIA

"Una vita da precario", parafrasando una famosa canzone di Ligabue. Lo scorso mese di agosto, era al Centro servizi amministrativi di Palermo (l'ex Provveditorato agli studi) in attesa dell'ennesimo incarico da supplente: la manna per i precari della scuola di tutta Italia. Uno stipendio fisso per 9 o 12 mesi e la speranza che prima o poi arrivi anche l'immissione in ruolo. Ma per Anna Maria Conte la speranza è definitivamente accantonata perché nella scuola si può andare in pensione anche da supplente.

Tra i tanti giovani e meno giovani (l'età degli assunti sfiora i 40 anni) si notava subito. Non era più una ragazzina e sulle sue spalle era evidente tutto il peso del precariato. In quella mattina di sei mesi fa, quando è stata chiamata per l'assegnazione della sede ha esclamato, con un misto di tristezza e soddisfazione: "È l'ultima sede che scelgo!". Perché? La domanda era d'obbligo. "Semplice, andrò in pensione da precaria", rispose senza scandalizzarsi più di tanto. Tutta la rabbia, le sofferenze, le difficoltà e la meraviglia di un precariato cronico erano per fortuna ormai state superate. Il meritato riposo era a portata di mano. E lo scorso 10 gennaio Anna Maria, insegnante di Educazione artistica alla scuola media, ha presentato domanda di pensionamento e dal prossimo primo settembre potrà rimanersene a casa.

Tra i 20 mila docenti italiani che il prossimo primo settembre andranno in pensione, quella di Anna Maria è davvero una storia particolare. Fino a qualche anno fa, sembrava una leggenda metropolitana che ci fossero docenti della scuola che andavano in pensione senza essere mai stati di ruolo neppure un giorno. Una storia "messa in giro" da chi voleva mettere in cattiva luce l'attuale politica di tagli agli organici del personale docente. Quella leggenda ha, adesso, un nome, un cognome e, soprattutto, una storia fatta di ansie, incertezze e instabilità.

La prof dell'Istituto comprensivo (di materna, elementare e media) Guttuso di Palermo ha 59 anni. La sua storia inizia nel lontano anno scolastico 1969/70, quando accetta la sua prima supplenza: Educazione artistica alla scuola media. Era giovanissima. Aveva 24 anni e non avrebbe "mai creduto che sarebbe andata a finire così". Si era laureata a Magistero e aveva tante aspettative. "Insegno da sempre - dice -, a 16 anni impartivo già lezioni private ad alcuni ragazzini della scuola media". Due anni dopo, nell'autunno del '71, arriva la grande occasione: gli offrono la nomina in ruolo. Ma è costretta a rinunciare perché aveva da poco partorito due gemelle e la sede, la scuola media di Prizzi, era troppo lontana. Ma, soprattutto, la morte di un figlio l'aveva letteralmente distrutta. Credeva che ci sarebbero state altre occasioni, perché era combattiva e non smetteva di studiare.

Nel frattempo, continuava a fare la supplente. Lunghissimo l'elenco dei paesi della provincia di Palermo dove ha insegnato: in montagna, in collina, in pianura. Dopo alcuni anni, finalmente, Palermo. "A Palermo ho girato decine di scuole. Ogni anno sempre colleghi e alunni nuovi". Nel 1984 supera il concorso a cattedre. Non è fra i vincitori di concorso, ma "confida in una rapida sistemazione". Macché. Quando viene bandito il concorso successivo, nel 1987, le graduatorie dei precedenti concorsi vengono azzerate e occorre ricominciare daccapo. Non ci sta e negli anni '90 scrive una lettera all'allora ministro della Pubblica istruzione, Rosa Russo Jervolino. Ma non riceve nessuna risposta. Per non restare fuori dal giro pensa anche di specializzarsi nell'insegnamento agli alunni portatori di handicap. Si iscrive, a 55 anni, alla Sissis e si specializza.

È "da sempre" nelle graduatorie dei precari, da dove vengono reclutati metà degli immessi in ruolo. Ma, nonostante ogni anno venga nominata (e aggiunge 12 punti) la sua posizione peggiora. "Questo meccanismo non l'ho mai capito. Il mio punteggio aumentava, ma in graduatoria scendevo di qualche posto. Ho sempre avuto dei dubbi i proposito", confessa. La vita in 36 anni di precariato, per lei, non è stata facile. Si ritrova da sola ad accudire le figlie e la vita della supplente non è il massimo. "La precarietà del supplente è terribile. C'era sempre la paura di non potere mettere un piatto in tavola". Già, perché Anna Maria, per trent'anni ha ricevuto incarichi fino al 30 giugno. Luglio, agosto e parte di settembre occorreva stringere cinghia.

