_Bergamo Resiste:contributo di analisi_
Quello che segue è un contributo al dibattito interno al Movimento antagonista in vista dell'ormai imminente 25 aprile, nel tentativo di delineare quegli scenari dei quali ci troviamo a essere testimoni e di cui, troppe volte, non si coglie il filo comune. L'obiettivo era quello di delineare un immaginario in cui fosse possibile collocare il nostro agire, spesso più caotico ed emergenziale che progettuale. L'analisi che ne è scaturita ha rappresentato il punto di partenza per la costruzione collettiva della prima edizione di "Bergamo Resiste", quattro giornate antifasciste nella cui organizzazione si sono intrecciate ineditamente tutte le anime dell'antagonismo cittadino, con la propria individualità, con il proprio gruppo o con la semplice adesine alle iniziative. Proprio da questo documento sono emerse le parole d'ordine che animeranno le quattro giornate, nel tentativo di consegnare i principi della Resistenza all'attualità del presente e, attraverso di essi, rilanciare le lotte di quel futuro che comincia adesso.
_Scenari di guerra permanente_
La pretesa dell'amministrazione di George W. Bush di esportare il modello democratico occidentale in Medio Oriente rivela oggi drammaticamente le proprie conseguenze. Come tutte le altre guerre anche l'occupazione dell'Iraq si porta appresso un bilancio incivile di morte e distruzione. Abbiamo assistito inpietriti alle sevizie a cui vengono sottoposti i prigionieri iraqueni nelle carceri di Abu Ghreib, agli effetti allucinanti che i bombardamenti al fosforo bianco hanno prodotto sulla popolazione inerme e, insieme, al progressivo sgretolarsi delle motivazioni ufficiali che avevano giustificato l'offensiva militare; a cominciare dal pericolo costituito da quelle armi di distruzione di massa di cui, ormai è assolutamente certo, Saddam Hussein non ha mai disposto. Il tentativo di imporre l'ordine di Occidente nel mondo arabo riguarda anche l'Afghanistan, dove (se qualcuno l'avesse dimenticato) la missione militare è diretta dal contingente italiano, e dove, proprio come in Iraq, il caro prezzo della guerra grava in primo luogo sulla popolazione come in ogni altro conflitto vittima incolpevole. Nel mondo del dopo 11 settembre, l'ingerenza armata statunitense esprime la necessità della prima superpotenza planetaria di consolidare quel potere politico economico che appare sempre più vulnerabile e minacciato. Iraq e Afghanistan non sono che le prime due tappe: le ragioni riposte dietro la decisione dell'Iran di riprendere il proprio piano di sperimentazione nucleare non possono infatti essere comprese se non in virtù delle non celate intenzioni di Bush di imporre la stabilità imperiale anche su quel paese. E la stabilità passa innanzi tutto attraverso il controllo delle risorse petrolifere (di cui il Medio Oriente è guardacaso la prima riserva mondiale), laddove lo sviluppo economico dipende dalla disponibilità energetica ed entrambi sono necessari alla sopravvivenza del sistema che governa il pianeta.
