Bergamo? Resiste!
Venerdì 21 aprile avrà ufficialmente inizio la prima edizione di “Bergamo Restiste”. La realizzazione di questa ricorrenza alternativa del giorno della Liberazione è frutto di un'elaborazione collettiva ed orizzontale inedita, almeno quanto lo è la natura stessa delle quattro giornate. Vi prenderanno parte, o semplicemente presteranno il proprio contributo in momenti specifici, buona parte delle individualità e realtà cittadine che condividono, con le dovute peculiarità, un percorso di autorganizzazione dal basso e che, per definizione, condividono la necessità irrevocabile di un'alternativa allo stato di cose attuale. La novità consiste proprio nel mettere a confronto diverse sensibilità, generalmente poco propense a interagire, e creare un dialogo costruttivo, cioè teso a costruire un percorso comune. Il risultato è articolato in una serie di iniziative, diversificate per tematiche e modalità, con il proposito di accordare a ciascuna realtà l'opportunità di attraversare le quattro giornate senza rinunciare alla propria specifica connotazione. Questo esperimento è al contempo una sfida, noi abbiamo deciso di raccoglierla!
Le quattro giornate antifasciste, che, per la prima volta dalla fine della dittatura fascista, culmineranno in una celebrazione alternativa a quella istituzionale, muovono da un punto di partenza comune a coloro che hanno condiviso la costruzione di senso delle giornate stesse; esse esprimono l'esigenza di riaffermare vigorosamente l'attualità dell'antifascismo, di quei principi che diedero vita alla Resistenza partigiana e che oggi sentiamo disattesi.
La posizione geografica strategica dell'Italia nell'ambito della guerra fredda e la presenza del movimento comunista più forte di occidente hanno sortito l'effetto di produrre quel conflitto “a bassa intensità” che, indotto dall'ingerenza occulta statunitense e dalla riabilitazione del neofascismo nostrano (che in Italia ha sempre conservato la propria potenzialità eversiva e i collegamenti con apparati dello stato, nella sostanziale tolleranza delle istituzioni) già dal primo dopoguerra, ha fatto del “sistema democratico” italiano una anomalia europea. La strategia della tensione, le stragi, i progetti di golpe, le strutture parallele alle istituzioni e i piani eversivi di organizzazioni segrete cresciute all'ombra dei poteri forti del bel paese, costituiscono l'aspetto esteriore di questo conflitto, oltre che i connotati di un “sistema stato“ incapace di produrre gli anticorpi necessari a regolare definitivamente i conti con il passato. Gli effetti sono ben visibili nel presente, laddove, nel cuore della società mediatica occidentale, il colosso privato delle telecomunicazioni di Silvio Berlusconi (illegale e anticostituzionale, ma silenziosamente autorizzato dai Governi avvicendatisi al potere negli ultimi 20 anni) accorda al leader della Casa delle Libertà un potere enorme e, per molti versi, incontrastabile; un vero e proprio “regime mediatico” in cui il dibattito politico e gli orientamenti dei vari Governi sono seriamente comprossi nel normale sviluppo dal monopolio dell'informazione, con l'effetto di vincolare la gestione dell'azienda Italia alla volontà di un premier ombra, nella lenta corrosione delegittimante di ogni voce fuori dal coro e dei diversi organismi di garanzia classici dello stato liberale: dalla già menzionata libera informazione, fino alla Magistratura e al suo Consiglio Superiore. Non crediamo in questa giustizia, ma riteniamo un segnale di cui tenere conto il fatto che lo stra potere di Berlusconi, anche nella delegittimazione di questi organismi istituzionali, abbia di fatto travalicato confini considerati inviolabili in qualunque altra “democrazia” occidentale. E questo è un dato.