Mai uno scatto, un aumento di stipendio per gli anni di servizio alle dipendenze dello stato: ogni anno, veniva assunta con anzianità zero. "Mi sono sempre affidata alla provvidenza divina", dice, e ammette: "Tre anni fa, per la prima volta, ho preso un incarico fino al 31 agosto. Ero così emozionata che, uscita dal Provveditorato, mi sono dovuta sedere, e ho pianto per la gioia".

Ma, lei, cosa ne pensa dell'attuale gestione del precariato nella scuola? "È assurdo che dopo tutti questi anni di supplenza si rimanga precario. Occorrerebbe garantire il ruolo almeno a chi ha 20 anni di insegnamento". Cinque anni fa, arriva il governo Berlusconi. Tagli agli organici, riforma Moratti e assunzioni col contagocce. "Nel 2001 ho perso le speranze e ho cominciato a pensare che sarei andata in pensione da precaria". È stanca, andrà in pensione senza avere avuto la possibilità di riscattare gli anni di servizio prestati alle dipendenze dello Stato. "La mia pensione? Seicento euro, o giù di lì".

(20 marzo 2006)


http://www.repubblica.it


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USA E GETTA !!
by FALCRI BNL Monday, Mar. 20, 2006 at 3:47 PM mail: falcribnl@yahoo.it

FALCRI Banca Nazionale del Lavoro
Sindacato Autonomo Lavoratori
Segreteria dell’Organo di Coordinamento
http://www.falcribnl.com – e mail: falcribnl@yahoo.it


USA E GETTA !!

Prendete un giovane tagliuzzatelo a dadini, mettetelo a soffriggere nell’olio bollente che avrete versato in una padella, quando avrà assunto un bel colore ambrato spegnete il fuoco e con un mestolo a buchi versatelo in una terrina per farlo raffreddare.
Come il giovane sarà raffreddato buttatelo via e ricominciate da capo con un altro giovane fino a che non si sarà raffreddato, quindi buttate via anche questo e così di seguito…. si può continuare ovviamente all’infinito visto che la materia prima abbonda e costa pochissimo.
Questo è il piatto “USA e GETTA” chiamato anche in tutta Europa “DEL GIOVANE PRECARIO”.

Solo che ogni tanto anche i migliori cuochi devono fare i conti con i gusti della clientela che, come ci insegna la storia, cambiano velocemente ed improvvisamente, per cui in Francia proprio i giovani, che venivano utilizzati come ingrediente principe per questo succulento piatto, hanno fatto sapere che non gradivano più “L’USA E GETTA” anzi!

Più di un milione di potenziali cittadini “USA E GETTA” hanno sfilato contro la PRECARIETA’ dopo avere occupato la Sorbona ed altre 14 Università e dopo essersi scontrati con la polizia ottenendo il risultato di “svegliare” anche un altro importante soggetto della Società Civile: il Sindacato.

Il Sindacato francese ha chiesto l’immediato ritiro di quella legge che vorrebbe imporre una PRECARIETA’ ancora più PRECARIA di quella già esistente mentre i sondaggi dicono inequivocabilmente che il numero di francesi contrari a questa forma di schiavitù moderna sta crescendo vertiginosamente.

La FALCRI BNL guarda con grande fiducia e speranza a quanto sta accadendo in Francia e si schiera dalla parte di quei giovani e di quei cittadini che rifiutano di essere trattati come “USA E GETTA” nell’esclusivo interesse di un sistema neoliberista che arricchisce in maniera sempre più evidente i grandi capitalisti aumentando a dismisura il numero di coloro che entrano a far parte della categoria dei “nuovi poveri”.

Cogliamo l’occasione per ricordare che la FALCRI BNL assieme ad altre 32 associazioni FALCRI fa parte del “Comitato Lavoratori FALCRI Contro la Legge 30” che sta raccogliendo migliaia di firme in tutta Italia sotto forma di PETIZIONE POPOLARE che consegnerà al NUOVO GOVERNO.

Anche in Italia è necessario che si intervenga CONTRO la legge 30 e che i Sindacati escano da formulazioni ambigue e bizantine come quelle che hanno portato in precedenza a costruire mostruosità come i CO.CO.CO. o a condividere impostazioni come quelle contenute all’interno del “Patto per l’Italia” di pezzottiana memoria.

La flessibilità non deve nascondere attraverso “furbate” coperte dalle leggi lo sfruttamento e la precarietà; i giovani hanno diritto ad un futuro dignitoso e di prospettiva.

