Giochi di ruolo tra la Mole e il Rocciamelone. Un anno di lotte e di repressione.
Nel novembre dello scorso anno lo sceriffo Cofferati sale all’onore delle cronache per la rozzezza del suo stile. Una rozzezza che gli viene rimproverata dal collega di torinese Chiamparino, anche lui DS, che sottolinea come le “stesse” misure possano essere applicate senza sollevare troppa polvere. Una lezione di scuola sabauda ma anche il richiamo del politico nato e cresciuto tra gli apparati di partito all’ex sindacalista uso a gestire le questioni di “ordine pubblico” schierando il tristemente noto servizio d’ordine della CGIL. Il manganello di Chiamparino non è più corto di quello dell’ex segretario CGIL, solo meno esibito. Picchiare, picchiare anche duro ma senza eccessive esibizioni muscolari e senza altisonanti proclami su ordine e legalità. Anzi. Se necessario ricorrere anche a qualche astuzia populista. Non possiamo che dar ragione al sindaco della città della Mole, della Fiat, della cioccolata, nonché vincitrice di una medaglia di metallo nobile nelle grandi pulizie preolimpiche. Ha dimostrato, con i fatti, di saper ben applicare le proprie formule.
Giochi di ruolo all’ombra della Mole Vale la pena di ripercorrere brevemente le vicende cittadine dell’ultimo anno, senza peraltro dimenticare di dare una rapida occhiata agli scenari montani della Val Susa, che sono stati il rumore di fondo che ha accompagnato i giochi di ruolo nel capoluogo piemontese. Una commedia, a volte buffa, altre quasi tragica con numerosi attori e dagli esiti a tutt’oggi affatto scontati.
Personaggi ed interpreti.
- I poteri forti: le mani in pasta nella grandiosa opera di ridefinizione dello spazio urbano, nel tentativo di mangiare sulle grandi opere, in attesa che l’agonia della Fiat si compia. Sono i progettisti della città Luna park, che ricicla gli spazi della città fabbrica e insieme immagina una città-porto di terra, ganglio di un sistema di scambi veloci e ricca di attrattive per i viaggiatori di passaggio. Autostrade e treni superveloci per collegare centri direzionali e cittadelle tecnologiche, mentre, intorno, lo spazio urbano ed extraurbano si annulla nei non-luoghi della postmodernità disciplinare.
- Il governo della città, sindaco in testa, con l’ossessione di legge e ordine, la paura fottuta che qualcuno potesse guastare la festa olimpica trampolino di lancio per una campagna elettorale in cui la giunta di centro-sinistra mira a succedere a se stessa.
- La destra istituzionale, il (post) fascistissimo Ghiglia e l’immondo nazileghista Borghezio, chiassosi, indecenti e ribaldi, provano a contendere a Chiamparino il primato in materia di manganello e pugno di ferro. Molto rumore, scarsi effetti.
- I fascisti con le lame, che creano i presupposti per la crescita della tensione in città. Nessuno li manda ma arrivano al momento giusto per dare il via ad una manovra repressiva contro l’opposizione politica e sociale. Truppe di complemento, poco importa se organiche o meno, che svolgono i lavori sporchi che gli apparati dello stato non possono (ancora) permettersi di fare.
- La stampa cittadina che prepara con cura il terreno e suona il motivo adatto a creare il pathos necessario. Svolge la funzione dell’impastatrice nei panifici: amalgama elementi diversi e ci fa il pane e, quando serve, in mancanza di ingredienti, sforna comunque qualcosa da dar da mangiare e bere ai propri lettori. Crea il clima adatto all’entrata in scena della magistratura, offre copertura alla polizia, da voce al governo della città ed ai poteri forti, ammutolisce, criminalizza e delegittima gli oppositori, prepara il terreno per le prossime mosse. È l’asse centrale intorno al quale si costruisce la tenaglia che cerca di soffocare ogni voce critica.
- La magistratura e, in particolare, i ben noti Laudi e Tatangelo. Gente dura che si è fatta le ossa sulla pelle di due anarchici morti suicidi in carcere, ed un terzo a lungo imprigionato. Gente che a distanza di anni rivendica quell’impresa, omettendo di ricordare che persino sul piano giudiziario si è trattato di una montatura smontata in cassazione.
- La polizia e i carabinieri nel ruolo consueto di cani da guardia obbedienti agli ordini.
