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Parole per Carlo Ruta, condannato al carcere
by Stefania Spadaro Saturday, Oct. 07, 2006 at 1:54 AM mail: cicciocarfi@virgilio.it

Hanno condannato Carlo Ruta a otto mesi di carcere. Ho appreso la notizia dopo qualche giorno dalla condanna solo perché sono un’assidua frequentatrice dei quotidiani on line di internet, altrimenti, ancora oggi sarei all’oscuro di questa triste, sconcertante e inquietante notizia. Ovviamente la mia prima reazione è stata di rabbia e di indignazione, ma oggi, fra quei sentimenti che mi hanno colto all’inizio, comincia a fare capolino lo sgomento. Da alcuni giorni seguo la vicenda e non mi ritengo soddisfatta o, quantomeno, rassicurata dalle reazioni che ha prodotto un simile vergognoso provvedimento. Anzi, a dirla tutta, non ho visto nessuna presa di posizione da parte di alcuno. Fa eccezione Giovanna Vitrano che a nome del PMLI ha espresso la sua opinione in merito a quanto accaduto. E gli altri giornalisti o, cosiddetti giornalisti? Quelli della nostra provincia, quelli della nostra povera Sicilia, che fine hanno fatto? Due sono le ipotesi: o non ne esistono oppure hanno paura di esprimere la loro opinione. Ma la peggiore delle ipotesi è che non se ne fregano nulla, fanno “spallucce” se un loro collega (ma a questo punto mi sembra irriguardoso nei confronti di Carlo Ruta usare la comunanza) viene perseguitato dai soliti individui che detestano chi coraggiosamente va a rovistare nel loro pantano. Alessio di Florio, in un articolo risalente al periodo in cui Carlo Ruta subì l’oscuramento del proprio sito, ha definito Carlo una voce preziosa del giornalismo. Io aggiungo solamente che è la più preziosa. Non dimenticherò mai che è stato l’unico giornalista che ha accolto la mia richiesta di aiuto. Gli altri giornalisti, o cosiddetti giornalisti, si limitavano solo a negarsi al telefono, a negare un appuntamento, a negare qualunque iniziativa volta a divulgare la triste, sconcertante e vergognosa vicenda che aveva investito me e la mia famiglia solo perché poteva essere messa in discussione la loro carrieruccia e la loro gloriuccia di dire o scrivere quante multe avevano fatto i vigili urbani. Ho conosciuto Carlo Ruta nell’agosto dell’anno scorso. La persona che mi aveva consigliato di rivolgermi a lui, aveva descritto Carlo come un uomo coraggioso e di grande valore sia dal punto di vista professionale, sia da quello umano. Io, che di giornalisti, o ripeto, cosiddetti giornalisti, ne avevo conosciuti tanti e, ormai, tanto era lo sconcerto che mi provocava il loro atteggiamento (indebitamente) borioso, che avevo deciso di non incontrarne più. Pensavo di essere irremovibile in questa mia decisione. Ma il bisogno era troppo. Dovevo mettere da parte l’orgoglio e, se fosse il caso, anche la mia tanto cara dignità perché mio figlio meritava questo e altro e io glielo avevo promesso. Armata di pazienza scrissi al dott. Ruta (senza impegnarmi troppo) poche righe che illustravano i tratti salienti della mia vicenda e, a conferma delle mie affermazioni, allegai anche una lettera che avevo inviato al comandante della compagnia dei carabinieri di Vittoria in cui denunciavo e disprezzavo il discutibile operato dei suoi uomini e di chi lo aveva preceduto nell’incarico che ricopriva. La lettera indirizzata al capitano dei carabinieri doveva servire come garanzia che la scrivente non era né visionaria né pazza. Avevo scritto al dott. Carlo Ruta ma non immaginavo minimamente che mi avrebbe risposto o che, se lo avesse fatto, pensavo che la cosa non sarebbe avvenuta in tempi rapidi, infatti quel giorno non controllai la posta. E invece Carlo mi rispose quel giorno stesso e, oltre alla solidarietà, mi esprimeva anche la volontà di occuparsi della mia vicenda e di concordare un incontro in cui potevo fornirgli tutti i contorni del caso. Il giorno dopo, quando del tutto stupita mi accorsi