_Scenari globali di Resistenza_
In questa chiave di lettura è agevolmente spiegato il (mai venuto meno) sostegno statunitense allo Stato di Israele, dal dopoguerra avamposto occidentale in Medio Oriente e, non a caso, provvisto di uno degli eserciti più attrezzati e preparati alla guerra del mondo. Solo considerate le motivazioni dell'aggressione statunitense all'Iraq e la funzione geograficamente strategica per l'occidente rivestita da Israele, è possibile fornire una spiegazione alla complice legittimazione da parte dei governi del "primo mondo" nei confronti del nazionalismo sionista, che giustifica l'occupazione dei territori (con il carico di morte e distruzione che essa si porta appresso), e, dall'altra parte, riconoscere la legittimità delle Resistenze dei Popoli iraqueno e palestinese, per affermare la propria dignità e l'inalienabile diritto all'autodeterminazione. Mentre il capitalismo affronta una crisi economica tra le più profonde della sua storia, emerge proprio in queste discontinuità (non solo mediorientali), l'immagine di un ordine mondiale destinato al declino, come ogni altro impero della storia, e che, osservandosi vacillare, mostra le unghie e scalpita per riaffermare con la forza il proprio dominio. Anche in America Meridionale il modello capitalista viene oggi messo in discussione dalle Resistenze dei Popoli e la sua crisi si misura soprattutto in termini di legittimità. Possiamo rintracciare eloquenti testimonianze di quanto appena affermarmato: nell'insurrezione zapatista, nelle vittoriose rivolte antiliberiste contro la privatizzazione di acqua e gas in Bolivia, e, ancora di più, nella sommossa popolare seguita al crack economico argentino, dove la popolazione esasperata, proprio come in Bolivia, ha destituito il Governo e, di fronte al tracollo del sistema economico finanziario, ha saputo sviluppare forme alternative di organizzazione, sperimentando comunitariamente la democrazia diretta e la collettivizazione di parte del settore produttivo. Affermare nei fatti l'attuabilità di un sistema diverso da quello esistente è, come prevedibile, inaccettabile per qualunque stato a democrazia capitalistica (specialmente se già alle corde), e così, anche in Argentina, la repressione non si è fatta attendere; oltre alle decine di morti negli scontri con la polizia e l'esercito, la "normalizzazione", con il sistematico sgombero delle attività produttive collettivizzate, non poteva che adoperare il pugno di ferro di un eterno status quo che non vuole tramontare.
_Migrazioni e storie ordinarie di inciviltà occidentale_
Le contraddizioni su cui si erge questo modello di progresso sono però troppo profonde ed evidenti per continuare a rimanere sopite. Esse emergono inesorabili tanto nelle conseguenze ambientali che producono, nell'avvelenamento dell'aria e dell'acqua, nella distruzione delle foreste, nella quotidiana estinzione di specie animali, quanto nell'inarrestabile esodo di masse di disperati da ogni angolo della Terra verso quella porzione blindata del pianeta, dove si concentra iniquamente quella ricchezza accordata a pochi privilegiati e negata invece ai due terzi della popolazione mondiale. In Italia, primaria via di accesso all'Europa per posizione geografica, la crisi di un progresso insostenibile, attorno alle proprie incolmabili contraddizioni, manifesta il suo aspetto spietato. Sottoposti a quotidiani rastrellamenti, i migranti sorpresi senza permesso di soggiorno vengono imprigionati nelle patrie galere e successivamente nei centri di permanenza temporanea. Sono ormai ampiamente documetate le condizioni abberranti in cui sopravvivvono coloro che vi sono raccolti, tra pestaggi, sopprusi e vessazioni di ogni genere. Nell'autunno del 2005, un giornalista de "L'Espresso", fingendosi un profugo iraqueno (perciò avente diritto ad asilo politico), veniva rinchiuso nel centro di prima accoglienza di Lampedusa, di cui avrebbe in seguito fornito una testimonianza shoch. Ciò che sconvolge è proprio l'atteggiamento sprezzante tenuto negli ultimi cinque anni dal Governo italiano nei confronti delle sue stesse leggi e delle convenzioni internazionale in materia di immigrazione e diritti umani, soprattutto per quanto concerne lo status di profugo. Il Governo