Una scena annunciata, in un teatro dove centinaia di spettatori attendevano già dal pomeriggio. Proprio come le forze dell’ordine ieri di guardia, per ore, in via D’Aquino. Uova, arance e sacchetti di rifiuti: il tutto, lanciato contro il negozio della famiglia di Rossana Di Bello, in pieno centro, nel bel mezzo di una serata di shopping. I Cobas hanno puntato diritto verso quelle saracinesche, preventivamente abbassate su richiesta della Questura. Negozio chiuso ma protesta a scena aperta, con alcuni cittadini che hanno anche applaudito all’accensione di un fumogeno a ridosso delle vetrine, mentre uova e arance si spappolavano al contatto con l’insegna e le pareti laterali. Ore 20,25: circa duecento manifestanti, per lo più aderenti alla confederazione Cobas, tra cori da stadio riveduti e corretti sul tema “dissesto”, raggiungono via D’Aquino proprio quando migliaia di persone stanno ultimando la consueta passeggiata del sabato. Una gigantografia dell’ex sindaco annuncia l’arrivo del corteo, precedendolo di una ventina di metri. Il carro dei Cobas porta con sè musica e protesta, trascinando livore e rabbia poi scaricati contro le vetrine della gioielleria. Vari e coloriti gli slogan contro la vecchia amministrazione, dal sindaco al vicesindaco: nessuno è stato risparmiato dai canti e della urla di chi è riuscito a bloccare il traffico di via Dante, via Plateja, via Crispi per tutto il pomeriggio. I Cobas, dopo la dichiarazione di dissesto, non erano ancora scesi in piazza per protestare. Lo avevano fatto quelli del Comitato 18 ottobre, chiudendo con un comizio in piazza Immacolata. Lo hanno ripetutamente fatto i sindacati confederali, per gli stipendi ai lavoratori dell’indotto, e i dipendenti comunali, per ottenere il salario di ottobre, così come lo Slai Cobas. Quelli della confederazione, invece, hanno scelto la strada alternativa, chiassosa, visibile, diretta al bersaglio: di sabato, all’ora di punta, con la musica a palla e i sacchetti di frutta a portata di mano. Prima del loro arrivo, mamme, bambini ed anziani passeggiavano ignari lungo via D’Aquino, senza rendersi conto di come carabinieri e poliziotti, defilati lungo le strade laterali, si preparavano all’ anti sommossa. Dopo la breve, ma incisiva e chiassosa sosta davanti alla gioielleria, i Cobas hanno presto raggiunto piazza della Vittoria, dove la tensione non è certo mancata. Hanno sfogato la loro rabbia «contro l’amministrazione che ha portato la città al fallimento”, facendo nomi e cognomi e ricordandoli, almeno ogni dieci metri, a passanti e curiosi. Quella di ieri è stata la forma più estrema, sin qui registrata, di reazione collettiva dopo la certificazione del dissesto finanziario deliberata da Tommaso Blonda. E non è escluso che la piazza non possa tornare a riscaldarsi. Probabilmente, tutto dipenderà dalla possibilità o meno di garantire i prossimi stipendi, i servizi essenziali, l’assistenza alle fasce deboli. La gente ieri non è si aggregata ai Cobas, come forse gli organizzatori speravano. Eppure, quegli applausi giunti al di là dell’ideale cordone che separava spettatori e manifestanti.... dovrebbe far riflettere sul livello di esasperazione che molti cittadini stanno vivendo. Un sentimento che, ovviamente, ognuno mostra appena può, come ritiene, come sa. Ieri sera, i duecento di via D’Aquino hanno usato arance, uova e sacchetti di rifiuti sotto lo sguardo dei poliziotti (uno dei quali rimasto ferito, la prognosi è di sette giorni), ovviamente più concentrati a far sì che nessuno (tante le famiglie per strada) si facesse del male.
