Novembre 2006. Dopo la sconfitta nell'aggressione al Libano portata avanti ad agosto, l'esercito israeliano continua a fare praticamente quello che vuole a Gaza ed in Cisgiordania, facendo allegramente passare per "errori tecnici" stragi di civili sorpresi nel sonno.
La denuncia dei medici palestinesi:
«A Gaza usate nuove armi al tungsteno»
Lo rivela il nuovo documentario di Maurizio Torrealta e Flaviano Masella per Rai News 24. Nel raggio di 4 metri le bombe Dima distruggono tutto quello che incontrano, e hanno effetti cancerogeni. Debole smentita dell’esercito israeliano.
All’inizio è solo un sibilo, non un fragoroso scoppio, come accade per le armi “normali”. Ma l’effetto è devastante, anche se limitato. Nel diametro di 4 metri, per un’altezza di circa un metro, polveri di tungsteno distruggono ogni ostacolo che incontrano, amputano arti, frantumano le ossa. E immettono nel corpo minuscole particelle, invisibili anche ai raggi X, con ogni probabilità cancerogene. Per l’uso di queste nuove armi -che qualcuno proverà ancora a chiamare “intelligenti” nonostante abbiano colpito in gran parte civili- questo luglio a Gaza, durante l’operazione Pioggia d’Estate, sono stati amputati gli arti di 62 palestinesi. La denuncia proviene dai medici di alcuni ospedali di Gaza, ed è stata raccolta nel documentario «Gaza, ferite inspiegabili e nuove armi» di Maurizio Torrealta e Flaviano Masella, giornalisti di Rai News 24, la rete all news della Rai, da tempo impegnata in ambiziose inchieste sulla sperimentazione in Medio Oriente di nuove armi. La video inchiesta, che segue quella sul fosforo bianco a Falluja e sulle nuove armi laser ed elettroniche, è andata in onda ieri notte su Rai News 24, e questa mattina su Rai Tre. Nuove repliche, sempre sul canale satellitare della Rai, saranno trasmesse fino a lunedì. Torrealta e Masella raccolgono in Palestina le voci delle vittime e dei dottori, preoccupati per gli strani effetti delle esplosioni: nei tessuti colpiti dalle deflagrazioni si genera una coagulazione dei dati sanguigni e una necrosi, come se si trattasse di una ferita vecchia, nonostante le vittime giungano in ospedale solo poche decine di minuti dopo l’esplosione. I giornalisti di Rai News 24 provano a scoprire l’origine di queste armi e trovano, sul sito Defensetech.org, un articolo che descrive effetti molto simili a quelli registrati dai medici palestinesi. Con l’obiettivo di produrre un ordigno capace di limitare i “danni collaterali”- spiega la rivista- nei laboratori di ricerca americani è in fase di sperimentazione una nuova arma chiamata Dime (Dense Inert Metal Explosive) basata su polveri di metallo inerte, capaci di sviluppare una potenza distruttiva straordinaria, ma in un raggio molto breve. Le polveri di tungsteno cariche di energia, penetrate nel corpo della vittima, generano un calore elevatissimo, capace anche di recidere le ossa. La rivista militare cita anche un articolo del New Scientist Magazine sugli effetti del tungsteno iniettato in ratti da cavia: «92 casi di tumore su 92, il 100%», questo il risultato della ricerca. Tanto netto da far immaginare un nuovo caso «uranio impoverito». Una prima risposta all’inchiesta proviene dall’esercito israeliano che in una nota smentisce di aver esploso su Gaza bombe Dime, ma ammette di essere impegnato nello «sviluppo di armi a bassa letalità» e ricorda di far uso «di metodi e armi consentite dal diritto internazionale». Ma più che consentite sarebbe bene dire non proibite, poiché questi nuovi modelli di armamento sono sconosciuti dai trattati internazionali sulle armi convenzionali. Della vicenda si sono interessate anche Human Right Watch e l’associazione pacifista israeliana Physicians of Human Right: quest’ultima ha anche provato a far analizzare i tessuti colpiti a Tel Aviv, ma senza ottenere risultati. Un frammento di carbonio proveniente dall’involucro dell’esplosivo è stato analizzato dal laboratorio del Dipartimento di Scienze della Terra dell’università di Ferrara. Il risultato -una presenza evidente di tungsteno e di metalli rari- è del tutto compatibile con l’ipotesi avanzata dai due giornalisti. Una tesi confermata anche dall’agenzia missionaria Misna e da Hassinen Mouawia, direttore dei servizi di pronto soccorso della Striscia di Gaza presso il ministero della Sanità dell’Anp. «Crediamo che sia importante effettuare un costante monitoraggio dell’uso di nuove armi».
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