MANTOVANI
Al Ministro degli affari esteri
Per sapere - premesso che:
il 9 settembre 2005 Luciano Enrique Romero Molina; dirigente del SINALTRAINAL, è stato assassinato a Valledupar (Colombia). Il suo corpo è stato ritrovato legato, torturato e con 40 coltellate. Aveva lavorato 20 anni per la NESTLÉ-Cicolac di Valledupar, dove era stato licenziato il 22 ottobre 2002 per una presunta cessazione di attività. Tale licenziamento era già stato dichiarato illegale dal Ministero della Protezione Sociale, tant'è che presso la Prima Corte del Lavoro di Valledupar è tuttora in corso una causa di lavoro contro le aziende NESTLÈ COLOMBIA s.a., CICOLAC ltda. e DAIRY PARTENS AMERICAS MANOFACTURING COLOMBIA ltda. «DPA COLOMBIA LIMITADA» per il reintegro di Molina nel suo posto di lavoro;
il Programma Presidenziale per i Diritti Umani (Programma Presidenzial de HH) della Presidenza della Repubblica di Colombia ha stilato un dettagliato rapporto sull'attività di Molina, come dipendente di Cicolac e come rappresentante del sindacato Sinantrainal e sul suo brutale assassinio, senza che da questo lasci trasparire nulla di particolarmente rilevante, piuttosto freddo nella sua agghiacciante analisi dei fatti;
da parte sua il SINALTRAINAL, sindacato dei lavoratori alimentari colombiani ha emesso un proprio comunicato nel quale, oltre a sottolineare la grande rettitudine di Molina come uomo ma anche sindacalista impegnato in prima persona nella difesa dei diritti dei Prigionieri Politici, evidenzia le diverse minacce di morte ricevute da Molina tanto da costringerlo, alla fine del 2004, a riparare in Spagna, a Gijòn, da dove era rientrato solo all'inizio di quest'anno; sempre secondo quanto scritto nel comunicato, questo orribile crimine «fa parte della interminabile lista di dirigenti sindacali assassinati in Colombia, all'interno della strategia del terrorismo di Stato conseguente alla persecuzione scatenata dalle imprese per sterminare il movimento sindacale»;
sono ormai migliaia i sindacalisti massacrati in Colombia, molti dei quali lavoravano per alcune grandi multinazionali che producono nell'emisfero Sud del pianeta e vendono i loro prodotti soprattutto nel Nord del mondo - tra queste la Coca-Cola e la Nestlé.
In Colombia la sistematica violazione dei diritti sindacali assume la dimensione di un vero e proprio genocidio sindacale con 2000 sindacalisti assassinati negli ultimi 10 anni. Le due imprese sopra citate sono state nel corso degli ultimi anni importante sede di questo sterminio: 9 sindacalisti operanti in imprese imbottigliatrici Coca-Cola sono stati uccisi, mentre 10 sono i sindacalisti di imprese Nestlè che hanno perso la vita in seguito al loro impegno nella difesa dei lavoratori.
Diversi di questi omicidi sono stati commessi durante trattative e vertenze sindacali ed alcuni addirittura all'interno degli impianti;
per quanto riguarda Coca-Cola, in Colombia più di una indagine compiuta da organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani e una indagine promossa da un consigliere comunale di New York hanno portato ad ipotizzare la convivenza tra la dirigenza degli impianti di imbottigliamento e i gruppi paramilitari AUC iscritti dall'Unione Europea nella lista dei gruppi terroristi internazionali (vedi Posizione comune 2005/725 Pesc del Consiglio del 17 ottobre 2005);
in Florida un tribunale federale ha ufficialmente incriminato le impresa di imbottigliamento della Coca-Cola in Colombia per omicidio e tortura, nonché per legami con i suddetti gruppi paramilitari;
il 23 settembre 2005 Diosdado Fortuna, presidente della Uniòn de Empleados Filipinos, viene assassinato subito dopo essere uscito dallo stabilimento Nestlé di Cabuyao, a cinquanta chilometri da Manila, mentre sulla sua moto faceva ritorno a casa; due colpi precisi lo colpiscono alle spalle e muore nonostante il ricovero in ospedale;
Fortuna aveva sostituito, nel 1988, Meliton Roxas, anche'egli vittima di un brutale assassinio, anch'egli in circostanze praticamente identiche, sempre dopo aver lasciato lo stabilimento di Cabuyao;
lo stabilimento Nestlé di Cabuyao è in sciopero ormai da lungo tempo, ossia da quando i lavoratori (era il lontano 2002) hanno iniziato a chiedere ai rappresentati della multinazionale svizzera di rispettare il diritto alla previdenza sociale e dunque al regolare versamento dei contributi, peraltro sancito dalla stessa Costituzione filippina; la risposta dell'impresa sembra essersi concretizzata nella presenza di guardie private tutti attorno allo stabilimento, nonostante reiterati solleciti pervenuti alla dirigenza da parte di alcune organizzazioni di difesa dei diritti umani, che senza mezzi termini hanno parlato di «intimidazione» e «violenza» perpetrate nei confronti dei lavoratori di Cabuyao. Centinaia di quegli stessi lavoratori di quello stesso stabilimento, dopo l'assassinio di Fortuna, hanno deciso di prorogare lo sciopero ad oltranza;
