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COPYRIGHT E MAREMOTO
by gianni Monday, Nov. 04, 2002 at 4:48 PM mail:

Dalla newsletter Giap

di Wu Ming 1


Un esteso movimento di contestazione e trasformazione sociale è oggi attivo in gran parte del pianeta. Ha smisurate potenzialità costituenti ma non ne è ancora del tutto consapevole. Pur venendo da molto lontano, si è manifestato solo di recente, salendo più volte sulla ribalta mediatica eppure lavorando nel quotidiano, lontano dai riflettori. E' fatto di moltitudini e di singoli, di reticoli capillari sul territorio. Cavalca le più recenti innovazioni tecnologiche. Gli vanno strette le definizioni coniate dai suoi avversari. Presto sarà inarginabile, e nulla potrà la repressione.

E' ciò che il potere economico chiama "pirateria".

E' il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente.

Da quando - non più di tre secoli or sono - si è imposta la credenza nella proprietà intellettuale, i movimenti underground e "alternativi" e le avanguardie più radicali l'hanno contestata in nome del "plagio" creativo, dell'estetica del cut-up e del "campionamento", della filosofia "do it yourself". Procedendo a ritroso si va dall'hip-hop al punk al proto-surrealista Lautreamont ("Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Stringe da vicino la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un'idea falsa, la sostituisce con l'idea giusta.").
Oggi quest'avanguardia è di massa.

Per decine di millenni la civiltà umana ha fatto a meno del copyright, come ha fatto a meno di consimili falsi assiomi, quali la "centralità del mercato" o la "crescita illimitata". Se fosse esistita la proprietà intellettuale, l'umanità non avrebbe conosciuto l'epopea di Gilgamesh, il Mahabharata e il Ramayana, l'Iliade e l'Odissea, il Popol Vuh, la Bibbia e il Corano, le leggende del Graal e del ciclo arturiano, l'Orlando Innamorato e l'Orlando Furioso, Gargantua e Pantagruel, tutti felicissimi esiti di un esteso processo di commistione e ricombinazione, riscrittura e trasformazione, insomma di "plagio", nonché di libera diffusione e performance dal vivo (senza l'interferenza degli ispettori SIAE).

Fino a poco tempo fa, le palizzate delle enclosures culturali imponevano una visuale angusta, poi è giunta Internet. Ora la dinamite dei bit per secondo fa saltare quei recinti, e possiamo intraprendere avventurose escursioni in foreste di segni e radure illuminate dalla luna.
Ogni notte e ogni giorno milioni di persone, da sole o collettivamente, aggirano/violano/contestano il copyright. Lo fanno riappropriandosi delle tecnologie digitali di compressione (MP3, Mpeg etc.), distribuzione (reti telematiche) e riproduzione dei dati (masterizzatori, scanner). Tecnologie che aboliscono la distinzione tra "originale" e "copia". Usano networks telematici peer-to-peer (decentrati, "da pari a pari") per mettere in condivisione i dati dei propri dischi rigidi. Aggirano con astuzia qualunque ostacolo tecnico o legislativo. Prendono in contropiede le multinazionali dell'entertainment erodendone i sinora smodati profitti.
Com'è naturale, creano grosse difficoltà agli enti che amministrano il cosiddetto "diritto d'autore" (in che modo lo amministrino ce lo ha mostrato Bernardo Iovene nella sua inchiesta per la trasmissione Report del 4 ottobre 2001, il cui testo è disponibile all'indirizzo <http://www.report.rai.it/2liv.asp?s=82>).

Non stiamo parlando della "pirateria" gestita dal crimine organizzato, sezione di capitalismo extralegale non meno spiazzata e annaspante di quella legale dall'estendersi della "pirateria" autogestita e di massa. Parliamo di una generale democratizzazione dell'accesso alle arti e ai prodotti dell'ingegno, processo che scavalca le barriere geografiche e sociali. Diciamolo pure: barriere di classe (devo proprio snocciolare qualche dato sui prezzi dei CD?).