Martellanti campagne securitarie, che dalle testate giornalistiche targate Fininvest hanno invaso prepotentemente l'agenda tematica dell'informazione italiana, contribuiscono in maniera determinante alla creazione di quello stato di emergenza permanente che produce mostri e capri, e che, nella definizioni del nemico interno (chiunque esso sia), alimenta la richiesta pilotata di misure drastiche e pericolosamente lesive delle libertà individuali. Parallelamente al declino delle garanzie sociali conquistate dalla classe lavoratrice nel secolo appena tramontato, abbiamo assistito alla trasformazione mediatica del significato della parola “sicurezza”, un tempo associata a necessità sociali come la casa, il lavoro, la sanità e l'istruzione, e che oggi giustifica, nutrendosi di paure e incertezze tanto diffuse quanto sapientemente indotte, l'incremento di politiche repressive, strategie di controllo sempre più pervasive (anche dello spazio di inviolabile intimità individuale) e “progressiste” campagne di prevenzione, che spesso corrispondono a repressione preventiva e militarizzazione dei territori.
La crociata contro i venditori ambulanti senegalesi condotta dall'Assessore alla Sicurezza Antonio Misiani, neoeletto alla Camera dei Deputati con i Democratici di Sinistra, suscita alcune considerazioni. Innanzitutto i provvedimenti dall'Assessore in tema di pubblica sicurezza appaiono come un goffo tentativo di rincorrere le destre sul loro stesso terreno (e con le regole da esse fissate), dimostrando una volta di più quanto pesino, nel contesto poc'anzi delineato, le campagne securitarie dei mezzi di comunicazione sul dibattito politico italiano, con le derive autoritarie che ne conseguono. Parliamo di tentativo “goffo” perchè ciò di cui Misiani non tiene conto è che gli spettatori (termine che riteniamo più appropriato di “elettori”) distinguono alla svalta la brutta copia dalla bella, e si adeguano di conseguenza. Si tratta di un gioco che non appartiene al nostro percorso, abbiutati invece a pensare alternative e ad affermarne la praticabilità. Associando il concetto di sicurezza a ben altre garanzie (che ci paino essere invece assolutamente ignorate), la trasformazione del vecchio vigile urbano in poliziotto a tutti gli effetti non ci fa sentire più sicuri, anzi. Lo stesso discorso vale per l'efficienza dell'avanguardistico sitema di video sorveglianza cittadino, affidato dalla vecchia Amministrazione all'amico Ferrara (proprietario della Fidelitas e vicino ad Alleanza Nazionale, giusto per illumineare i meno informati) e di cui la Giunta di centro sinistra, cauta sull'argomento in campagna elettorale, non si è astenuta, in tempi più recenti, dal decantare le lodi. Ogni campagna securitaria deve assumere i toni dell'emergenza e l'emergenza esige un nemico interno e una vittima sacrificale. La campagna della Giunta Bruni contro i venditori ambulanti di via XX settembre, campagna a beneficio esclusivo delle lussuose boutique della città vetrina, si cela dietro la sacrosanta crociata umanitaria contro il beasness dei falsari e lo sfruttamento del lavoro minorile. La circostanza curiosa consiste nel fatto che gli unici a cadere nelle maglie di questa battaglia repressiva siano stati, a tutt'oggi, esclusivamente i venditori ambulanti africani del centro cittadino; e in questo di umanitario c'è ben poco. Mentre per queste persone il commercio informale è l'unica opportunità di sostentamento (per altro elemento centrale dell'economia di sussistenza dei loro paesi d'origine), i rastrellamenti della Polizia Locale per i migranti che vi incorrono significano la prigionia in carcere e nei centri di permanenza temporanea e la deportazione in Africa, con tutto quello che ne consegue.