di Silvio Berlusconi ha semi segretamente finanziato la costruzione di due centri di permanenza temporanea in territorio libico (tuttora attivi), da cui, lontano da occhi indiscreti e "ingombranti" diritti umani, sono state deportate illecitamente (sempre a spese italiane) anche alcune centinaia di profughi etiopi, rispediti nel paese di origine da cui erano fuggiti, a rischio della propria vita poichè passibili di legge marziale, in un contesto di guerra e aperta violazione dei diritti umani. In parallelo a questa gestione inumana dei flussi migratori si afferma la questione (con le dovute differenze) bipartisan della necessità di "manodopera di importazione" per la crescita economica dell'azienda Italia, e con essa si afferma ancora una volta il primato delle esigenze del mercato sul diritto di ogni abitante di questo pianeta a una esistenza dignitosa. La riforma di legge Bossi - Fini, elaborata sul terreno preparato dal Governo di centro sinistra con la Legge Turco - Napolitano, oltre a vincolare strettamente l'ottenimento del permesso di soggiorno alla richiesta del mercato del lavoro, ha di fatto accresciuto il numero di migranti "irregolari" in Italia, in contraddizione con le sbandierate finalità per cui era stata introdotta. La disponibilità di "persone illegali" (l'espressione la dice lunga sull'umanità del "civile" Occidente) e perciò prive di ogni diritto, fornisce un ampio bacino di forza lavoro che non grava sul bilancio dello stato, ma a cui, tramite periodiche regolarizzazioni, è possibile ricorrere qualora il mercato occupazionale lo richieda. Senza contare che la presenza numerosa di migranti sprovvisti di permesso di soggiorno, a tutti gli effetti non persone, incoraggia inplicitamente il lavoro nero e sommerso (che in Italia rappresenta, secondo le stime Ocse, la percentuale sorprendente del 27 % del prodotto interno lordo), e lo sfruttamento di "clandestini" in assenza delle minime garanzie di dignità e in condizioni che, in alcuni casi, definire di semi schiavitù non è una esagerazione. Per i più fortunati invece, laddove il rinnovo del permesso di soggiorno è connesso all'impiego lavorativo, l'opportunità di stabilizzarsi in Italia è resa comunque estremamente difficoltosa dall'applicazione quasi sistematica di contratti a tempo determinato, rinnovati o meno, di volta in volta, in base alle flessioni della produzione.
_Privilegi per pochi e precarietà per tutti gli altri_
La flessibilità occupazionale, tanto decantata e voluta con forza dal Governo di centro sinistra e resa ancora più insopportabile dalla Legge Biagi attuata dal centro destra, in Italia (ma non solo) è stata fatto oggetto di univoca interpretazione a esclusivo vantaggio della cosiddetta offerta, finendo per produrre una condizione diffusa di precarietà lavorativa e insicurezza nelle prospettive di vita, non solo per i migranti, ma anche per uomini e donne di origine italiana e soprattutto per le persone più giovani. Di pari passo si assiste al progressivo smantellamento di uno stato sociale comunque già deficitario (e insufficiente pagliativo alle gravi disuguaglianze sociali prodotte dal mercato), con il crollo conseguente delle garanzie che esso offriva: nella sempre maggiore inaccessibilità del sistema previdenziale, nella privatizzazione dei servizi, nel logorio silenzioso della sanità pubblica, nella gestione aziendale della pubblica edilizia, con la cessione a privati di parte del patrimonio residenziale. E si potrebbe andare avanti. Come posso garantire il regolare pagamento di un canone di affitto se non posso nemmeno essere certo che tra sei mesi avrò ancora un lavoro? Semplici domande come questa riguardano oggi centinaia di migliaia di persone solo in Italia; un esercito di precari e precarie che costituiscono oggi un nuovo soggetto sociale tanto svantaggiato quanto, con il passare del tempo, sempre più consapevole della propria condizione e sempre meno disposto ad accettarla in silenzio. Le proteste degli studenti francesi contro la legge sui contratti di primo impiego (che accordano al datore di lavoro la possibilità di lincenziare senza il vincolo della giusta causa per i primi due anni dall'assunzione) voluti dal Governo di Dominique de Villepin ne sono la riprova.
