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Israele che fa?
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neurogreen Sunday, Jul. 16, 2006 at 12:10 PM |
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# Subject: Israele che fa? mazzetta
# Date: Sat, 15 Jul 2006 20:12:10 +0200
Il suicidio di Israele.
Israele attacca, ma paradossalmente rischia come non mai di andare incontro ad una vittoria di Pirro capace di metterne in discussione l'esistenza, o almeno l'esistenza del suo attuale assetto e della percezione della sua immagine anche presso le opinioni pubbliche amiche; nonostante molti politici occidentali stiano infatti sostenendo l'azione israeliana, con una decisione un tempo sconosciuta e con l'adesione anche di vasti settori della sinistra, è evidente che le giustificazioni addotte per l'aggressione al Libano siano ancora meno sostenibili di quelle grazie alle quali Bush invase l'Iraq.
Ogni guerra nasce dalla menzogna, dalla denuncia di un casus belli da prendere a pretesto e dalla costruzione dolosa di un nemico. L'invasione israeliana del Libano si giova della propaganda antislamica (o islamofobica) costruita negli ultimi anni dal mainstream globale da una parte e dalla menzogna sulla "minaccia" all'esistenza di Israele dall'altra, la falsa immagine di Israele "aggredito" dai cattivi musulmani che la"circondano". Cattivi che assediano questa autoproclamata, solitaria, oasi democratica nel Medioriente; poco importa che anche il Libano abbia un governo laico eletto democraticamente, così come la Palestina, tra poco gli apologeti d'Israele potranno ricominciare con la propaganda de "l'unica democrazia in Medioriente" perché i due governi non saranno più.
Nulla accade per caso quando si arriva alla guerra e non è difficile vedere nell'attuale situazione mediorientale un passaggio di staffetta tra gli Stati Uniti in difficoltà e i loro alleati israeliani. Quanto accade ora è stato sicuramente pianificato e previsto da molto tempo e probabilmente concertato tra i più alti gradi militari e politici dei due paesi. Tutto è già stato scritto da tempo nei piani dei think tank neoconservatori parecchio tempo fa.
Israele per parte sua non potrebbe comportarsi diversamente, poiché sono ormai parecchi anni che il paese è sotto il controllo di una diarchia militar-religiosa che può trovare il suo scopo solo nella guerra. Un filo ininterrotto lega il sabotaggio della pace di Oslo agli avvenimenti odierni. Nethanyau ponendo condizioni inaccettabili e al di fuori degli accordi ad Arafat sapeva di imboccare la via della prepotenza, paralizzando non solo il governo Clinton, ma ponendo le basi per il futuro intervento in Medioriente dell'amministrazione Bush allora alle porte.
Lo stesso filo conduce all'assassinio di Rabin, attraversa la passeggiata sulla Spianata delle Moschee di Sharon, l'accantonamento della Road Map, fino ai fatti recenti: l'annuncio dell'annessione unilaterale di parte dei Territori Occupati annunciata da Olmert e il bombardamento di Gaza e del Libano. Si tratta di un filo legato da una parte alla superiorità militare, dall'altra dalla tenuta di un'immagine a lungo costruita attraverso una massiccia propaganda, un tipo di filo che però nella storia non si è mai dimostrato a prova di rottura e che quando ha ceduto ha attirato su chi vi faceva affidamento la sventura e la condanna della storia.
Il problema principale di Israele è che il paese si fonda su un assetto costituzionale del tutto inadeguato alla situazione e allo stesso tempo si nutre di una cultura costruita su tre pilastri: una auto-rappresentazione dell'israeliano come di una vittima impegnata in un'eterna difesa da nemici che ne vogliono la distruzione attraverso una "soluzione finale" di tipo nazista; il totale disprezzo del diritto internazionale e dei diritti umani (degli altri) e infine la convinzione che Israele nasca ed esista per seguire un disegno divino.
Da queste premesse alla conseguenza della creazione di un paese perennemente militarizzato e profondamente razzista il passo è breve, da qui alla commissione di atti illegali e veri propri crimini contro l'umanità è un passo che è già stato compiuto. Il "destino manifesto" ha sempre trascinato le nazioni alla catastrofe e il rischio che Israele percorra la strada già percorsa dalla Germania e da altri sfortunati paesi non è un paradosso, ma la conseguenza più incombente che quanti vivono il sogno sionista dovrebbero preoccuparsi di affrontare con urgenza.
I governi che si sono succeduti da quello di Netanhyau a quello di Olmert hanno coltivato il sogno della soluzione di forza, aderendo al disegno dei neoconservatori americani con la speranza non troppo dissimulata di ottenere vantaggi territoriali e un dominio assoluto sul Medioriente. Purtroppo per Israele questo disegno è figlio di una destra occidentale non lontana da quella che tenne a battesimo ed allevò il nazismo. La propaganda americana non è molto diversa da quella nazista e pur coprendo le proprie azioni con alte dichiarazioni di principio è fondata principalmente sulla menzogna e sul razzismo.