La legge Turco – Napolitano e la successiva riforma di legge Bossi – Fini affermano la volontà europea di conservare quel benessere occidentale che, fondato su contraddizioni insostenibili, garantisce il confort della società consumistica avanzata a un terzo degli abitanti del pianeta, negando l'essenziale a tutti gli altri. I centri di permanenza temporanea voluti dal centro sinistra nella precedente legislatura sono una testimonianza disgustosa (e crediamo di non esagerare a definirla tale) della profonda inciviltà di una società disciplinata dallo stra potere del denaro e dove l'essere umano non ha valore, se non in virtù del contributo produttivo che può apportare al benessere dei pochi privilegiati (e per lo più di pelle bianca) della Terra. Il fatto che la disponibilità ad accogliere del primo mondo si misuri sulla richiesta del mercato occupazionale la dice lunga sulla civiltà occidentale, tanto autocelebrata quanto cinicamente e intimamente egoista. Per coloro che sono “infruibili” ci sono il carcere e il centro di permanenza temporanea, e le condizioni di vita all'interno di queste strutture è metro dell'umanità della società in cui viviamo.
La riproduzione di questo sistema politico economico ha portato l'Italia a scendere in guerra nella crociata energetica di George Bush, a dirigere una missione di guerra in Afghanistan e a partecipare all'occupazione militare di un paese, tutto questo in barba a quel rifiuto della guerra che l'antifascismo aveva sancito e che questa repubblica nata dalla Resistenza aveva eretto ad uno dei suoi principi fondanti. Che poi la guerra sia umanitaria, come in Kossovo, o una missione di pace, come in Medioriente, fa poca differenza: la guerra è morte e distruzione e le sue vittime sono le popolazioni civili inermi. Senza eccezione alcuna.
Martedì la nostra scorribanda antifascista attraverserà diverse strade della città, e a ognuna di esse sarà attribuita una tematica da consegnare all'attualità del presente. Per ogni tematica una strada e a ogni strada una parola d'ordine attraverso cui l'antifascismo diventi un'urgenza del nostro presente, vivo e necessario. Pretendiamo che il concetto di sicurezza riacquisti il suo significato orginario, pretendiamo l'immediata chiusura dei centri di permanenza temporanea e il ritiro delle truppe italiane dagli scenari di conflitto internazionali, ne graduale ne posticipato, senza ambiguità e ipocrisie. Esigiamo l'immediata scarcerazione degli antifascisti e delle antifasciste arrestat* l'11 marzo scorso mentre si opponevano, mettendo in gioco se stess*, alla parata fascista del Movimento Sociale – Fiamma Tricolore, nell'indifferenza di una città il cui silenzio continua ad essere assordante. Mentre tutte le forze politiche si affrettavano a condannare decisamente quanto accaduto, quasi nessuno spendeva una parola su quella parata autorizzata a un organizzazione apertamente fascista e antisemita, e sulla alleanza stretta da quest'ultima con la grande coalizione delle destre di Berlusconi. Impegnate a raccogliere gli ultimi decisivi voti, le forze politiche hanno rinunciato a interrogarsi circa il segnale esasperato che quel giorno provenne dalla piazza. Nessuno che in quei giorni si preoccupò di rammentare le decine di centri sociali incendiati negli ultimi due anni, le coltellate agli antifascisti, la brutalità della polizia all'ospedale San Paolo, l'omicidio di Davide “Dax” Cesare, ucciso perchè antifascista. Nessuno si degnò di rammentare come quei settori politici della destra radicale che bruciano e accoltellano, fossero stati nelle settimane precedenti accolti a braccia aperte dalla coalizione di Berlusconi, il padrone dell'informazione, il capo del Governo, l'intoccabile al di sopra della legge.
La data è l'imprecisione del ricordo. Si mettono le date per mettersi a posto la coscienza. Ma è miope. Per evitare di parlare dell'essenziale, di ciò che dura al di là delle date. Per girare intorno all'argomento. Datare è come sottolineare a matita una riga per risparmiarsi di rileggerla. Come infilzare con uno spillo una farfalla in una scatola, nel tentativo di dimenticare che ancora poco fa, i suoi colori baluginavano percorrendo l'aria fresca dei prati e magari scatenando un tifone sull'altro lato del pianeta. Datare per dimenticare con la pretesa di ricordare. Datare per facilitarsi l'esistenza. Dieci anni fa. Sessanta. Datare come barare, sapendo bene che la vita non si misura con il metro del tempo che passa, bensì con quello dell'uso che se ne fa." (Jean Giraud)
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