Un saluto e grazie per le vostre corrispondenze. Ne ho tradotta una di una compagna di Seattle che si trova su Rapprochment, per aggiungere un esperienza da Rafah
January 13, 2003 Author: Carla Ciao a tutti Mawasi è un villaggio sulla costa di Rafah (striscia di Gaza), circondato da colonie e controllato da un check point, da cui i palestinesi non possono passare da due anni a questa parte. Gli abitanti sopravvivono con quello che riescono a coltivare. Non possono passare né cibo ne’ medicine e la gente che e’ uscita dal villaggio non può rientrarvi. L’azione che stiamo per fare domani è organizzata dai palestinesi che proveranno a rientrare nelle proprie case. Pensano che siano circa 300. Siamo 16 internazionali qui con l’ISM a cui è stato richiesto dai palestinesi di accompagnarli per passare il check point. Sono molto entusiasti. Ieri un gruppo di noi e’ andato presso un tank per dirgli che ci avevano sparato nelle case e, mentendo, gli abbiamo detto che i nostri paesi si sarebbero lamentati di questo col governo israeliano. Ma noi abbiamo il privilegio di aver salva la vita, anche qui. Possiamo andare verso un tank sapendo che non ci sparerà immediatamente (ossia, ci sparano sopra la testa e sui piedi). Comunque, per i palestinesi e’ molto diverso. I soldati sparano nelle case, nei vicoli e nelle strade, hanno coperto l’area con un tappeto di pallottole. Molti civili sono stati uccisi, i bambini nelle aule o che giocavano per strada, le donne mentre cucinavano…tutti disarmati, innocenti che non facevano nulla se non esistere. Come questo aiuti la sicurezza Israeliana e’ un mistero per me. Molti palestinesi qui non hanno mai visto un soldato e tantomeno gli hanno mai parlato –Gaza è così diversa dalla West Bank dove i soldati e i civili palestinesi si trovano regolarmente faccia a faccia. Qui i soldati stanno sulle torrette, ai check point o dentro i tank, i blindati e i bulldozer. Sparano solo, non parlano, non si negozia. Ieri non era un’azione pianificata, siamo solo andati a vedere il muro che stanno costruendo per chiudere i palestinesi, quando dai tank hanno cominciato a sparare sopra le nostre teste. Poi abbiamo cominciato ad andare avanti per dire ai soldati che eravamo li’ per rimanere. L’ISM non ha avuto una presenza qui a Gaza fino a quest’estate, al contrario della W.B dove l’ISM lavora da circa due anni e il gruppo di palestinesi con noi non aveva mai visto i soldati da così vicino e uno in particolare mi ha detto che non aveva mai visto la faccia di un israeliano prima di allora. Gaza è molto tradizionale, le donne si coprono e tutti ci muoviamo solo con l’accompagnamento dei palestinesi. Ho chiamato i giornalisti a Gerusalemme per cercare di coprire la giornata di domani. Una cosa del genere non è mai stata fatta, cioè accompagnare le famiglie per cercare di passare un check point, gli sparano subito. La determinazione e la forza di questa gente è incredibile. Nonostante tutto vanno avanti, con tutte le loro perdite, le loro risate, gli scherzi e l’amore per i bambini. Il ragazzo che mi accompagnava a vedere la casa demolita di una famiglia, quando mi ha visto in lacrime mentre tornavamo, mi ha detto che quello e’ il motivo per cui ridono cosi’ tanto, una persona non puo’ contenere il suo dolore per sempre, non vedendo altro futuro se non quello che hanno visto finora. E vanno avanti, lasciandosi alle spalle l’ultima atrocita’. Gente simpatica, non si lamenta ma ha una determinazione che li porta ad una perseveranza quotidiana. Carla ISM volunteer – Seattle USA