La menzogna ha permesso di giustificare lo scatenamento della guerra in Medioriente, il razzismo costruito spargendo a piene mani la peggiore disinformazione sugli "islamici" è diventato lo strumento attraverso il quale ottenere il voto ed il sostegno della parte più retriva e disinformata delle opinioni pubbliche occidentali. Una propaganda, ancora una volta, molto simile a quella nazista, non a caso i musulmani sono stati accusati di voler conquistare il mondo (già sentita?) e di voler sottomettere gli infedeli, così come è evidente la costruzione continua di un numero infinito di false notizie riguardo a complotti, attentati ed intenzioni criminali, costruite a tavolino tra le scrivanie dei servizi segreti e le redazioni di un mainstrem più che compiacente e disponibile a farsi acritico megafono della superiorità occidentale, una storia che va dalle balle sulle armi di distruzione di massa, passa per i numerosi Lincoln Group che hanno pagato la stampa irachena e termina ai giorni nostri con le sinergie tra i servizi segreti italiani e utili giornalisti e testate schierate sul fronte dello "scontro tra civiltà".
Il problema per Israele è rappresentato dal fatto che questo schema non ha mai retto all'esame della storia e che, prima o poi, ha mostrato di essere irrealizzabile travolgendo chi vi aveva riposto fiducia e portando alla rovina le popolazioni che ne erano state sedotte. Non è la retorica del "pueblo unido que mas sera vencido" a condannare questo schema di dominio, ma una sua debolezza intrinseca, in quanto per realizzarsi e mantenersi richiede la mobilitazione perenne di una quantità di risorse, anche intellettuali, che si è dimostrata insostenibile.
Oggi Israele si trova a dover coprire il fallimento statunitense e a dare nuovo impulso al piano di devastazione del Medioriente. Ci è arrivato perché lo ha voluto e progettato, non si può pensare che con la posta in gioco la dirigenza israeliana abbia navigato a vista. In questo senso non è difficile leggere un unico piano che va dall'omicidio di Hariri (che ha costretto la Siria ad abbandonare il Libano) all'escalation contro i palestinesi. L'ipocrita "piano di ritiro", che grazie alla compiacenza dei media globalizzati è stato spacciato come un passo verso la pace e non come l'arrogante annessione unilaterale che è in realtà, non è stato seguito infatti da gesti di distensione verso i palestinesi, ma al contrario da una escalation di aggressioni e di vessazioni.
Nonostante la rinuncia dei palestinesi agli attentati contro i civili, Israele ha infatti trasformato Gaza in una prigione a cielo aperto, sulla quale ogni tanto lanciare missili per assassinare i dirigenti palestinesi e quanti si trovassero a passare di lì per caso. La gestione della propaganda israeliana chiama queste carneficine "esecuzioni mirate", così come chiama le colonie illegali "insediamenti" o il muro dell'apartheid "barriera difensiva. Al di là di questi artifici semantici la realtà sul campo ci racconta che gli ultimi avvenimenti non sono una reazione difensiva, ma un'escalation cercata e voluta. Il sistematico ricorso alla menzogna che ha sollevato indignazione anche recentemente, quando dopo aver provocato una carneficina tra le famiglie palestinesi in spiaggia una "inchiesta" israeliana ha concluso che la responsabilità fosse di una mina di Hamas. Un tentativo pietoso che ha retto giusto il tempo della pubblicazione nella "notizia" e dell'immediata smentita alla quale anche fonti israeliane sono state costrette dall'assurdità di un'invenzione del genere.
Il lancio, che dura da anni, dei quasi innocui (sono proiettili poco potenti e precisi) razzi Kassam da Gaza ha determinato una rappresaglia sulla popolazione civile (che è vietata dalle leggi internazionali) che si è risolta in numerose stragi. Una conseguente azione militare dei palestinesi, che hanno attaccato i militari israeliani catturandone uno, ha determinato una rappresaglia ancora più violenta che ha portato all'invasione e alla devastazione di Gaza, un territorio nel quale ormai milioni di persone vivono recluse prive di elettricità e dei servizi minimi essenziali.
A questo è seguita un'analoga azione degli aderenti ad Hezbollah alla frontiera Nord, che hanno attirato in territorio libanese le pattuglie israeliane e catturato (non si tratta di un rapimento, come non lo è stato il precedente) altri due militari. Questa azione, militarmente insignificante, è stata presa a pretesto per il bombardamento su larga scala del Libano, provocando anche qui una carneficina tra i civili e demolendo le infrastrutture di un paese sovrano che non aveva l'intenzione e ancora meno la possibilità di nuocere ad Israele.
Mentre il conflitto minaccia a parole di allargarsi alla Siria e all'Iran, monta l'evidenza del fatto che Israele stia in realtà correndo verso il baratro. Mentre vince Israele si scava una scomoda fossa, nella quale il paese potrebbe ritrovarsi all'improvviso al primo scossone della storia. Israele al momento è uno stato confessionale che discrimina gravemente i suoi cittadini in base alla religione, che occupa illegalmente da decenni territori oltre i suoi confini, che attacca e distrugge le infrastrutture civili dei paesi vicini, viola il loro spazio aereo (anche quello della Siria) e gestisce ed amministra quello che a tutti gli effetti è il più vasto campo di prigionia del pianeta, composto dalla striscia di Gaza e dai Bantustan circondati dal Muro in Cisgiordania.
Tutto questo sembra sostenibile perché esiste il supporto americano, ma è un sostegno che può essere considerato eterno?
