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Articoli del Messaggero
by il messaggero Thursday, Aug. 31, 2006 at 2:55 PM mail:

vari articoli sull'omicidio di Focene

«Non sapevamo di aver ucciso l’abbiamo letto sui giornali»

di PAOLA VUOLO
«Non sapevamo che era morto. Non sapevamo di avere ucciso un uomo, l’abbiamo letto sui giornali». Confessano Vittorio Emiliani, 19 anni e Gabriele 17, (il nome è di fantasia), nella caserma dei carabinieri di Ostia, dove è di servizio il padre di Vittorio che è brigadiere. Piangono, e non si vergognano delle loro lacrime. Sono disperati e ripetono agli inquirenti che non volevano fare quello che hanno fatto, e dicono di non ricordare quasi nulla, giurano di non sapere chi ha ferito a morte col coltello Renato Biagetti. Vittorio e Gabriele ora sono qui, a tormentarsi per avere tolto la vita a un giovane di 26 anni, che prima di domenica scorsa neppure avevano mai visto.
«C’è stata la lite, questo lo ricordiamo, ci siamo anche picchiati, ma non ricordiamo della coltella che ha ucciso qul ragazzo». Vittorio ammette pure che l’arma del delitto è sua, un coltello a scatto che porta sempre con sé. Ma non aggiunge nulla che possa aiutare gli inquirenti a ricostruire la dinamica dell’omicidio.
«Non ricordo se ho colpito e come, sono confuso e non riesco a dire quello che è successo, dopo la lite e le botte siamo scappati, ma non avevamo avuto nemmeno il sospetto di avere ferito qualcuno, è terribile quello che è successo».
«Quello che è successo», stanno cercando di ricostruirlo gli inquirenti anche con le testimonianze. L’accusa è di concorso in omicidio volontario, Vittorio è rinchiuso nel carcere di Civitavecchia, Gabriele nel centro di prima accoglienza di via Virginia Agnelli. Dopo l’aggressione i due amici sono scappati con la Golf di Vittorio, Gabriele è tornato a casa, Vittorio ha girovagato per il litorale e quando è stato rintracciato era in stato confusionale.
«Non avevamo davvero capito quello che avevamo fatto». I due avevano bevuto qualche birra di troppo, e gli inquirenti stanno anche accertando se avessero preso delle droghe. Vittorio dice di non ricordare con precisione se il coltello lo aveva in tasca o se lo ha preso dalla macchina, però ha aiutato i carabinieri a ritrovarlo. «Ero spaventato e confuso», dice, «mi sono fermato vicino a un giardino pubblico, qui a Focene, ho sepolto il coltello e sono scappato».
I militari hanno rilevato le impronte digitali sull’arma, ci sono quelle di Vittorio, ma questo indizio non basta per dire con certezza che è stato lui che ha colpito al cuore Renato Biagetti. Il coltello è stato sotterrato e probabilmente altre impronte sono alterate o cancellate. Bisognerà aspettare i risultati di esami più approfonditi.
«Abbiamo distrutto le nostre vite», ripetono i ragazzi. E poi crollano, ancora una volta piangono, e il loro è il pianto disperato di chi sa di non avere più speranza.

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Il dramma del papà carabiniere che vede arrestare il figlio

Il brigadiere Giulio Emiliani ascolta muto i colleghi che gli dicono che hanno arrestato il figlio Vittorio con l’accusa di concorso in omicidio volontario. Gli inquirenti ritengono che sia colpevole, insieme con l’amico minorenne Gabriele, (il nome non è quello vero), della morte di Renato Biagetti, ucciso con una coltellata al cuore.
Domenica mattina Vittorio non è tornato a casa, e il padre non ha avuto sue notizie neppure il giorno dopo. Il brigadiere è preoccupato, c’è stato un omicidio a Focene, a due passi dalla sua casa, sa che i ragazzi ricercati viaggiavano su una Golf blu, la macchina è uguale alla sua e corrispondono anche alcuni numeri della targa che i testimoni hanno ricordato. Piano piano emergono altri particolari: uno dei giovani ricercati è moretto e zoppica, anche Vittorio zoppica, ha avuto un incidente con la moto qualche anno prima. Prima il sospetto, poi la conferma. Il giovane ricercato è proprio suo figlio. Quando rivede suo figlio è nella caserma dei carabinieri di Ostia, dove il brigadiere presta servizio. E cerca anche lui una spiegazione a quello che è successo, con senso del dovere e la morte nel cuore. E vede il suo Vittorio, entrare in questa caserma dove lui stesso, per anni, chissà quanti delinquenti ha portato. Guarda muto i colleghi che non trovano le parole per consolarlo. Perché il suo è un dolore inconsolabile, è la disperazione di un padre che sa di avere un figlio accusato di omicidio, nonostante la sua vita dedicata alla legge. Ed è come se avesse fallito due volte.