_Crisi di legittimità e ordine sociale_
La crisi di legittimità del modello democratico capitalistico occidentale, non solo economica ma anche politica, riemerge anche nel cuore delle "società avanzate", nella richiesta sempre più energica di partecipazione e nelle diverse forme di Resistenza dei Popoli verso i propri governi: da le proteste vittoriose degli studenti e la sollevazione delle banlieu in Francia, alle rivolte contro la globalizzazione liberista del "popolo di Seattle", al movimento contro la guerra in Iraq, di proporzioni planetarie senza precedenti, fino alla più recente e tutta italiana Resistenza delle Comunità valsusine alla costruzione della ferrovia ad alta velocità Torino - Lione, figlia di un progresso scellerato e insostenibile per l'ambiente. La repressione è stata di fatto l'unica risposta dei governi alle istanze che questi Movimenti avanzavano, tanto in Val di Susa, dove la cieca violenza delle forze dell'ordine costituito è calata indistintamente su giovani, donne, uomini e persino anziani, quanto a Genova, quando la stessa "violenza legittima" di Polizia e Carabinieri si abbattè feroce sulle migliaia di persone che si erano date appuntamento per sfidare gli otto potenti del pianeta. La sistematica repressione messa in atto durante i cinque anni di Governo Berlusconi nei confronti dei Movimenti sociali, del dissenso e della richiesta di cambiamento che essi esprimono, dimostra l'impellenza di un sistema politico economico in affanno di ricorrere alla forza per difendere se stesso e riprodursi. La presenza pervasiva delle tecnologie del controllo, insieme alla militarizzazione delle nostre città, si colloca nello stesso contesto, rispondendo alla necessità di una società disciplinata, a garanzia della ricchezza e dello standard di benessere acquisiti, e crescendo con l'amplificarsi delle contraddizioni e delle disuguaglianze sociali che il progresso occidentale produce. La città di Bergamo, per dimensione e caratteristiche peculiari, offre uno spaccato eloquente di quanto appena affermato, anche per la posizione geografica da essa occupata nel cuore dell'operosa Lombardia, una delle regioni in assoluto più ricche (e inquinate) della Terra. Il benessere diffuso, accompagnato dalla presenza produttiva ed economicamente trainante della piccola-media imprenditoria, e sommato a interessi vaticani e pervasivi di tutta la vita socio-economica cittadina, fa dell'ordine sociale una prerogativa, oltre che un esigenza facilmente comprensibile, della ricca e laboriosa provincia orobica. In un contesto simile appare scontata la presenza di un efficiente e avanguardistico sistema di video sorveglianza, specie se gestito da un corpo di polizia privata,"Fidelitas" (il cui proprietario, casualmente molto vicino ad Alleanza Nazionale, è un affidabile amico degli amici proprio della precedente Amministrazione di centro destra) e dalla Polizia Locale, che nel frattempo ha rinunciato alla gestione del traffico, per dotarsi di manganello e pistola, a garanzia dell'ordine cittadino e della tanto inflazionata sicurezza pubblica. A farne le spese per prime sono ovviamente le categorie più vulnerabili, a cominciare dai migranti, levati dai media a nemici interni numero uno. A Bergamo le politiche securitarie dell'Assessore dei Democratici di Sinistra Antonio Misiani sono state orientate proprio verso l'attività repressiva del commercio informale dei venditori ambulanti senegalesi nelle vie del centro cittadino: per i migranti l'unica opportunità di sostentamento, per l'Amministrazione comunale del sindaco Bruni un'interferenza con la macchina del consumo che nel cuore della città vetrina diviene intollerabile.
_Un modello economico fondato sul privilegio sistematico_
Bergamo non è poi tanto diversa dalla maggior parte delle città del nord Italia, dove, basta contare il numero di filiali bancarie presenti sul proprio territorio per averne riscontro, il capitalismo ha molto da difendere, a cominciare dalla distribuzione profondamente iniqua della ricchezza che esso legittima. L'Italia, oltre a presentare un solco profondo nella ripartizione di ricchezze e risorse tra le regioni del nord e quelle del meridione, detiene il più alto grado di disuguaglianza nella distibuzione del redditto di tutta la Comunità europea e una distribuzione della ricchezza finanziaria ancora più sperequata. I gruppi sociali medio alti figurano infatti come i maggiori beneficiari dello sviluppo economico degli anni '80, favoriti da un intervento pubblico che, anzichè mitigare le distorsioni distributive indotte dal mercato, ha di fatto introdotto misure di riduzione della progressività del prelievo fiscale e tollerato un livello di evasione altissimo, ad oggi persistente e quantificato intorno a duecento miliardi di euro, di cui, è scontato dirlo, non beneficiano certo i lavoratori dipendenti. Il Governo di Berlusconi ha accellerato e reso più aspre queste contraddizioni, in un contesto di crisi economica e forte inflazione, che ha letteralmente svuotato le tasche di una larga fetta della popolazione (riducendone pesantemente il potere d'acquisto), parallelamente al drastico ridimensionamento della spesa sociale, ma che ha osservato di contro l'impennata produttiva dei vari settori del mercato dei beni di lusso, a riprova del fatto che la fascia più ricca della popolazione non ha visto peggiorare le sue condizioni di vita e che, anzi, i super ricchi sono ancora più ricchi di 5 anni fa.