della fulminea risposta, gli telefonai immediatamente e concordammo un incontro lo stesso pomeriggio. Dal tono della voce non mi diede l’impressione del solito giornalista o cosiddetto giornalista, eppure mi preparavo psicologicamente all’incontro come quando ci si prepara ad assumere una medicina amara e rivoltante: dovevo farlo e basta. Quando arrivai a casa Ruta fui accolta dalla moglie con molta cordialità e ciò cominciò a destabilizzare il mio atteggiamento monolitico. La moglie mi fece accomodare e dopo un minuto ci raggiunse Carlo. Mi aspettavo un giornalista avvolto dal “fumo” e che a quel fumo aggiungesse anche quello di un sigaro, magari cubano. Invece si presentò un uomo dall’aspetto indubbiamente mite e modesto, dai modi garbati e gentili e, nonostante mi imbattevo di fronte all’evidenza che mi ero sbagliata, mi sono chiesta: “il trucco dove sta?”. Non c’era nessun trucco e nessun inganno e a distanza di un anno ne sono ancora convinta. Carlo Ruta dovrebbe essere di esempio a tutti i suoi colleghi (quelli che Nietzsche definiva “scacazzacarte”) che dovrebbero e avrebbero il dovere di dare voce a chi come me è vittima di casi di malagiustizia, ma che invece preferiscono comportarsi come i cammelli: si piegano e si lasciano caricare di tutte quelle frottole che intendono farci credere. Ovviamente, quando parlo di esempio, mi riferisco solamente all’impegno professionale e a quello di non diventare servi e strumenti del potere, perché per quanto riguarda lo stile aulico di scrittura, be', quello di Carlo è difficilmente raggiungibile. E non solo perchè tutti i libri, intere pareti di libri che ho visto nel suo studio, Carlo li ha effettivamente letti ma, evidentemente, ognuno ha il quoziente intellettivo che si merita: è colpa dei geni se Carlo è un genio. Così come è colpa dei pensieri piccini piccini, dell’incontinenza omertosa, della paura e del conseguente istinto di sopravvivenza che è tipico negli animali ma soprattutto nell’uomo, se in tutti quegli ambienti preposti alla giustizia e alla tutela dei nostri diritti certi individui abusano prepotentemente e indisturbatamente del loro potere. E Carlo Ruta non deve essere condannato se rende pubbliche le loro nefandezze. Ma la sua condanna viene ben compresa dalle menti libere e da tutte le persone oneste in tutti i sensi. Tuttavia non intendo affermare che Carlo Ruta è un martire o un eroe… perché a lui darebbe fastidio. Ma non posso non rammentare che oltre alle sue alte qualità professionali possiede anche alte qualità morali. Nutre un profondo rispetto per le persone, per tutte le persone, anche per i suoi nemici. Non ha mai trasformato una sua vittoria giudiziaria in un tripudio. Non ha mai schernito o offeso i suoi nemici e non li ha mai insultati quando, come in questo caso, ha perso. Ma anche se Carlo ha perso in tribunale non vuol dire che ha perso di fronte a tutte le persone che lo stimano e che ammirano il suo impegno sociale. Qualcuno queste cose doveva dirle e non spettava a me questo compito perché sono solo una casalinga che ha il brutto difetto di preferire un buon libro alle soap opera. Non me ne voglia la categoria ma non li ho inventati io i dati auditel. So che anche certe magistrate sono appassionate di film TV, anzi ne ho conosciuta una che ripeteva le stesse battute di “distretto di polizia”. La battuta che mi è rimasta più impressa è “Lei ha fiducia nella giustizia?”. Oggi ho capito che, evidentemente, quella tizia era abituata a mangiare pane e circo. Sono anche una persona che si ritiene vaccinata dalle “sorprese” che la vita può riservare, infatti niente mi sorprende più.
Per finire, intendo ammettere e precisare che sono una persona che non è mai contenta di niente e di nessuno, neanche di me stessa. Ma di fronte a persone come Carlo Ruta mi devo arrendere: è un uomo di valore e basta.

Stefania Spadaro

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