Roma, 20 marzo 2006 ODC FALCRI BNL

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La precarietà è il problema centrale
by Sergio Bologna Saturday, Mar. 25, 2006 at 11:09 AM mail:

LA LEZIONE FRANCESE

La precarietà è il problema centrale, se l'Italia non lo capisce è finita

SERGIO BOLOGNA

La Francia, ancora una volta, ha rimesso le cose al loro posto. I suoi giovani hanno gridato la domanda che inchioda l'intera Europa: «Come faremo a campare domani?». Hanno spazzato via i falsi problemi, i falsi obbiettivi, gli inutili discorsi con i quali i loro coetanei italiani sono stati ridotti a uno stato semiconfusionale.
Tre sole cifre per descrivere la situazione italiana. Siamo l'unico paese della Ue dove i salari di fatto sono rimasti fermi da più di dieci anni a questa parte, quello dove le disuguaglianze di reddito tra diverse categorie di cittadini sono più accentuate, siamo l'unico paese della Ue dove la produttività del lavoro è diminuita (nell'era dell'informatica!!!!).
Com'è stato possibile? Vogliamo cavarcela dando ancora la colpa a Berlusconi? Vogliamo continuare con questa ossessione del Cavaliere, con questa fissazione che ha reso gli elettori di Sinistra una massa di gattini ciechi?
E' stato possibile dal modo in cui sono state poste le fondamenta della Seconda Repubblica, le architravi che ne reggono l'impalcatura istituzionale. Una di queste è l'accordo sul costo del lavoro del 1993. Così lo ha definito Cipolletta, allora Direttore Generale di Confindustria: «Non ho difficoltà ad ammettere che il vantaggio maggiore di quell'accordo fu per le imprese. Il blocco dei salari, unito alla svalutazione della lira che si ebbe successivamente, consentì alle aziende un recupero di competitività gigantesco».
Non condanniamo il sindacato per quell'accordo, ma avremo o no il diritto di trarne un bilancio, tredici anni dopo? Il sindacato volle mostrare allora senso di responsabilità e firmò un patto implicito: noi fermiano i salari e voi, imprenditori, rafforzate e consolidate le imprese, investite in innovazione, fate un salto di qualità. E' accaduto il contrario. I salari sono rimasti fermi, le grandi imprese si sono rarefatte, è iniziato un processo di sgretolamento, di frammentazione, le imprese sono diventate sempre più piccole, prive di risorse per innovare, investire in ricerca. E' cresciuta a dismisura la finanziarizzazione, oggi l'Italia è in mano ai riders della finanza, agli immobiliaristi e ai monopolisti privati delle utilities pubbliche (v. autostrade). Accumulano rendite da capogiro. Il patto implicito contenuto nell'accordo del 1993 è stato rispettato solo da una controparte.
Ma non è in termini economici che il mancato rispetto di quel compromesso sociale ha prodotto i danni più gravi: è invece in termini di cultura d'impresa, anzi, di civiltà. L'Italia è diventata un paese nel quale il lavoro è considerato un costo, non una risorsa. Ed è qui che inizia il dramma dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Possono essere carichi di lauree e master, saranno considerati un puro costo e accettati solo in base alla disponibilità a ridurlo.
Perché queste considerazioni «impolitiche»? Perché troppi sono coloro oggi che invocano una riduzione dei salari ed un allungamento degli orari, troppi sono coloro che parlano di «riforme» fondate su un nuovo «compromesso sociale». Ma chi può oggi sottoscrivere un nuovo patto, quando il primo è stato così vergognosamente violato? Se le imprese non hanno investito in innovazione e consolidamento dieci anni fa, che la congiuntura era favorevole, come si può pensare che lo facciano adesso, messe alle corde da concorrenti ben più temibili e da un prezzo del petrolio che punta verso i 100 dollari al barile? Come possono investire in innovazione le microimprese, le sole che trainano l'occupazione? Può bastare una fattura non pagata per mandarle in rovina.
Ascoltiamo come ragionano, quelle considerate di maggior successo, quelle del settore moda, tessile-abbigliamento, 43 miliardi di euro di fatturato, punto di forza della nostra economia, punta più alta della nostra «creatività».
«La mission è e sarà quella di vestire con prodotti di eccellenza "i nuovi ricchi del mondo"... nazioni in cui il Pil aumenta oltre il 3% all'anno, quali la Russia, i paesi Peco, la Cina» - parole del Presidente della Camera della Moda Italiana, qualche mese fa a Milano. Vestire dei tessuti più raffinati i lardosi corpi di tycoons e mafiosi, ingioiellare le sudaticce membra delle loro amanti - a quest'alta missione giovani «creativi» italiani siete chiamati!
Dieci anni di lotte operaie, macchiati di agguati e azioni sanguinose delle Brigate Rosse, di Prima Linea ed altri gruppi armati, hanno tormentato la Fiat dall'estate 1969 all'ottobre 1980. Ne è uscita più forte di prima, agli inizi degli Anni 80 nell'auto era all'avanguardia nel mondo per la robotica e l'automazione. Seguirono 22 anni di pace sociale, 22 anni di un potere incontrastato. Ne è uscita sull'orlo del fallimento. I politologi dovrebbero spiegare una dinamica unica nella storia.
Per dire che l'Italia ha iniziato il suo declino quando il conflitto sociale è scomparso, quando le generazioni hanno perduto il gusto ed il senso di «farsi sentire». Quando il lavoro ha perso il suo prestigio sociale è iniziato il declino della nostra industria. Quando la Sinistra ha messo il tema «lavoro» nel cassetto, rinunciando a seguirne le rapidissime e profonde mutazioni, ed è rimasta incollata a una visione Anni 60, i giovani hanno smarrito l'orientamento essenziale della loro cittadinanza. Sono rimaste in piedi, a difendere i loro privilegi, piccole corporazioni prepotenti.
Se nessuno raccoglierà il messaggio francese, per questo Paese non ci sarà futuro. Con o senza Berlusconi ...

