La relazione secretata dal Viminale
Ecco i risultati dell'indagine voluta da Pisanu dopo l'omicidio Fortugno
Connivenze mafiose, assunzioni e appalti irregolari e un tessuto pesantemente inquinato
I ragazzi di Locri manifestano contro la mafia in occasione del primo anniversario dell'omicidio Fortugno Un'azienda sanitaria "pesantemente infiltrata dalla criminalità mafiosa". Così viene descritta l'Asl numero 9 di Locri nella relazione conclusiva della commissione di accesso voluta, dopo l'omicidio di Francesco Fortugno, dall'allora ministro dell'interno Giuseppe Pisanu, consegnata nel marzo 2006 e rimasta secretata fino a qualche giorno fa.
L'azienda sanitaria è quella dove aveva lavorato Fortugno anche in qualità di primario, prima di dedicarsi alla politica e diventare vicepresidente del consiglio regionale calabrese, e dove lavora ancora la moglie Maria Grazia Laganà (attualmente deputata della Margherita) e dove lavoravano, fino all'arresto nel marzo 2006, i presunti mandanti dell'omicidio legati al clan Cordì. Basta scorrere le quasi 200 pagine della relazione per rendersi conto di quanto fosse inquinato il contesto in cui si è sviluppato l'omicidio Fortugno.
Il caso Tavernese. Il 23 gennaio 1993 Domenico Tavernese, medico dentista, collaboratore dell'Asl numero 9 di Locri, viene arrestato su mandato della procura della Repubblica di Catanzaro per i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione e usura. Nella stessa indagine è coinvolto Domenico Aquino esponente di spicco dell'omonimo clan calabrese. Il 12 maggio 2003 il dottor Tavernese, fermato dalla polizia, si rifiuta di fornire la propria identità e, di conseguenza, viene denunciato.
L'8 ottobre 1996 viene condannato a un anno di reclusione e a mille euro di multa per usura. Il 19 ottobre 2005 Tavernese viene fermato dalla polizia in compagnia di Rocco Jiritano e Antonio Ursino, secondo gli inquirenti, appartenenti, a vario titolo, alla cosca Ursino-Macrì.
Domenico Tavernese, dal 2002, è amministratore unico del Medi-Odonto Center srl di Gioiosa Ionica laboratorio che fornisce prestazioni in regime di convenzione all'Asl numero 9 di Locri. Nonostante la condanna per usura, nonostante i precedenti e le continue frequentazioni con la criminalità organizzata, l'azienda sanitaria locale non ritiene di sospendere il rapporto con il laboratorio "che pertanto ha continuato ad erogare prestazione retribuite dalla Amministrazione, con importi ben superiori a quelli consentiti".
Se i legami tra Tavernese e l'Asl numero 9 di Locri fossero un'eccezione non farebbero notizia. Invece, secondo quanto emerge dalla relazione, rappresentavano la regola. Sono decine gli episodi evidenziati dalla relazione fitta di dati, nomi, riferimenti giudiziari e di polizia che delineano i contorni di un'azienda sanitaria pubblica in cui le cosche mafiose (almeno nel periodo 2000-2005 preso in considerazione dalla commissione d'inchiesta) fanno il bello e il cattivo.
Emerge che le famiglie della 'Ndrangheta, non solo occupano l'Asl di Locri facendo assumere propri affiliati e congiunti, ma ne condizionano per anni appalti, gare, funzionamento. Con un evidente e ingiustificato lievitare della spesa pubblica, con sprechi e inefficienza e senza alcun controllo da parte delle autorità dello Stato che i controlli avrebbero dovuto effettuare.
Sotto la lente della commissione d'accesso - formata principalmente dall'allora prefetto Paola Basilone, dal maggiore della Guardia di Finanza Luciano Tripodero e da Michele Scognamiglio - finiscono tre particolari e delicatissimi ambiti di pertinenza della Asl calabrese: la gestione del personale, gli accreditamenti e i contratti.
Gli accreditamenti. Dall'analisi effettuata sugli accreditamenti di società, laboratori, centri diagnostici che fornivano prestazioni all'azienda sanitaria emerge come "nessuna documentazione antimafia sia stata richiesta". In cinque anni, dal 2000 al 2005, nessuna delle aziende prese in esame ha mai fornito documenti che provassero la totale estraneità a contesti o legami mafiosi. Il caso Tavernese, come detto, non è isolato.