_Monopolio dell'informazione e gestione del consenso_
La "modernizzazione" liberista del sistema economico italiano, che accorda illimitato potere al denaro e assegna alle esigenze del mercato il primato assoluto nell'organizzazione della società, mentre acuisce le disuguaglianze sociali, restringendo le garanzie nei percorsi di vita e i diritti di lavoratori e lavoratrici, si accompagna inevitabilmente all'emergere delle contraddizioni di questo modello di progresso, in tutta la loro evidenza, facendo dell'ordine sociale una necessità irrinunciabile per la riproduzione del sistema. Al fine di garantire questo ordine assumono un ruolo centrale il controllo e la gestione del consenso, che in una società mediatica passa attraverso l'accesso ai mezzi di comunicazione di massa. In questo senso, il monopolio dell'informazione accorda a Berlusconi un potere e un'influenza che fanno dell'Italia un regime mediatico a tutti gli effetti; basti pensare che i due terzi dell'elettorato italiano ricorrono esclusivamente alla televisione per informarsi ed elaborare le proprie opinioni, e che in Italia, su sette canali nazionali, tre appartengono al colosso Fininvest e due su tre di quelli pubblici sono sotto il controllo della coalizione di centro destra (che a sua volta è assoggettata ai ricatti e alle lusinghe del suo leader). L'anomalia italiana, su cui incombe l'ombra inquietante di un'organizzazione segreta denominata Propaganda 2 (a cui Berlusconi apparteneva, delle cui entrature ha largamente beneficiato e il cui progetto eversivo di modernizzazione dello Stato Italia assomiglia in maniera stupefacente al programma politico della Casa delle Libertà, attuato nella legislatura appena terminata) consiste proprio nella possibilità offerta a Berlusconi di creare un network televisivo privato e monopolistico a livello nazionale, a tutti gli effetti illegale e anticostituzionale, ma tollerato inspiegabilmente (si fa per dire) e anzi salvato a più riprese dalle diverse misure bipartisan assunte dai Governi susseguitisi negli ultimi venti anni in Italia: dai Decreti salva Fininvest di Craxi alla Legge Mammì del 1990, dalle proroghe anticostituzionali della Legge Maccanico per neutralizzare la sentenza del 1994 emessa dalla Consulta, risalenti al 1998 durante il Governo dell'Ulivo, alle leggi sulla giustizia scritte da Previti e approvate da destra e sinistra nella legislatura tra il 1996 e il 2001 (!). Il controllo delle televisioni, e non di meno quello delle pubblicità, permette a Berlusconi di condizionare, anche solo implicitamente, la carriera di migliaia di giornalisti, direttori, editori e intellettuali, di manipolare le notizie, nascondendo quelle sgradite ed enfatizzando invece quelle "vantaggiose", e a distrarre l'attenzione dai problemi reali con diversivi fabricati ad hoc. Cosa ancora più importante il monopolio televisivo consente di determinare l'agenda dei temi rilevanti, fissando l'unità di misura valutativa degli avvenimenti, graduando la scala dei valori, proponendo modelli di vita, suscitando aspettative, preoccupazioni, gioie, dolori, bisogni, ansie e paure. La televisione attribuisce o nega importanza a temi e argomenti, semplicemente decidendo di dare loro copertuta o, viceversa, di ignorarli.
