Malgrado le previsioni, tragiche per lo più, si è svolta tranquillamente la celebrazione del "World Gay Pride" a Gerusalemme. Le "forze della reazione in agguato" hanno accettato il compromesso, niente corteo ma una manifestazione all'interno del campus dell'Università ebraica della capitale, il movimento gay ha dato prova di serietà e realismo accettando le clausole proposte dalle forze dell'ordine, per le quali il problema vero era rappresentato non dai manifestanti gay, quanto piuttosto dalle "forze ortodosse riunite", che hanno visto riuniti musulmani, ebrei, cristiani nella santa crociata contro gli infedeli del sesso. Ma Israele è una democrazia laica, dove lo Stato ha vinto un'altra volta, ordinando che la celebrazione andava fatta, essendo un diritto dei cittadini quello di esprimere la propria opinione. Ed è questo che differenzia Israele dagli stati musulmani. Anche nello Stato ebraico ci sono degli intolleranti, i quali cercano di imporre agli altri la loro visione della vita. Con la differenza che non ci riescono, anche se a Gerusalemme il loro numero è tale da costituire un problema in non poche occasioni. Sulla manifestazione pubblichiamo una corrispondenza giuntaci via internet di Andrea Buonaguidi.
Sole inatteso stamani in Givat Ram. A piedi dal ministero del turismo fino al campo sportivo dell'università. Poliziotti di presenza ad ogni angolo, e transenne a vietare il passaggio delle auto. Circa 5.000 persone, rappresentanti (pochi) dei partiti di sinistra, le varie associazioni, fra cui quella dei gay e lesbiche palestinesi in Israele e soprattutto un sacco di gente, nonnini, mamme con bambini, studenti, stranieri e non, Sami Michael lo scrittore che è intervenuto, etc. etc. Il tema degli interventi comunque non variava di tanto, tutti ribadivano il concetto di "Jerushalaim shel kulam", Gerusalemme è di tutti... La manifestazione è scivolata via liscia, fra un intervento ed un concerto dei Dag Hanagash. Peccato per chi quest'oggi non è voluto uscire dal ghetto, per chi è restato rinchiuso nelle sue convinzioni, frutto di una mente sapientemente colonizzata. La sacralità di Gerusalemme tanto difesa in questi giorni risulta stonare con la reale essenza nelle cose, e la città che da tutti è desiderata non trova santificazione in questo desiderio. Ortodossi tutti uguali, vestiti nello stesso modo, con i giorni uguali e scanditi dalla stessa banalità che pretendono poteri, ma non fanno il servizio militare, che non lavorano e ricevono il sussidio dallo stato, che negano i sentimenti altrui e non conoscono l'odore della propria moglie. Arabi perenni vittime di loro stessi, e della loro mancanza di stimoli, di curiosità, di una voglia intelligente che non sia un delirio collettivo. La città santa quest'oggi ha trovato la sua ritualizzazione fuori dal ghetto... fuori dal ghetto dei quartieri della città vecchia, fuori dal ghetto di Mea Sharim e del quartiere degli zeloti, fuori dal ghetto dei quartieri arabi dove i colori sono sempre in bianco e nero da 60 anni, e i bambini giocano al piccolo kamikaze. Peccato... perché se all'inizio sembrava che il problema fosse di non permettere a questa gente di entrare nella Città Santa, la verità è che qualcuno ha avuto paura che ci si potesse accorgere che le porte del ghetto possono anche aprirsi... Sole inatteso stamani fuori dal ghetto di Gerusalemme...
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