i lavoratori aderenti al sindacato circa seicento persone, hanno chiesto di fare luce sull'accaduto ed accusato sostanzialmente la direzione dell'impresa di essere la mandante dell'orribile omicidio; la stessa moglie di Fortuna, Luz, ha dichiarato come suo marito «non avesse alcun nemico tranne la direzione dello stabilimento Nestlé», mentre da parte dell'impresa è arrivata la condanna del direttore comunicazione, Pedro Dy, e la conferma di una collaborazione con le forze dell'ordine per fare luce sull'accaduto;
i sindacati colombiano e filippino hanno rivolto pesanti accuse alle imprese Coca-Cola e Nestlé, denunciando gravi episodi verificatisi negli stabilimenti presenti nei Paesi del Sud del mondo, sul rispetto dei diritti sindacali, sul rispetto dei diritti umani in generale -:
se non si ritenga opportuno chiedere chiarimenti sui fatti sopra esposti alle competenti Autorità della Colombia e delle Filippine, comprese le nostre rappresentanze in quei Paesi, per cercare di avere quanto prima risposte opportunamente più chiare e logiche ai gravi fatti avvenuti;
se si ritenga opportuno chiedere un coinvolgimento più vincolante delle organizzazioni sindacali internazionali e di quelle sulla difesa dei diritti umani, anche per avanzare ai governi locali una richiesta di applicazione di misure che garantiscano la sicurezza di tutti i lavoratori e dei loro sindacati;
se si ritenga opportuna la promozione di uno strumento di indagine indipendente che offra delucidazioni in merito alle presunte violazioni dei diritti umani denunciate dai settori sindacali interessati e se fosse necessario anche la consultazione delle sedi italiane delle due multinazionali.
(4-19086) Risposta. - In merito ai quesiti contenuti
nell'interrogazione parlamentare in esame si ritiene utile fornire preliminarmente alcuni elementi di informazione circa il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nei due Paesi in questione, con particolare riferimento ai diritti economici, sociali e culturali. La situazione relativa ai diritti umani in Colombia forma da tempo oggetto di specifica attenzione da parte dell'Italia e dell'Unione europea.
Nel corso dell'ultima sessione della Commissione dei diritti umani di Ginevra (marzo-aprile 2005), infatti, è stata adottata per consenso, come tradizionalmente avviene, una specifica «Dichiarazione della Presidenza» (Chairman's Statenzent) relativa alla situazione dei diritti umani nel Paese.
Il testo è stato promosso, come di consueto, dall'Italia e dai partner europei e negoziato con la stessa controparte colombiana. Lo scopo della dichiarazione è infatti quello di incoraggiare nel Paese la creazione di una democrazia stabile e garante della tutela effettiva dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
La Colombia ha firmato e ratificato le principali Convenzioni delle Nazioni unite sulla tutela dei diritti umani, tra le quali il Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali. In tale confortante cornice giuridica si inseriscono tuttavia notevoli elementi di criticità.
L'Alto commissario dell'ONU per i diritti umani, nel suo ultimo Rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani in Colombia, ha fornito un quadro piuttosto preoccupante della situazione interna del Paese. Nel suddetto Rapporto - presentato il 28 febbraio 2005, in occasione della 61a sessione della Commissione diritti umani delle Nazioni unite - vengono denunciate le continue violazioni del diritto alla vita, all'integrità, alla libertà e alla sicurezza personali, alla libertà di opinione e di espressione, del diritto al giusto processo, così come i ripetuti abusi a danno delle libertà di circolazione e residenza.
Lo stesso Rapporto evidenzia come sia aumentato, nell'ultimo anno, il numero di esecuzioni sommarie, di sparizioni forzate e detenzioni illegali, attribuibili all'azione delle forze di sicurezza. Gran parte delle violazioni denunciate è stata compiuta nei confronti di civili appartenenti a comunità indigene ed afro-colombiane e ad altri gruppi particolarmente vulnerabili, quali attivisti per la difesa dei diritti umani, leader sociali e sindacalisti.