Il Pio Center srl. Il Pio Center-centro di ricerca clinica e patologica medica srl con sede a Bovalino (Rc) è interessato da due provvedimenti di sequestro dei beni emessi dal tribunale di Reggio Calabria "in quanto - si legge nella relazione - considerato dagli inquirenti facente parte del patrimonio di Antonio Nirta", potente boss di una famiglia dell'ndrangheta per quattro anni interessato da provvedimento di sorveglianza speciale, elemento considerato molto pericoloso.
Il Pio Center srl, oltre a occupare i locali di uno stabile intestato a Antonia Giorgi, moglie di Nirta, è al 96% di proprietà del Poliambulatorio Salus srl le cui quote sociali sono tutte riconducibili a membri della famiglia Nirta.
L'Asl di Locri intrattiene con questa struttura rapporti continuati tanto da versare alla stessa, a partire dal 1984 e fino al 2005, 61mila euro annui per l'affitto di locali e attrezzature radiologiche. Scrivono gli inquirenti: "È da sottolineare la sostanziale inerzia della A. S. che non ha mai acquisito, come già detto, nessuna informazione o comunicazione antimafia sulla struttura e compagine societaria accreditata, che poi è risultata infatti colpita da misure cautelari".
Spesa pubblica triplicata. La relazione spiega quindi che, oltre agli evidenti legami con le organizzazioni mafiose, la gestione degli accreditamenti ha quale risultato lo sforamento sistematico dei tetti di spesa e "la reiterata violazione delle regole poste a base del rispetto dei budget fissati con il Fondo sanitario regionale annuale assegnato".
Per esempio, si legge, "il tetto di spesa complessivamente sostenuto nel periodo 2000/2005 è pari a 88.227.864,90, che è quasi il doppio della spesa massima autorizzabile se calcolata moltiplicando per 6 (e quindi con largo margine di prudenza) il tetto di spesa annuale più prossimo, pari a 8.262.414,90 (limite di spesa annuo 2004)".
Non è tutto. Emerge che nel periodo 2000-2005 sono stati pagati 11.224.919 interventi su un campione di popolazione di circa 135mila abitanti; nello stesso periodo sono stati erogati 84,6 servizi per ogni abitante e, infine, ogni cittadino residente nel territorio dell'Asl di Locri ha fatto ricorso alle strutture convenzionare 13,96 volte all'anno. Cifre che vengono definite nella relazione "assolutamente non giustificabili".
Il caso Fiscer. Tanto per chiarire bene l'entità dello sperpero messo in atto dall'Asl 9 di Locri la commissione cita il caso del laboratorio Fiscer: "Particolarmente eclatante poi è il caso del laboratorio Fiscer, il cui tetto di spesa autorizzato, nel periodo 2000/2005, è pari a € 10.131.780,00 (dato effettivo 2004 moltiplicato per 6, parametro teorico di confronto), mentre risultano fatture effettivamente pagate, nel medesimo periodo, per un importo di € 31.544.414,00".
La commissione segnala inoltre che a carico del direttore sanitario della Fiscer, Pietro Crinò, risultano denunce per i reati di favoreggiamento, ricettazione e falso. Ancora una volta, dunque, sprechi e connivenze con la criminalità.
Contratti. Oltre a violare sistematicamente tutte le normative antimafia, la gestione degli appalti avviene nella confusione generale, senza il rispetto di criteri fissi e in beffa alle norme che regolano il libero mercato.
Si legge: "La A. S. ha spesso fatto ricorso a rinnovi o proroghe dei contratti già esistenti, a trattativa privata, eludendo gli obblighi della gara. Il ricorso a tale sistema di gestione è avvenuto in modo troppo frequente da non poter lasciar intendere che l'esigenza della proroga fosse sempre effettivamente conseguente ad una obiettiva ragione di urgenza e non invece ad un deliberato comportamento dell'ente di eludere i principi di legalità". Inoltre, dopo aver prorogato il contratto l'Asl non provvedeva ad indire alcuna gara d'appalto nei fatti aggiudicando i servizi con una trattativa privata.
La Coop Service. Per spiegare meglio il malcostume evidenziato dalle indagini la commissione cita il caso della Coop Service che ha gestito il servizio di pulizia degli ospedali di Locri e Siderno e che, nel periodo 2000-2005, ha ottenuto dall'Asl importi pari a euro 8.461.383,82.
La Coop entra in rapporto con la Asl nel 2000, non attraverso regolare gara di appalto del servizio, ma subentrando a personale ausiliario che fino a quel momento gestiva le pulizie per conto dell'azienda. Per ben due anni, fino al 2002, l'Asl non procede a indire alcuna gara.