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Credo che la partita sia tutta giocabile
by Keoma Sunday, Mar. 26, 2006 at 8:42 PM mail:

Scevro personalmente da qualunque tentazione astensionista ( liberarsi di Berluskoni è cosa buona e giusta "a prescindere" ; fatte le dovute proporzioni vedo un parallelo con Mussolini ed il 1945) per il resto concordo pienamente con Sergio Bologna.

L’allineamento dietro ( o davanti ?) il centrosinistra di tutta una serie di "poteri forti" che in gran parte, nel 2001, avevano scommesso sul Cavaliere la dice lunga sulla situazione reale.

Credo pero’ che la partita sia tutta giocabile, le contraddizioni sociali ci stanno tutte e, come dire, la Francia è veramente vicina e di precariato non se ne puo’ piu’.

E credo che il vero nodo del contendere continua ad essere il lavoro in tutte le sue manifestazioni e naturalmente anche il non lavoro.

Il rischio vero che vedo, gia’ illustrato in altri commenti in questo ed in altri luoghi del web, è quello che l’ossessione berlusconiana possa far diventare, come ha detto giustamente Sergio Bologna, tanti "gattini ciechi" gli elettori della sinistra.

Al punto da fargli accettare acriticamente, una volta andato a casa Berluskaiser, qualunque cosa dovesse fare il futuro governo Prodi.

Significative in questo senso le paranoie che stanno inondando il web ed anche questo sito rispetto ai rischi di un inesistente "voto elettronico", indicative oltre che dell’ ossessione berlusconiana anche del fatto che si pensa che il 9 e 10 aprile ci si stia giocando tutto, che dal risultato - per me scontato a favore di Prodi - di quel voto si decida o la depressione piu’ acuta o in alternativa la felicità più assoluta.

Che poi io personalmente non diffido tanto del buon Prodi ( la sua proposta sul cuneo fiscale, ad esempio, pur in una logica tutta interclassista, mi sembra comunque quasi geniale per ottenere nell’immediato dei risultati pratici nelle tasche dei poveri cristi) quanto dei DS e della loro smania di rendersi credibili agli occhi dei gia’ citati "poteri forti", compresi quelli di oltreoceano.

In questo senso i cincischiamenti di Fassino rispetto ai tempi del ritiro dall’Irak delle truppe italiane mi sembrano abbastanza indicativi ....

Keoma

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Un percorso verso la stabilità
by Tito Boeri e Pietro Garibaldi Monday, Mar. 27, 2006 at 8:42 PM mail:






La flessibilità del mercato del lavoro è oggi al centro del dibattito politico in Francia e in Italia.

La decisione del Governo francese di approvare un nuovo contratto di lavoro flessibile, che per i giovani lavoratori sotto i ventisei anni può essere rescisso in qualsiasi momento nei primi due anni, ha portato a dimostrazioni degli studenti che non si vedevano dal 1968. Nell’arena politica italiana, la flessibilità del mercato del lavoro è un tema sempre più importante nel dibattito che precede le elezioni del 9 aprile, a pochi giorni dal quarto anniversario della morte di Marco Biagi, il giurista del lavoro assassinato dai terroristi per le sue idee e per i tentativi di riformare il mercato del lavoro italiano.



