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Sono appena tornato dal Libano, e mi porto dietro, come al solito, parecchi ricordi. Il più forte è quello di una piccola e maledetta macchina di morte, un cilindretto nero, poco più grande di un accendino, che ho visto a Maarake, dove dovrebbe sorgere un campo militare italiano. Si chiama "bomblet", quasi un vezzeggiativo di "bomb": cioè "bomba figlia" di una madre snaturata dal nome di cluster. La bombetta impolverata - una comunissima M42, dicono i tecnici - era quasi invisibile fra le stoppie. Ahmed, il coltivatore di angurie, me l'ha indicata raccontando che in genere lui e i suoi familiari danno fuoco a un vecchio copertone e poi lo lasciano sopra la bomba. Per ora ha sempre funzionato. Dove Ahmed e famiglia dovranno ancora lavorare, il campo è seminato di morte, senza motivo. Un jet israeliano lo ha cosparso con il suo grappolo, ma certo le angurie di Ahmed non erano un obiettivo militare.
Ora, scrive l'Independent, gli Stati Uniti stanno valutando l'idea di non vendere più le loro "cluster" a Israele, che si era impegnata a non usarle contro i civili. Ma è tardi. Secondo Amnesty International, lo Stato ebraico ha sganciato il 90 per cento delle sue cluster negli ultimi tre giorni di guerra, quando ormai la tregua era stata annunciata. Nel sud Libano restano almeno centomila "bomblet" non esplose. Aspettano i piedi di un bambino, di una donna, di un raccoglitore di angurie.
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