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Il più grande lavorava come guardia notturna, l’altro studiava e consegnava le pizze a domicilio
«Vittorio e Gabriele, ragazzi normali»

Gli amici: «Calcio, discoteca e mille progetti per il futuro»

di DAVIDE DESARIO

Cento passi. Come il film. E’ la distanza tra l’incrocio di Focene dove è stato assassinato il ventiseienne Renato Biagetti e le case dei due presunti assassini. Due ragazzi come lui. Un po’ più giovani, di 17 e 19 anni. Così vicini eppure così lontani, come canta dall’autoradio di una Fiat Panda Bono Vox degli U2, mentre una ragazza alla guida scende e scoppia a piangere davanti ai mazzi di fiori lasciati dove il cuore di Renato è stato trafitto per sempre.
Così vicini eppure così lontani al punto di non sapersi parlare. Perché, anche se coetanei, cento passi a Roma non sono niente e a Focene possono essere tutto. Perché per uno la musica era la colonna sonora della vita, per gli altri la colonna sonora solo di una serata in discoteca; per Renato la politica era partecipazione, per gli altri due noia assoluta.
Il più grande si chiama Vittorio Emiliani. E a Focene, frazione del Comune di Fiumicino, con meno di tremila abitanti, lo conoscono tutti. E’ cresciuto lì. Con il padre Giulio, carabiniere della compagnia di Ostia, la madre rappresentante di profumi e la sorella più piccola. «Almeno fino a qualche tempo fa – racconta una ragazza che come quasi tutti stenta a credere a quel che è successo – Poi i genitori si sono separati. La madre è andata via con la sorella piccola. E Vittorio è rimasto col papà». Ora in quella casa si sono trasferiti anche i nonni. Una casa piccola ma centrale. Un portoncino sulla strada principale, dietro il quale sono posteggiati motorini e biciclette. Proprio in sella a un motorino ebbe un brutto incidente su via Coccia di Morto, la strada che costeggia l’aeroporto. Da allora la sua gamba non era più la stessa e lui, alto un metro e ottanta capelli neri a spazzola, ne ha sofferto molto. Nel vialetto della villetta, sull’albero, si intravedono ancora le luci di Natale. Forse quelle di un Natale lontano quando le cose andavano meglio.
Vittorio adesso lavorava come guardia notturna in un deposito giudiziario. «E’ uno che ama la vita – racconta un amico d’infanzia - abbiamo condiviso tante serate e tanti sogni. Non è una testa calda. Anzi. Gli piace molto la musica e le discoteche. Va a ballare a Ciampino, a Roma e d’estate quasi sempre a Ostia. A Ostia, però, ci andava con qualche ora d’anticipo perché gli piace passeggiare al porto o sul lungomare. Gli piace fermarsi a parlare con la gente. Anche se non sempre aveva un buon approccio».
Vittorio era romanista ma senza eccessi. La politica, invece, non gli interessava. «Parlava sempre di progetti, di quello che gli piacerebbe fare in futuro - dice ancora un suo amico – Ma la politica lo annoiava».
Vittorio all’alba di domenica era con il suo amico di Focene. Lo chiameremo Gabriele, perché non è nemmeno maggiorenne. Gabriele lo descrivono tutti come un ragazzo molto tranquillo, con una grande passione per il calcio: «Gioca bene - dicono al bar di via di Focene - Ha fatto provini con molte squadre anche di serie A. Ha la testa sulle spalle. E’ davvero inspiegabile che sia responsabile di una vicenda così grave». Gabriele studia all’istituto Alberghiero di Fiumicino Paolo Baffi ma adesso che c’erano le vacanze, per guadagnare qualche soldino, aiutava una pizzeria di Focene nelle consegne a domicilio: «Bravo e puntuale - dicono alla pizzeria – le consegne le faceva con la sua minicar. Con lui non abbiamo mai avuto un problema». Gabriele ha un fratello più piccolo che frequenta la scuola media. Il papà è una guardia giurata. Vivono in una bella villetta rosa, curata in ogni particolare: il porfido a terra, un bel patio, le inferriate alle finestre.

