di GIULIETTO CHIESA
Pensavo fosse un luogo comune. Invece l'ho visto con i miei occhi. La storia la narrano sempre i vincitori. Intendo dire la prima versione della storia di un fatto, un evento, un crollo, una vittoria. Qualsiasi cosa sia accaduta i primi a raccontarla sono sempre i vincitori. Occorre poi gran tempo, spesso intere generazioni, perché qualche verità sia ripristinata, le esagerazioni (dei vincitori, appunto), le vanterie, le bugie vere e proprie, i tentativi di occultamento delle ignominie (dei vincitori, appunto) siano disvelate. Naturalmente è sempre troppo tardi per i vinti.
L'ho visto osservando da vicino, vivendola, la caduta dell'impero sovietico. L'ho anche scritto - mentre lo vedevo crollare, quell'impero - quante fossero le menzogne che accompagnavano il suo crollo. Ed erano tutte menzogne dei vincitori. Ma ho sperimentato quanto fosse difficile andare contro la corrente. La corrente esige che gli sconfitti siano sviliti, depredati, o uccisi. I costumi si sono venuti affinando, con il passare dei secoli, ma solo nelle forme esteriori. In tempi lontani le città conquistate venivano rase al suolo. Era un modo per cancellare le uniche memorie esistenti. E quando ancora la scrittura era poca e riservata a pochi potenti colti, allora si doveva cancellare l'immagine che un popolo aveva costruito di sé. Era la sua architettura, le sue città. E la tradizione orale e la lingua venivano anch'esse cancellate uccidendone i portatori. Perché i vincitori - in tutte le epoche - non sono mai generosi con i vinti. Non lo furono gli spagnoli contro gli Aztechi. Non lo fu Roma con Cartagine, non lo fu Atene con Sparta, non lo è stato l'Occidente con i sovietici. Poi vennero civiltà che oggi consideriamo più evolute. Esse non cancellarono con la forza la storia degli sconfitti, non li uccisero, non li liquidarono fisicamente, ma si preoccuparono sempre di irriderne il passato, di sminuirne i meriti, che sempre esistevano, dipingendo gli sconfitti come barbari, che meritavano la loro sorte, o come imbelli, che meritavano la tragedia a causa della loro ignavia o viltà. Dunque la storia dei vincitori, quasi per definizione, è menzognera. Conosco un solo caso in cui non credo lo sia stata. Per lo meno tutto ciò che conosco conferma, a sessant'anni di distanza, che la storia dei vincitori fu vera. Il processo di Norimberga fu una chiusura dei conti con il nazismo drastica, unilaterale nella sua esecuzione, ma sostanzialmente giusta. Come mai sia avvenuta questa classica eccezione che conferma la regola è materia di dibattito, probabilmente infinita. Io credo che l'Europa e il mondo occidentale si trovarono di fronte a una deviazione così mostruosa e violenta rispetto ai loro standard da essere costretti a respingerla e ripudiarla collettivamente con un atto di violenza che costituiva, al tempo stesso, il risultato di una penosa presa di coscienza critica che il pericolo restava incombente, che avrebbe potuto ripetersi e che stava annidato nelle profondità stesse dell'Uomo. Fu innalzato un tabù che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto restare invalicabile per sempre, alla pari dell'incesto, alla pari del cannibalismo. L'olocausto si era rivelato incompatibile con la sensibilità media del XX secolo. Ma noi sappiamo che altri olocausti si erano verificati nei secoli precedenti, senza essere percepiti come tali, senza essere fonte di sensi di colpa in coloro che li avevano eseguiti. Le sensibilità medie di quei secoli non erano evidentemente altrettanto elevate. L'odissea dello schiavismo, ad esempio, segnò lo sterminio di decine di milioni di neri africani. E non ci fu, né avrebbe potuto essere concepita, una Norimberga per i responsabili. I quali non seppero mai di essere responsabili di genocidio, un concetto che nacque molto tempo dopo di loro. Lo sterminio degl'indiani d'America è stato relegato in un angolo minuscolo della storia di quel paese. Nascosto così bene che non se ne parla e, anzi, - poiché in questa epoca moderna i sensi di colpa sono dilatati - non se ne deve proprio parlare. E' anch'esso un esempio preclaro della regola secondo cui sono i vincitori a fare la storia, o , quando occorre, a cancellarla. Stabiliti questi criteri, che servono a relativizzare i concetto di storia dei vincitori, le soluzioni adottate da questi ultimi sono le più diverse. Per esempio nel caso della fine del regime franchista (per restare nel XX secolo) la soluzione è stata volutamente morbida per consenso delle parti, ma anche con l'aiuto degli osservatori esterni. I vinti non avevano più l'energia per difendersi. I vincitori non avevano bisogno di rivincite perché i vinti si erano arresi senza combattere. E, del resto, coloro che avevano aiutato i vinti a restare al potere per tanti anni, sapevano che una resa dei conti avrebbe costretto anch'essi a presentarsi sul banco degli accusati. Gli Stati Uniti d'America, in primo luogo. Erano venuti a liberare l'Europa dal nazismo, ma appena finita la guerra si occuparono solo di contrastare la minaccia sovietica e lasciarono in tutta tranquillità al potere sia il dittatore Francisco Franco che il famigerato Salazar in Portogallo. Tutti gli alleati erano buoni per la bisogna, e furono usati. Le ostilità furono dunque