Questo processo sta cambiando i connotati dell'industria culturale mondiale, ma non si limita a questo. I "pirati" indeboliscono il nemico e allargano gli spazi di manovra delle correnti più politiche del movimento: ci riferiamo a quanti producono e diffondono il "software libero" (programmi "a sorgente aperta" liberamente modificabili dagli utenti), a coloro che vogliono estendere a sempre più settori della cultura le licenze "copyleft" (che permettono la riproduzione e distribuzione delle opere purché esse rimangano "aperte"), a coloro che vogliono rendere di "pubblico dominio" farmaci indispensabili alla salute, a chi contesta l'appropriazione, la registrazione e la frankensteinizzazione di specie vegetali e sequenze genetiche etc. etc.

Il conflitto tra anti-copyright e copyright esprime nella sua forma più immediata la contraddizione di base del sistema capitalistico: quella tra forze produttive e rapporti di produzione/proprietà. Giunto ad un certo livello, lo sviluppo delle prime mette inevitabilmente in crisi i secondi.
Le stesse corporations che vendono campionatori, fotocopiatrici, scanner e masterizzatori, controllano anche l'industria globale dell'entertainment che si scopre danneggiata dall'uso di tali strumenti. Il serpente si morde la coda, poi aizza i parlamenti perché legiferino contro l'autofagia.

La conseguente reazione a catena di paradossi ed episodi grotteschi ci fa comprendere che è finita per sempre una fase della cultura, e che non serviranno leggi più dure a fermare una dinamica sociale già avviata e travolgente. Quello che va modificandosi è l'intero rapporto tra produzione e consumo nella cultura, il che allude a questioni di ancor più vasta portata: il regime proprietario sui prodotti dell'intelletto generale, lo statuto giuridico e la rappresentanza politica del "lavoro cognitivo" etc.

Ad ogni modo, il movimento reale punta a superare l'intera legislazione sulla proprietà intellettuale, a riscriverla da capo. Sono già sul terreno le pietre angolari su cui riedificare un vero "diritto degli autori", che tenga davvero conto di come funziona la creazione, vale a dire per osmosi, commistione, contagio, "plagio". Sovente, legislatori e forze dell'ordine inciampano in quelle pietre, sbucciandosi le ginocchia.

L'open source e il copyleft si estendono ormai ben oltre la programmazione del software: le "licenze aperte" sono dappertutto, e in tendenza possono divenire il paradigma di un nuovo modo di produzione, che liberi finalmente la cooperazione sociale (già esistente e visibilmente dispiegata) dal controllo parassitario, dall'esproprio e dalla "rendita" a favore di grandi potentati industriali e corporativi.

La potenza del copyleft deriva dal suo essere un'innovazione giuridica dal basso che supera la mera "pirateria", ponendo l'accento sulla pars construens del movimento reale. In pratica, le vigenti leggi sul copyright (uniformate dalla Convenzione di Berna del 1971, praticamente il Pleistocene) vengono pervertite rispetto alla loro funzione originaria, e anziché ostacolarla diventano garanzia della libera circolazione. Wu Ming contribuisce a questo movimento inserendo nei suoi libri la seguente dicitura (di certo migliorabile): "E' consentita la riproduzione parziale o totale dell'opera e la sua diffusione per via telematica ad uso personale dei lettori, purché non a scopo commerciale". Vale a dire che tale diffusione deve rimanere gratuita... pena il pagamento degli spettanti diritti.

Per chi volesse saperne di più, un ottimo quadro della situazione è quello recentemente fornito dalla rivista New Scientist (trad. it. su <http://www.internazionale.it/copyleft.html>), in un lungo articolo a sua volta pubblicato sotto una "licenza aperta".

Cancellare un'idea falsa, sostituirla con quella giusta. L'avanguardia è un salutare "ritorno all'antico": stiamo abbandonando la "cultura di massa" dell'era industriale (centralizzata, standardizzata, univoca, ossessionata dall'attribuzione autoriale, regolata da mille cavilli) per addentrarci in una dimensione produttiva che, a un livello di sviluppo più alto, presenta non poche affinità con quella della cultura popolare (eccentrica, difforme, orizzontale, basata sul "plagio", regolata dal minor numero di leggi possibile).

Le vigenti leggi sul copyright (tra cui la pasticciatissima legge italiana del dicembre 2000) non tengono in alcun conto il "copyleft": al momento di legiferare, il Parlamento ne ignorava del tutto l'esistenza, i produttori di software libero (a rigore, accomunati sic et simpliciter a "pirati") ne hanno avuto la conferma durante incontri con diversi onorevoli.

