Il 17 novembre ricorre una parola cara a chi ha cuore la trasformazione delle cose e l’autonomia delle rivendicazioni dei conflitti sociali: sciopero generale.
Una parola in questi anni riempita di significati diversi. Una parola divenuta buona per definire pratiche tra loro dissimili, in alcuni casi contrapposte. Rito sbiadito dentro la trama dei rapporti concertativi; dislocazione di rapporti di forza nella conquista di nuovi diritti, contrattuali, ma non solo.
Il 17 novembre, dopo tanto tempo, richeggia l’idea di uno sciopero generale contro la Finanziaria e le politiche economiche di un Governo perso tra liberismo e paternalismo. Uno sciopero che vede vicine, unitariamente, le sigle del sindacalismo di base e che ha per bersaglio il governo di centro-sinistra che, insegnano le cronache e gli eventi di questi giorni, ha imparato ad essere governo “dentro” e “fuori” palazzo Chigi, in piazza e nelle istituzioni.
Dentro l’ambivalenza tutta italiana che vede contigue ed omogenee lotta e governo, studenti e precari non possono che vedere di buon occhio la data del 17 novembre. Per la qualità della proposta unitaria, per la scelta programmatica e degli obiettivi. La Finanziaria in discussione in questi giorni nelle aule parlamentari, infatti, è una finanziaria tutt’altro che redistributiva: è una finanziaria contro i precari, a danno dell’università e della ricerca, dell’innovazione, della generazione precaria in generale.
Altrettanto positivo, inoltre, lo sciopero generale dell’università promosso, per la stessa data, dalle sigle confederali e dalle associazioni dei docenti e della ricerca. I tagli (forse rimossi?) che riguardano università e ricerca non fanno che incrementare il declino impietoso della formazione e istruzione pubblica. Non ci sono sconti possibili: l’università è da almeno 15 anni coinvolta in un processo di riforma e di trasformazione senza precedenti i cui risultati hanno segno solo negativo, tra frammentazione dei saperi e precarizzazione selvaggia. L’attacco alla ricerca perpetrato dalla Moratti ha fatto il resto. La legge Finanziaria peggiora la situazione e obbliga allo sciopero generale dell’università, come misura di resistenza minima, una premessa importante dalla quale partire, molto altro dovrà essere fatto da parte dei conflitti, senza alcuna retorica sugli indifendibili “tempi passati” dell’università.
Il punto che ci sta più a cuore, però, non è solamente segnalare la positività dello sciopero generale. Il problema semmai è capire cosa significa sciopero nelle condizioni nuove della produzione. Cosa significa fare sciopero nella metropoli produttiva? Come fare sciopero contro e oltre il regime salariale? Come scioperano le figure ibride e a volte imprendibili della produzione flessibile: interinali, cococo, partite iva, contrattiste/i, assegniste/i? Qual’è l’equivalente funzionale dello sciopero selvaggio per il precariato metropolitano?
In più e in particolare: cosa vuol dire sciopero generale dell’università e della ricerca? Anche qui, si tratta di un rito dovuto dentro la strategia dei giochi concertativi o la sfida si pone su un altro piano? Come praticare il blocco della attività che si svolgono nelle mura universitarie ma anche negli enti di ricerca pubblici e privati?
Di questo e di molto altro vorremmo discutere mercoledì 8 novembre, h 15:30, presso la facoltà di Scienze Politiche de La Sapienza. Una prima occasione pubblica per fare dello sciopero del 17 una grande giornata di generalizzazione delle rivendicazioni e dei conflitti.
Fuori dal ricatto, contro la precarietà, per la ricerca pubblica, per il reddito!
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