La risposta negativa a questa domanda apre scenari che la dirigenza israeliana, come quella ebraica nel mondo, sembrano non valutare affatto. Gli americani e i loro alleati sembrano determinati a mantenere una lunga permanenza militare in Medioriente, ma la loro determinazione potrebbe non essere sufficiente. Anche per gli Stati Uniti questa guerra diventa sempre più onerosa, e il fondo del barile è già stato raschiato da tempo. Ci sono già stati episodi che hanno segnalato come sia viva negli USA la consapevolezza di aver perso in Iraq e anche se vi verranno mantenute alcune basi militari sine die e il paese diventerà una polveriera, qualcuno sarà chiamato a rendere conto di questa avventura dai costi incalcolabili. Costi sostenuti prima di tutto dai contribuenti americani, poco sensibili ai civili morti altrui, ma molto sensibili al prezzo del gallone e al costo della vita o alle tasse necessarie per coprire i buchi lasciati dai voraci contractors e dagli amici di Bush.
Il vero problema di Israele è che rischia di ritrovarsi con il Medioriente in fiamme e con il cerino in mano. Israele ha goduto dell'appoggio della destra globalizzata accogliendolo acriticamente, godendone i vantaggi temporanei, ma senza valutarne le possibili conseguenze.
La conseguenza più grave è che, di fronte all'insostenibilità della guerra, le destre occidentali trovino proprio in Israele il capro espiatorio sul quale scaricare le responsabilità di questa ennesima carneficina di stampo colonialista. Già in occasione della condanna di alcuni funzionari americani accusati di aver spiato a favore di Israele e di aver diffuso notizie false in merito a presunti pericoli islamici c'è stato chi, nella destra americana, ha cominciato a dire che la guerra è stata cominciata per "colpa degli ebrei". Anche il recente studio di due professori di Harvard, che ha illuminato (enfatizzandola) l'influenza della c.d. Lobby Ebraica all'interno dell'Amministrazione USA è stato letto da molti commentatori come la posa del primo mattone di una prossima "exit strategy" fondata sull'esibizione del capro espiatorio ebraico.
Cosa rimarrebbe di Israele in tal caso? L'immagine residua di Israele non potrebbe essere che quella di un paese "canaglia", fortemente militarizzato, autore di estesi e continuati crimini contro i diritti umani, tirannicamente impegnato a martirizzare i palestinesi e a vessare i vicini. Il capitale morale rappresentato dalla Shoà, il peccato originale dell'Occidente nei confronti dell'ebraismo, verrebbe azzerato ed Israele si troverebbe a dover gestire una percezione della sua immagine molto vicina a quella che fu del Sudafrica dell'apartheid, paese con il quale ha in passato condiviso molto, non solo le ricerche atomiche.
Questo scenario non è improbabile, ed è confermato anche dall'entusiasta adesione delle destre al disegno di Olmert. Per le tradizionali destre venate di razzismo si tratta di una win-win solution, perché i piani israeliani possono portare al consolidamento del potere coloniale occidentale in Medioriente o alla definitiva diffamazione della visione sionista, accostando le pretese e le azioni ebraiche a quelle delle tanto vituperate dittature nazifasciste uscite sconfitte dalla Seconda Guerra Mondiale: una evenienza che in qualche maniera ne gratificherebbe la loro ostilità verso l'ebraismo, incapace di mostrarsi moralmente superiore ai fascismi europei e a quello neoconservatore.
Con questo si spiegherebbe anche la scelta di campo di politici come Gianfranco Fini e di partiti come AN, che da un lato possono esibire la tradizionale muscolarità in politica estera, dall'altra godere del fatto che un fallimento delle loro politiche porterà a una parziale smacchiatura dell'album di famiglia e alla rovina delle aspettative ebraiche.
Mai come ora il pericolo per Israele è rappresentato dagli interessi occidentali, mai come ora quello che sembra un trionfo destinato ad assicurare al paese la supremazia in Medioriente potrebbe rivelarsi una trappola verso la quale la dirigenza israeliana, formatasi alla scuola della guerra e cresciuta tormentata dalla sindrome dell'assedio, corre con suprema incoscienza ed arroganza.
Il futuro per Israele non è roseo, se dovesse mancare il sostegno americano svanirebbe anche quello che ancora residua in Europa (tanto vistosamente in calo che il premier finlandese, presidente di turno dell'Unione ha dichiarato che Israele informa le sue rappresaglie a una legge peggiore di quella del taglione: " Questa è la legge di venti occhi per un occhio") e il paese si troverebbe isolato a fare i conti con una grave crisi economica, un saldo migratorio negativo, una composizione sociale nella quale è sempre più invadente la presenza di gruppi religiosi estremisti e fanatici; senza considerare che Israele non dispone di risorse naturali tali da renderlo autosufficiente.
In questa prospettiva ad Israele toccherebbe sedere per la prima volta sul banco degli accusati dalla comunità internazionale, una eventualità finora evitata, ancora con arroganza, grazie alla protezione del diritto di veto americano, ma assolutamente plausibile, visto che fino ad ora negli ultimi decenni le risoluzioni ONU di condanna al paese hanno raccolto oltre un centinaio di voti a favore e qualche unità contro. Purtroppo come sempre in questi casi, le sirene della propaganda assordano le opinioni pubbliche e le voci delle persone sagge (che ovviamente esistono anche tra gli israeliani e tra gli ebrei) risultano flebili ed inascoltate, incapaci di fermare la macchina lanciata verso l'ecatombe.
Nulla di nuovo sotto il sole, all'alba del nuovo millennio i popoli vengono ancora facilmente illusi che si possano imporre i propri disegni ad altri utilizzando la violenza e la menzogna, anche se fin dall'antichità si sa benissimo che violenza e menzogna non possono essere i pilastri sui quali fondare i progressi sociali e quelli della convivenza tra i popoli. Ancora oggi l'esercizio continuato della violenza ha costi insostenibili, anche per chi la pratica; ancora oggi le menzogne non sono eterne e prima o poi chi ne ha tratto vantaggio viene chiamato a pagarne il prezzo.