Italia e Francia hanno molto in comune



La situazione in Italia e Francia ha molti tratti in comune. Entrambi i paesi sono storicamente caratterizzati da legislazioni sul lavoro tra le più rigide dei paesi Ocse. È molto difficile licenziare i lavoratori assunti con un contratto a tempo indeterminato, che spesso godono di un lavoro sicuro a vita. Negli ultimi dieci anni, entrambi i paesi hanno introdotto alcune riforme marginali del mercato del lavoro, che non hanno cambiato le regole che governano i contratti standard lavoro dipendente, ma hanno liberalizzato i contratti a termine e creato un ampio ventaglio di contratti flessibili, che permettono alle imprese di assumere nuovi lavoratori per un periodo di tempo limitato. Di conseguenza, la quota di lavoratori assunti con contratti flessibili è cresciuta in modo costante, raggiungendo il 13 per cento in Italia e il 10 per cento in Francia.

I nuovi contratti proposti da Dominique De Villepin sono coerenti con questa strategia. Il Cpe, (contratto di primo impiego) in particolare, è la quint’essenza della riforma marginale, perché consente alle imprese di assumere e licenziare liberamente i lavoratori più giovani, senza nessuna conseguenza sullo stock di lavoratori assunti a tempo indeterminato. Gli studenti delle manifestazioni parigine si autodefiniscono la “generazione Kleenex”, perché pensano di non avere nessuna sicurezza di impiego a medio termine, una volta che il contratto sia finito.

Non hanno tutti i torti. In Francia, il 50 per cento delle nuove assunzioni avviene con contratti flessibili. In Italia, l’ultimo bollettino economico della Banca d’Italia riporta che almeno l’80 per cento dei giovani lavoratori sono assunti con contratti a termine. Il tasso di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato è basso (circa il 10 per cento in un anno), e denota un alto rischio di segregazione per i giovani lavoratori assunti con contratti a termine. E vi è chi sostiene che la flessibilità dovrebbe essere cancellata, nonostante il buon andamento dell’occupazione in Italia negli ultimi dieci anni.



L’ingresso nei contratti a tempo indeterminato



Crediamo che il dibattito in entrambi i paesi stia prendendo una direzione sbagliata e pericolosa.

Se la discussione si trasforma in una battaglia intergenerazionale tra i “padri protetti già all’interno del sistema” e i “figli outsider” c’è ben poca speranza che in entrambi i paesi siano mai introdotte le necessarie riforme del mercato del lavoro: una alleanza tra giovani lavoratori e membri del sindacato avrà sempre la meglio. E poiché alcune delle preoccupazioni dei giovani lavoratori sono ragionevoli, siamo convinti che i politici di entrambi i paesi stiano commettendo degli errori.

Un piano di riforma di lungo periodo, ragionevole e credibile, dovrebbe offrire ai giovani lavoratori un “percorso verso la stabilità” ben definito. Oggi, una volta concluso il contratto a termine, non c’è nessuna prospettiva di lungo periodo. Il Cpe proposto dal Governo francese, dopo i due anni, è rigidamente regolato: è probabile che le aziende si dimostreranno riluttanti a trasformare improvvisamente contratti completamente flessibili in posizioni molto rigide. Dopo i primi due anni, l’esito probabile di molti di questi contratti sarà la disoccupazione, perché il costo di convertire i Cpe in contratti a tempo indeterminato è troppo alto.

Una politica più intelligente dovrebbe aspirare a promuovere un ingresso duraturo, anche se per tappe, nel mercato del lavoro stabile, con l’introduzione graduale di forme di protezione dell’impiego, in modo da evitare la formazione di un doppio mercato del lavoro di lungo periodo.

La protezione dell’impiego, nella forma di indennità di licenziamento, dovrebbe aumentare gradualmente, mentre si allunga la durata di un impiego presso un’impresa, senza grandi discontinuità. Tutto questo dovrebbe avvenire nell’ambito di un contratto a tempo indeterminato, uguale per tutti e certamente non differenziato per età. Perché a tutte le età (ad esempio dopo un periodo di maternità) si può avere bisogno di rientrare nel mercato del lavoro. Il modo con cui strutturare questo percorso di ingresso non può che variare da paese a paese. In Italia, ad esempio, riteniamo utile allungare il periodo di prova a sei mesi e poi prevedere un periodo di inserimento protetto da tutela obbligatoria contro il rischio di licenziamento e, al termine del terzo anno, il passaggio alle tutele oggi previste per i contratti permanenti. Al contempo, la durata massima dei contratti a tempo determinato dovrebbe essere ridotta a due anni.

Molto probabilmente i giovani lavoratori accetterebbero un percorso verso la stabilità all’interno del mercato del lavoro standard, in cui si parte da un contratto che non ha a priori limiti di durata e in cui si può legittimamente aspirare a rimanere a lungo, se la performance risulterà adeguata nelle mansioni che vengono chiamati a svolgere. Non sappiamo quanto un simile percorso di ingresso possa piacere ai sindacati. Se volessero opporsi, tuttavia, sarà chiaro a tutti che lo fanno per proteggere gli insider, e contro le aspirazioni delle giovani generazioni.