- Ed infine, in ordine sparso, valsusini contro il Tav, anarchici, sindacalisti, occupanti di case e spazi abbandonati, antagonisti, studenti demorattizzati, metalmeccanici in lotta, antimilitaristi ed anticlericali, writers, migranti in rivolta… ossia la vasta galassia dell’opposizione politica e sociale torinese.
Fascisti provano a uccidere, antifascisti caricati e arrestati Veniamo alla trama. Ci vuole un inizio. In questa storia ce ne sarebbero parecchi, tutti plausibili. Per comodità partiremo dal 4 giugno. Quel giorno 30.000 persone prendono parte alla marcia antitav da Susa a Venaus. La lotta contro il progetto di linea ferroviaria ad alta velocità in Val Susa sta entrando in una fase cruciale. La primavera del 2005 è la data dalla quale il Tav sarebbe dovuto entrare nella fase operativa: sondaggi nei terreni ed un primo tunnel esplorativo di 10 Km a Venaus, nel punto dove dovranno essere costruite le due canne della galleria di 52 km destinata ad essere l’asse centrale del tracciato. La manifestazione è il segnale inequivocabile della ferma opposizione ad un’opera che, fuori dalla Valle, tutti i politici vogliono. La solidarietà attiva degli anarchici e antagonisti si concreta con una vasta presenza all’interno del corteo.
Una settimana dopo, l’11 giugno, una squadraccia fascista entra di notte nella casa occupata “Barocchio” ed accoltella due occupanti. Uno di loro rischia grosso, uno dei fendenti gli perfora l’intestino: verrà operato d’urgenza. Se la cava ma solo per caso non ci è scappato il morto La stampa minimizza l’accaduto, tentando di contenerlo nella dimensione della cronaca nera.
Il 18 giugno un corteo di qualche centinaio di antifascisti partito da S. Salvario arriva, dopo aver contrattato il percorso, in via Po, dove la polizia impedisce l’ingresso in piazza Castello, caricando. Durante la fuga va in frantumi una vetrina e un po’ di tavolini ammucchiati sulla strada sono dati alle fiamme. La polizia porta in questura 4 manifestanti: due di loro, anarchici, verranno arrestati e condotti in carcere, da dove saranno liberati con obbligo di firma due settimane dopo.
In altri tempi l’episodio non avrebbe meritato che qualche riga in cronaca e una denuncia a piede libero per i malcapitati caduti in mano alla polizia. In altri tempi. A metà giugno appare subito chiaro che l’aria che tira è piuttosto pesante. I due quotidiani cittadini, Stampa e Repubblica, intonano la medesima canzone, una canzone che trasforma un episodio durato una decina di minuti in un evento clamoroso, una grave turbativa dell’ordine pubblico, un abbozzo di guerriglia urbana. Chiamparino fa a gara con fascisti e leghisti nel criminalizzare gli antifascisti, mentre non aveva speso una sola parola per le vittime dell’aggressione squadrista al Barocchio.
La magistratura, nella persona del famigerato Tatangelo, affina le armi per un teorema accusatorio in grande stile: nella sua prima requisitoria il PM parla di piano preordinato per attaccare la polizia e dare il via ad incidenti nel centro cittadino. Un teorema inverosimile che viene man mano affinato sino alla formulazione dell’accusa di “devastazione e saccheggio” ai danni di dieci manifestanti nei confronti dei quali viene emesso ordine di arresto. A questi dieci se ne aggiungono altri 10, accusati di resistenza e lesioni per aver preso parte ad una manifestazione svoltasi il 19 maggio in sostegno ai migranti in rivolta all’interno del cpt-lager di corso Brunelleschi.
“Devastazione e saccheggio”: un’accusa che vale dai 7 ai 15 anni È una manovra che rasenta il ridicolo, ma purtroppo c’è poco da ridere. 10 dei venti inquisiti rischiano dagli 8 ai 15 anni di reclusione per un’accusa, “devastazione e saccheggio”, che richiama un’orda di lanzichenecchi che mettono a ferro e fuoco una città, non certo alcune centinaia di manifestanti che rovesciano qualche cassonetto per coprirsi la fuga dalla polizia scatenata per impedire loro di attraversare il salotto buono della città. È l’accusa che venne formulata a carico dei responsabili del disastro del Vajont: 3.500 morti e tre paesi spazzati via dalla valanga di fango che vi si abbatté. Ma tant’è: da qualche anno la magistratura attua una torsione delle norme per limitare la libertà di manifestare e di opporsi al disordine costituito. Quando non basta ci pensa l’esecutivo ad emanare leggi sempre più speciali che hanno esteso la categoria di eversione al punto che anche la protesta pacifica contro un provvedimento dello stato potrebbe rientrarvi.