Com'è ovvio, vista l'attuale composizione delle Camere, non vi è da attendersi altro che il diabolico perseverare nell'errore, nella stoltezza e nella repressione. Lorsignori non si avvedono che, sotto quel mare in cui essi vedono solo pirati e navi da guerra, i fondali già si spalancano.
Anche a sinistra, quanti non vogliono aguzzare la vista e le orecchie, e propongono soluzioni fuori tempo, da "riformismo" pavido (diminuire l'IVA sui prezzi dei CD etc.), potrebbero accorgersi troppo tardi del maremoto, ed essere travolti dall'onda.

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giap
by ko Monday, Nov. 04, 2002 at 4:52 PM mail:

Quello che segue e' uno scambio di opinioni con un giapster
(che si firma phatPhreak) in merito al testo di Wu Ming 1 *Copyright e maremoto* apparso sul precedente numero di Giap.
Abbiamo messo incollato e tagliato varie parti del suo testo, crediamo senza comprometterne la sostanza.
E' del tutto evidente che chi ci scrive ha una visione del mondo
completamente diversa dalla nostra e proprio per questo ci da' agio di
specificare ancora meglio alcune cose.

<< Ammiro l'entusiasmo di queste parole ma francamente mi sembra un'enfasi su di un fatto abbastanza marginale. Lo paragonerei ai 'furti di le
gna secca' nei boschi del padrone o a qualche imbroglio sulle decime da versare ai preti: malgrado tutti i ladri, i pirati, gli imbroglioni e
i Robin Hood del passato siamo comunque dove stiamo. E bisogna poi tener conto di cosa si pirata, di cosa si 'ruba': legna e farina servivano
a bisogni primari mentre il piratare, in qualsiasi modo inteso, software Microsoft e
musica pop o simili non serve ad altro che a propagare mezzi di instupidimento collettivo.
In questo senso credo che il potere ami la pirateria di alcuni prodotti perche' significa la diffusione della cancrena di cui ha bisogno. [...
]
Perdonami la schiettezza ma oggi veramente la massa e' con Bush, Berlusconi e Mike: la massa, intesa come il gruppo numericamente preponderant
e, sta dalla parte del potere ed aspira a entrare nel numero dei padroncini.
Tutti quei 'pirati' ventenni e trentenni ci mettono poco a diventare odiosi capiufficio non appena accedono ad uno stipendio che permette loro
di comprarsi delle cravatte decenti. E il concetto del 'fregare' se lo portano dietro come una seconda pelle, tanto da cercare di fregare que
lli che li circondano, magari negando loro diritti elementari sul posto di lavoro. [...]
L'illegalita' superflua, quella che non serve a procurarsi da mangiare, e' sempre stata dalla parte del potere e da esso usata.
L'illegalita' senza coscienza politica, come accade in gran parte dei contemporanei 'pirati', e' solo un'altra faccia del potere e di solito s
i trova in sua balia, come tanti ladruncoli sono balia dei poliziotti a cui fanno da spie. Vallanzasca oggi si fa intervistare alla TV ed esor
ta i giovani ad essere bravi e studiosi.[...]
Francamente non vedo affatto questa 'erosione' [dei profitti delle multinazionali dell'entertainement], vedo invece soltanto un'affermazione s
empre piu' profonda e tentacolare della macchina capitalistica che anche grazie ai network di ogni genere si replica e si approfondisce senza
sosta.
Sembra quasi che forme inizialmente democratiche e libertarie di comunicazione siano utilizzate per aprire una strada la quale sara' conquista
ta dal profitto non appena si cominciano a raggiungere certe masse critiche di persone coinvolte.
Il fenomeno di Internet e' emblematico di questo processo: non perche' troviamo in rete molte realta' 'alternative' dobbiamo dimenticarci cos'
e' la rete proprio per la massa di cui sopra: un grande supermercato con una forte componente voyeristica.[...]