Le attese erano ben altre. Le avrebbe dovute creare la condizione: Taranto è un Comune in dissesto. E quindi Tarsu e Ici spostate ai massimi livelli, probabili riduzioni dei servizi e il conseguente taglio di centinaia di posti di lavoro. Una situazione che dovrebbe interessare ogni singolo cittadino, spingerlo ad impegnarsi, aggregarsi e lavorare insieme affinché il futuro si distingua nettamente, nei metodi e nei contenuti, da passato e presente. A scendere in piazza. Se dovesse occorrere, a protestare. E ieri a gridare: “Mo’avast!”, ci sarebbero dovuti essere tutti i “cittadini dissestati”, secondo gli organizzatori. Così però non è stato. L’affluenza alla manifestazione è stata alquanto limitata. Eppure, l’evento intendeva rappresentare il grido unanime della città. Dei lavoratori e dei disoccupati, perché è nel dramma occupazionale che la protesta affonda principalmente le sue radici, dei giovani perché allo stato attuale non sono garantite grandi prospettive di sviluppo, ma anche delle casalinghe, dei pensionati, degli studenti. «Una situazione cittadina straordinaria richiede un impegno cittadino straordinario”, dichiarava il volantino distribuito dagli organizzatori, ma … “Evidentemente i tarantini non amano sino in fono Taranto”, ha dichiarato Orietta De Giorni, arrivata puntuale sul luogo del raduno e subito delusa, viste le presenze, dal mancato spirito di partecipazione dei suoi concittadini. “Sono indignata - ha aggiunto l’amica Angela Di Nardo - non capisco perché si continui ad assistere passivamente a questo degrado, non capisco perché ci si comporti sempre come se quello che ci circonda non ci riguardasse e non ci interessasse. Spero, però, che il corteo cresca strada facendo”, dichiarando poi di aver accolto l’invito a essere presente dopo aver letto i manifesti per strada e spinta dal fatto che la manifestazione non avesse alcun colore politico, che fosse un gesto incisivo per riscattare una dignità calpestata, e il veicolo più immediato per unirsi agli altri, “a chi condivide con te il tuo stesso bisogno”. Un pensiero confermato dai fatti visto che a loro, dopo pochi minuti di conversazione, si è unita la signora Nunziata, lucana d’origine ma tarantina d’adozione, casalinga raggiunta dalla notizia della protesta nel supermercato vicino casa: “L’indifferenza fa male - ha fatto notare - far sentire la nostra voce è assolutamente necessario”. Soprattutto perché dopo tutto quello che è accaduto “se non si mostra un segnale netto si rischia di dar agio a chi crede che questa città possa essere messa sotto i piedi sempre e comunque”, è in sintesi il pensiero di Maddalena Ariodante. Dopo essersi laureata in Scienze politiche a Bologna ha deciso di tornare a casa e ora frequenta un master a Lecce “spero di non pentirmi di questa scelta - ha sottolineato - in ogni caso sapevo che la situazione non fosse delle migliori - incalza - in realtà non lo è mai stata per l’assenza di spazi sociali, di un’università, perché lasciamo che sfruttino il nostro territorio, perché permettiamo di rimanere schiavi dell’acciaio da un lato e della Marina militare dall’altro, ma di sicuro non sapevo che fosse così devastante. Io a Taranto ho scelto di tornarci e ci voglio rimanere, ma voglio anche vivere in un luogo dove la gente è padrona del proprio destino. Per questo sono qui oggi”. Di giovani come Maddalena ce ne sono svariati, ma per Alessandro e Giovanni non abbastanza: “Non c’è interesse verso i problemi sociali e politici - hanno sostenuto - tra i nostri coetanei. Preferiscono drogarsi di televisione. Sono convinti che l’età li giustifichi a vivere nell’indifferenza, ma al futuro si dovrebbe iniziare a pensare già adesso”. Un futuro che Antonio, di sedici anni anche lui, spera lo porti a dire ancora “sono fiero di essere tarantino”.
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