Gli antifascisti, dopo una ventina di giorni di carcere, vengono inviati ai arresti domiciliari, dove resteranno sei mesi, sino al 19 gennaio quando il GUP Arata li libererà per decorrenza dei termini. Quattro di loro sono a tutt’oggi sottoposti all’obbligo di firma tre volte a settimana. Lo stesso GUP la settimana precedente aveva emesso il rinvio a giudizio per “devastazione e saccheggio” ai danni degli antifascisti, confermando così il delirio repressivo dei PM Tatangelo e Laudi. Non va meglio agli antirazzisti che in dicembre optano per il rito abbreviato, condannati a pene variabili tra i 6 i 14 mesi per resistenza e lesioni. La prima udienza del processo ai 10 antifascisti – 8 anarchici e 2 esponenti dei collettivi universitari – è fissata per il 27 giugno. I giornali continuano ad intonare il coro, supportando le iniziative di questura e magistrati. Un intellettuale raffinato come Saverio Vertone, in un corsivo su Repubblica, arriva a sostenere che il corteo antifascista del 18 giugno ha rappresentato la prima uscita pubblica della fantomatica Federazione Anarchica Informale. Con questa firma, che imita in modo aggressivo l’acrostico della FAI, la Federazione Anarchica Italiana, sono state rivendicate buste incendiarie e incendi di cassonetti dei rifiuti in mezz’Italia. A Torino aveva fatto la sua comparsa in maggio con un pacco-incendiario per i vigili urbani di S. Salvario. Un pacco che era servito a mettere in secondo piano la rivolta in corso al CPT, un pacco “intelligente”, non c’è che dire.
La pulizia olimpica non si ferma agli arresti ma investe anche i posti occupati: in pochi mesi si arriva a ben 11 sgomberi, con il relativo corredo di denunce.
Il movimento non è certo restato con le mani in mano: le iniziative si sono moltiplicate. Due cortei per la liberazione degli arrestati il 2 luglio (indetto dalla FederazioneAnarchica) e il 28 luglio (promosso dal Coordinamento antifascista e dai posti occupati) attraversano le vie del centro raccogliendo una vasta partecipazione. E poi concerti, presidi sotto il carcere, partecipazione straordinaria ad un dibattito con Laudi alla Festa dell’Unità, irruzione a Young Words, vetrina olimpica in versione new-global organizzata dal comune di Torino con la partecipazione di guru intellettuali della sinistra, etc.
Resistenza No Tav e stretta repressiva Le lotte contro la stretta repressiva in città si intrecciano con quelle della Val Susa. In Valle il movimento da un’eccellente prova bloccando tutti i carotaggi ed i lavori previsti e dando vita a presidi permanenti nei siti destinati ad interventi della lobby tavista. Si arriva al 31 ottobre, quando il governo decide di rompere gli indugi e ordina alla polizia di usare la forza contro i manifestanti che cercano di impedire un nuovo tentativo di sondaggio in località Seghino di Mompantero. Ma i manifestanti resistono, i valligiani scendono in sciopero e bloccano le strade e la ferrovia. La polizia nella notte, tradendo l’impegno a non ritentare l’occupazione dei siti, entra in forze nel territorio di Mompantero, dando l’avvio a quella che gli abitanti definiscono come occupazione militare della frazione di Urbiano.
