Più che "differente", mi sembri "disinformato". Il movimento costitutivo per il PCL, che nasce dalla vecchia "Associazione Marxista Rivoluzionaria Progetto Comunista" ex sinistra del PRC, presentò il 22 gennaio 2006 il documento che pubblico qui sotto(*). Su questo documento, il PRC decise di candidare Ferrando. D'altra parte lo avevamo detto sin dal congresso: nessun governo della borghesia sarà privato dell'opposizione di classe e comunista. Alle parole non abbiamo fatto attendere i fatti...
Per quanto riguarda le differenze con il ROL sono di natura organizzativa e di conseguenza politica. I compagni del ROL sono vittime della loro strategia; per dirla con Trotsky: "...rappresenta semplicemente una di quelle scuole, sette o chiese che, spaventate dal corso della lotta di classe e dall'infuriare della reazione, pubblicano in un cantuccio i loro giornaletti e studi teorici, tenendosi al margine dello sviluppo reale del pensiero rivoluzionario, lasciando da parte il movimento di massa". Per quanto mi riguarda auspico che con i compagni del ROL possa tornare ad esserci unità. Ma indubbiamente devono rispondere ad un questito, perché se ne sono andati una volta che sono stati messi in minoranza? Non potevano dare battaglia e sostenere le loro tesi all'interno della vecchia AMR? Non credete inoltre che sia piuttosto grottesco candidarsi a diventare sezione di una qualche organizzaione che si propone la rifondazione della IV internazionale, quando fino a ieri pensevate che il CRQI fosse la strada giusta?
Rispetto al presunto leaderismo del mc-PCL, mi fa semplicemente sorridere. Con la questione della sua (nostra dal momento che era condivisa!) mancata candidatura Marco Ferrando, non avremmo dovuto sfruttare il fatto che fosse "conosciuto"? Saluti rivoluzionari e internazionalisti
(*)No al governo con i banchieri dell'Unione Per un'alternativa dei lavoratori http://www.progettocomunista.it Mozione di Progetto comunista-sinistra del PRC presentata al Comitato Politico Nazionale del Prc del 22 gennaio 2006
Giorno dopo giorno, tutti gli accadimenti politici dimostrano che l’unione delle sinistre con il centro liberale della maggioranza DS e della Margherita non solo nega alla radice qualsiasi prospettiva di alternativa vera ma subordina la classe operaia e i movimenti agli interessi del grande capitale, a tutto vantaggio della borghesia italiana e della stessa demagogia reazionaria di Berlusconi e delle destre. Da qui la necessità e l’urgenza della rottura col Centro dell’Unione da parte del PRC e di tutte le espressioni del movimento operaio e dei movimenti di lotta.
Maggioranza DS e Margherita nella guerra per bande tra capitalisti
I casi Antoveneta, Bnl, Unipol sono la cartina di tornasole del capitalismo: non dell’immoralità di un pugno di parvenues immobiliaristi e finanziari, ma delle leggi della giungla della società borghese e della crisi capitalista dove una minoranza privilegiata di parassiti sociali si contende senza risparmio di colpi le ricchezze del paese e i gangli vitali dell’economia, contro le ragioni dei lavoratori e della maggioranza della società; ed anzi prendendo in ostaggio i loro posti di lavoro, i loro conto correnti, i loro piccoli risparmi. Il tutto in una autentica guerra per bande, nella quale ogni cordata capitalistica, l’una contro l’altra armata, usa a proprio vantaggio settori dell’apparato dello stato, della magistratura, dei servizi segreti, della guardia di finanza, della stampa, come scudo e leva dei propri specifici interessi. E in cui ogni settore dello stato e dei partiti borghesi, siano essi di centro destra o centro sinistra, si appoggia a questa o a quella cordata capitalista nel nome dei propri interessi economici e politici. La vera “associazione a delinquere” non risiede semplicemente nel “quartierino dei furbetti” ma nelle classi dirigenti del paese, nella grande industria e nelle banche. Gli scandali finanziari sono parallelamente, una volta di più, la cartina di tornasole del centro liberale dell’Unione e dei suoi legami capitalistici: in una lotta interna per la conquista dell’egemonia nel capitalismo italiano e nella costruzione della sua rappresentanza politica centrale. D’Alema, Fassino e la maggioranza DS hanno fatto leva su un settore capitalistico emergente – dai Colannino ai Consorte – per accrescere le proprie quotazioni politiche nella concorrenza con la Margherita circa la rappresentanza delle classi dominanti: ma con ciò stesso hanno messo piede nel verminaio delle contraddizioni borghesi, esponendosi ai rimbrotti del salotto buono del capitalismo italiano. La Margherita, a sua volta, ha fatto leva su questa contraddizione dei DS per candidarsi a guida del futuro partito democratico come portavoce diretta di Confindustria e di un settore delle grandi banche. In ogni caso ciò che emerge ormai in modo inequivocabile dall’intera vicenda è che le forze del Centro dell’Unione sono parte organica del capitalismo italiano e del suo blocco dominante.