Il prezzo che Israele sarà chiamato a pagare rischia di essere molto grande, più grande di quanto qualsiasi israeliano (come già è accaduto ad altri cittadini qualsiasi di paesi che hanno riposto la loro fiducia nell'esercizio della loro supremazia militare) abbia mai potuto immaginare. Tra le tante massime coniate da Von Clausewitz, quella meno ricordata è l'affermazione per la quale la guerra è sempre un evento impredicibile, un evento che è possibile pianificare, ma che ha sempre un esito assolutamente indipendente dalle aspettative che l'hanno generata. Purtroppo pochi in Israele riescono a capire che una guerra che li vede già vincitori potrebbe scivolare nell'imprevisto e presentare loro un conto molto più salato di quanto sarebbero stati disposti a pagare.
http://liste.rekombinant.org/wws/arc/neurogreen/2006-07/msg00215.html
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allora
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Americano Sunday, Jul. 16, 2006 at 4:29 PM |
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E' vero, i due governi sono stati eletti. In palestina, Hamas non riconosce l'esistenza d' Israele. In Libano Hezbollah, che fa parte del governo, si e' armato pesantemente (in Italia c'e' un partito armato?). Hamas ordina lanci di missili e vanno in Israele ad attaccare una pattuglia israeliana, uccidono due soldati e ne rapiscono uno. Hezbollah entra in Israele e fa altrettanto. Il problema era, per anni l'occupazione, ora che gli israeliani si sono ritirati da gaza e promettono di lasciare anche la cisgiordania qual'e' il problema ora? Israele messa contro il muro dai terroristi, minacciata dall'iran che la vuol cancellare dalla faccia della terra, da hamas che vuole tutta Israele e circondata da 450,000,000 di arabi che deve fare?. Muoia sansone con tutti i filistei? Non vi andrebbe bene perche' vi piacerebbe che muoia solo sansone con tutti gli ebrei.
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per favore coglione americano...
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sssssssshhh Sunday, Jul. 16, 2006 at 4:40 PM |
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da aprile, all'epoca ultima vittime palestinese, Israele aveva ucciso quasi 200 palestinesi, prima che rapissero il soldato. per quello hanno bombardato 4 milioni di persone e rapito metà governo, quello che non piaceva a loro
sssshhhh americano, non è roba per sciacalli deficienti come te, vai dietro la lavagna e fai silenzio, parte del sangue che si sta versando in queste ore ricade anche su gente come te, ssshhh......fai silenzio e porta almeno rispetto ai morti, se proprio non ti riesce di rispettare la vertià
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Lo e' gia'.....
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Olokaustico Sunday, Jul. 16, 2006 at 5:28 PM |
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"..L'immagine residua di Israele non potrebbe essere che quella di un paese "canaglia", fortemente militarizzato, autore di estesi e continuati crimini contro i diritti umani, tirannicamente impegnato a martirizzare i palestinesi e a vessare i vicini..."
Paese "canaglia" israele lo E' gia'. NEI FATTI.
Altro che "immagine residua"...!!!
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la storia giudicherà
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Israele stato canaglia Monday, Jul. 17, 2006 at 12:23 PM |
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evidentemente gli ebrei preferiscono opprimere che preoccuparsi della loro reputazione nella storia, di sicuro dopo atti come questi faranno molta fatica a far passare israele come la vittima dei cattivi musulmani e dovranno sudare sette camicie per non finire sul banco degli accusati di crimini contro i diritti umani e crimini di guerra
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cretino
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al yahud u akhbar Monday, Jul. 17, 2006 at 9:06 PM |
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"evidentemente gli ebrei preferiscono opprimere che preoccuparsi della loro reputazione nella storia" Sei un GRANDE CRETINO Gli ebrei preferiscono difendersi ed assicurarsi che la storia non si ripeta. Imbecille! Ahmadinedjan ha detto che vuol far sparire israele dalla faccia della terra.
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ma che pena
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israele=ebrei???? aha eccoci qua Monday, Jul. 17, 2006 at 10:00 PM |
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" Gli ebrei preferiscono difendersi ed assicurarsi che la storia non si ripeta. Imbecille! Ahmadinedjan ha detto che vuol far sparire israele dalla faccia della terra. "
ma insomma far sparire israele non vuol dire far sparire gli ebrei......
se poi si vuole propagandare un'idea simile..prego ..ma é da c.
hamas é stata sponsorizzata e aiutata da israele e questo é noto...
posso solo dire che per fortuna vostra quei due non gli ho rapiti io..... bombarderebbero l'italia roma milano ecc...?
e che la stampa oramai sia di parte si sa o..no?
non ho parole per la miseria morale che accompagna sta storia........
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Carter: è inumano e controproducente punire i civili
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Carter said Tuesday, Aug. 01, 2006 at 10:06 PM |
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Stop the Band-Aid Treatment We Need Policies for a Real, Lasting Middle East Peace
By Jimmy Carter Tuesday, August 1, 2006; Page A17
The Middle East is a tinderbox, with some key players on all sides waiting for every opportunity to destroy their enemies with bullets, bombs and missiles. One of the special vulnerabilities of Israel, and a repetitive cause of violence, is the holding of prisoners. Militant Palestinians and Lebanese know that a captured Israeli soldier or civilian is either a cause of conflict or a valuable bargaining chip for prisoner exchange. This assumption is based on a number of such trades, including 1,150 Arabs, mostly Palestinians, for three Israeli soldiers in 1985; 123 Lebanese for the remains of two Israeli soldiers in 1996; and 433 Palestinians and others for an Israeli businessman and the bodies of three soldiers in 2004.
