Gli interrogatori Ieri 4 militanti del centro sociale Orso indagati per le botte all'ospedale San Paolo non hanno voluto rispondere alle domande del pm.
Picchiati e indagati. Anche se può sembrare un paradosso, i primi a nomi a comparire sul registro degli indagati aperto dal pm Claudio Gittardi, titolare dell'inchiesta condotta dalla procura di Milano sui pestaggi effettuati dalle forze dell'ordine al di fuori dell'ospedale San Paolo nella notte del 16 marzo scorso - poche ore dopo l'uccisione di Davide Cesare, detto Dax, da parte di simpatizzanti dell'estrema destra - non sono quelli di poliziotti e carabinieri, ma di alcuni ragazzi accorsi sul posto nella speranza di sapere qualcosa sulle condizioni del compagno appena accoltellato. Sono in 4 i militanti del centro sociale Orso che, oltre ad aver subito una buona dose di pestaggi e violenze gratuite, si trovano anche a fare i conti con l'accusa di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Solo uno dei 5 nomi iscritti nel registro della procura fa parte delle forze dell'ordine. Per lui, l'accusa è di percosse e lesioni volontarie. Si tratta di un carabiniere, quello incastrato dalla «prova regina», il video filmato da un amatore mentre stava assistendo alla scena dalla finestra di casa, un palazzo antistante al piazzale dell'ospedale, teatro degli scontri. Ciò che si vede in quella videocassetta, poi acquisita dalla procura, è inequivocabile: alcuni agenti riempiono di calci e manganellate un ragazzo che rimane a terra per proteggersi dai colpi, raggomitolandosi su se stesso e coprendosi il viso. Il suo nome è Orlando. Fa parte dei 4 indagati dell'Orso che ieri mattina sono stati sentiti dal pm Gittardi. Durante l'interrogatorio, si sono tutti avvalsi della facoltà di non rispondere: una scelta motivata, come spiega l'avvocato Mirko Mazzali, da sempre difensore dei centri sociali milanesi, dalla necessità di valutare tutti gli elementi che devono ancora essere raccolti su quanto accaduto quella notte.
Che il bilancio delle violenze sia stato pesantissimo è un fatto provato. Non solo dal racconto di chi, quella notte di metà marzo, si trovava fuori dal San Paolo. I testimoni oculari ricordano decine di feriti, alcuni a terra, con ossa e denti rotti, molti altri rinchiusi in auto per sfuggire alle aggressioni gratuite delle forze dell'ordine che, all'urlo di «comunisti di merda», sarebbero andati all'attacco armati non solo del regolare equipaggiamento anti-sommossa, ma addirittura di mazze da baseball. Insomma, per dirla con le parole di Walter Settembrini, responsabile della libreria Calusca del centro sociale Conchetta, «c'era sangue dappertutto, sembrava di essere alla Diaz». A confermarlo, più di ogni altro elemento, sono i certificati medici e le lastre effettuate sui feriti.
Dunque sono gli stessi numeri a parlare. E ascrivere la responsabilità di tutti questi feriti a un solo carabiniere indagato va contro le leggi della matematica, oltre che a quelle del buonsenso. D'altronde, è lo stesso pm Gittardi a ipotizzare una serie di violenze gratuite da parte di polizia e carabinieri, anche se per la procura si tratta di un'ipotesi tutta da verificare. Nel frattempo, grazie alle testimonianze delle oltre 40 persone sentite dagli inquirenti (molte delle quali tra infermieri e personale medico che quella notte erano di turno al San Paolo) sarebbero stati individuati altri sei agenti (due di polizia e quattro Cc), che però non fanno ancora parte degli indagati.
D'altra parte, il lavoro della procura è tutt'altro che facile. Anzi, a riconoscere che sono molte le «difficoltà oggettive» è lo stesso avvocato Mazzali. Prima fra tutte, il riconoscimento dei colpevoli. Non solo perché molti di quelli che oggi sono chiamati a testimoniare al momento degli scontri erano preoccupati a scappare o comunque a proteggersi, più che a guardare in volto chi li aggrediva. Ma soprattutto, le fotografie degli agenti diffuse dalla Questura per il riconoscimento risalgono a molti anni fa, il che rende ancora più difficile il compito dei testimoni e di conseguenza anche quello del pm. E' proprio per questo che Orlando punta il dito sulla «costruzione distorta che avviene in caserma», perché «la polizia consegna al pm solo il materiale che vuole».
Proprio per denunciare «il muro di gomma della menzogna» che a detta dei militanti dell'Orso è stato eretto intorno alla vicenda, ieri mattina si è tenuto un presidio di alcuni centri sociali milanesi davanti al Palazzo di giustizia milanese. Più che chiedere la «galera» per gli agenti responsabili dei pestaggi, i ragazzi dell'Orso vorrebbero sapere come possa essersi originata quella situazione che è poi degenerata. Delle due l'una: o quelle violenze gratuite sono state il frutto di un gesto spontaneo da parte di alcuni gruppi di polizia e carabinieri, oppure l'ordine di intervenire con la forza è arrivato dai vertici a capo delle forze dell'ordine. Un'ipotesi finora respinta con fermezza dai diretti interessati, ma che comunque non può essere scartata a priori dagli inquirenti.
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