Vorrei chiedere a quali 'arti' accedono i 'pirati': musica e film di cassetta? Io personalmente, ma sono un retrogrado, vedo l'accesso a quest
e 'arti' piu' come un danno che come un bene, un danno per il cervello della massa che vi accede. Perche' sono ancora dell'idea che gran parte
della musica pop e gran parte dei film siano un bel mezzo di rincoglionimento e di rimbambimento, siano cioe' utili mezzi al controllo social
e. Stesso discorso per gran parte di Internet.
[...]
Il problema del 'copyright' nel software e' molto piu' complesso di quello per esempio dei libri o dei CD, ed e' un problema in primo luogo di
trasparenza: il software non libero infatti (per es. la roba Microsoft) viene distribuita solo in forma binaria, manca il codice, per cui e'
quasi impossibile 'capire' cosa c'e' dentro ed e' percio' abbastanza sconcertante sentir alcuni che si vantano di 'piratare' i prodotti propri
etari, nel senso in primo luogo di usarli senza pagare la licenza, senza rendersi conto che comunque si tengono il nemico in casa, per cosi' dire. Cioe', nel caso della Microsoft, non facendo altro che contribuire al suo monopo
lio ed alla diffusione dei suoi formati proprietari i cui codici sono segreti. E questa diffusione veramente erode la possibilita' di usare st
andard liberi di cui le specifiche siano note pubblicamente.
Usare Microsoft fa male anche se non si paga cosxec come Mango e' un pessimo cantante anche se lo ascolti gratis.
Il problema fondamentale non e' la pirateria, che e' appunto un fatto marginale e in fondo favorevole al sistema, quanto piuttosto la definizi
one di cio' che e' e deve restare _comune_ e non puo' venire in alcun modo privatizzato.
Me ne frego di Gianni Morandi o almeno me ne freghero' solo quando saro' sicuro che aria, acqua, geni e determinati farmaci fondamentali ecc.
saranno beni di tutti e di nessuno e non andranno in mano a qualche corporation.
Io vedo che qui ci rincoglioniamo ascoltando i cd masterizzati di qualche cantantucolo e poi scordiamo che aria e acqua sono, o sono fatti div
enire 'beni scarsi', come il pane per miliardi di persone: quando essi ci costeranno tutto lo stipendio perche' cosi' vorra' il 'mercato', e l
e guerre in suo onore, che faremo? Pirateremo l'ossigeno o la farina? E in Africa o Sudamerica cosa devono fare _oggi_? Piratare che? Il minim
o che dovrebbero fare e' venire da noi a rubarci abiti e cibo e buttare i vari Bossi/
Fini nelle latrine.
Magari ci lascerebbero i CD.
Queste sono contraddizioni che giocano all'interno del sistema capitalistico e che superandole lo rinsaldano.
Non dimentichiamoci che il capitalismo e' anche un potere le cui forme di insediamento possono generare contraddizioni ma solo come bolle all'
interno del sistema, disequilibri che vengono riaggiustati o con la forza o con la persuasione e un'apparenza di democrazia - dipende dai casi
e dalle opportunita'. [...]
Io e altri come me crediamo che se c'e' un modo oggi di opporsi al peggio sia quello di una opposizione cosciente, pratica e finalizzata, che
lasci perdere ogni velleita' di sistemazione teorica globale e punti all'utilizzo della tecnologia per assestare colpi ben precisi a determina
ti punti del sistema, senza aspettarsi coinvolgimenti di grandi masse.
Diversamente, se non creiamo questo 'fuori' dal sistema, esso diverra' via via sempre piu' globalizzante, digerendo al suo interno ogni possib
ile contraddizione. Ovviamente il 'fuori' puo' stare solo nell'ambito di una posizione definita da un conflitto irriducibile, da una lotta di
cui, con realistica e disperata lucidita', non si puo' intravedere la fine.