Il programma dell’Unione: un programma di Confindustria
Il programma dell’Unione riflette inevitabilmente questa realtà. Come era prevedibile la bozza di programma presentata, sia nella sua versione iniziale sia in quella conclusiva, smentisce nel modo più netto tutte le illusioni seminate per anni circa la possibilità di “spostare a sinistra” i portavoce liberali del capitalismo italiano. Nel campo della politica estera il programma dell’Unione ha un marcato orientamento atlantista; rivendica la cooperazione tra UE e Stati Uniti, nel quadro della difesa europea, la continuità delle missioni militari nei Balcani e in Afghanistan e una soluzione truffaldina sull’Iraq. Laddove “la proposta immediata di un calendario del ritiro in consultazione con le autorità irachene” significa rifiuto del ritiro immediato delle truppe. Nel campo della politica economico sociale il programma si muove lungo una linea di rilancio della competitività del capitalismo italiano. Quindi non abroga la legge 30, difende esplicitamente il Pacchetto Treu, prospetta un limitato allargamento degli ammortizzatori sociali come possibile paracadute di un più ampia “flessibilità in uscita” (modello danese); infine rivendica come asse centrale il risanamento dei conti pubblici quindi una nuova stretta finanziaria, sia come rispetto dei parametri europei in ordine al ridimensionamento del debito pubblico, sia come forma di finanziamento di un nuovo travaso di risorse pubbliche a favore del profitto (crediti all’esportazione, ristrutturazione, ricerca, nuove tecnologie); l’ulteriore aperture a liberalizzazioni e privatizzazioni assieme all’aumento dell’età pensionabile rientrano in questo quadro di nuova austerità e sacrifici. Nell’insieme è la concretizzazione di quelle “riforme impopolari” che già Romano Prodi aveva annunciato nel momento dell’investitura plebiscitaria delle primarie, su dettato della grande industria e delle grandi banche.
Rompere col Centro dell’Unione, recuperare l’autonomia dei lavoratori
Gli scandali bancari, le compromissioni dei DS, lo stesso programma dell’Unione dimostrano una volta di più il carattere insostenibile della attuale collocazione del PRC e della sua prospettiva di governo. Più in generale dimostrano, una volta di più, che nessuna delle ragioni sociali e politiche dei movimenti di lotta di questi anni – della classe operaia, del movimento antiglobalizzazione, del movimento per il ritiro delle truppe – può trovare il più pallido riflesso nel programma del liberalismo borghese. Ed anzi tutto il programma del liberalismo ha come obbiettivo l’attacco a quelle ragioni, la rimozione del conflitto sociale, il recupero della concertazione come strumento di imposizione “pacifica” dei sacrifici. Di più: la stessa prospettiva di un governo con Prodi, Rutelli, Fassino e con il blocco degli interessi materiali che li sostiene costituisce già oggi un fattore di demotivazione di settori di avanguardia e di dispersione delle lotte. Mentre la compromissione dei liberali con le speculazioni bancarie offre a Berlusconi uno strumento di classica demagogia reazionaria, a difesa – per quanto disperata – del proprio governo. Da ogni punto di vista dunque, sia di prospettiva che immediato, la subordinazione delle sinistre ai liberali è ad esclusivo vantaggio degli avversari dei lavoratori e dei movimenti. Lo stesso contratto dei metalmeccanici prefigura, nei suoi contenuti, il ritorno organico alla concertazione che la prospettiva dell’Unione trascina con sé. La delusione sul recupero salariale con l’allungamento di sei mesi dei tempi di vigenza del contratto; le gravi concessioni al padronato in fatto di flessibilità ( allungamento dei tempi di apprendistato, estensione dell’orario plurisettimanale in rapporto alla negoziazione delle quote di precariato) rappresentano un atto di rientro della direzione FIOM nelle politiche di concertazione in subordine alla linea Epifani, entro il quadro delle compatibilità del centrosinistra