Quando finalmente viene messa a bando la licitazione privata è vinta dalla Anti Luxtauria. Contro tale aggiudicazione la Coop Service fa ricorso al Tar della Calabria e lo vince. L'Asl, invece di opporsi di fronte al Consiglio di Stato, decide di procedere a una nuova gara, che in realtà scatterà solo nel 2003 (sette mesi dopo la sentenza del Tar). Nel frattempo la Coop service continua a gestire le pulizie dei due ospedali.
La gara viene aggiudicata alla Coop Service con un importo di 1.313.000,13 euro su una base d'asta di 910.000.000. Si oppongono due ditte concorrenti: il consorzio Miles, escluso dalla gara e la ditta La Fiorita. Entrambe contestano nel merito il bando e il risultato della gara dai quali risultano forti incongrunze. Per esempio: il ministero del lavoro stabilisce che, nel settore delle pulizie, un dipendente di secondo livello debba essere pagato mediamente all'ora 13,51 euro. Non a caso tutte le ditte offrono questa cifra, tranne la Coop che offre 11,98 euro, "cifra di gran lunga inferiore a quello fissato dal decreto ministeriale".
Non è finita qui. Alla Coop Service vengono anche assegnati i servizi di ristorazione degli ospedali di Siderno, Locri e Caulonia in barba al fatto che il commissario abbia già assegnato tale servizio alla Siarc srl. La Asl di Locri, infatti, revoca la delibera del commissario e assegna alla Coop un ulteriore contratto di 290mila euro (che, secondo la procedura Ue avrebbe richiesto - visto l'importo - una gara ad evidenza pubblica).
Tutto il pasticcio è condito dal fatto che la Coop Service, si legge nella relazione, "è interessata da importanti e rilevanti accertamenti di polizia giudiziaria". Su 154 soci dipendenti, 12 hanno precedenti penali e "23 sono legati da vincolo di parentela diretto, perché figli o coniugi, con appartenenti di primo piano delle organizzazioni mafiose locali" (i clan Macrì, Cataldo, Alecce).
Sono ben 21 le pagine dedicate dalla relazione a questa mappa dei legali mafiosi che inevitabilmente, sostiene la commissione, si riverberano sulla gestione dell'Asl 9 di Locri. Mappa che, non va dimenticato, riguarda unicamente la Coop Service.
Per esempio emerge un quadro in cui operatori che avrebbero dovuto svolgere compiti di sostegno e aiuto a personale disabile o in difficoltà (questo lo scopo sociale della Coop) in realtà sono denunciati o condannati per reati come lesioni personali o contro la famiglia, falso, truffa, rissa, ricettazione, contrabbando, porto e detenzione abusiva di armi, produzione e spaccio di sostanze stupefacenti, fino all'associazione di stampo mafioso.
Emerge un quadro in cui le famiglie Macrì, Cataldo, Alecce - attraverso mogli, figli, cugini e parenti di vario livello (spesso personalmente incensurati) - sono presenti come una longa manus sulla sanità della locride, infiltrando propri uomini, gestendo servizi ottenuti dall'Asl con gare dalle procedure per lo meno dubbie (come si è visto per la Coop Service).
Acquisti, ma da esclusivisti. Il capitolo dei contratti prende diffusamente in considerazione anche l'acquisto di materiale, prodotti e presidi sanitari che sistematicamente vengono spacciati (dai dirigenti dlel'Asl firmatari delle richieste) come unicamente realizzati e distribuiti da alcune ditte della Locride (definite esclusiviste) per poter aggirare l'ostacolo delle gare pubbliche e indirizzare su alcuni produttori le scelte e, di conseguenza, i soldi pubblici.
"Tale metodologia denota quindi la reiterata e sistematica violazione delle norme poste a base del buon andamento e della economicità della spesa". Sprechi, dunque. Per centinaia di migliaia di euro. Con questo metodo l'Asl acquista materiale chimico (sufficiente per sei mesi) dalla M. D. O. srl di Catanzaro per euro 31.126,00; protesi vascolari dalla Bios srl di Catanzaro: 41.330,00 (per sei mesi); prodotti di urologia dalla Attimed sas: 108.064,40.
Prima regola: evitare "dispetti". Nel calderone delle regole violate finiscono anche 'piccolezze' come le gare differenti per lavori identici. Capitolo questo sul quale i commissari chiedono spiegazioni all'Asl. La risposta arriva il 15 febbraio 2006 dall'architetto Galletta - responsabile dell'Ufficio tecnico - che, candidamente, spiega che questa è la consuetudine per evitare "dispetti" tra ditte: "Le scelte operate in tal senso dall'Ufficio Tecnico ..... trovano ragione, nell'"opportunità" che, in generale, i lavori di importo complessivo non rilevanti, concernenti il presidio di Locri, vengono affidati e quindi eseguiti da ditte di Locri ed analogamente, per il presidio di Siderno, da ditte di Siderno; ciò al fine di evitare "dispetti" tra soggetti economici dei due circondari".