IL GIORNO DOPO A MAWASI Abbiamo accompagnato i palestinesi giu’ per la strada che porta a Mawasi che ora e’ bloccata da un check point che sorveglia la colonia, portando con noi materiale medico e farmaci. Almeno un centinaio di colpi di avvertimento hanno colpito il suolo intorno a noi e lentamente ci siamo fatti strada per andare avanti. Un lungo percorso di appena un quarto di miglio. Un reporter palestinese e’ stato colpito alla testa (portato all’ospedale e’ sopravvissuto perche’ la ferita era superficiale), ma il gruppo ha deciso di proseguire. Il compito di noi internazionali era proteggere i palestinesi (il reporter era molto esposto, stava facendo foto). Camminavamo davanti e di lato al gruppo, usando il privilegio del nostro status di internazionali (così speravamo) per fargli da scudo. Io camminavo dietro proprio dalla parte della torretta e non ho mai prestato così tanta attenzione a ogni singolo passo che facevo. Sentivo il rumore delle pallottole sul terreno intorno a me che alzavano la terra e ogni passo era uno sforzo della volonta’. La donna palestinese vicino a me doveva vivere lo stesso stato d’animo ma era li’ per tornare a casa dopo due anni e io ero lì per accompagnarla, con la stessa volontà. Portavamo una scatola di medicine, si potevano vedere attraverso la busta trasparente, magari potevano pensare che fossero bombe…Gliel’ho aperta per far vedere che non avevamo nulla da nascondere. I palestinesi di Mawasi non percorrevano questa strada da due anni senza essere sotto il fuoco dei soldati. Ci siamo avvicinati tanto ai soldati da poter negoziare con loro, piu’ vicino di quanto nessuno avesse fatto finora. Incoraggiati da questo abbiamo fatto ancora qualche passo in avanti e questa volta ci hanno sparato con pallottole silenziate. Il solo segno del fuoco era la polvere che si alzava all’impatto delle pallottole sul terreno e questo silenzio era la cosa più terrificante, per fortuna non hanno sparato molti colpi e quelli con maggiore esperienza dei soldati a Gaza ci hanno detto che era giunto il momento di ritirarsi, dato che l’uso di pallottole silenziate ha un significato molto pesante. Quel giorno non abbiamo passato il check point ma due giorni dopo un gruppo di palestinesi ed internazionali e’ riuscito a fare qualche passo in più e ha negoziato, riuscendo a far arrivare le medicine a Mawasi. Una piccola vittoria. La cosa che mi ha stupito e’ stata la velocità con cui mi sono abituata agli spari. Il primo giorno che ho passato a Rafah sono andata con Molly a trovare la famiglia presso cui stava. La loro casa era stata demolita quella mattina e stavano raccogliendo tutto quello che potevano salvare. Siamo dovute andare di corsa al coperto dato che un tank ha cominciato a sparare sulle macerie della casa. Quando sono stata a Mawasi era gia’ una settimana che stavo a Gaza, nelle case dei palestinesi e ogni giorno e quasi ogni notte ho sperimentato gli spari dei tanks che avanzavano dal limitare della città fino ai quartieri in cui eravamo. Gli spari continui sono una realta’ quotidiana sul perimetro sud della citta’ al confine con l’Egitto. Qui Israele ha un piano per un muro di “sicurezza” che ha lo scopo di impedire ai palestinesi di lasciare Gaza e cercano di far si che le famiglie se ne vadano dal perimetro della citta’ vicino al muro. I quartieri sono ripetutamente aggrediti dal fuoco dei tanks fino a che le famiglie non se ne vanno. A volte i tank prendono di mira una casa con mortai, come la casa, abitata, vicino a quella dove stava la mia amica Molly. Vorrei che fosse chiaro che ci sono civili disarmati, famiglie, non combattenti. Una volta che le case sono abbandonate i soldati israeliani ci mettono la dinamite poi passano con i bulldozer. Dopo passano alle case che ora risultano esposte, quelle che si trovavano dietro quelle appena demolite e piano piano si mangiano tutti i bordi di Rafah. Questo è tutto per ora, devo solo aggiungere che la mia esperienza con i palestinesi e’ di un popolo per cui la famiglia e la terra sono tutto. Conservero’ nel mio cuore per sempre i sorrisi, gli occhi, lo spirito e la generosita’ di ogni persona che ha contribuito ai miei primi ricordi della Palestina. In Solidarity, with Love~
Carla
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