This stratagem precipitated the renewed violence that erupted in June when Palestinians dug a tunnel under the barrier that surrounds Gaza and assaulted some Israeli soldiers, killing two and capturing one. They offered to exchange the soldier for the release of 95 women and 313 children who are among almost 10,000 Arabs in Israeli prisons, but this time Israel rejected a swap and attacked Gaza in an attempt to free the soldier and stop rocket fire into Israel. The resulting destruction brought reconciliation between warring Palestinian factions and support for them throughout the Arab world.
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Hezbollah militants then killed three Israeli soldiers and captured two others, and insisted on Israel's withdrawal from disputed territory and an exchange for some of the several thousand incarcerated Lebanese. With American backing, Israeli bombs and missiles rained down on Lebanon. Hezbollah rockets from Syria and Iran struck northern Israel.
It is inarguable that Israel has a right to defend itself against attacks on its citizens, but it is inhumane and counterproductive to punish civilian populations in the illogical hope that somehow they will blame Hamas and Hezbollah for provoking the devastating response. The result instead has been that broad Arab and worldwide support has been rallied for these groups, while condemnation of both Israel and the United States has intensified.
Israel belatedly announced, but did not carry out, a two-day cessation in bombing Lebanon, responding to the global condemnation of an air attack on the Lebanese village of Qana, where 57 civilians were killed this past weekend and where 106 died from the same cause 10 years ago. As before there were expressions of "deep regret," a promise of "immediate investigation" and the explanation that dropped leaflets had warned families in the region to leave their homes. The urgent need in Lebanon is that Israeli attacks stop, the nation's regular military forces control the southern region, Hezbollah cease as a separate fighting force, and future attacks against Israel be prevented. Israel should withdraw from all Lebanese territory, including Shebaa Farms, and release the Lebanese prisoners. Yet yesterday, Prime Minister Ehud Olmert rejected a cease-fire.
These are ambitious hopes, but even if the U.N. Security Council adopts and implements a resolution that would lead to such an eventual solution, it will provide just another band-aid and temporary relief. Tragically, the current conflict is part of the inevitably repetitive cycle of violence that results from the absence of a comprehensive settlement in the Middle East, exacerbated by the almost unprecedented six-year absence of any real effort to achieve such a goal.
Leaders on both sides ignore strong majorities that crave peace, allowing extremist-led violence to preempt all opportunities for building a political consensus. Traumatized Israelis cling to the false hope that their lives will be made safer by incremental unilateral withdrawals from occupied areas, while Palestinians see their remnant territories reduced to little more than human dumping grounds surrounded by a provocative "security barrier" that embarrasses Israel's friends and that fails to bring safety or stability.
The general parameters of a long-term, two-state agreement are well known. There will be no substantive and permanent peace for any peoples in this troubled region as long as Israel is violating key U.N. resolutions, official American policy and the international "road map" for peace by occupying Arab lands and oppressing the Palestinians. Except for mutually agreeable negotiated modifications, Israel's official pre-1967 borders must be honored. As were all previous administrations since the founding of Israel, U.S. government leaders must be in the forefront of achieving this long-delayed goal.
A major impediment to progress is Washington's strange policy that dialogue on controversial issues will be extended only as a reward for subservient behavior and will be withheld from those who reject U.S. assertions. Direct engagement with the Palestine Liberation Organization or the Palestinian Authority and the government in Damascus will be necessary if secure negotiated settlements are to be achieved. Failure to address the issues and leaders involved risks the creation of an arc of even greater instability running from Jerusalem through Beirut, Damascus, Baghdad and Tehran.
The people of the Middle East deserve peace and justice, and we in the international community owe them our strong leadership and support.
Former president Carter is the founder of the nonprofit Carter Center in Atlanta.
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It's about annexation, stupid!
It's about annexation
It's about annexation, stupid!
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atimes Friday, Aug. 04, 2006 at 6:28 PM |
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It's about annexation, stupid! By Kaveh L Afrasiabi
Officially, Israel's ground invasion of Lebanon is an act of self-defense against Hezbollah's threat, aimed at creating a security buffer zone until the arrival of a "multinational force with an enforcement capability". But increasingly, as the initial goal of a narrow strip of only a few kilometers has now been extended up to the Litani River deep in Lebanon, the real motives behind Israel's invasion are becoming crystal-clear.
It's about (de facto) annexation, stupid. This is a war to annex a major chunk of Lebanese territory without necessarily saying so, under the pretext of security buffer and deterrence against future attacks on Israel.
Already, since the Six Day War, Israel has annexed the Sheba Farms, considered part of the Syrian Golan Heights, although the
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government of Lebanon has long complained that the 25-square-kilometer area was a part of Lebanon. Now the Israeli army is sweeping the area south of the Litani River as a temporary occupation.
"We have no intention of extending our operation more than 70 kilometers north of our borders with Lebanon," stated Lieutenant-Colonel Hemi Lini on the Lebanese border on July 17, one week after the war's outbreak.
This would put Israel, assuming for a moment that the Israel Defense Forces' operations prove ultimately successful, in control of the Litani River, thus fulfilling Israel's founding fathers' dream, stretching back to Chaim Weizmann, head of the World Zionist Organization, who in 1919 declared the river "essential to the future of the Jewish national home".