_Emergenze securitarie, sorveglianza e punizione_
I mezzi di comunicazione di massa possono accordare importanza a determinate tematiche ed ergerle a emergenze impellenti a cui è necessario e urgente fornire delle risposte, e non di rado, in Italia, queste risposte corrispondono alle proposte di una parte politica ben definita. Il telegiornale di Canale 5 di Enrico Mentana, negli ultimi mesi prima dellle elezioni del 2001, era un bollettino di guerra a base di continui sbarchi di "clandestini", omicidi per le strade e rapine nelle ville. Il tema della sicurezza, divenuto il nodo principale della campagna elettorale e una priorità per entrambe le coalizioni, esplodeva in tutta la sua gravità (apparente), facendo della "emergenza criminalità" una rubrica fissa. Se venti anni fa si fosse domandato a un normale padre di famiglia quali significati associasse al concetto di "sicurezza", con buona probabilità questi avrebbe fatto riferimenti a garanzie sociali quali lavoro, casa, istruzione e sanità. E' molto curioso ed evocativo il fatto che oggi, proprio mentre assistiamo al progressivo sgretolarsi di quelle garanzie sociali, emerge irruenta una nuova sfera di significati che modificano sostanzialmente il concetto di "sicurezza", associata ora alla richiesta di maggiore presenza territoriale delle forze dell'ordine, di sviluppo delle tecnologie del controllo, di inasprimento della repressione sulla micro criminalità e l'immigrazione clandestina, e via dicendo. In questo processo il ruolo dei mezzi di comunicazione è determinante e i benefici sono in primis delle destre. Quando nel 2001 si insediò il Governo delle "città più sicure", sbarchi, omicidi e rapine (che per altro non avevano le proporzioni allarmanti che si percepivano attraverso i vari telegiornali) non cessarono ne diminuirono improvvisamente, semplicemente scomparvero dalla televisione. Ciò che rimase fu invece la legittimazione acquisita dal Governo entrante sui temi della sicurezza e dell'ordine pubblico. La creazione del cosiddetto "nemico interno", nella figura del "clandestino", minaccia per la popolazione italiana e per l'integrità del bel paese, autorizzava il Governo ad assumere rimedi drastici per arginare quella che l'opinione pubblica (e su di essa sarebbe opportuno porsi alcuni interrogativi: Chi rappresenta? Come viene veicolata? Da dove sorge?) sembrava ormai percepire come una grave emergenza. Alla luce di queste considerazioni, una riforma di legge inumana come la Bossi - Fini diviene accettabile agli occhi dei più, e con essa anche i centri di permanenza temporanea, le deportazioni (entrambe fatti oggetto di ripetuti e disattesi ammonimenti da parte della Comunità europea, delle Nazioni Unite e di svariate organizzazioni internazionali a difesa dei diritti umani), i rastrellamenti e gli eccessi delle forze dell'ordine, di cui ormai si contano innumerevoli e odiosi esempi ecclatanti. Ultimo in ordine di tempo, l'omicidio di un giovane cingalese di Como, di soli 19 anni, fermato per un controllo ordinario da una pattuglia della Polizia Locale mentre era alla guida dell'automobile dello zio, riconosciuto come un writer (quelli che i media continuano a chiamare "graffittari") e freddato con un colpo di pistola alla nuca, senza alcun motivo. Nei giorni seguenti il Sindaco di Como esprimerà la propria solidarietà nei confronti delle forze dell'ordine: agghiacciante. Mentre da sinistra a destra si continua ad affermare la necessità di ampliare poteri e presenza territoriale delle varie polizie (in termini di finanziamenti, dotazioni e unità di agenti), questi episodi di brutalità (si contano, dalla fine degli anni '90 ad oggi, almeno due decine tra omicidi e morti sospette di migranti, durante operazioni di polizia, ufficiali e non), in Italia, non riguardano più soltanto i migranti ed esprimono un livello di deterioramento gravissimo delle minime garanzie "democratiche". Il 24 settembre del 2005 in provincia di Ferrara, un giovane di 18 anni, Federico Aldrovandi, muore durante un violento pestaggio delle Polizia. Il corpo senza vita di Federico