E’ l’ultima novità del marketing delle case farmaceutiche. Si chiama farmacogenomica, e
promette medicine personalizzate sulla base del profilo genetico
individuale. Ad ognuno il suo farmaco, anche se non ti serve. Fa un po’
schifo? Già, ma la propaganda è già all’opera, per mostrare il lato
buono della farmacogenomica: l’ultima trovata si chiama PgENI.
Le farmacie stanno cambiando. Non mi riferisco al DL Bersani, anche se
c’entra pure quello. Nelle farmacie del futuro, ci presenteremo con una
tesserina magnetica che conterrà la nostra impronta genetica. Il
farmacista passerà la tessera in una macchina, che in quattro e
quattr’otto sputerà il farmaco ideale per noi. Carino, no?
Non sarà un cambiamento da poco. Il Dna, infatti, non parla di
malattie. Avere una certa variante genetica vuol dire che, in
determinate condizioni ambientali, il rischio di contrarre una certa
malattia è maggiore. Ma siccome le condizioni in cui vive ciascuno
hanno a che fare con la giustizia sociale, e di questo non se ne vuole
occupare più nessuno, si tende ad ingigantire l’influenza del Dna
rispetto a quella dell’ambiente. Aggiungeteci che, secondo la lobby
biotech dominante (ricercatori, aziende, politici) pure l’angoscia,
l’omosessualità o l’alcolismo hanno cause genetiche. Aggiungeteci che
per i sistemi sanitari di tutto il mondo sono in via di
privatizzazione, e trasformati in società assicurative. E aggiungeteci
che le società assicurative già ora propongono test genetici, per
decidere i premi delle polizze. Non ci siete ancora arrivati? Andiamo
avanti.
Per quanto detto sopra, la farmacogenomica non fornirà terapie, ma
una specie di “integratori genetici”, da assumere tutta la vita per
prevenire le malattie. Per esempio: se un certo gene, in un ambiente
inquinato, può causare un certo tumore, non si ripulisce l’ambiente: si
prescrive il giusto farmaco per tutta la vita. Se non te lo puoi
permettere, peggio per te. Insomma: una persona sana e benestante viene
trasformata in un malato cronico. Capito che miniera d’oro? Grazie al
Dna, sta per arrivare un formidabile strumento di controllo
socio-sanitario, governato da società finanziarie e multinazionali
chimico-farmaceutiche. Non pretendo di convincervi, ma se potete
ripensateci fra qualche anno, quando sulla tessera sanitaria
digitalizzata ci sarà l’esame del Dna. Ormai dovremmo averlo capito a
cosa servono i nostri dati personali, d’altronde. Comunque, se non
credete a me, vi fiderete delle università. Ecco, ad esempio, cosa si insegna alla facoltà di Farmacia dell’università di Ferrara:
Il marketing è considerato attualmente la più importante
funzione nell’ambito dell’azienda farmaceutica, in quanto fondamentale
creatore di valore per l’impresa. Il marketing farmaceutico, d’altra
parte, consiste essenzialmente nella costruzione e sviluppo di
relazioni con prescrittori ed influenzatori (…) E’ quindi evidente che
alla luce dei cambiamenti strutturali del mercato e della crisi degli
attuali modelli di marketing e comunicazione si rende necessario per
gli operatori del settore operare un cambiamento culturale. Tale
rinnovamento sarà comunque reso obbligatorio dall’uscita, fra qualche
anno, di un più ampio numero di prodotti chiamati “Targeted Treatment”
(Pharma 2010: “the Threshold of Innovation”, Steve Arlington, IBM-BCS)
scaturiti dalla ricerca biotecnologica: molecole che saranno
differenziate in funzione non soltanto delle sottocategoria nella
stessa patologia (ad esempio i diversi tipi di cancro al polmone, al
torace, ecc.), ma anche in funzione del patrimonio genetico dei
pazienti stessi (farmacogenomica). L’approccio sia sul medico che sul
paziente finale dovrà per forza essere completamente “taylorizzato” e
differenziato anche in funzione dell’uso dei diversi canali di
comunicazione.
Be’, fate voi. Il marketing applicato alla medicina, però, si sta
già rivelando una pericolosa arma di distruzione di massa: nei paesi
ricchi, le case farmaceutiche cercano di trasformare i pazienti in
consumatori; in quelli poveri, le medicine costano troppo e milioni di
persone non possono accedere a cure salva-vita. Già adesso, quindi, la
medicina non è uguale per tutti. Delle case farmaceutiche ci si fida
sempre meno. Perciò, l’avvento della medicina “pay per drug” va
preparato con cura, per evitare la crisi di rigetto. La propaganda di Big Pharma è iniziata già da alcuni anni. E oggi arriva PgENI:
Pharmacogenomics for Every Nation Initiative, Farmacogenomica in Ogni
Nazione. Un progetto appena nato all’università di Washington con la
collaborazione dei pià importanti centri di ricerca medica
internazionali.
E’ il lato “buono” della farmacogenomica: le medicine hanno effetti
diversi, secondo le caratteristiche genetiche di ogni ceppo etnico, le
cui differenze sono comunque trascurabili da altri punti di vista (le
razze non esistono, ricordatevelo). Perciò, inutile prendere certi
farmaci se si hanno certi geni, rischiamo di rovinarci il fegato per
niente. Meglio prenderne un altro, magari in dosi minori e a costi più
bassi. Bello, no? Infatti, viene pubblicizzato come un progetto di
aiuto ai paesi in via di sviluppo, troppo assoggettati alla medicina
del nord del mondo. Certo, se si volesse davvero aiutare i paesi poveri
sarebbe meglio investire in zanzariere
(costano qualche dollaro, e salverebbero la vita di un bambino ogni 5
secondi). Però, volete mettere la formidabile promozione pubblicitaria
per la farmacogenomica?
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