e del padronato. Per questo è tanto più negativo il consenso fornito ai contenuti del contratto da parte del gruppo dirigente dell’Area 28 aprile nella CGIL e del gruppo dirigente del PRC. Il PRC deve uscire immediatamente dal vicolo cieco in cui lo ha cacciato l’attuale corso politico della sua maggioranza dirigente. Non può farlo attraverso assemblee regionali dell’Unione che avranno l’unico scopo di fornire una legittimazione democratica al programma degli industriali e dei banchieri. Ma non può farlo neppure – come ancora pretendono i gruppi dirigenti di altre mozioni “critiche” (“l’Ernesto” ed “Erre”) – attraverso un “negoziato più incalzante” con il centrosinistra o una maggiore pressione di movimento sul centro sinistra. No. I fatti dimostrano che il Centro dell’Unione è impermeabile alle ragioni dei lavoratori per il semplice fatto che rappresenta le ragioni dei loro avversari. E che solo la rottura con il centro dell’Unione da parte dei lavoratori, delle loro organizzazioni, delle loro rappresentanze politiche e sociali può aprire il varco ad una prospettiva nuova, ad un programma di alternativa anticapitalista.
Cacciare Berlusconi dalla parte dei lavoratori, in direzione di un’alternativa anticapitalistica
Il PRC deve avanzare una proposta di immediato rilancio ed unificazione delle lotte e delle mobilitazioni attorno a una piattaforma di vertenza generale. In direzione di una prova di forza contro il governo Berlusconi e le classi dominanti del paese. Collegando questa prospettiva di lotta vera ad un programma più generale di rivendicazioni radicali, uguale e contrario alla radicalità delle classi dominanti contro i lavoratori. Non ha alcun senso chiedere a padroni e ai banchieri autoriforme morali e codici etici. Ha senso porre sul tappeto la necessità della nazionalizzazione delle banche e delle industrie in crisi, senza alcun indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori: perché solo questa misura può recidere alla radice le basi materiali del capitale finanziario e della sua immoralità di classe; restituire ai lavoratori e al popolo una leva decisiva di riorganizzazione della società e dell’economia, in base ai bisogni e non ai profitti, unire nella lotta contro i capitalisti e i banchieri il più vasto blocco sociale e alternativo di lavoratori, consumatori, piccoli risparmiatori, tutti interessati a farla finita con i soprusi quotidiani di padroni e di strozzini vecchi e nuovi. Parallelamente, questo programma di mobilitazione richiama l’attualità di una alternativa di sistema. Il precipitare degli scandali bancari, la crisi sociale e morale delle classi dirigenti del paese e dei loro partiti pone la questione dell’alternativa di classe in forma più chiara e diretta. Occorre sviluppare una vera campagna sul fallimento delle classi dominanti del paese e quindi sull’esigenza della loro cacciata come condizione necessaria per una autentica rifondazione sociale dell’Italia. Solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici basato sulla loro forza, può dare una soluzione vera e progressiva alla crisi italiana. Costruire fra i lavoratori, nei movimenti di lotta, nella giovane generazione, la consapevolezza che l’alternativa socialista è l’unica vera alternativa; ricondurre a questa prospettiva tutte le rivendicazioni immediate di lotta; presentare la necessità di una alternativa di sistema non in termini ideologici o astratti ma in rapporto agli scandali quotidiani della società borghese e all’esperienza concreta delle masse, con un linguaggio comunicativo e popolare, è il compito generale dei comunisti. E della loro opposizione ad ogni governo della borghesia italiana: un'opposizione irrinunciabile per il PRC e, in ogni caso, per Progetto Comunista, in coerenza con la sua mozione congressuale.
Marco Ferrando, Direzione del PRC Franco Grisolia, Direzione del PRC Ivana Aglietti, Tiziano Bagarolo Vito Bisceglie Letizia Mancusi Michele Terra Marco Veruggio, (CNG)
|