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Sull’asfalto fiori, bigliettini d’addio e un invito a una festa al Buena Onda

Soffia il vento di libeccio. Trascina senza sosta granelli di sabbia e cartacce. E a ogni folata cancella dall’asfalto di viale di Focene il sangue di Renato Biagetti, il ventiseienne ingegnere della Montagnola che domenica all’alba è stato ucciso a coltellate da due ragazzi. Scompaiono quelle chiazze scure e quei cerchietti bianchi tracciati con il gesso dai carabinieri.
Ma niente e nessuno potrà cancellare dai cuori di tanti ragazzi, amici, compagni, il ricordo di Renato. Ed è per questo, forse, che qualcuno di loro lo ha già scritto sul muro a lettere cubitali: “Ciao Renato, sarai sempre con noi”.
Di fronte, su un altro muro, con lo spray rosso un’altra scritta, un’altra grafia: “Renato vive”. Per terra, appoggiati al ciglio della strada e al lampione i primi mazzi di fiori. Rose rosse. E altre splendide composizioni resistono al vento e la sole. Arriva una ragazza, lascia la sua macchina col motore acceso e lo stereo che pompa gli U2, sul lunotto posteriore la bandiera arcobaleno della Pace. Scoppia a piangere. Urla il nome di Renato, e quell’urlo è più forte degli U2. Pochi istanti e arriva una Fiat Punto verde. Scendono due ragazzi. Faccia pulita e cuore incazzato. Lasciano un biglietto, scritto a penna su un volantino della festa reggae di sabato notte: “Che la musica ti accompagni fino all’infinto e anche oltre. Sandra e Stefano”.
Arriva anche il sindaco di Fiumicino, Mario Canapini: in silenzio lascia anche lui un mazzo di fiori bianchi, senza scritte ne stemmi. Ci sono i fiori anche del Buone Onda, il chiosco dove sabato notte Renato ha ballato e sorriso per l’ultima volta. «Sinistra e destra non c’entrano. La politica non c’entra – dicono i gestori – Questa spiaggia è aperta a tutti e sarà sempre aperta tutti».
D.Des.

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In un’assemblea all’Acrobax annunciati un corteo per sabato e un dossier sull’omicidio
«È stata una vera aggressione»

Dario Biagetti: «Assassinio figlio di una cultura che predica odio per i diversi»

di ELENA PANARELLA

«Non è stata una rissa ma un’aggressione quella subìta da Renato». Poche parole ma decise quelle del fratello. Dario Biagetti, con il dolore nel cuore, ha un sorriso per tutti, proprio come Renato prima di morire ucciso nell’alba tragica di Focene. «Chi parla di rissa infanga la memoria di mio fratello - ha continuato Dario - Renato era un ragazzo pacifico e non violento. Si sta legittimando l’ideologia della violenza che è un passo successivo a quello politico». E’ lui, Dario, che cerca di dare conforto agli amici e di trovare la forza per reagire. «Quei ragazzi che l’hanno ucciso sono vittime anche loro. Vittime di quel tessuto sociale. Non è stato un gruppo di fascisti organizzati ad assassinare mio fratello, ma diciamo che è stata un’aggressione fascista perché lo hanno ucciso persone figlie di quella cultura che predica odio di chiunque sia diverso». Questo il concetto ribadito più volte nell’assemblea di ieri sera al centro sociale Acrobax. Un’assemblea prima del funerale, un trovarsi insieme anche per ricordare Renato e la sua storia, la sua morte raccontata a tutti da chi c’era. Da Paolo, l’amico aggredito anche lui e ferito a coltellate, e da Laura la fidanzata di Renato. Lei ha ancora sul volto i segni dei pugni, lei ha raccontato: «Eravamo usciti da pochi minuti dalla festa, Paolo e Renato erano seduti su un muretto in attesa che io andassi a prendere l’auto. A quel punto una Golf si è fermata, qualcuno ha abbassato il finestrino. Paolo si è avvicinato e quei due che gli hanno chiesto se la festa fosse finita. Lui ha risposto di sì e hanno detto di tornarcene a Roma». Poi continua Paolo, e ciascuno vede nelle sue parole ogni attimo della morte di Renato: «Io ho risposto che stavamo andando via. A quel punto dal guidatore sono volati insulti, io mi sono poggiato sullo sportello dell’auto per non farglielo aprire mentre Renato tentando di fare altrettanto con l’altro sportello è passato davanti al muso dell’automobile ma non ce l’ha fatta. Il passeggero è uscito e lo ha aggredito. Ho sentito Laura gridare. Sono corso e ho trovato Renato a terra, sanguinava. Ho chiamato il 118 e gli ho alzato immediatamente le gambe. Renato era cosciente, mi aveva detto di stare bene, perfino dentro il pronto soccorso. Poi.....».
Dall’assemblea è uscita la decisione di indire per sabato un corteo cittadino: «Per Renato e per denuncire le continue aggressioni subite in questo ultimo anno e mezzo ai centri sociali e ai giovani colpiti solo perché esprimevano una diversità. Rivendichiamo il diritto alla agibilità e rifiutiamo il questo clima di violenza. E nei prossimi giorni presenteremo un dossier verità sulla sua morte e sulle aggressioni subite in questi mesi». E poi qualcuno punta il dito sulla scritta comparsa nella notte vicino casa di Renato, «Acrobax -1» corredato da svastiche e celtiche.








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