Nelle telefonate ascoltate dagli inquirenti calabresi la rete delle amicizie e dei favori tra giudice e avvocati 'Ndrangheta, l'annuncio alla socia in affari "Ho fatto annullare la sentenza" DAL nostro inviato ATTILIO BOLZONI
VIBO VALENTIA - Da giudice è diventata "consigliori" e da "consigliori" è diventata socia. Occulta, accusano i poliziotti e i magistrati che l'hanno arrestata. Però mica tanto, stando alle 100 mila fra registrazioni telefoniche e ambientali che hanno alla fine rivelato l'eccellentissima Patrizia Pasquin, la presidente di sezione del Tribunale di Vibo Valentia, una che da un quarto di secolo amministrava giustizia sempre e solo in quel tribunale. E faceva affari soprattutto. Con qualche avvocato e qualche architetto sempre a caccia di soldi. Come il famoso penalista Filippo Accorinti che organizzava le combine con la giudice, per esempio aggiustavano insieme i processi.
Il penalista. E allora il magistrato confessava alla sua amica Settimia, tutte e due sedute una sera su un gippone: "Lui è un furbone, eh, Accorinti è un furbone però è un amico, nel senso che guardandosi i cavoli suoi poi ti aiuta, eh...". E si sfogava ancora: "E perché tutti gli altri che sono? Gli altri fanno gli stro..., una si mette a disposizione e poi ti si girano pure contro, scusa allora è meglio uno così o no? Cara mia, è tutto un do ut des".
Comincia così, un giorno, a sentirsi la voce della giudice in una sala della squadra mobile di Vibo. E comincia così ad affiorare una trama. C'era un comitato di potenti che comandava in quella città. E tutti amici degli intoccabili, i Mancuso di Limbadi. Una dinastia di razza padrona. È in un carcere che due di quei boss, Diego e Mico, parlano dell'eccellentissima Patrizia Pasquin. E il primo dice all'altro: "Ho risolto i miei problemi". Erano di sorveglianza speciale. Da quel momento la presidente di sezione del Tribunale è stata ininterrottamente "ascoltata". La gente dei Mancuso di mese in mese si è irritata sempre di più per le sue esose richieste, qualcuno ha persino ipotizzato di troncare "bruscamente" questa amicizia. Qualcuno altro ha cominciato a chiamarla "la cinghiala". Quarantuno i capi di imputazione formulati dalla procura di Salerno, ventidue quelli accertati dal giudice delle indagini preliminari. Prove e indizi tutti in quelle 100 mila registrazioni.
"Riga per riga". "Speriamo che non confrontino riga per riga", le sussurrava un amico parlando del business che avevano in piedi da qualche mese, un mega finanziamento per un albergo a cinque stelle fra Parghelia e Tropea, il Melograno Village. Avevano falsificato le carte, l'eccellentissima giudice e i suoi complici, imprenditori e architetti e geometri. Avevano già intascato 948 mila 413 euro. E parte di quei soldi erano finiti già ai Mancuso. "Speriamo che non confrontino riga per riga" era riferito ai possibili controlli fra il Comune di Parghelia e l'assessorato regionale. Un incrocio di documenti e la truffa sarebbe venuta fuori molto tempo prima.
Parlava e parlava sempre Patrizia Pasquin. Ma mai dal suo cellulare. Aveva comprato due nuove schede e però da lì non partivano le sue telefonate. Partivano dall'utenza della sua domestica, quelle due nuove schede servivano solo a ricevere. Numeri che conosceva bene quella Settimia, Settimia Castagna, amica e socia della Pasquin.
Il processo Un anno fa Settimia era preoccupata, temeva di essere sotto inchiesta. La sua amica giudice - con l'aiuto di un impiegato infedele - è entrata nel sistema della Procura di Vibo e l'ha rassicurata: "Non avere paura, non c'è niente su di te, solo un procedimento dove sei parte offesa". Non sapeva Patrizia Pasquini che tutta l'inchiesta su di lei e sugli altri quindici - proprio il coinvolgimento di un magistrato - era finita alla
Procura di Salerno. Era un commercio continuo. Anche di processi. È quasi la fine dell'estate dell'anno scorso quando sempre l'avvocato Filippo Accorinti la chiama: "E allora, qui ci sono tre cause". Risponde lei: "Eh". Lui: "Una è quella della terrazza". Lei: "... omissis...". Lui: "Una è quella della divisione 98 barra....". La Pasquini alza la voce, è incavolata con il suo amico che parla troppo chiaramente di processi al telefono. E gli ribatte: "Aspetta, adesso mi dite pure i numeri?.. dalla Corte di Appello mi è tornata indietro, quella dove abbiamo fatto annullare la sentenza...".