chiuse in silenzio. Non ci furono rappresaglie, non amnistie. I monumenti restarono quietamente ai loro posti, le vie non vennero ribattezzate. Il regime economico non aveva alcun bisogno di essere modificato: capitalismo era, capitalismo restò con poche e inessenziali modifiche, La struttura politica fu uniformata a quella delle democrazie occidentali e non ci fu alcun bisogno di fare ricorso a forme di coercizione. Ma questo accadde perché la Spagna era stata un episodio marginale del "secolo breve". Aveva acceso odi e sollecitato vendette; la guerra civile era stata sanguinosa e terribile; il valore simbolico della sconfitta della Repubblica era stato potente, il fascismo e il nazismo ne trassero forza e impeto. Ma non era stato quello il tornante decisivo del secolo. Altra cosa fu la fine dell'Unione Sovietica. Era stato l'unico esperimento storico realmente alternativo (o vissuto come tale da miliardi di individui in tutto il mondo, il che equivale a dire la stessa cosa) al capitalismo. Aveva assunto proporzioni immense, e aveva acquistato una forza altrettanto grande. Venivano meno, all'improvviso, inaspettatamente, le paure di mezzo mondo che avevano caratterizzato tutti i decenni dal 1945 al 1989. E, insieme, quelle che (assieme agli entusiasmi dell'altro mezzo mondo) si erano accese dal novembre 1917. In quel caso l'opera di demolizione doveva, per forza di cose, essere totale. La sconfitta doveva essere accompagnata dall'infamia dei vinti. La vittoria doveva trasformarsi in colonizzazione, anche perché il paese sconfitto era talmente grande, talmente appetitoso, che il bottino non avrebbe potuto essere portato via in un sol boccone. E, inoltre, si sarebbero dovute lasciare sul posto le garitte di controllo. Non si sa mai: magari, passato lo choc, il gigante si risolleva. Il comunismo sovietico è stato così cancellato nello spazio di pochi anni. In meno di una generazione non se ne conserva il ricordo. I figli di padri che l'hanno visto e conosciuto non sanno nemmeno cosa fosse. In ogni caso non ne parlano. La proprietà pubblica dei mezzi di produzione è stata cancellata insieme a ogni forma di solidarietà sociale. Al suo posto è stata installata un'America "russa", ancora più violenta e selvaggia di quella che realizzò negli Stati Uniti nascenti l'accumulazione originaria del capitale. I monumenti sono stati rimossi, i nomi delle strade e delle piazze sono stati sostituiti. La nomenklatura sovietica è sparita nel giro di pochi mesi. Al suo posto si è insediata una nuova nomenklatura, composta da ex mafiosi ed ex funzionari intermedi e inferiori del passato regime: i detentori, adesso (oppure i prestanome in molti casi di capitali stranieri) della nuova proprietà privata. Il partito comunista è stato dichiarato fuorilegge, ma solo per pochi mesi. Perché i comunisti erano rimasti troppi e aprire un processo sarebbe stato straordinariamente difficile e avrebbe complicato tremendamente le cose. La de-comunistizzazione è avvenuta per linee interne, senza clamore, con un'epurazione radicale ma controllata. Senza vendette. I vincitori erano stranieri, ma ebbero il sostegno pieno e totale dell'intelligencija locale. Che si suicidò e suicidò il proprio paese con assoluta dedizione ai conquistatori provenienti dall'Impero del Bene. La storia è stata riscritta, anche sui libri di testo. I rivoluzionari sono ora descritti come delinquenti comuni. Magari, come Lenin o Bukharin, un po' grafomani, avendo scritto decine di volumi. I "bianchi" come Kolchak, sono ora gli eroi. Lo zar è stato santificato. Tutto ha funzionato perfettamente per un certo, ristretto numero di anni. Poi, quando la gente comune ha cominciato a contarsi i soldi in tasca, a capire che le sue condizioni di vita sono precipitate all'indietro di trent'anni, è apparsa una reazione di massa, a metà strada tra la nostalgia e la rabbia. Ma, nel frattempo tutti i media sono diventati privati : in una prima fase di proprietari privati in senso stretto, in una seconda fase, l'attuale, privati e al servizio dello stato al tempo stesso. Di uno stato privatizzato dal nuovo potere. Così le antiche ambizioni di potenza sono state coltivate dal potere insieme alla miseria di massa. Invece di pane, orgoglio. L'inno è stato ripristinato, con nuove parole e stessa musica. C'è voluta la guerra di Cecenia, due volte, per tentare di ridare ai russi un minimo di soddisfazione per il loro orgoglio nazionale. Ma entrambe le guerre (El'tsin prima, Putin poi) sono andate male. In Occidente di Russia non si parla più, salvo che per contare i morti degli attentati terroristici. Anche in questo caso i vincitori sono riusciti a far passare la loro vulgata: la Russia è stata conquistata al capitalismo e alla democrazia, è stata omologata e non conta più niente. E' anche, più o meno, quello che pensano i russi di se stessi. E non ne sono particolarmente felici. Naturalmente la vulgata è falsa. E, come è spesso accaduto nella storia, gl'inventori delle vulgate di comodo finiscono per credere alle storie che hanno inventato. E, quando accade, poi, che esse vengono smentite dai fatti, se ne stupiscono sinceramente. Con la Russia sarà così, io ne sono certo. Ma non saprei dire quando.
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