..........Nel marzo del '64, il padronato brasiliano intimorito dalle riforme sociali promesse dal governo del populista di sinistra João Goulart, organizzò il golpe militare del generale Castello Branco.............
.......Ma, con i generali al potere, le cose in fabbrica e nel paese andavano sempre peggio............
..........In piena dittatura combatteva contro i pelegos, i sindacalisti gialli venduti al padronato, e organizzava gli scioperi, che erano proibiti. Nel `77 il «miracolo brasiliano», ossia la tremenda crescita economica artificialmente alimentata dal flusso dei capitali e dei prestiti esteri, era finito e le proteste operaie si facevano sempre più frequenti............
..........Sia perché «siamo maturati» e sia perché «allora eravamo più che un partito una banda di fuorilegge, tutti con condanne di decine d'anni sulle spalle per crimini politici, e oggi siamo più che un partito: siamo una speranza». Che va molto oltre i confini della classe operaia.........
..........Lula fu fra i fondatori della Central única dos trabalhadores, oggi il maggior sindacato brasiliano con i suoi quasi 20 milioni di iscritti..........
............ arrivò al ballottaggio con l'avventuriero Collor de Mello - il candidato della destra «inventato» dalla Globo - battendo di pochissimo Leonel Brizola, della vecchia guardia laborista, che per l'occasione gli affibbiò un nomignolo divenuto famose: «sapo barbudo», il rospo barbuto..............
B R A S I L E , O R A È L A F E S T A D I L U L A
Oggi Luiz Inacio Da Silva compie 57 anni, oggi il Brasile vota per il nuovo presidente. Negli ultimi sondaggi il carismatico leader «petista» ha il doppio di voti del rivale.
Ecco la sua storia, da emigrato lustrascarpe e venditore ambulante di tapioca a operaio, sindacalista, detenuto dalla dittatura, leader politico radicalissimo, tre volte sfidante alle presidenziali e tre volte sconfitto.
E ora, riveduto e corretto (qualcuno parla di «Lula light»), futuro presidente del più grande paese dell'America Latina
Agora é Lula dice lo slogan della campagna elettorale di Luiz Inácio da Silva, universalmente conosciuto come Lula. Adesso è la volta di Lula. Oggi.
Lo diranno, secondo tutti i sondaggi, fra 60 e 65 milioni di brasiliani sui 115 milioni che andanno a votare nel ballottaggio odierno con José Serra, lontano 30 punti di percentuale e 30 milioni di voti.
Lo dicono gli astri e la cabala, il caso e il destino.
Il 6 ottobre, primo turno delle elezioni, Lula ha avuto il 46.4% dei voti. Oggi 27 ottobre il ballottaggio lo eleggerà presidente.
Il 6 ottobre del 1945, stando al certificato di nascita, Luiz Inácio da Silva nacque a Vargen Grande, alle porte di Garanhuns, cittadina dello Stato nordestino del Pernambuco.
Ma sua madre, Eurídice Ferreira de Mello, dona Lindu, diceva di ricordarsi benissimo che lui, l'ultimo dei suoi otto figli, in realtà venne al mondo il 27 ottobre del 1945.
Il 6 ottobre scorso e oggi 27 ottobre Lula festeggia i suoi 57 anni e, al quarto tentativo, la sua elezione a presidente.
La storia di Lula assomiglia a quella di un personaggio di Dickens. Una storia fatta di sofferenza, umiliazioni, coraggio, lotta, solidarietà, ostinazione, di dolorse sconfitte e vittorie entusiasmanti.
Come quella di oggi. E' la storia di uno dei milioni di migranti - che qui si chiamano retirantes - costretti a fuggire la fame e la seca del nord-est per cercare pane e fortuna nella grande San Paolo.
Il padre, Aristides Inácio da Silva, bracciante senza terra , lasciò la famiglia e il Pernambuco alcune settimane prima che Lula nascesse per andare a scaricare sacchi di caffè a Santos, il porto paulista.
Dona Lindu dovette calarsi in pieno nella parte della Madre Coraggio nordestina, povera ed esclusa, mai rassegnata ed eroica.
