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Pace,Migliaia di manifestanti
by indica Saturday, Jan. 18, 2003 at 10:14 PM mail:

WASHINGTON George Bush ha trovato il suo Vietnam.

18.01.2003
Un mare di gente a chiedere la pace proprio lì dove hanno deciso la guerra
di Bruno Marolo

WASHINGTON George Bush ha trovato il suo Vietnam.

Il fronte su cui potrebbe perdere la guerra non è l'Iraq, dove difficilmente quello che resta dell'armata di Saddam Hussein potrebbe tenere testa al formidabile apparato militare degli Stati Uniti. Il fronte è qui a Washington.
Il fronte è qui, in una città dalla quale il presidente si è allontanato venerdì in elicottero, abbandonando la piazza a decine di migliaia di dimostranti venuti da 220 città americane per gridare basta a un governo che vuole imporre con le bombe i suoi interessi al resto del mondo.
C'era ogni tipo di gente, a protestare sotto la scalinata del congresso che in ottobre ha approvato la cambiale in bianco chiesta da Bush per usare la forza contro il regime di Saddam Hussein. Gente famosa come l'attrice Jessica Lang o come Ron Kovic, il guerriero pentito del Vietnam la cui autobiografia ha ispirato il film «Nato il 4 luglio». Gente sconosciuta come Mara Hilliard, un avvocato di Washington che difende gratis gli accusati di reati di opinione. Fanatici come i «musulmani neri», che predicano la rivolta violenta in nome dell'Islam contro il modo di vita americano, e moderati come il reverendo Greylan Haglard, pastore di una chiesa protestante di Washington, sceso in piazza per la ragione opposta, perché crede che la guerra sia contraria al sogno americano. C'erano uomini e donne di tutte le professioni, ma nessun politico di professione. Dirigenti di partito, deputati e senatori, candidati di belle speranze per le prossime elezioni presidenziali si erano tenuti lontani, salvo i due tribuni neri Jesse Jackson e Al Sharpton, presenti in tutte le dimostrazioni. La titubanza dei politici sottolinea una spaccatura che sta diventando drammatica tra il paese e le sue istituzioni, tra i partiti che aspettano i risultati dei sondaggi per prendere posizione e un movimento sempre più esasperato, che non si rassegna alla guerra.
«Stiamo vivendo un momento straordinario nella storia di questo paese -ha detto alla folla Ron Kovic- una nuova generazione di attivisti è insorta in nome della pace. La nostra protesta è appena cominciata, fermiamo il governo che manda a morire i nostri fratelli». Lunedì si celebra il Martin Luter King Day, e le rivendicazioni dei pacifisti si saldano con quelle dei neri, che oggi come ai tempi del Vietnam sono i primi ad essere mandati in battaglia. Un cartellone innalzato dai dimostranti raffigurava il volto di Martin Luther King sormontato dalla scritta: «Ho un sogno»; sul lato apposto vi era una fotografia di George Bush con la dicitura: «Ho un incubo».
Quanti erano i dimostranti? Un calcolo accurato non si può ancora fare. Gli organizzatori della protesta tendono a esagerare, la polizia a sminuire il numero. Si può constatare soltanto che il mall di Washington, il grande viale erboso che va dal congresso al monumento a Lincoln passando accanto alla Casa Bianca, era gremito malgrado la temperatura sotto zero. «Non si può ignorare la voce di una folla come questa», esultava una porta voce di Answer, uno dei gruppi che hanno organizzato la marcia su Washington. Answer vuole dire risposta, ma è anche una sigla formata dalle iniziali della frase in inglese «Agire adesso per fermare la guerra e mettere fine al razzismo». Dietro agli attivisti del gruppo marciava una donna con i capelli bianchi, troppo timida per dire il suo nome, che si presentava come repubblicana. «Il movimento contro la guerra -ha detto- non è una esclusiva della sinistra. Tanti conservatori come me sono contrari a questa corsa al massacro».
Un corteo si è diretto verso il Washington Navy Yard, una base della marina dove esiste un arsenale nucleare. Alcuni dimostranti hanno chiesto accesso alle sentinelle. «Siamo ispettori della pace -hanno detto- e vogliamo scoprire le vostre armi di sterminio». I militari non hanno reagito. «Gli Usa -gridava la folla- sono lo stato canaglia: disarmiamo Bush».
Da un'altra base navale, a San Diego sull'altra costa dell'America, in quello stesso momento partivano le truppe. Hanno preso il mare le navi Dubuque, Cleveland, Boxer, Bonhomme Richard, Anchorage e Pearl Harbor, con 10mila marines a bordo. «Abbiamo tutti un nodo nello stomaco nel lasciare così mogli e fidanzate», ha ammesso un sergente, Scott Hall. Forse per la prima volta nella storia dell'America, non sono soltanto le famiglie ad essere in pensiero per i militari in guerra. Anche i soldati sono in ansia per i loro cari esposti alla minaccia del terrorismo. La televisione ha mostrato i combattenti della guerra di Bush, le loro facce da poveri, il loro smarrimento di ragazzi che si erano arruolati in tempo di pace e ora vengono trattenuti sotto le armi anche se il periodo di ferma sarebbe scaduto. Il ministro della difesa Donald Rumsfeld ha bloccato tutti i congedi per avere più giovani da mandare in prima linea, ma continua imperterrito a dichiarare che non sarà necessario il servizio di leva e la guerra sarà fatta interamente da volontari.
La protesta di Washington è stata soltanto la maggiore fra tante. I pacifisti hanno invaso le strade in tutti i continenti, dall'Europa alla Nuova Zelanda, dal Pakistan al Giappone. A San Francisco 50 mila dimostranti hanno ascoltato un discorso dell'attore Martin Sheen, che nella serie televisiva West Wing fa la parte di un presidente immaginario, premio Nobel per la pace: il sogno di chi vorrebbe un capo di governo completamente diverso da Bush. Da una costa all'altra, si è udito lo stesso grido: «Preveniamo la guerra preventiva».

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by finalmente Sunday, Jan. 19, 2003 at 12:04 AM mail:

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