La Val Susa diventa un caso nazionale. Una fiaccolata di oltre quindicimila persone chiarisce la ferma decisione dei valligiani nell’opporsi alla devastazione ed occupazione militare del territorio. Il 16 novembre uno sciopero generale indetto dal sindacalismo di base, osteggiato dalla Cgil e vietato dalla commissione di garanzia, blocca la Valle Susa. Ad occuparsi degli incidenti accaduti al Seghino viene designato Maurizio Laudi. Sì sempre lui: questa storia è ciclica e, quindi, ecco l’eterno ritorno dell’eguale. Subito viene annunciata una raffica di denunce a carico dei manifestanti No Tav. La stampa si scatena nell’opera di criminalizzazione, spargendo falsità e disinformazione sugli anarchici in particolare e in generale, sull’opposizione sociale torinese. Lo scopo è chiaro: impedire la saldatura tra le lotte, tra la valle e la città, tra chi lotta contro i CPT e chi lotta contro il Tav, tra chi lotta per il reddito e chi per la casa, tra i tanti che vorrebbero riprendere nelle proprie mani il loro destino. Non ci riusciranno. In dicembre la repressione e la lotta anti tav si intensificano. La polizia occupa i terreni di Venaus e viene circondata da migliaia di persone che erigono barricate e resistono per 10 giorni sotto la neve e l’occupazione militare. Neppure l’azione di forza della polizia che, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre, sgombera con la violenza l’accampamento, lasciando a terra numerosi feriti, ferma la rivolta. Anzi. In tutta la valle si erigono barricate: treni e strade vengono bloccati, lo sciopero spontaneo coinvolge l’intera valle. A Torino per l’intera giornata del 6 si susseguono manifestazioni spontanee e viene occupata la stazione di Porta Nuova. Due giorni dopo, con una marcia da Susa a Venaus, cinquantamila persone affrontano la polizia, e nonostante le cariche, aggirano i blocchi sui sentieri di montagna e liberano i terreni occupati con la forza due giorni prima. La polizia si ritira. Inizia una lunga tregua per le olimpiadi e le elezioni. Il ministro di polizia Pisanu dichiara di aver rinunciato a forzare la mano a Venaus perché era divenuto impossibile distinguere tra eversori e gente comune. Quello che la lobby tavista e tutti i suoi generosi supporter più temevano si è verificato: la Val di Susa è divenuta ingovernabile. Laudi apre un inchiesta per “devastazione e saccheggio” nei confronti dei ribelli dell’8 dicembre e, insieme, ordina il sequestro dei terreni di Venaus e li consegna, al General Contractor della Torino Lione, la società italo-francese LTF. La stessa tattica adottata nei confronti degli antifascisti nel luglio precedente, quando, insieme agli arresti viene ordinato il sequestro del Fenix occupato, cui vengono apposti i sigilli. Il cerchio si chiude. Chi si ribella sappia che ha di fronte un potere aggressivo, capace di torcere le sue stesse leggi per meglio reprimere chi si oppone a quest’ordine ingiusto.
Il processo agli antifascisti: la posta in gioco Dopo la fine della tregua elettorale i giochi sono ricominciati. A Torino ed in Val Susa. Ma non solo. Il processo che vede alla sbarra 8 anarchici e 2 esponenti dei collettivi studenteschi ha una valenza che va ben la di là della Mole. Il reato per il quale sono perseguiti e per cui rischiano lunghi anni di detenzione, è, intrinsecamente, un reato di natura collettiva, poiché non si devasta e saccheggia una città, un quartiere, una strada senza essersi accordati preventivamente. Dietro a questo semplice teorema si palesa la chiara volontà di criminalizzare le manifestazioni di piazza, che non si svolgano secondo i dettami e gli arbitri di polizia e potere politico. Non c’è uno straccio di prova che dimostri che i 10 compagni abbiano rotto la vetrina che si è infranta o eretto la barricata di tavolini improvvisata per fermare la furia della polizia. Due di loro sono stati arrestati alla partenza della carica e, quindi, non avrebbero potuto devastare alcunché. Ma che importa? A sentire i PM, basterebbe l’intenzione. E che l’intenzione vi fosse lo deducono dalle biografie politiche redatte dai funzionari di polizia. Detto in altro modo: sono colpevoli perché anarchici o antagonisti, al di là della responsabilità individuale sui fatti loro contestati.
Se il teorema di Laudi e Tatangelo dovesse passare, i primi a pagare sarebbero i nostri compagni, ma subito dopo sarebbe il turno dei valsusini, degli antifascisti incarcerati a Milano l’11 marzo per l’opposizione al corteo di Fiamma Tricolore e di chiunque manifesti pubblicamente la propria opposizione all’ordine costituito. Non dobbiamo permetterlo. Questa partita non si gioca nelle aule giudiziarie dove si esercitano i riti della “giustizia” di Stato, ma nelle piazze. Proprio in quelle piazze che i signori del Tav e quelli della gomma, i politici bipartisan e i loro clienti, polizia e magistrati, vorrebbero fossero luogo di una città Luna Park, tutta lustrini e cotillons, una città ignara e silente, moderna ma pur sempre borghese con la vetrinetta lustra e la polvere sotto il tappeto. La libertà dei 10 antifascisti torinesi è la libertà di noi tutti.
Dall’opuscolo Prove tecniche di regime - Torino tra Fabbrica e Luna Park
L'opuscolo da domani potrà essere scaricato a quest'indirizzo: http://www.antifaforever.netsons.org
Sarà inoltre disponibile al DIY il 2 3 4 giugno
www.antifaforever.netsons.org
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