Aristides si portò dietro a Santos una ragazzina di 16 anni cugina di dona Lindu, la Mocinha, con cui fece altri otto figli. In un fugace ritorno a Garanhus, mise di nuovo incinta Lindu prima di tornarsene a Santos.
Nel `52 Dona Lindu caricò i sette figli su un «pau de arara», un camion trasformato in corriera, e dopo 13 giorni di viaggio arrivò a Santos.
Era il `52 e Lula aveva 7 anni. Aristides si divise per un po' di tempo fra le due case e le due famiglie. Lindu rimase incinta ancora una volta - due gemelli morti subito - e passò a Santos i peggiori anni di una vita agra.
I maltrattamenti inferti alla madre e ai figli - fra cui la proibizione di andare a scuola - marcarono Lula per sempre, nella sua venerazione per lei e nel risentimento per lui.
Nel `56 Lindu si decise a lasciare Aristides e, portandosi dietro i figli, andò a San Paolo. Dove vissero tutti in una camera e cucina sul retro di un bar in cui l'unico bagno serviva per la famiglia e i clienti.
Aristides morì nel `78, alcolizzato, e per quanto Lula dica di averlo perdonato perché «se non altro gli devo gli spermatozoi che mi hanno fatto nascere», la memoria del suo pessimo padre è stata probabilmente tanto decisiva nella sua storia personale quanto quella della sua meravigliosa madre.
Che, ricorda Lula, «lottò per darci da mangiare e tirare su da sola gli otto figli, senza che nessuno di noi sia diventato un bandito o un ladro».
Anche se né lei né nessun altro avrebbe mai creduto che uno di loro sarebbe diventato presidente della repubblica. Né che un giorno (si è saputo ieri) un certo signor Bill Gates lo avrebbe cercato per incontrarlo.
***
«A San Paolo potei fare le elementari in una scuola pubblica e poi frequentare una scuola professionale che mi dette la qualificazione necessaria per trovare un lavoro come tornitore meccanico».
Lula cominciò ad andare a scuola a 10 anni ma da quando ne aveva 7 andava in giro a vendere noccioline, tapioca e arance, poi a lucidare scarpe, poi a fattorino di una lavanderia nel barrio paulista di Ipiranga.
Erano gli anni di boom industriale e del «desenvolvimentismo» che avrebbe portato il presidente Jucelino Kubitschek a costruire Brasilia quando Lula, quattordicenne, entrò nella sua prima fabbrica.
Nel `63, preso il diploma da tornitore meccanico, lasciò il mignolo della mano sinistra sotto una pressa della Metalúrgica Independência, dove lavorava dalle 7 di sera alle 7 del mattino.
Nel marzo del '64, il padronato brasiliano intimorito dalle riforme sociali promesse dal governo del populista di sinistra João Goulart, organizzò il golpe militare del generale Castello Branco.
Il tornitore Lula passò da una fabbrica all'altra e nel `66, trasferitosi con la famiglia a São Bernardo do Campo - dove abita ancora oggi -, fu assunto dalla Metalúrgica Villares.
Fino ad allora l'unica cosa che lo interessava, a parte il lavoro, era il calcio.
Ma, con i generali al potere, le cose in fabbrica e nel paese andavano sempre peggio.
Fu il fratello José, anche lui operaio e militante clandestino del Partito comunista brasiliano, che lo convinse a partecipare a una riunione sindacale.
Era il 1968. Sette anni dopo, nel `75 fu eletto presidente del Sindicato dos Metalúrgicos di São Berardo do Campo e Diadema - città industriali nella cintura di San Paolo -, carica a cui fu rieletto nel `78.
In piena dittatura combatteva contro i pelegos, i sindacalisti gialli venduti al padronato, e organizzava gli scioperi, che erano proibiti. Nel `77 il «miracolo brasiliano», ossia la tremenda crescita economica artificialmente alimentata dal flusso dei capitali e dei prestiti esteri, era finito e le proteste operaie si facevano sempre più frequenti.
