CONTRO OGNI TIPO DI NOCIVITA'!
CONTRO TUTTI I GOVERNI CHE CE LE IMPONGONO!
CONTRO OGNI POTERE!
CENTRALI, RIFIUTI, TRENI: ECCO L'ITALIA BLOCCATA DAI MILLE NO
LUCIA POZZI
LA TAV Torino-Lione si farà. Lo hanno ribadito ieri all’unisono Prodi e Di Pietro, a Lucca per l’incontro con il presidente francese Chirac. Spenti i riflettori sul summit toscano, però, molte castagne restano sul fuoco. Perché le contestazioni del popolo “No Tav” continuano a bruciare, come è stato giovedì a Bussolengo con gli slogan urlati e il lucchetto al cancello di Villa Ferro, dove erano riuniti i sindaci della Val Susa con il presidente dell’Osservatorio tecnico-ministeriale sulla Torino-Lione, Mario Virano. E come sarà, prevedibilmente, nelle prossime settimane, per culminare nella tre giorni di Venaus, dall’8 al 10 dicembre : «Un appuntamento cui parteciperemo numerosi», dice Maurizio, che si occupa dell’organizzazione e, per tenere la conta dei posti letto e disporre pasti caldi per tutti, risponde come una macchinetta al numero di cellulare che corre nelle comunicazioni on line di chi di “alta capacità”, in Val Susa, non vuol proprio sentir parlare. Sarà l’occasione per ricordare il blitz della polizia di un anno fa nei cantieri occupati dai manifestanti e il sequestro disposto subito dopo dalla magistratura. L’ultimo anello di una catena di contrapposizioni e scontri che ha di fatto portato al blocco dei lavori su un’arteria fondamentale per il futuro dell’Europa, correndo filata da Lisbona a Kiev (Corridoio 5), con il rischio effettivo, per l’Italia, di perdere anche i finanziamenti Ue, che ammontano a 1 miliardo di euro per il 2007-2013 (pari al 20 per cento del costo complessivo). Prodi ha appena ribadito di essere «fiducioso di poter dare una risposta positiva entro il prossimo 1 settembre», mentre da Bruxelles fioccano gli appelli accorati della coordinatrice europea, Loyola de Palacio, a decidere tempestivamente. Si tratta di verificare di nuovo il percorso della Tav, se cioè confermare l’attuale progetto o cambiarlo. Fatto sta che il tempo passa e il fronte del no non accenna ad ammorbidirsi. E anche quella della Val Susa, al di là delle intenzioni e dei proclami della politica, rischia di diventare una storia all’italiana che non finisce mai, di quelle che vanno avanti anni e anni tra picchetti, barricate, manifestazioni, digiuni collettivi, sit-in, tavoli più o meno tecnici che arrivano a poco o nulla, commemorazioni, lettere e, naturalmente, ricorsi su ricorsi che paralizzano il Paese e ci condannano all’immobilismo. In troppi settori strategici ci troviamo ormai davanti a un’Italia bloccata. Colpa di un tessuto normativo che lascia ampi margini d’incertezza, a cominciare dalla Costituzione e dalle competenze concorrenti Stato-Regioni su materie vitali per un Paese come l’energia, la tutela della salute, l’istruzione e le professioni, le grandi reti di trasporto e navigazione e molto altro ancora. Colpa anche di un processo di liberalizzazioni che è ancora zoppo. E colpa di un’indole che riproduce benissimo il famoso “principio Nimby ”, acronimo di “ Not in my back yard ”, che significa “non nel mio cortile”: cantieri, centrali, discariche, termovalorizzatori, rigassificatori, impianti eolici, gallerie, autostrade e linee ferroviarie vanno bene, purchè lontani dal mio “giardino”, appunto. Tranne che si tratti di ospedali, scuole o università. In questi casi tutti vogliono la struttura vicina a casa, e guai a parlare di razionalizzazioni, con buona pace per il bilancio pubblico. Il Nimby Forum tiene sotto osservazione proprio il fenomeno delle contestazioni alle infrastrutture e agli impianti sul territorio. E dal suo ultimo rapporto, che riguarda i 14 mesi che vanno dal 1 maggio 2005 al 30 giugno scorso, esce un quadro a dir poco allarmante: oltre il 90 per cento degli impianti e delle infrastrutture previste è contestato in Italia, con gravi ritardi nei lavori, quando non vengano bloccati del tutto. E su 171 casi accertati, la palma d’oro spetta al settore rifiuti (56 per cento), seguito dall’energia e dalle infrastrutture (con il 32 e il 12%). Il risultato è che il nostro Paese è costantemente impegnato in una guerra estenuante, che si combatte sulle barricate di un localismo spesso esasperato, di una volontà politica altalenante sui grandi progetti e di interessi