L'editoriale di Liberazione sulla fuga degli extracomunitari dal Cpt di corso Brunelleschi a Torino, in risposta allo squallore culturale dimostrato da "un intellettuale molto stimato - e talvolta considerato persino di centrosinistra - come Alberto Ronchey, già ministro della cultura nel governo Dini"... Quello che dobbiamo capire è che la xenofobia non appartiene soltanto alla sottocultura neonazista dei pischelli muscolati da parata milanese, ma rischia di diffondersi (si sta già diffondendo) coinvolgendo ampi strati sociali e cambiando alla fine, irrimediabilmente, la cultura del nostro paese.
Xenofobi eruditi
di Piero Sansonetti
Ci sono due reazioni possibili, di fronte alla rivolta nel Cpt di Torino (Cpt vuol dire centro di detenzione provvisoria per extracomunitari, e questa detenzione avviene al di fuori della legge e dei principi costituzionali). Le due possibili reazioni - opposte tra loro - hanno una cosa in comune, un sentimento: l’indignazione. La prima reazione è di indignazione per l’esistenza dei Cpt, che rappresentano un “vulnus” - nel gergo dei giuristi - cioè una ferita alla civiltà giuridica occidentale, alla cultura degli eredi di Cesare Beccaria. Nei Cpt noi europei chiudiamo a chiave delle persone, più o meno come noi - ma più povere, più deboli e talvolta nere di pelle - che consideriamo, evidentemente, non pienamente esseri umani e cioè non meritevoli di godere di tutti i diritti dei quali godono i cittadini di prima classe. Quale delitto hanno commesso queste persone? Semplicemente quello di essere sbarcate sulla terra italiana - ed europea - senza che noi - padroni del suolo e del potere - li considerassimo utili al nostro benessere e quindi li autorizzassimo alla “migrazione”. I Cpt sono un monumento alla arroganza dell’Occidente e alla violazione di tutti i principi - socialisti, comunisti, cristiani, liberali ed altri - che prevedono l’uguaglianza degli esseri umani. La seconda reazione possibile è quella di indignazione non verso il Cpt ma, al contrario, verso le pretese dei suoi abitanti e l’inaudita sfida sfociata nella rivolta contro carcerieri e oppressori. E’ una reazione del tutto irrazionale - di paura, di egoismo - e al di fuori di ogni cultura politica che non preveda tra i suoi valori (e obiettivi) l’oppressione e l’esclusione del debole e del diverso: cioè di qualunque cultura politica non tirannica. Purtroppo questa seconda reazione è di gran lunga più diffusa della prima. Ieri - quando ancora non si conoscevano le notizie sulla rivolta di Torino e sulla fuga dei 18 prigionieri, ai quali vanno tutti i nostri più sinceri auguri e ogni promessa di aiuto, se sarà possibile - si è fatto interprete di questo modo di pensare un intellettuale molto stimato - e talvolta considerato persino di centrosinistra - come Alberto Ronchey, già ministro della cultura nel governo Dini. Ronchey ha scritto sul “Corriere della Sera” il più brutto e reazionario articolo mai apparso su quel giornale dopo il 25 aprile del 1945 (eccezion fatta per le paginate di Oriana Fallaci...). L’articolo (collocato in posizione di tutto rispetto come articolo di fondo, in prima pagina) è intitolato “L’Europa assediata”. Ronchey scrive: "Oggi l’Islam ideologico sfida con ogni mezzo la supremazia degli occidentali, che oltretutto proteggono Israele, mentre la mobilità intercontinentale di massa con l’intensa prolificità di africani e mediorientali può travolgere confini e sconvolgere costumi e regole delle società “infedeli”". Dopo questa premessa, Ronchey, con il tono molto serio e professorale che è una sua antica caratteristica, cita alcune dichiarazioni minacciose di Gheddafi, colpevole non solo di voler invadere l’Europa ma - e questo è il peggio della perfidia islamica - di volerlo fare senza armi e senza violenza. Infine Ronchey si scaglia contro il lassismo tradizionale degli europei (inglesi e francesi) e contro la loro ciecità, cioè l’incapacità di vedere la minaccia che viene dal Sud: "Dopo le disgrazie del multiculturalismo britannico e dell’integrazionismo francese... l’incombente superpopolazione africana... le moltitudini erratiche dell’Africa...". Per motivi di spazio ci fermiamo qui nelle citazioni. E francamente ci riesce difficilissimo commentare queste frasi. Sono così oltre il buon senso, così largamente radicate in una cultura xenofoba non molto distante da quella dei settori più estremisti della Lega, che un ragionamento su di esse è difficile. Come si fa a spiegare a Ronchey - uomo che ha studiato tanto, tanto ha letto e tanto ha scritto - che gli esseri umani sono tutti uguali, che ciascuno ha gli stessi diritti degli altri, che il problema non è quello di difendere le ricchezze accumulate dall’Occidente, ma è come distribuirle, come impedire che gli squilibri producano fenomeni inaccettabili - e molto pericolosi - di povertà e di mortalità di massa? Come è possibile fargli capire che al momento non esiste un assedio islamico all’Europa e che anzi, alcuni paesi a forte presenza islamica, come l’Iraq, l’Afghanistan e la Palestina, sono occupati militarmente da forze straniere (e hanno subito stragi, uccisioni, prepotenze, torture, espropri)? Come si fa a farlo ragionare sui disastri compiuti nei decenni passati dal colonialismo occidentale, sulle rapine realizzate a danno dei popoli del Sud? Come si fa a dirgli che l’idea che si possa dividere il mondo in due - i ricchi e i predestinati da una parte, e dall’altra i poveri e gli sfigati - e di considerare un delitto ogni protesta, o rivolta, del mondo oppresso, come si fa a dirgli che questa idea non ha niente a che fare con la modernità, con i nuovi livelli raggiunti dalla civiltà umana? No, non è facile spiegare queste cose. Dovrebbero essere chiare, evidenti, dovrebbero essere scritte a caratteri grandi, netti, nel nostro cervello, e - se esiste - nell’anima. Una specie di riflesso condizionato. Il fatto è che non è così. La xenofobia - fenomeno vicinissimo al razzismo - non riguarda più solo settori dell’estrema destra, o pezzi della Lega, o intellettuali dichiaratamente reazionari, come Marcello Pera, ma dilaga e coinvolge settori vasti dell’intellettualità liberale e della borghesia illuminata. Se non ci prepariamo a una battaglia ideale, a una controffensiva potentissima - anche a costo di perdere consensi, di pagare prezzi politici, di rompere abitudini diplomatiche - il rischio è che tutta la cultura del nostro paese torni indietro di sessant’anni, che la sua forza, la sua originalità, siano annientate. 5 giugno 2006 da Liberazione
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