Consequently, contrary to the pro-Israel pundits' reassurances that this war is not about occupation, all the tangible signs indicate the exact opposite, ie, the distinct possibility of a "war of acreage" whereby Israel would expand its territory, acquire a new strategic depth, and simultaneously address its chronic water shortage by exploiting the Litani.
Access to the Litani would translate into an annual increase of water supply by 800 million cubic meters. This in turn might allow Israel to bargain with Syria over the Golan Heights, source of a full one-third of Israel's fresh water. However, a more likely scenario is Israel's continued unwillingness to abide by United Nations Resolutions 242 and 338 calling for its withdrawal from the Syrian territories.
The entire Western media have settled on a naive perspective of the reasons for Israel's invasion of Lebanon, namely as a defensive measure against Hezbollah. Conspicuously absent is any serious consideration of a viable, alternative explanation while focusing on, in essence, the same ingredients as in the 1982 invasion: "deceit and misleading statements" by leaders, "inaccurate announcements" by the military spokesmen, and "gross exaggeration" of threats, to paraphrase a candid reflection of an Israeli general, Yehoshafat Harkabi.
Following this scenario, Israel has dropped leaflets throughout southern Lebanon warning the civilians to leave or risk their lives, as they would be considered "Hezbollah sympathizers" if they refused to leave. Reminiscent of Israel's annexation of Palestinian lands in 1948 and beyond, the present war is causing mass refugees, who in all likelihood will not return to their homes any time soon.
The geostrategic and water dimensions of Israel's quest to possess southern Lebanon notwithstanding, the question is, of course, whether or not the world community will tolerate such a development that would remake the map of the Middle East.
There are plenty of reasons to think that in light of the United States' complicit silence on Israel's violation of the territorial integrity of Lebanon, Israel will somehow manage to ride out the international criticisms and stick to its undeclared plan to annex southern Lebanon. However, what is less certain is that the combined efforts of Hezbollah and the rest of Lebanese society, not to mention other Arab contributions, will prevail over Israel's appetite for a decent part of Lebanon.
With the military balance disproportionately in Israel's favor, we can safely assume that the new Operation Litani will succeed and thus create a "new Middle East" with a "greater" and geographically expanded Israel and a shrunken or diminished Lebanon.
If so, then the chronology of events narrated by future historians will closely follow this line of thought: that Israel deliberately provoked Hezbollah into action, after a six-year hiatus, by pressuring Hezbollah's ally, Hamas, which was subjected to a campaign of terror, financial squeeze and intimidation.
The laying of such a trap by Israel would not have happened in a vacuum of strategic thinking on Israel's part. The fact that Hezbollah fell into the trap is a result of several factors, including an adventurist element lending itself to the "reckless" action of Hezbollah on July 11 with respect to crossing the Blue Line and attacking an Israeli patrol.
Since then, the Israelis have put on the mask of being reluctant warriors, delaying their troops' entry into south Lebanon and thus perpetuating Israel's self-image as disinterested in any imperial grand objectives. Yet the facts on the ground speak louder than words and, indeed, what fact is more important than Israeli leaders' announced intention to occupy up to the Litani River?
Again, what is understandably omitted in those announcements, adopted as the real reasons by CNN and other US networks, is Israel's predatory lust after Litani's water sources, as well as for new geographical and strategic depth. This in turn might explain the otherwise inexplicably blatant overreaction of Israel to a border incident with Hezbollah.
Instead of searching for answers in the Israeli collective psyche or in the context of action, we must probe the answer in the writings of Israel's founding fathers, including Theodor Herzl and David Ben-Gurion, commonly yearning for Israel's control of the Litani River. As a timely addition to their old wish, Israel today has a security-related explanation, justifying the territorial takeover in the near future in terms of the lessons of the present war, the main lesson being Israel's dire need to gain strategic depth to avoid rocket attacks.
Indeed, the verdict will soon be out in Israel about the precious lesson of Lebanon War II, that is, how to prevent future rocket attacks in the only feasible way, that is, direct control of southern Lebanon.
Kaveh L Afrasiabi, PhD, is the author of After Khomeini: New Directions in Iran's Foreign Policy (Westview Press) and co-author of "Negotiating Iran's Nuclear Populism", Brown Journal of World Affairs, Volume XII, Issue 2, Summer 2005, with Mustafa Kibaroglu. He also wrote "Keeping Iran's nuclear potential latent", Harvard International Review. He is author of Iran's Nuclear Program: Debating Facts Versus Fiction.
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Tutti sosterranno di esser stati contrari a questa guerra fin dall'inizio.
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Avnery Friday, Aug. 11, 2006 at 7:39 PM |
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29 giorni di bombe, non un obiettivo raggiunto: Israele rovescia il motto di Clausewitz Vittime dei miti Il fallimento bellico frutto dell'arroganza e del disprezzo del governo e dei militari nei confronti dei combattenti arabi Illusioni «unilaterali» Non c'è pace possibile senza trattare con chi fa la guerra: palestinesi, libanesi e siriani, Hamas ed Hezbollah
Appena finirà la guerra verrà il giorno dei lunghi coltelli. Tutti, politici e militari, daranno la colpa a qualcun altro. I politici si daranno la colpa a vicenda. I generali lo stesso. I politici daranno la colpa ai generali. E, soprattutto, i generali daranno la colpa ai politici. Dopo ogni guerra, quando i generali falliscono, comincia a circolare la leggenda della «pugnalata alle spalle»: se soltanto i politici non avessero fermato l'esercito proprio quando era sul punto di realizzare la sua gloriosa, storica, devastante vittoria....