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CPE: Lezioni di francese
by Fabio Malagnini Wednesday, Mar. 29, 2006 at 7:02 PM mail:




Le occupazioni universitarie e le proteste anti-CPE che si stanno svolgendo in Francia, indipendentemente dall’esito della mediazione che, in queste ore, sembra prendere forma tra le rappresentanze che si sono trovate in queste settimane scavalcate dalla piazza (governo, sarkoziani,socialisti, sindacato), riguardano direttamente l’Europa e chiamano in causa il nostro futuro. Ormai lo hanno capito tutti, tranne i politici italiani, impegnati in una campagna elettorale sempre più surreale e fantasmagorica.

La legge sul CPE (Contrat Premier Embauche, cioè contratto primo impiego) che il primo ministro Dominique de Villepin ha fatto approvare in Parlamento prevede che un i neoassunti fino a 26 anni possano essere licenziati dal datore di lavoro senza giusta causa o particolari restrizioni riguardo alla motivazione del lavoratore. In pratica, niente di diverso da quello che un lavoratore italiano puo’ aspettarsi in un azienda fino a 18 dipendenti, e per tutta la vita, un “pannicello caldo”, verrebbe da dire, se paragonato alla situazione italiana, alla fattispecie nostrana del co.co.pro. (ex co.co.co.) , alla generalizzazione dei contratti di stage per dottorandi e laureati, alla somministrazione di lavoro interinale e alle cooperative di comodo per giovani diplomati e non specializzati. Senza contare il lavoro nero, da sempre primo datore di lavoro nel Sud del Paese, senza neppure bisogno degli incentivi statali.

"Precariato" non è "flessibilità": è il declassamento del lavoro come forma di reddito e come stile di vita residuale. Anche in Francia, il paese della sicurezza sociale "rigida", i contratti a tempo determinato non sono certo un anovità e si sono diffusi senza aspettare Villepin, oggi infatti snobbato persino dalla confindustra francese. Come dimostra la recente rivolta delle banlieue, cresce inoltre il disagio dei cittadini estracomunitari che si trovano all’esterno o ai margini di questa sicurezza sociale. La nuova legge formalizza però in modo sfacciato un prelievo sociale ai danni dei lavoratori, che si pretenderebbe ancora mediazione statalista: la rivolta nasce da qui. Fatte le dovute proporzioni, in ogni caso, se i giovani francesi della generazione flessibile per tutta risposta al Cpe hanno occupato la Sorbona e ridicolizzato l’orgoglio gollista di Chirac, i loro coetanei italiani dovrebbero, come minimo, aver già fatto cadere un paio di governi, magari facendosi aiutare dai loro padri, madri e zie.

In Italia, infatti, siamo per lo meno alla seconda generazione precaria e chi andrà in pensione nel 2020 fara’ già parte di una strana avanguardia, i primi poveri (non possidenti) europei di un nuovo tipo. In Italia, sia detto una volta per tutte, la “precarizzazione”, cioè l’adeguamento competitivo del rapporto di lavoro a vantaggio delle classi finanziarie e possidenti, nasce 13 anni fa, con il pacchetto Treu, non con la cosiddetta, pasticciatissima, "legge Biagi". Alla faccia della flexicurity danese, a fare da cornice a quella legge c’era il compromesso sociale e la “concertazione”, sottoscritta nel 1993 dal governo Ciampi, dai sindacati e dalla confindustria, e trasformatasi in un favoloso regalo a quest’ultima, in un accordo senza contropartita che non ha minimamnete contribuito a creare le basi per il rilancio economico italiano ma ha consegnato le future generazioni al lavoro precario, cioè povero di reddito e di diritti, quand’anche fosse “regolare”.

Oggi possiamo serenamente affermarlo: quel compromesso al ribasso non ha portato alla modernizzazione del paese, delle sue infrastrutture, dei suoi mercati, ma allo svuotamento dei servizi e dei beni comuni, alla distruzione dei saperi e della sperimentazione, a una distribuzione esponenzialmente più ingiusta della ricchezza. Per sbarazzarsi di Berlusconi, la sinistra corre oggi con chi in questi 13 anni ha accumulato enormi profitti proprio con la finanza, i monopoli e le multiutility, ma ora invoca più innovazione e concorrenza. Si può dubitare delle loro intenzioni o prenderli sul serio ma, in ogni caso, come ha osservato Sergio Bologna sul Manifesto “ Se nessuno raccoglierà il messaggio francese, per questo Paese non ci sarà futuro. Con o senza Berlusconi. “ E, aggiungiamo noi, con o senza Prodi.

