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sabato 11 marzo 2006, Milano
by da foggia Wednesday, Mar. 15, 2006 at 6:03 PM mail:

sabato 11 marzo 2006, Milano

A considerare gli aggettivi sprecati, la linea interpretativa sembra bella e delineata.

Incidenti premeditati, scontri gratuiti, vandalismi senza capo né coda.
Comunque li si voglia definire, gli avvenimenti di corso Buenos Aires sono prova lampante della scarnificazione del tradizionale concetto di “politica”, inteso come momento di costruttiva comunicazione votata al consenso popolare. Di più e di meglio: il “banditismo” milanese è quintessenza dell’assenza di un qualsivoglia messaggio da veicolare.
E’ di questo che vogliamo rallegrarci.

Gli “scontri” li si può capire solo a patto di saperne condividere l’ansia.
Ansia per uno stato d’assedio perpetuo, coi fascisti tutelati e foraggiati, legittimati dopo uno sdoganamento pubblico pericoloso in quanto sostanzialmente basato sulla cessione di una quota-parte di libertà in cambio di un argine, una tutela, una difesa (il più delle volte aleatoria e presunta) contro le insicurezze, fossero anche le più ancestrali e irrazionali possibili. Ansia per un circondario politicante mastodonticamente miope, incapace di guardare agli eventi senza ritenerli funzionali alle scadenze elettorali.

I neofascisti che sfilano blindati per le strade del borgo sono un abominio. A prescindere dalle veline dell’ultimora che annunciano urbi et orbi un loro legame col mostro berlusconiano.
Solo seguendo e condividendo questa forma mentis possono suonare stonate e offensive le parole dei socialdemocratici in auge che fingono indignazione dinanzi ad un patto elettorale tra il Cavaliere e i negazionisti-fascisti. Giacché degli stessi si ricordano gli starnazzamenti pseudo-liberali e autenticamente tolleranti all’apertura delle sedi nazionali degli stessi individui di nero incamiciati.
Perché un fascista è un fascista, non lo diventa strumentalmente solo se stringe la mano a qualche luogotenente della Casa delle Libertà.

I “vandali” di Milano sono un’esplosione che non attende neppure che si posino i detriti per tirare avanti. Non c’è più direzione, non c’è più fine, non c’è più progetto.
E noialtri, che dell’assenza di progettualità e della lacuna abbiamo fatto strategia, non possiamo che sorriderne, salutando nei fatti di corso Buenos Aires una tendenza troppe volte individuata e mai troppo spesso confessata.

Quel che meraviglia, proprio in quest’ottica, è semmai la solidarietà incondizionata e spassionata che una moltitudine di gruppi e gruppuscoli di rigido credo m-l, maoisti o stalinisti che siano, ha fatto piovere sugli arrestati dell’11 marzo. Solidarietà agli indagati, certo, ma compiaciuta solidarietà alla prassi di piazza pure. E, se permettete, è quest’ultima a stupire.
Già, perché è oltremodo originale che i custodi dell’ortodossia e della “linea di massa” maoista, che ritengono piccolo-borghese tracciare un “cloro al clero” sulla facciata di una chiesa in quanto blasfemo nei confronti della più pura e pulita religiosità proletaria, accolgano con improbabili Osanna! i devastatori delle auto in sosta, dei motorini e delle vetrine.

Un passante che fuoriesce dal proprio terzismo inattivo e pavido per prendere a ceffoni un bellimbusto ai ceppi dovrebbe suonare, alle orecchie delle vestali del marxismo old style, di per sé (e senza prove ulteriori) come la pietra dello scandalo; nonché come pietra di paragone per eventuali altre “linee nere” da evitare ad ogni costo.

Noi diciamo che un ceffone preso in pieno viso da un esponente della comunità “perbene” vale come medaglia e sprono. Giacché noialtri siamo tra quelli che hanno sempre sostenuto la pericolosità dell’italiano medio, trattandolo da nemico piuttosto che da potenziale alleato non ancora cosciente.

Costoro adesso cosa vanno cercando? Certo, noi non vogliamo riservarci il gusto di dire che l’ “avevamo detto”, ma tutto il resto – francamente – non potrà affatto dire che anche questo schema di lotta in strada, una volta slabbrato e spiegazzato, può rientrare nei tomi di partito come “la linea giusta”. Perché sarebbe assurdo solo pensarlo.

redazione di “Plebe”
* estratto dal numero 1

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