E' quel che successe in Germania dopo la Prima guerra mondiale, e dalla leggenda nacque il movimento nazionalsocialista. E' quel che successe in America dopo il Vietnam. E' qualche succederà qui: è già nell'aria. La verità è che, finora, al ventinovesimo giorno di guerra, sul piano militare non è stato raggiunto un solo obiettivo. Lo stesso esercito che impiegò sei giorni per mettere a tappeto tre grossi eserciti arabi nel 1967 non ce l'ha fatta a sgominare un piccola organizzazione «terrorista» in un lasso di tempo ormai più lungo di quello della guerra dello Yom Kippur. Allora, l'esercito ci mise venti giorni a trasformare una sconfitta senza precedenti in una sonora, indimenticabile vittoria militare. Sperando di dare l'idea di un qualche successo militare, i portavoce dell'esercito ci dicono che «abbiamo ucciso 200 (o 300, o 400, chi tiene più il conto?) dei 1000 guerriglieri Hezbollah». L'affermazione che l'intero terribile esercito Hezbollah consti soltanto di un migliaio di combattenti parla da sola. Stando ai corrispondenti, il presidente Bush è frustrato. L'esercito israeliano non gli è stato molto utile. Bush li ha mandati alla guerra credendo che il più potente degli eserciti, equipaggiato con le più potenti fra le armi americane, avrebbe finito il lavoro in qualche giorno, eliminando Hezbollah, consegnando il Libano alle redini americane, indebolendo l'Iran e magari facendo pure strada ad un cambio di regime in Siria. Ovvio che ora Bush sia arrabbiato. Ehud Olmert è anche più arrabbiato. E' andato alla guerra di gran carriera ed a cuor leggero, perché i generali dell' Aviazione gli avevano promesso di distruggere Hezbollah e i loro razzi in pochi giorni. Adesso è impantanato e senza prospettive di vittoria. Come al solito, al termine dei combattimenti (ma forse anche prima), comincerà la Guerra dei Generali. Già ne emergono le prime linee. I comandanti delle forze terrestri già incolpano il Comandante in capo e tutta l'Aviazione che, intossicata dal potere, aveva giurato di vincere tutto con le proprie forze: di bombardare, distruggere ponti, strade, quartieri residenziali, villaggi e... finito!
I seguaci del Comandante in capo e dell'Aviazione incolperanno le forze terrestri, soprattutto il Comando Nord. I loro portavoce nei media già dichiarano che è un comando zeppo di ufficiali inetti, sbattuti lassù soltanto perché al nord si stava tranquilli mentre tutta la vera azione era al sud (Gaza) ed al centro (Cisgiordania). Già circolano le prime insinuazioni sul capo del Comando Nord, Udi Adam, che sarebbe stato nominato soltanto perché suo padre, Kuti Adam, venne ucciso durante la prima guerra libanese.
Più o meno tutte queste accuse sono fondate: questa guerra è fatta di fallimenti militari - per cielo,per terra e per mare. Sono fallimenti radicati nella tremenda arroganza nella quale siamo stati cresciuti, ormai nostro carattere dominante. Caratteristico delle nostre forze armate, raggiunge l'apice nell' Aviazione. Per anni ci siamo detti che abbiamo l'esercito più-più-più del mondo intero. E non soltanto ci siamo convinti fra di noi, ma anche Bush ed il resto del mondo. Uno degli obiettivi dichiarati di questa guerra doveva essere proprio quello di riabilitare il potere deterrente dell'esercito israeliano. L'abbiamo proprio mancato. Perché, cosa è successo?
Il problema è che l'altro aspetto della nostra arroganza è costituito dal disprezzo nei confronti degli arabi. Adesso i nostri soldati stanno imparando a loro spese che i «terroristi» sono combattenti duri ed assai motivati, non un branco di drogati persi a sognare le loro vergini in paradiso. Ma al di là dell'arroganza, c'è un problema militare di fondo: è semplicemente impossibile vincere una guerra contro la guerriglia. L'abbiamo già visto restando per 18 anni in Libano. Poi ci siamo inevitabilmente arresi al ritiro. Adesso, dio solo sa cosa ha dato a questi generali l'infondata sicurezza nel ritenersi in grado di riuscire dove i loro predecessori hanno fallito. E soprattutto: nemmeno il miglior esercito al mondo potrebbe vincere una guerra priva di precisi obiettivi. Karl Von Clausewitz, guru della scienza militare, ha detto che «La guerra non è altro che il proseguimento della politica con altri mezzi». Olmert e Peretz, due totali dilettanti, hanno rigirato il tutto: «la guerra non è altro che la continuazione dell' assenza di politica con altri mezzi». Chiaramente è un problema di leadership politica. Quindi le colpe principali verranno deposte ai piedi dei due gemelli siamesi, Olmert e Peretz. Hanno ceduto alla tentazione del momento trascinando tutto il paese in guerra - una decisione intempestiva, sconsiderata e priva di scrupoli. Come ha già scritto Nehemia Strassler in «Haaretz»: si sarebbero potuti fermare dopo due o tre giorni, quando tutto il mondo asseriva che la provocazione di Hezbollah giustificava la risposta israeliana e nessuno ancora dubitava della potenza del nostro esercito. L'intera operazione sarebbe apparsa sensata, sobria e proporzionata.