http://www.socialpress.it/article.php3?id_article=1251


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Sul costo di conversione
by Carlo Friday, Mar. 31, 2006 at 10:06 PM mail:


A proposito del costo (per le aziende) del lavoro temporaneo, a mio avviso la convenienza principale delle aziende nell'impiegare lavoro temporaneo non sta tanto negli stipendi inferiori, ma nella possibilita' di disfarsene a piacimento in futuro, senza vincoli o quasi. In altre parole: anche se per le aziende il lavoratore temporaneo dovesse costare un po' in piu' di quello a tempo indeterminato, credo che continuerebbe ad essere preferito il primo, proprio per questo motivo.

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Sulla questione del presunto aumento dei posti di lavoro
by Raffaele Fargnoli Friday, Mar. 31, 2006 at 10:10 PM mail:


La disoccupazione di massa è una delle maggiori incognite che i governi di molti stati europei si trovano oggi ad affrontare. In Francia, ad esempio, questo tema è molto sentito, tanto che sta provocando un clima di profonda sfiducia verso le autorità che si occupano della politica economica sia a livello nazionale che europeo, così come un profondo disagio sociale tra la popolazione.

Anche in Italia, nella seconda metà degli anni 90, la lotta alla disoccupazione è stata sempre in cima alla lista degli obiettivi dell’agenda economica dei vari governi che si sono succeduti.
Oggi, una prima analisi degli indicatori sul tasso di disoccupazione, parrebbe indicare che questo obiettivo sia stato pienamente raggiunto e che mentre molte altre nazioni sono ancora alle prese con questo problema, in Italia si possa guardare alla situazione del mercato del lavoro con diffuso ottimismo.

Il tasso di disoccupazione che nel 1998 era superiore all’11%, oggi si attesta al 7,6%, che in termini di forza lavoro sta a significare che in 8 anni il numero degli occupati è aumentato di più 2 milioni di unità.

Generalmente tassi di crescita dell’occupazione così sostenuti si osservano durante fasi di forte sviluppo dell’economia. In particolare la variabile fondamentale dovrebbe essere costituita dagli investimenti. Un sostenuto aumento degli stessi dovrebbe cioè tradursi in uno spostamento verso l’alto della curva di domanda di lavoro e quindi in un aumento della popolazione lavorativa. Nel momento in cui, una vasta parte della forza lavoro non occupata ha accesso ad un reddito base mensile, è altamente probabile che essa vada ad impiegarne parte dello stesso per aumentare il proprio livello di consumi o, alternativamente, può decidere di non impiegare oggi queste risorse monetarie, ma destinarle a consumi futuri. Questa scelta provocherebbe un aumento dei risparmi e di conseguenza poiché secondo le comuni identità contabili I=sY, si dovrebbe osservare un successivo aumento degli investimenti.

L’espansione delle due fondamentali variabili della domanda aggregata, avendo un impatto positivo sul prodotto interno, dovrebbe quindi condurre ad una sua, alquanto marcata, espansione.

L’analisi del quadro italiano contrasta fortemente con queste conclusioni e andando ad osservare l’andamento delle variabili coinvolte nel processo appena descritto, si rimane abbastanza sconcertati. A fronte dei 2 milioni di posti di lavoro creati si osserva una crescita media degli investimenti molto bassa e nell’ultimo anno questi si sono addirittura ridotti dello 0,6% (Eurostat).

Ancora più desolante il quadro dei consumi delle famiglie. Questi sono cresciuti ad tassi via via decrescenti per attestarsi nel 2005 ad un modesto (+0,2%). Questo dato inoltre va analizzato congiuntamente a quello del credito al consumo che nel nostro Paese si sta espandendo ad un ritmo del 15% annuo, fattore che ci spiega come gli italiani stiano utilizzando sempre più questo strumento per ovviare a budget familiari sempre più limitati. Ovviamente il PIl non poteva che mostrare un andamento analogo con crescita media del TOT negli ultimi 8 anni.

Vi sono vari fattori che possono essere chiamati in causa x spiegare una tale divergenza tra la crescita dell’occupazione e la crescita reale del prodotto interno.

Uno di questi è costituito dal fatto che dei due milioni di nuovi occupati, 635000 derivano dall’emersione di lavoratori sommersi, dato che preso singolarmente è molto positivo, ma che non contribuisce ad una crescita strutturale del Paese, in quanto tali lavoratori si trovavano già inseriti nel sistema produttivo. Tale circostanza, tuttavia, non è sufficiente a spiegare la stagnazione del prodotto nazionale.

