Scontri di Buenos Aires domani gli autonomi marciano su S. Vittore.
Un consiglio ai milanesi: domani, se potete, state alla larga dal centro. Gli autonomi ritornano infatti in piazza, con un corteo da piazza Duomo sino al carcere di San Vittore. Manifestazione per reclamare la scarcerazione dei venticinque «prodi autonomi». Sì, proprio quelli arrestati dopo un sabato di guerriglia metropolitana in corso Buenos Aires. Ma stavolta non saranno soli: a fianco degli irriducibili dei centri sociali ci sono anche i loro supporter, da Rifondazione ai Cobas, dai Carc (comitato di appoggio alla resistenza comunista) alle mamme e papà. Già, i genitori dei venticinque fanno sapere che, domani, ci saranno pure loro: lì, in prima fila con uno striscione, «libertà per gli antifascisti arrestati l'11 marzo», che non racconta quello che è accaduto quel giorno. Le immagini delle edicole semi-bruciate, delle automobili distrutte, dei McDonald presi d'assalto e delle scene d'ordinaria violenza non saranno infatti riprodotte su volantini o manifesti. Impossibile perché, come sostengono online gli organizzatori, vanno fieri di quei «compagni antifascisti ben determinati» che «ad ogni carica della polizia rispondevano elevando barricate». Come dire: un esempio da imitare, da replicare non a parole «all'articolazione militare della destra e alla logica della pesantezza repressiva». Tentativo, dunque, di fare il replay dell'11 marzo, di costringere Milano a rivivere scene di guerriglia. E mentre il vicesindaco Riccardo De Corato denuncia «una forte e comprensibile preoccupazione per ciò che potrebbe nuovamente accadere», Filippo Penati finisce nel mirino dei genitori dei «prodi autonomi». Il presidente della Provincia è messo sott'accusa per aver definito «un errore» l'ospitalità per una conferenza stampa che l'amministrazione di via Vivaio ha concretizzato offrendo una sala a mamme, papà e difensori dei no global incarcerati: «Compito di ogni istituzione è anche quello di assumere in pieno la difesa dei diritti di tutte le persone. Lei, presidente Penati, con le sue affermazioni non ha difeso questi diritti e questo ci fa sentire ancora una volta amareggiati e un poco più soli». Nota senza replica da Palazzo Isimbardi, dove i fatti dell'11 marzo sono stati condannati «senza se e senza ma» e dove, tra l'altro, si vorrebbe installare all'ingresso di via Vivaio un monumento dedicato «alle vittime della violenza politica». E resta senza risposta anche l'appello pro-no global firmato dal segretario regionale di Rifondazione, Ezio Locatelli, indirizzato «alla sinistra e ai democratici di ogni schieramento» affinché «si levino presto altre voci» contro una «situazione sconcertante: che in venticinque siano in prigione da cento giorni». Nemmeno un rigo, ovviamente, sul materiale ritrovato al civico 15 di Buenos Aires dove trovarono rifugio quasi tutti gli arrestati: «Manici di accetta, scudi di protezione, pietre, un chilogrammo di chiodi da carpentiere, un tubo metallico utilizzabile come spranga e vari “mephisto“». Ah, il virgolettato è nell'ordinanza d'arresto del gip Enrico Manzi.
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