viene abbandonato per cinque ore sulla strada e solo il contributo di un testimone oculare permetterà di ricostruire l'accaduto. La mamma del giovane riporterà una testimonianza terribile: abiti intrisi di sangue, segni di percosse su tutto il corpo, volto sfigurato, polsi lividi segnatidalla stretta delle manette. Il giorno seguente il quotidiano locale parlerà di "giovane morto per un malore" e la Procura si affretterà a smentire l'ipotesi dell'omicidio, mentre la polizia giustificherà le ferite di Federico (presentato a famigliari e grande pubblico come un tossico) come conseguenza di atti di autolesionismo, motivando la collutazione con il tentativo di immobilizzare il ragazzo che, al sopraggiungere degli agenti, avrebbe dato in escandescenze. Solo la caparbia determinazione della mamma di Federico permetterà, attraverso la pubblicazione di un blog in internet, l'emergere della tragedia, fino a quel momento accuratamente occultata dai media. Sarà invece la perizia di parte voluta dalla famiglia a confermare la natura della morte del giovane, avvenuta per soffocamento e determinata dalla pressione esercitata da almeno uno degli agenti sulla schiena di Federico, immobilizzato a terra e ammanettato. Gli agenti coinvolti nella vicenda non sono stati sospesi dal servizio, come sarebbe lecito attendersi, e anzi, ad oggi, continuano come niente fosse la propria attività: agghiacciante. Episodi come quelli appena descritti pongono inquietanti interrogativi sulla situazione interna dello stato italiano in tema di libertà individuali e diritti essenziali garantiti. L'immagine che emerge è quella di un paese attraversato dal solco profondo di una deriva autoritaria, attualmente senza paragoni in Europa, che si legittima sulle paure della gente e sulla richiesta indotta di ordine, nutrita da martellanti campagne mediatiche securitarie, da uno stato di emergenza continuo che invoca rimedi drastici, e che, per riprodursi, si avvale di innumerevoli nemici interni, minaccie alle fondamenta stesse della nostra società costruite al fine stesso di poterle combattere; che si tratti poi di clandestini, tossici, ultras, anarchici o integralisti islamici, non fa molta differenza.
_Controllo del dibattito politico ed eliminazione del dissenso_
In un contesto come quello delineato, dove la gestione del consenso e la manipolazione dei bisogni delle persone occupano una posizione chiave, il dissenso diviene qualcosa di inaccetabile. Con la cifra record di oltre 7000 inquisiti per "reati" politici in 5 anni, il Governo Berlusconi offre un metro eloquente della deriva autoritaria in atto nell'azienda Italia, funzionale a una modernizzazione economica che produce insicurezza sociale, che manifesta le proprie contraddizioni nel progressivo allargarsi delle disparità e che necessità per questo di ordine e controllo. La chirurgica eliminazione del dissenso si alimenta proprio attraverso il controllo dell'informazione, laddove il dibattito politico viene determinato dai media e le stesse questioni di cui la politica deve farsi carico sono vincolate alle emergenze mediatiche che di volta in volta vengono sottoposte al pubblico e ovviamente alla tribuna politica. Grazie al monopolio dell'informazione Berlusconi è in grado di influenzare perciò non solo le opinioni, ma anche le politiche reali dei Governi che si susseguono, che essi siano di centro sinistra o di centro destra. Come ciò avvenga è comprensibile se si considera come i mezzi di comunicazione di massa possano determinare con la propria influenza i termini e i margini del confronto politico, sia decidendo delle questioni rilevanti, sia potendo disporre della facoltà di critica e giudizio da utilizzare come armi qualora i provvedimenti di un Governo non fossero graditi. Il controllo dell'informazione costituisce quindi un vincolo insormontabile per la coalizione del centro sinistra, pena l'impopolarità e, in assenza di consenso, l'impossibilità di governare. Il regime mediatico di Berlusconiha determinato un progressivo spostamento verso destra del baricentro dell'obbiettività e della