Gli ultimi dati Istat sull’occupazione sembrano dar voce a quanti sostengono la tesi di quanti affermano che i nuovi posti di lavoro, riguardando essenzialmente forme contrattuali estremamente flessibili, non rispecchiano un’effettiva espansione della domanda di lavoro e non permettono ai nuovi occupati di migliorare sostanzialmente i propri standard di vita. Dalla riduzione delle unità lavorative emerge, infatti, che in molti casi l’ammontare orario complessivo sia stato frazionato fra più lavoratori.

Bisogna però anche considerare che negli anni precedenti questo indicatore presentava valori sempre positivi e che alcuni studi riferiscono che, l’utilizzo delle nuove forme contrattuali previste dalla legge Biagi è piuttosto limitato ed in molti casi tali assunzioni si trasformano poi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

La quadratura del cerchio va dunque ricercata in un altro aspetto che oltre ad avere l’effetto di deprimere la domanda aggregata va anche a minare la produttività delle aziende italiane, come dimostra il dato sulla competitività del nostro sistema paese che è crollata di oltre Tot posizioni.
Secondo le stime dell’Istat l’inflazione dall’introduzione dell’euro non ha mai superato i 3 punti percentuali mentre le famiglie italiane sembrano percepire un’inflazione molto più elevata. Non è fra gli obiettivi di questo articolo analizzare quale delle due voci in capitolo rappresenti meglio la realtà, in quanto si dovrebbero chiamare in causa argomenti tecnici legati alla metodologia con il quale l’istituto di statistica nazionale calcola il livello dei prezzi.

Ciò che è innegabile è che ci sono state numerose categorie di lavoratori (in particolare quella dei lavoratori dipendenti) che sono state colpite dall’inflazione più di altre, questa affermazione trova fondamento anche dai dati sul potere d’acquisto dei salari italiani presentati dall’ultimo rapporto Eurostat secondo il quale negli ultimi tot anni nel nostro paese l’aumento del potere d’acquisto è stato compreso fra lo 0 ed il 7%, a seconda della categoria considerata, a differenza del 25% in Francia e Gran Bretagna e del 12% Germania.

E altamente probabile quindi che molte aziende stiano assumendo nuovi lavoratori a fronte della caduta del salario reale e che in molti casi si stia operando ove possibile una sostituzione capitale-lavoro utilizzando con maggiore intensità il fattore della produzione più a buon mercato, senza però ricavare vantaggi dal lato della produttività, in quanto ad investimenti sul lato del lavoro corrispondono riduzioni dal lato del capitale e dell’innovazione tecnologica.

Per far ripartire l’economia occorre che essa riceva stimoli sul fronte della domanda mentre bassi salari associati a scarsa competitività sui mercati nazionali la deprimono sia dal lato interno che da quello estero.

In queste condizioni l’aumento dell’occupazione non va a caratterizzare un processo virtuoso, bensì rappresenta un dato fuorviante di un sistema malato.





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ma se tutti accettano è ovvio
by Anarchiste Friday, Mar. 31, 2006 at 10:51 PM mail:



iniziate a non portargli forza lavoro ai vostri padroni e vedrete che le cose miglioreranno PER TUTTI

se non lavoraste, non sareste precari

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siete tutti
by tonti Friday, Mar. 31, 2006 at 11:01 PM mail:

questa è una idea della pluri-diffamata Elle. In fondo si tratterebbe di una sorta di sciopero ad oltranza , NO?
ci vuole tanto a capire tondettini?

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naturalmente ...
by keoma Saturday, Apr. 01, 2006 at 10:13 AM mail:

naturalmente praticando pure o una intensa attivita' di rapine in banca ( ma non è lavoro pure questo e senza le minime condizioni di sicurezza, cioe' del tutto "precario" ?) o un' altrettanto ad oltranza sciopero continuato della fame ....

ma la smettete di dire cazzate para/ideologiche e volete finalmente cominciare a misurarvi con le cosiddette masse, con "la gente in carne ed ossa" ?

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Stabilità del lavoro e domanda interna
by Massimo Marnetto Saturday, Apr. 01, 2006 at 6:59 PM mail:



L'area del precariato va ridotta, perché questa overdose di co.co.pro. "a oltranza" frena lo sviluppo.
Occorre avviare una forte azione di conversione dei contratti verso forme progressive di stabilità, fino all'assunzione a tempo indeterminato.
Infatti, quando un lavoratore esce dal suo posto di lavoro, diventa un consumatore ed è tanto più contratto nei consumi, quanto più è insicuro del suo reddito.
La stabilità del lavoro è alla base della pianificazione dei consumi e quindi presenta un alto indice di correlazione con la crescita della domanda interna.
Ma spesso questa "circolarità" di status lavoratore-consumatore è poco analizzata.





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