[wm2 & 4]
Perdonami la schiettezza, ma al di la' di alcuni passaggi senz'altro condivisibili, credo che la distanza che separa la nostra analisi della p
irateria da quella che fai tu, stia in una serie di assunti che, piu' che 'retrogradi', definirei 'reazionari'.
1) L'idea che, nonostante Robin Hood, stiamo comunque dove stiamo. Il che non sminuisce di una virgola il 'mito' del Principe dei ladri, cosi'
come l'attuale situazione del VietNam non scalfisce l'epopea della 'formiche rosse', la sacrosanta battaglia di un popolo contro il dominio s
traniero.
Se guardi l'Italia di oggi, anche la Resistenza puo' sembrarti un'inutile parentesi. Per quel che mi sembra, e' una visione che stimola soltan
to a mettere il culo sulla sedia, a non lottare, mai, tanto il capitale recupera terreno, forze, individui. Sottoscrivo dunque la frase di Pac
o Taibo II: 'Dove Lenin aveva torto, Robin Hood era sempre nel giusto".
I miti sono importanti, servono a interpretare in un senso piuttosto che in un altro determinati eventi e interagiscono sempre con i conflitti
materiali. Secondo la tua logica Pancho Villa sarebbe dovuto rimanere un 'bandido' assaltatore di treni e diligenze.
Invece i banditi, come i pirati appunto, possono in ogni momento prendere coscienza del fatto che la loro attivita' ha un senso politico. E' i
n quel momento che il 'pirata' diventa 'rivoluzionario'. Se gli neghi questa possibilita' a monte, lo condanni a essere sempre e soltanto un m
ariuolo, mentre invece quella a cui sta partecipando inconsapevolmente col suo piccolo contributo e' una rivoluzione culturale gigantesca.
2) L'idea che gran parte della cultura pop sia un mezzo di rincoglionimento e controllo sociale. Se anche fosse vero - e non mi pare proprio c
he lo sia - non bisognerebbe comunque buttare il bambino con l'acqua sporca.
Primo, perche' la cultura pop e' uno strumento, come tale ne' buono ne' cattivo, che va utilizzato e infettato per diffondere il piu' possibil
e idee, concetti, battaglie che altrimenti resterebbero chiuse nei sotterranei, discusse tra le solite venti persone che non si annoiano mai n
el darsi sempre ragione. Si diventa anti-imperialisti prima con Sandokan che con Lenin.
Secondo, perche' l'atto rivoluzionario del coattello di provincia che si scarica Eros Ramazzotti dalla Rete, non sta ne' nei testi di Eros ne'
- all'estremo - nella consapevolezza del medesimo coattello. L'immagine che commentava su L'Unita' l'articolo 'Copyright e Maremoto' - quella
con il Diavolo Rosso appostato dietro un computer che dice: 'Quando scarichi un Mp3, scarichi il comunismo' - non xe8 una nostra 'elaborazi
one grafica', com'era scritto sul giornale. E' il VERO manifesto di una campagna america
na CONTRO la diffusione di queste pratiche. Noi la rivendichiamo: anche inconsapevolmente, chi scarica MP3 sta scaricando il comunismo, perche
' strappa dalle mani delle multinazionali il manico di coltello che e' il monopolio dei mezzi di produzione e produce in proprio un oggetto ch
e fino a quindici anni fa poteva uscire soltanto dalle fabbriche dei grandi colossi della musica.
Se una simile diffusione del rincoglionimento facesse piacere al capitalismo, non si avrebbero tutte le reazioni scomposte e assurde - sintomo
di paranoia e allarme - con cui le aziende stanno cercando di tappare la falla: richiesta di 'schedatura' per gli utenti dei siti peer to pe
er (vogliono i nomi!); spedizione ai critici musicali non piu' dei vecchi Promo, ma di lettori CD usa e getta, sigillati, con lo spinotto dell
e cuffie fuso dentro la presa, in maniera tale che il CD risulti inacessibile; produz
ione di CD anti-copia (ad esempio, l'ultimo di Natalie Imbruglia) con talmente tanti difetti da doverlo subito dopo ritirare dal mercato a cau
sa delle proteste dei consumatori.
Non vorra' dire che gli stiamo facendo male? O dobbiamo continuare a pensare che 'Nella societa' repressiva l'emancipazione dell'individuo non
torna mai a suo vantaggio' (T.Adorno, Minima moralia)?
Tu parli di 'illegalita' superflua': ma in che senso la musica, le narrazioni, il cinema sono 'superflui'? Da millenni, ormai, le comunita' um
ane non fanno a meno di storie e di note: come possiamo definire 'superflue' queste cose?
3) L'interno del sistema/il 'fuori' dal sistema. Ho l'impressione che una simile dialettica sia superata dagli eventi, dalla Storia, dalla vit
a. 'Fuori dal sistema' non significa nulla, nel senso che nulla puo', attualmente, collocarsi in quella dimensione.
Se inforchiamo queste lenti, allora qualsiasi lotta ci apparira' 'interna' - e dunque funzionale - al sistema. Ma e' proprio questa equazione
quella che non regge: interno = funzionale.
Un altro mondo e' possibile, e il liberismo finira' nella pattumiera della storia, ma se aspettiamo gli aviolanci da 'fuori dal sistema' ci ri
troveremo disarmati, in balia del nemico, fottuti.
Noi siamo l'asteroide di Armageddon.
Ma non veniamo da un altro pianeta.