Ai danni di questi ultimi, considerati appunto tra le categorie di soggetti particolarmente vulnerabili, il rapporto dell'Alto commissario denuncia sistematici episodi di minacce, omicidi ed abusi per mano dei gruppi armati illegali, in particolare dei paramilitari. I difensori dei diritti umani, tra i quali leader sindacali ed iscritti alle associazioni di categoria, sono inoltre vittima di detenzioni arbitrarie, regolamenti di conti illegali, violazioni del diritto al giusto processo e della libertà di opinione ed espressione.
Dello stesso avviso sono i Capi missione dell'Unione europea accreditati a Bogotà, secondo i quali continuano in Colombia generalizzate violazioni del diritto all'integrità fisica, della libertà personale e della sicurezza, del diritto al giusto processo, all'indipendenza ed imparzialità nell'amministrazione della giustizia, al rispetto della privacy e del domicilio, così come continuano ad essere violati i diritti alle libertà fondamentali di movimento, residenza e opinione.
I gruppi armati illegali continuano a perpetrare violazioni in larga scala, quali sparizioni, arresti arbitrari, torture e maltrattamenti, esecuzioni arbitrarie, parte delle quali sono tuttavia attribuite anche alle forze di sicurezza regolari.
Va rilevato, infine, che, come ha segnalato la nostra Ambasciata a Bogotà, in Colombia la militanza sindacale e/o in favore dei diritti umani viene percepita, negli ambienti che più marcatamente si contrappongono ai movimenti guerriglieri, come un fenomeno ideologico contiguo alla guerriglia e pertanto di stampo sostanzialmente sovversivo. Tale convinzione si traduce non di rado nella stesura di vere e proprie liste di proscrizione da parte dei gruppi paramilitari più sanguinari, che non esitano a procedere all'eliminazione fisica degli avversari politici.
In altri casi, pur meno frequenti, minacce, aggressioni ed omicidi di esponenti sindacali e di attivisti per i diritti umani sono imputabili a gruppi guerriglieri. Questi agiscono sia per eliminare quella mediazione sociale, e sindacale, che si contrappone alla lotta armata, sia per rimuovere chi rappresenti un ostacolo all'azione della guerriglia, specialmente nelle aree rurali.
In questo contesto, l'Italia, sia in sede bilaterale che comunitaria, ha sempre richiamato le Autorità di Bogotà ad un rigoroso rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, fra i quali va senz'altro annoverato il diritto al libero esercizio dell'attività sindacale. Al tempo stesso, il nostro Paese ha sostenuto, in sede comunitaria, le iniziative di quel Paese volte a promuovere la smobilitazione delle formazioni armate, che rappresentano, allo stato attuale, la principale minaccia tanto per gli operatori umanitari quanto per gli esponenti sindacali.
L'Unione europea segue con attenzione anche la situazione dei diritti umani nelle Filippine. Come riferiscono i Capi Missione dell'Unione europea accreditati a Manila, sebbene le Filippine abbiano ratificato le principali Convenzioni delle Nazioni unite sui diritti umani e molte di esse siano state incorporate nella legislazione nazionale, non hanno ancora ratificato né il Protocollo opzionale alla Convezione delle Nazioni unite contro la tortura ed i trattamenti inumani e degradanti né il Protocollo opzionale del Patto delle Nazioni unite sui Diritti civili e politici che prevede l'abolizione della pena di morte. Le Filippine hanno ratificato nel dicembre del 1966 il Patto internazionale di Diritti economici sociali e culturali delle Nazioni unite con entrata in vigore a partire dal gennaio 1976, ma l'effettiva tutela di diritti economici, sociali e culturali incontra dei limiti, specie nell'ineguale distribuzione della ricchezza nel Paese, che fa sì che la maggior parte della popolazione viva in condizioni di povertà.
Ancora, secondo quanto riferiscono i Capi Missione Ue a Manila, le vertenze sindacali sono comuni ed il salario minimo non è spesso riconosciuto nella pratica, così come la possibilità di formare dei sindacati ed iscriversi. Solo il 5-10 per cento della classe lavoratrice è organizzata in sindacati e, anche se il diritto di sciopero è garantito, le organizzazioni sindacali denunciano intimidazioni e pratiche discriminatorie ai danni dei propri iscritti. D'altra parte, secondo l'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO), le Filippine sono sempre state, sin dall'adesione nel 1948, uno dei membri più attivi e grandi sostenitori della politica della stessa organizzazione. Nel 2001 è stato redatto nel Paese un «Programma di azione per un lavoro decoroso» (Decent Work Agenda) al fine di promuovere l'opportunità di garantire ai lavoratori un impiego in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità. Il Programma di azione è stato inserito nel piano di sviluppo del Governo filippino 2001-2004, nel capitolo «Promuovere un lavoro pieno, decoroso e produttivo».