Non appaia strano il fatto che le imprese che si aggiudicano i lavori appartengano o facciano riferimento a personale in odore di mafia, come nel caso della Tallura costruzioni che si aggiudica una gara per la manutenzione del verde (euro 38.038,14) e il cui titolare Francesco Tallura è stato arrestato nel 1986 per violenza, segnalato per il reato di associativo di stampo mafioso nel 1999 e, nello stesso anno, denunciato per reati contro la pubblica amministrazione.
Il personale. L'assoluta confusione nella gestione e nell'assetto organizzativo dell'azienda sanitaria impedisce ai commissari di avere "un quadro certo, definito dell'azienda con l'identificazione del posto in organico e della relativa figura professionale che lo ricopre".
L'Asl però era già stata segnalata alla procura distrettuale antimafia di Reggio per assegnazione di incarichi di direzione nonostante il divieto della Regione. E' proprio il capitolo sul personale che evidenzia i lagami strutturali e continuati tra l'Asl 9 e la criminalità organizzata. E, in particolare, il controllo effettuato da quest'ultima sulla azienda pubblica, attraverso le "pressioni" di "personale, medico e non, legato da rapporti familiari a noti esponenti della criminalità organizzata locale o comunque interessati da rilevanti precedenti di polizia o penali".
Scrivono sempre i commissari del Viminale: "Tale presenza denota, al contempo, tanto la causa quanto l'effetto della ingerenza della criminalità organizzata nella gestione dell'azienda, perché si traduce nella possibilità di imporre dall'esterno le scelte di assunzione o quantomeno, come si vedrà, di impedire lo scioglimento dei vincoli lavorativi, sia al fine di tener sempre sotto verifica, dall'interno le scelte gestionali, sia per poter garantire la tenuta di una gestione clientelare. In questo contesto, infatti, si spiega la mancanza presso la A. S. di una commissione di disciplina del personale". Questo stato di cose raggiunge diverse situazioni paradossali.
Interdetto, ma l'Asl lo riammette. Giorgio Ruggia condannato a 3 anni e 8 mesi di reclusione e alla interdizione dai pubblici uffici per 5 anni, dopo una breve sospensione, viene riammesso in servizio con delibera del direttore generale dell'Asl. Viene così vanificata la sentenza della corte d'appello.
Impressionante l'elenco di reati accertati o semplicemente oggetto di segnalazione da parte delle forze di polizia che riguardano Ruggia: associazione di stampo mafioso, detenzione di armi, furto, rapina, estorsione, minacce, frequentazione di pregiudicati appartenenti alla cosca mafiosa Cordì. I relatori scrivono che "Ruggia lavora ancora nell'Asl 9 di Locri".
Detenuto stipendiato. Pasquale Morabito, psicologo presso la Saub di Bovalino, dal 1992 al 2002 continua a percepire lo stipendio dall'Asl nonostante si trovi in carcere per una condanna per associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti e associazione di stampo mafioso.
L'Asl non solo ha pagato per dieci anni lo stipendio a un pregiudicato che non lavorava più per l'azienda, ma quando finalmente se ne è accorta - si legge nella relazione - "non ha nemmeno avviato azioni di recupero". Così Morabito è costato due volte alle casse pubbliche calabresi: come detenuto e come stipendiato dell'Asl 9 di Locri.
Conclusioni. Secondo i commissari l'azienda non sono è stata pesantemente infiltrata dal sistema mafioso che ne ha condizionato scelte e gestione, ma è responsabile di non aver messo in atto gli adeguati controlli che avrebbero potuto almeno evidenziare tale infiltrazione. Oltre a evitare lo spreco sistematico delle risorse pubbliche.
Invece si è verificata la "sistematica omissione dell'A. S. nell'attivazione di procedimenti disciplinari nei confronti di dipendenti gravati da precedenti penali, avallata dalla scelta di non ricostituire la commissione di disciplina che difatti è da tempo inattiva".
Inoltre l'Asl 9 di Locri "ha dirottato verso strutture private accreditate ampi settori della spesa pubblica permettendo a queste ultime di beneficiare indebitamente di introiti pari anche al triplo di quello determinato dai tetti sanitari".
"E non può non escludersi, data anche la enorme mole delle prestazioni erogate da tali strutture, che l'incremento del ricorso alle strutture accreditate sia stato in qualche modo incentivato, o comunque non arginato dalla stessa amministrazione sanitaria.
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