di bottega che si confondono in un calderone di principi e aspettative più o meno legittimi. E ne paghiamo tutti il conto, che è salato, e si traduce in perdita di competitività, di capacità produttiva e autonomia decisionale. La lista delle emergenze è lunga in Italia, e spulciarla significa farsi venire il sangue amaro tra procedure interminabili e tira e molla continui tra poteri locali, manifestazioni di piazza e istanze ambientaliste. Con un gran dispendio di risorse, naturalmente. E’ fresca fresca la notizia dello stop ai termovalorizzatori in Sicilia, deciso dalla Conferenza dei servizi. Entro 60 giorni dall’apertura del procedimento dovranno essere pronti gli atti necessari a una nuova valutazione. Il motivo? “L’oggettiva presenza di vizi di validità negli atti e la mancanza della valutazione delle emissioni in atmosfera da parte dell’organo competente”, si legge nella nota conclusiva della Conferenza. Il punto è che la presentazione in pompa magna da parte del gruppo Falk e dell’archietto Paul Tange, convolto per la progettazione dell’involucro esterno di 3 dei 4 termovalorizzatori in programma per la Regione, sembra già molto più lontana di quel gennaio 2005 in cui è avvenuta. E che dire dell’impianto eolico dell’Enel bloccato a Balascia (in Sardegna, vicino a Sassari), con una spesa già sostenuta di 16 milioni di euro sui 18 totali, dopo un giro vorticoso di lettere, diffide, sequestri e dissequestri, fino all’attesa pronuncia del Consiglio di Stato? I lavori sono fermi da tempo, ormai, e in quel paesaggio suggestivo restano solo i relitti dei basamenti in cemento per le 22 pale che avrebbero potuto dare energia “pulita” a 15 mila famiglie. Nel nostro Paese il Mose di Venezia ha incassato in questi giorni il via libera del Comitato interministeriale, ma già si prepara a una nuova stagione calda, con il sindaco Cacciari e il ministero dell’ambiente in prima linea in questa guerra a suon di cavilli giuridici, ricorsi al Tar e carte bollate. Questa Italia al rallentatore ha mille facce e si specchia in una classe politica spesso incapace di esprimere continuità anche sulle scelte strategiche per lo sviluppo del Paese e disposta, questo invece sì, a buttare al vento milioni e milioni di euro in progetti inadeguati o eternamente incompiuti. Ed è la stessa Italia che vede l’attuale ministro dello Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, promettere in campagna elettorale «almeno tre rigassificatori» e poi scontrarsi con il muro di gomma del fronte del “no” di Brindisi, capitanato dal presidente della Regione Puglia, Niki Vendola, e da diversi amministratori locali, che guardano all’ipotesi alternativa di Taranto come all’uovo di Colombo, quasi che su quel territorio non si stia già preparando la solita schermaglia. Perfino il premier britannico Tony Blair si è lamentato con Prodi di questo film che non finisce mai (la società interessata, infatti, è la British Gas) e lui ha promesso che farà il possibile, scatenando l’ennesimo fuoco di proteste e reazioni allarmate. Eppure tutti sanno che dobbiamo fare qualcosa nel settore dell’energia, per non essere condannati a restare all’ultimo posto nella graduatoria Ue dei Paesi dipendenti dall’estero: stando al libro verde della Commissione europea, la nostra dipendenza energetica è all’84 per cento, a fronte di una media dei 25 pari al 50. E così finiamo con l’essere troppo esposti alle impennate dei prezzi del petrolio o rispetto alle decisioni del Cremlino e di Algeri sul gas. Ma la conversione a carbone della centrale di Civitavecchia non è ancora tutta in discesa, per l’opposizione mai sopita di parte della popolazione e dei comuni limitrofi, nonostante l’Enel abbia vinto le sue battaglie in sede giudiziaria contro lo stop-lavori deliberato dalla giunta della Regione Lazio, guidata da Marrazzo, e Bersani continui a programmare tavoli del dialogo per smussare le proteste. Qualcuno torna, più o meno timidamente, a parlare di nucleare. Un altro capitolo spinoso per l’Italia, mentre la Ue avvia il progetto Iter e la Francia ospiterà il primo reattore nucleare a fusione della storia. Un ultimo treno che, forse, siamo ancora in tempo a prendere.
IL MESSAGGERO 25-11-06 http://www.lamescolanza.com/Temp=2006/112006/italia_bloccata=25112006.htm
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