Il primo grande sciopero dei metalmeccanici, dopo dieci anni senza scioperi, fu quello del metallurgici di San Berardo, nel `78. A dirigerlo c'era Lula, e le immagini televisive di quel giovane e carismatico leader sindacale, barbuto e scarmigliato, fecero il giro del mondo.
Nel `79 fu alla testa di un secondo grande sciopero, 150 mila operai che si fermarono per chiedere non più solo migliori condizioni salariali ma anche la fine della dittatura militare.
Il primo aprile dell'80 altro sciopero generale e, all'alba del 19 aprile, Lula fu arrestato dagli uomini del Dops, il Dipartimento dell'ordine politico e sociale, sotto l'accusa di avere violato la Legge per la sicurezza nazionale.
Restò in carcere per 30 giorni con altri 17 sindacalisti e per loro si mosse fra gli altri il cardinale Paulo Evaristo Arns, arcivescovo di San Paolo e intrepido nemico della dittatura.
***
Lula era già un leader nazionale. Non solo sindacale ma politico. Il 10 febbraio del 1980 aveva fondato il Partido dos trabalhadores a cui aderirono subito sindacalisti, politici, comunità ecclesiali di base, militanti dei movimenti popolari di opposizione, intelletuali, artisti, scienziati, preti.
«Molti trovarono strana la nascita del Pt, sia a sinistra che a destra. Ma la grandezza che noi vedevamo in quella proposta stava proprio nella sua indefinitezza.
Non volevamo commettere l'errore di quelli che hanno un programma pronto in tasca, scritto da una mezza dozzina di teste d'uovo, che viene poi venduto come se fosse concluso una volta per tutte.
Fin dall'inizio ci furono però due principi su cui non potevano transigere: la democrazia interna e l'etica rigorosa».
Il radicalismo di quei tempi si è andato sciogliendo sia per le sconfitte di Lula candidato - specie quella dell'89 - sia per le vittorie del Pt - che dagli 8 deputati dell'86 è arrivato alla maggioranza relativa della Camera, con 91 deputati, del 6 ottobre scorso e che governa ormai con sindaci e governatori petisti oltre 50 milioni di brasiliani.
Sia perché «siamo maturati» e sia perché «allora eravamo più che un partito una banda di fuorilegge, tutti con condanne di decine d'anni sulle spalle per crimini politici, e oggi siamo più che un partito: siamo una speranza». Che va molto oltre i confini della classe operaia.
Dopo il Pt, la Cut. Nell'83 - ormai avviata, durante la presidenza del generale Figueiredo, la lenta «apertura» verso la democrazia -
Lula fu fra i fondatori della Central única dos trabalhadores, oggi il maggior sindacato brasiliano con i suoi quasi 20 milioni di iscritti.
Nell'86 fu il deputato federale all'assemblea costituente più votato del paese, con oltre 650 mila voti. Alle prime elezioni presidenziali dirette in 29 anni, quelle del 1989, arrivò al ballottaggio con l'avventuriero Collor de Mello - il candidato della destra «inventato» dalla Globo - battendo di pochissimo Leonel Brizola, della vecchia guardia laborista, che per l'occasione gli affibbiò un nomignolo divenuto famose: «sapo barbudo», il rospo barbuto.
Lula sembrava vicino alla vittoria ma il gioco sporco dei mass media e specialmente della televisione Globo lo fece crollare proprio in vista del traguardo.
Giornali e Tv andarono a frugare nella sua vita e scovarono una sua ex fidanzata che lo accusò di averla spinta ad abortire (in Brasile l'aborto è ufficialmente proibito) e, al suo rifiuto, di avere poi abbandonato lei e la bambina, Luriam.
Lula entrò in uno stato di profonda depressione e arrivò psicologicamente distrutto all'ultimo dibattito con Collor sulla Globo. Lo perse e perse il ballottaggio.
***
Questo capitolo della vita politica di Lula fu uno dei più dolorosi e si riallacciava a un altro capitolo tragico della sua vita da retirante nordestino.