"Settimia, rischio di persona". Per i poliziotti e i procuratori di Palermo la giudice avrebbe pilotato "7 o 8 cause" che riguardavano la sua amica Settimia Castagna, imprenditrice turistica e titolare della Green line, una società di floricultura. Eppure Settimia di tanto in tanto si lamentava con lei. E la giudice provava a tranquillizzarla: "Setti', per favore, non mi parlare più di questa cosa, perché mo' me la vedo con Filippo (l'avvocato Accorinti ndr). Quello che posso fare faccio, esponendomi oltre misura e rischiando pure di persona. E i risultati ci sono stati. Notevolissimi". La incalzava Settimia: "Tu come me la poni, sembra che me lo stai facendo a me il favore. Tu lo stai facendo a te stessa bella mia". E lei "Ma lo so, lo so". Settimia: "Tu devi dire: 'Dio ti ringrazio e mi sono sacrificata perché c'erano validi motivi per farlo'. E basta". Poi nel documento giudiziario c'è una sfilza di omissis, evidentemente una lunga lista di nomi ancora oggetto di investigazioni. Riprende la conversazione Patrizia Pasquin: "Ma all'inizio l'ho fatto per te". E dopo una lunga litigata la giudice le dice: "Per noi. diciamo per noi".
E' un altro giorno, un'altra conversazione sempre con Settimia Castagna dove il presidente di sezione del Tribunale quasi urla: "Gli ho fatto annullare la sentenza. più di così non si può fare".
Il Tappo e le salsicce. In quel groviglio di registrazioni c'è di tutto. Dai piccoli vassallaggi ai grandi affari. Sottomissioni alle quali è costretto un costruttore edile che ogni mattina va a far la spesa alla giudice, un costruttore soprannominato "Il Tappo". "Dottoressa vuole Wurstel e salciccia? E come li vuole i Wurstel, piccoli o grandi?". E "Il Tappo" la accontentava. Ogni tanto mandava qualche pacco di cibarie pure a Torino, dove studiava all'Università il figlio della signora. E ogni tanto mandava sua moglie Pierina a fare la spesa. Ma poi la giudice tornava a parlare di processi, di lottizzazioni, di firme di assessori comunali e regionali. Un giorno di ottobre riceve anche la telefonata dell'allora presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti. Scrivono i giudici: "Il Pm contesta alla Pasquin e a Chiaravalotti la sussistenza di un reciproco ulteriore patto corruttivo".
Chiaravalloti. Ma è un'altra telefonata a mettere ancora più nei guai la giudice di Vibo. E' lei che chiama il governatore della Calabria: "Presidentissimo buongiorno salve". Chiaravalloti: "Ah Patrizia, dimmi". Poi c'è un omissis. E ancora la giudice: "Questo è importante e poi mi dici che in qualche modo ovviamente qua ti posso essere utile, poi insieme a quella mia amica bionda volevamo venirti a salutare". Lui: "Se c'è qualche inghippo mi dovete avvisare tranquillamente".
Una settimana dopo i due si risentono. E il governatore dice: "Io avevo una piccolissima istanza da proporti". La Pasquin: "Sì?". E il presidente: "Su mandato di un tuo collega, pezzo grosso, romano.. ah.. della Cassazione.. Allora, tu hai in decisione una causa.. Campisi Tema.". E lei: "Ah, sì". Chiaravalloti: "Poi tu te la guardi con comodo e poi, magari, se ci...". La Pasquin: "Ne parliamo. Io avrei individuato una soluzione". Il governatore: "Ci dobbiamo vedere, o vieni tu giù o vengo io su". E la giudice: "Noo". Il presidente taglia corto: "Quando Maometto vide che la montagna non si spostava, mise le gambe in spalla e andò dalla montagna". Questi sono soltanto frammenti di registrazioni. E' solo un piccolo pezzo di un'inchiesta appena iniziata sui potenti di Vibo Valentia.
(11 novembre 2006)
www.repubblica.it
|