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bah...
by F.Car. Tuesday, Dec. 31, 2002 at 3:01 AM mail:

"Il conflitto tra anti-copyright e copyright esprime nella sua forma piu' immediata la contraddizione di base del sistema capitalistico: quella tra forze produttive e rapporti di produzione/proprieta'."

Ecco, a me questa frase mi sembra una gran cazzata. Il fatto che: "Le stesse corporations che vendono campionatori, fotocopiatrici, scanner e masterizzatori, controllano anche l'industria globale dell'entertainment che si
scopre danneggiata dall'uso di tali strumenti" vuol dire solo che quelle corporations continuano a fare quel che cazzo gli pare, e che tu che credi di stare fregandoli in realtà li stai sovvenzionando, in una maniera o in un'altra. E' come la storia delle schede taroccate per la pay tv: un enorme "free sample" per una platea enorme che si è assuefatta al prodotto e ora, con le nuove schede che non si possono taroccare, va a comprarsi il prodotto originale... Insomma, pensare di fregarli con così poco mi pare un po' troppo semplicistico...

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che strano...
by truth Tuesday, Dec. 31, 2002 at 3:19 AM mail:

Quest'ultimo commento firmato "F.Car." compariva due mesi fa in un forum di Clarence dove c'e' stato questo stesso dibattito. mi sembra davvero strano ritrovarlo qui paro paro, postato nel cuore della notte e forse neanche dalla stessa persona, questa sta diventando la bacheca dei piu' strani soggetti...

http://forum.clarence.com/showthread.php?s=603f170092e525783bbea81a6add7c5c&threadid=28843

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fettivamente...
by . Tuesday, Dec. 31, 2002 at 3:48 AM mail:

non é una delle cose più strane che succedono qua dentro, però é strana.

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pirateria in Italia
by *.é Thursday, Jan. 02, 2003 at 2:11 PM mail:

Siam tutti pirati
Si parli di videogiochi, software, libri o musica, la situazione è sempre la stessa: l'Italia è tra i paesi europei nei quali si duplicano e si smerciano più copie di materiale illegale. I dati del rapporto 2002 della IIPA

30/12/02 - News - Roma - Gli italiani sono tra i primi popoli d'Europa in quanto a pirateria, cioè a realizzazione, acquisto e diffusione di copie illegali di prodotti informatici, videogiochi, libri, compact disc musicali e via dicendo. L'accusa arriva dalla International Intellectual Property Alliance (IIPA), secondo cui il 20 per cento di questi materiali circolante in Italia è pirata.

In città nelle quali è senz'altro più facile trovare una bancarella con materiale pirata piuttosto che un vigile o un poliziotto dediti a contrastare il fenomeno, IIPA sostiene che il "mercato nero" della pirateria ha raggiunto un volume d'affari pari a 488 milioni di dollari. Cifre che vanno prese con le molle: si tratta infatti di quanto l'industria avrebbe incassato se chi ha comprato a prezzi stracciati materiale pirata avesse acquistato quello stesso materiale a prezzo di listino presso negozianti autorizzati.

IIPA individua nella lentezza e nelle inefficienze del sistema giudiziario e dunque in quello della repressione del fenomeno della pirateria una delle cause del prosperare di queste attività. Con percentuali che in certi casi risultano senz'altro impressionanti. Basti pensare che, secondo IIPA, i videogiochi pirata per console oggi costituiscono il 74 per cento del totale, contro il 55 per cento registrato cinque anni fa.

Altre percentuali di pirateria così elevate si ritrovano nel settore delle pay-tv, dove le smart card pirata sono in ragione di 50 ogni 100, o nel software, dove 43 programmi su 100 sono distribuiti o installati illegalmente.

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