Quando ebbe la storia con Miriam Cordero, Lula era (oltretutto) vedovo perché la sua prima moglie, Maria de Lourdes, era morta di parto, nel '70, insieme a quello che sarebbe stato il loro primo figlio.
Nel `74 Lula si risposò con Marisa, anche lei vedova, con cui poi ha avuto tre figli. Luriam, che oggi ha 28 anni e fa la giornalista, è del Pt e ha fatto campagna per il padre.
Le altre due sconfitte, contro Cardoso, nel `94 e nel `98, furono meno dolorose e per molti versi annunciate. Potevano sembrare la fine e invece servirono ad accumulare forze.
Da allora Lula ha preparato la rivincita, articolando alleanze verso il centro senza tagliare le ali marx-leniniste e trotzkiste del Pt, viaggiando instancabilmente per lo sterminato paese, abbandonando il look da sindacalista e gauchista, moderando il discorso e i contenuti, sorridendo anziché mordendo («Prima portavo una maglietta su cui sembrava sempre star scritto: sono incazzato»), trovando le parole e i toni giusti con gli industriali, i banchieri, gli operatori di Borsa, i militari.
E perfino con le mefitiche e poderose sette evangeliche che nel `94 lo dipingevano come «il candidato della marginalità e del caos» e «l'incarnazione del diavolo in terra»: oggi il «vescovo» Carlos Rodrigues della Igreja Universal do Reino de Deus fa campagna per Lula e dice che «basta con questa storia che il diavolo è barbuto e ha quattro dita».
Il risultato è il «Lula light», il «Lula diet», il «Lulinha paz e amor» di questa campagna. Che sommato alla drammatica crisi sociale che Cardoso si lascia dietro gli dà quei 30 punti di scarto sul candidato della continuità con cui oggi si presenta al voto.
E' davvero cambiato Lula? E quanto? Prima diceva che bisognava cessare i pagamenti del debito estero «fino a quando ci sarà un solo bambino cha abbia fame in Brasile», adesso dice che «il Brasile rispetterà tutti gli accordi presi dall'attuale governo»; prima diceva che l'Fmi è il male assoluto, adesso dice che è un male necessario; prima citava Cuba e Fidel come esempi di democrazia, adesso - pur confermando la sua ammirazione per Fidel - dice che sbaglia a «non convocare elezioni presidenziali dirette»; prima diceva che bisognava finirla «con il monopolio della Globo», ieri sera, dopo l'ultimo dibattito elettorale, si è complimentato per la «neutralità» della Globo in questa campagna.
Si vedrà presto se e quanto Lula è cambiato. E se essere divenuto un simbolo - addirittura «un mito» - e la sua straordinaria abilità di negoziatore - sviluppata negli anni duri da sindacalista - gli basteranno.
Certamente una volta entrato nel palazzo dell'Alvorada, la residenza del presidente a Brasilia, non potrà più lavare i piatti, come dice che gli piace fare nella sua modesta casa di San Bernardo.
E forse non potrà neanche più cucinare gli spaghetti alla carbonara che sembra siano la sua specialità. Ma è altrettanto certo che sarà uno spettacolo indimenticabile nella storia di questo paese vedere un ex-tornitore meccanico salire il primo gennaio 2003 la rampa del palazzo presidenziale di Planalto, nell'avveniristica architettura di Brasilia voluta da Kubitschek e creata dai visionari Lucio Costa e Oscar Niemeyer (che, a più di 90 anni, si professa ancora ostinatamente comunista ed elettore di Lula).
«E' un sogno per il Brasile vedere un uomo come Lula alla presidenza», ha detto il vecchio Brizola, quello del «sapo barbudo».
Un sogno che sembrava impossibile, come ha detto Chico Buarque abbracciandolo qui a Rio qualche giorno fa: «Dopo essere arrivati tanto vicini nell'89, non credevo più di poter vedere Lula presidente».
Quanta strada - e con quanta fatica - ha fatto il migrante nordestino partito nel `52 dal Pernambuco sulle ginocchia di dona Lindu verso San Paolo.
MAURIZIO MATTEUZZI il manifesto 27-10-2002
bbb
|