Ma Olmert e Peretz non sono riusciti a fermarsi. Come due babbei, non si sono resi conto che delle millanterie dei generali non ci si può fidare, che neanche i più brillanti piani militari sono degni della carta sulla quale sono scritti, che in guerra l'imprevedibile va previsto, che niente è più effimero delle glorie di guerra. Intossicati dalla fama di guerra, istigati da un gregge di giornalisti scodinzolanti, la gloria di condottieri ha dato loro alla testa. Olmert si è eccitato coi suoi stessi discorsi così incredibilmente kitch, provati e riprovati di fronte ai suoi tirapiedi. Quanto a Peretz, sembra quasi si sia messo di fronte allo specchio a rimirarsi già come fosse il prossimo Primo ministro, il prossimo Mister security, un nuovo Ben Gurion. Così, come i due idioti del villaggio, si sono messi alla testa di questo carnevale di folli, diritti verso il fallimento politico e militare. Ne pagheranno il prezzo un volta finita la guerra. Come andrà a finire questo disastro?
All'inizio della guerra il governo ha furiosamente respinto qualsiasi ipotesi di dispiegamento di forze internazionali al confine. L'esercito riteneva che una simile forza avrebbe ostacolato le sue operazioni e neanche sarebbe bastata per proteggere Israele. Adesso, improvvisamente, il dispiegamento di una simile forza è diventato uno dei motivi principali di questa guerra. Il che costituisce, naturalmente, una scusa un po' triste; qualsiasi forza internazionale potrà essere dispiegata soltanto previo accordo con Hezbollah. Nessun paese spedirebbe i propri uomini a combattere contro la popolazione locale. E dappertutto, al confine, gli sciiti faranno ritorno ai propri villaggi - compresi i guerriglieri Hezbollah. Quindi, la forza di peacekeeping sarà totalmente subordinata agli accordi con Hezbollah. Altrimenti, basterà l'esplosione di una bomba sotto un bus pieno di fracesi, ed ecco levarsi l'urlo da Parigi: «Riportate a casa i nostri ragazzi!». Come è successo quando vennero bombardati a Beirut i marines americani. I tedeschi, poi, che hanno scioccato il mondo opponendosi al cessate-il-fuoco, figuriamoci se manderanno i soldati al confine con Israele. Ma, ancora più importante: niente impedirà ad Hezbollah di lanciare i propri razzi sopra le teste della forza internazionale, come e quando vorranno. E allora, che farà la forza di peacekeeping? Conquisterà tutta l'area fino a Beirut? Ed Israele che farà?
Olmert vuole che la forza internazionale si occupi di controllare anche il confine siro-libanese. Il che è, ovviamente, illusorio, trattandosi di un confine che si estende per l'intero nord-est del Libano: chiunque voglia infiltrare armi dovrà soltanto tenersi lontano dai principali raccordi stradali, che poi saranno gli unici ad essere pattugliati. Dopodiché ci saranno centinaia di stradine percorribili. Con la dovuta tangente, tutto è fattibile in Libano.
Dunque, alla fine di questa guerra, ci ritroveremo più o meno allo stesso punto di prima quando ancora non erano stati uccisi un migliaio di libanesi e molti israeliani, prima dello sfratto di un milione di esseri umani dalle proprie case, prima della distruzione di migliaia e migliaia di case fra Libano ed Israele. Dopo la guerra, l'entusiasmo scemerà, gli abitanti del nord torneranno alle loro case leccandosi le ferite, l'esercito aprirà un'inchiesta sui propri fallimenti.
Tutti sosterranno di esser stati contrari a questa guerra fin dall'inizio. L'unica soluzione che si profila dunque è: cacciar via Olmert, far fare le valigie a Peretz e licenziare Halutz. E finalmente imbarcarsi in un nuovo corso politico, l'unico che possa veramente risolvere tutti i problemi: negoziare con i palestinesi, con i libanesi e con i siriani. E con Hamas ed Hezbollah. Perché la pace la si fa soltanto con i nemici.
Ury Avenery
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i nazisti
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libera-mente Saturday, Aug. 12, 2006 at 5:15 PM |
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Se qualcuno venisse in casa vostra, per un qualsiasi motivo, vi sterminasse violentasse distruggesse con infamia la casa e la famiglia voi riuscireste a non essere incazzati? Voi che vi rivolgete alle autorità solo perchè avete subito uno scippo? Quanto credete che valga la dignità di una persona Quanto pensate si possano comprendere le ragioni di un popolo che ha deciso e pianificato la distruzione dei popoli confinanti. Vigliacchi che si fanno scudo di storie invantate e da loro stessi messe in atto per giustificare la loro vigliaccheria ben sapendo di avere il coltello dalla parte del manico perchè da nessuna parte gli verra mai contestato la loro vigliaccheria la loro arroganza,siamo tutti complici nel massacro. Facciamo spazio agli INVASORI E PER ASSOPIRE LA NOSTRA COSCIENZA FACCIAMO FINTA DI CREDERE A TUTTE LE STRONZATE CHE INVENTANO . ANDIAMO NAZISTI ANDIAMO A CONQUISTARE IL MONDO TANTO NOI LA GUERRA LA VEDIAMO PER TELEVISIONE E LA TELEVISIONE E' NELLE MANI DEGLI INVASORI. LA VERITA' PASSA POCO E QUEL POCO CHE PASSA LO DEVE FILTRARE LA TUA COSCIENZA.
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