moderazione (il così detto buon senso), e soprattutto delle "posizioni accettabili" all'interno del confronto politico, tracciando così un recinto di filo spinato denominato "riformismo", che distingue la sinistra buona e dialogante da quella "estremista", "giacobina", "massimalista". Se da un punto di vista istituzionale questo processo determina uno screditamento di partiti come Rifondazione Comunista, che divengono interlocutori non obbiettivi e per questo meno credibili, per quanto riguarda i Movimenti, esso mira ad escludere le componenti sociali, specie se autorganizzate, dal dibattito politico, demonizzandole attraverso campagne mediatiche costruite ad hoc e costringendo la "sinistra" istituzionale a prenderne le distanze, affermando così l'impresentabilità delle loro istanze. I settori di Movimento che incorrono in questa strategia, inevitabilmente, si trovano a essere vulnerabili e isolati, ed è facile gioco colpirli attraverso gli strumenti classici della repressione poliziesca. L'esempio più recente è fornito dai fatti di sabato 11 marzo 2006, quando alcune centinaia di antifascisti si scontrarono per più di due ore con le forze dell'ordine per impedire lo svolgimento di una parata nazista del partito Movimento Sociale - Fiamma Tricolore, formazione che negli ultimi due anni ha accolto nelle proprie fila diversi rappresentanti di organizzazioni collegate a livello internazionale al network nazista Blood & Honour, diventando di fatto un referente per quel circuito. Basta un paragone con un altro paese europeo per comprendere quanto sia vistosa l'anomalia italiana: nelle stesse settimane in cui Movimento Sociale - Fiamma Tricolore formalizzava l'ingresso del partito nella Casa delle Libertà e l'accordo raggiunto con Silvio Berlusconi, in Germania, dove Blood & Honour è un'organizzazione illeagale, un'operazione di polizia colpiva il network con arresti e perquisizioni che portavano alla luce anche diverse armi da fuoco clandestinamente detenute. Dopo i disordini di Milano nessun partito politico della coalizione di Prodi si preoccupava di denunciare la gravità dell'accordo elettorale tra un'organizzazione apertamente fascista e la coalizione di centro destra, ma dalla Margherita a Rifondazione Comunista tutti si affrettavano a condannare gli antifascisti ed esprimere la propria solidarietà alle forze dell'ordine, mentre i media già parlavano di questo "settore" del Movimento di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima di allora, l'area dell'ultra antagonismo: prove generali di ordinaria repressione.
_Nuove destre e scenari repressivi_
Anche l'agibilità accordata negli ultimi anni alle diverse organizzazioni della destra radicale italiana nelle loro attività squadristiche rientra in realtà in questo disegno, con svariati tentativi di omicidio, decine di centri sociali incendiati ed episodi di violenza efferata di ogni genere, pressochè senza conseguenze rilevanti e anzi, il tutto coronato dalla conclusiva alleanza elettorale della Casa delle Libertà con le principali sigle di riferimento di questi circuiti. La tolleranza di cui beneficiano queste organizzazioni sortisce innanzitutto l'effetto di esasperare il clima politico in settori della società da sempre conflittuali e sensibili a certe tematiche, tentando di indurne una reazione che, anche solo per difesa di chi vi appartiene e degli spazi di agibilità conquistati, è scontata e legittima. In secondo luogo, chiudere occhi e orecchie di fronte a una strategie evidente di aggressione e violenza nei confronti delle organizzazioni e delle strutture della sinistra radicale, significa impegnare i gruppi che vi appartengono nell'autodifesa e in un attività che rischia di condurre ad una contrapposizione aspra e impegnativa, distogliendo tempo ed energie da questioni che possono altrimenti influire nello svolgimento del dibattito politico istituzionale. Non è un caso che l'attività di squadrismo, specie nel nord Italia, solitamente un'impennata proprio durante i periodi di campagna elettorale.
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