Anche i sindacati e le Confederazioni dei lavoratori nazionali fanno costante ricorso al Piano d'Azione quale elemento di sostegno e servizio per i loro membri. Per quanto riguarda i due casi specifici segnalati dall'interrogante, si forniscono i seguenti elementi di informazione.
Il signor Luciano Enrique Romero Molina, vittima dell'aggressione mortale il 10 settembre scorso a Valledupar, in Colombia, era membro del Comitato di solidarietà con i prigionieri politici ed ex segretario per i diritti umani del sindacato nazionale dei lavoratori delle industrie alimentari colombiane (SINALTRAINAL). Secondo dati forniti dal Ministero per la protezione sociale colombiano, egli aveva svolto attività sindacale presso la fabbrica della Nestlè-Cicolac di Valledupar fino al suo licenziamento, avvenuto nell'ottobre del 2002, per aver attivamente partecipato ad uno sciopero dichiarato illegale (con decreto dell'allora Ministero del lavoro). Il signor Romero Molina, unitamente al predetto sindacato, apri una vertenza con l'impresa per il reintegro nel posto di lavoro, ma successivamente giunse ad una conciliazione, a seguito della corresponsione di un indennizzo da parte dell'impresa. In ogni caso, sin dal maggio del 2002, il signor Romero Molina, insieme ad altri sindacalisti, aveva sporto denuncia alle locali autorità di Polizia per minacce ricevute. Per questo motivo aveva deciso di rifugiarsi in Spagna nel 2004 e soltanto nell'aprile del 2005 aveva fatto ritorno a Valledupar, ove aveva iniziato l'attività di tassista.
Mentre sono note le circostanze macabre del ritrovamento l'11 settembre scorso del corpo dell'ex sindacalista, ucciso con numerose pugnalate, le indagini, tuttora in corso, non hanno ancora chiarito le responsabilità dell'omicidio.
Per quanto riguarda l'omicidio del sindacalista Diosdado Fortuna nelle Filippine, la nostra Ambasciata a Manila ha confermato che egli è stato ucciso il 23 settembre 2005 con colpi di arma da fuoco all'uscita dello stabilimento Nestlè di Cabuyao così come, in circostanze del tutto analoghe, era stato ucciso il suo predecessore, Meliton Roxas. La nostra Rappresentanza ha inoltre reso noto che le Autorità locali hanno aperto un'inchiesta giudiziaria che è ancora in corso, essendo gli esecutori dell'omicidio tuttora ignoti.
Benché il caso di Diosdado Fortuna confermi la presenza nel Paese di situazioni di violenza che sfuggono al controllo delle Autorità, siano esse di natura politica, sindacale, etnica o di delinquenza comune, nelle Filippine, tuttavia, i diritti civili e politici, e tra questi quelli sindacali, sono pienamente riconosciuti dalla Costituzione. Le organizzazioni sindacali, sono indipendenti e hanno il diritto di costituirsi in federazioni.
Il diritto di sciopero è garantito, benché, come già accennato, risultino denunce da parte di alcune organizzazioni sindacali di intimidazioni e pratiche discriminatorie ai danni dei propri iscritti.
Il potere giudiziario, pur caratterizzato da scarsità di mezzi materiali ed umani, appare indipendente, anche se incontra difficoltà notevolissime nell'assicurare il rispetto della legalità.
Il numero di vittime tra sindacalisti, giornalisti ed attivisti per i diritti umani e da ultimo l'uccisione del sindacalista Diosdado Fortuna hanno rappresentato naturalmente un elemento di preoccupazione per l'Italia e per i partner dell'Unione europea nelle loro relazioni con le Filippine, anche se in ambito UE non è stata finora concordata una reazione formale al caso specifico.
L'Italia, quale membro dell'Unione europea è particolarmente impegnata proprio sul terreno della formazione nei settori della giustizia e della polizia, con programmi di sostegno al potere giudiziario e di training delle forze di polizia, soprattutto in materia di good governance (anti-corruzione) e di tutela dei diritti umani. Alla luce di quanto sopra, si ritiene che gli sforzi vadano concentrati nell'opera di assistenza e rafforzamento delle istituzioni pubbliche filippine, al fine di garantire un consolidamento dello stato di diritto e della legalità, in un paese che vanta un'antica tradizione democratica, ma che è costretto a confrontarsi con una preoccupante situazione di violenza endemica.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri: Margherita Boniver.
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