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SUDAN: il petrolio non c'entra niente!
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 8:17 AM mail:

Dicono così, ma.........

SUDAN: il petrolio n...
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Esattamente un anno fa, fonti missionarie dal Sudan riportavano l'inizio dell'offensiva governativa in Darfur.L'esercito circondava i villaggi, li bombardava con l'aviazione, e compiva una vera e propria pulizia etnica. Gli abitanti del Darfur erano puniti per l'appoggio allo SLA-M, L'esercito di liberazione della regione. Da allora non ci sono state tregue, ma solo notizie sempre peggiori. Il Sudan è il paese più vasto dell'Africa, ma frequenta pochissimo le colonne dei nostri giornali, non è facile avere un quadro d'insieme.

Il governo sudanese, presieduto da una specie di dittatore talebano che si chiama al-Bashir, è da anni al centro dell'attenzione delle cancellerie mondiali, ma è poco interessante per i media. Dopo il bombardamento di una fabbrica ai tempi di Clinton, e la seguente cacciata di Osama Bin Laden dal paese, il Sudan è scomparso dai media. Riappare ora, e pochi, nemmeno giornali informati come il Guardian, paiono possedere le informazioni minime necessarie.

Il governo sudanese ha pessimi rapporti con le diverse etnie e confessioni nel paese, lo stile è quello mistico-pauperistico talebano, all'insegna di un Islam troglodita che ricorda fanatismi comuni anche ad altre religioni: peggiora le cose la tendenza ad imporre questi stili di vita alle altre etnie, tendenza che ne ha provocato la ribellione. L'esclusiva alle scuole craniche non è piaciuta

Il paese è impossibile da controllare militarmente, è grande più di sette volte la Germania riunificata, con solo trentotto milioni di abitanti Fino all'anno scorso il maggiore problema del governo sudanese era lo SPLA, l'esercito dei cristiani del Sud. Per oltre venti anni tra Sud e Nord c'è stata una guerra che ha provocato milioni di morti, ma quando il Sudan entrò nel cono d'attenzione americano le sorti della guerra cambiarono. I sudanesi dovettero rinunciare ad usare l'aviazione, i cristiani si ritrovarono armati meglio e la situazione si fece presto di stallo. La strategia euramericana è sicuramente di lungo respiro, l'obiettivo petrolifero in questo caso è accuratamente dissimulato, sotto una doppia coltre, ma appare chiaro che la diplomazia internazionale agisce per mandato della lobby petrolifera.

Decisioni sponsorizzate dalle compagnie e dai loro interessi, sono direttamente responsabili di un genocidio. Il Darfur non è assurto agli onori della cronaca perché occorreva discrezione, occorreva nascondere l'ennesimo comportamento discutibile, l'ennesimo omaggio di vite umane alla teoria del controllo delle risorse. La politica occidentale in Sudan ha provocato nell'ultimo anno vittime dieci volte più numerose che in Iraq, e milioni di profughi. L'Occidente ha sponsorizzato un accordo di pace tra nord islamico e sud cristiano, dimenticando completamente la sorte delle altre etnie, semplicemente perché sui loro territori non c'è petrolio. L'evidenza supera l'omertà del sistema informativo: a gennaio, a Naivasha, in Kenia, Nord e Sud siglano una pace che precede la spartizione fifty-fifty dei proventi del petrolio sudanese, giacimenti ed oleodotti corrono esattamente sul confine ideale tra le due parti.

A patrocinare i colloqui di pace un inedito "quartetto": Usa, Gran Bretagna, Italia e Norvegia a rappresentare l'industria estrattiva dei rispettivi paesi. Controllare chi abbia parlato di questo prestigioso successo della diplomazia italiana è facile, qualche avventuroso notista in centesima pagina. Il fatto che il Sudan, noto stato-canaglia, fosse diventato degno di fede non incuriosì nessuno. Il risultato ovvio è stato che il governo sudanese, di nuovo nel business petrolifero, non più impegnato dai cristiani, si arma e schiaccia le altre etnie, ora l'attenzione è sul Darfur, ma il governo colpisce con la stessa durezza anche i monti Nuba, la regione del Nilo Azzurro e i sudanesi di origine eritrea. Concluso il business, il Darfur viene all'attenzione e la Gran Bretagna si dice pronta ad inviare truppe, gli Stati Uniti pure, la Francia sigilla le frontiere del Chad e tutti parlano dell'ennesimo intervento umanitario a mano armata.

Un protettorato che lede ancora una volta i confini di uno stato sovrano, il Sudan è rimasto sovrano neanche cinquant'anni, a mitigare le conseguenze della guerra per le risorse. Le compagnie guadagnano, i locali muoiono e gli stati occidentali non sono "costretti" ad intervenire per garantire gli investimenti, ma lo fanno per i poveri sudanesi. Ancora una volta i cittadini occidentali pagheranno un esercito per salvare le vittime provocate da una politica decisa di nascosto dalle opinioni pubbliche, lontano da valutazioni che non fossero quelle del profitto e del dominio geopolitico, obbligando, de facto, tutti gli occidentali, anche chi avrebbe dissentito ferocemente, a confrontarsi con l'ennesima tragedia incombente, tragedia di sangue, oltre centomila cadaveri costellano gia il deserto.

Immediatamente dopo la sigla della pace, il Sudan è stato segnalato come paese soggetto a "pericolo di genocidio" da un sito americano che custodisce la memoria dell'Olocausto. Tra l'inizio della repressione e l'allarme internazionale passano quattro mesi, da allora altri sette mesi di massacri, nel mezzo di questi sette mesi arrivano i primi aiuti internazionali: teli di plastica e basta, i profughi diventano tessere azzurre sull'assolato deserto sudanese, un anno di silenzio quasi impenetrabile, inspiegabile in un sistema con milioni di addetti all'informazione e tecnologie iperboliche.

Nel mezzo centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati in campi profughi che sono tavole di polvere nel nulla, l'ipocrisia dell'Onu e dell'informazione internazionale che fingono di credere alla storia dei terribili predoni, i teorici della "guerre giuste" in fibrillazione che scaldano i motori, i politici che arruffano posizioni senza senso. La Libia ha aperto un corridoio umanitario, tremila comodi chilometri di pista desertica, molto umanitario. Missionari ed Ong avranno un'altra dura prova, scaldano motori anche i bianchi gipponi. L'Onu ha dato un ultimatum di trenta giorni per arrestare le violenze, il governo lo rifiuta, ma accetta di attaccare i terroristi ugandesi, i terribili Olum di Joseph Koni che dalle basi sudanesi razziano il confine ugandese e promette di sottomettere i predoni, mentre l'Onu stessa deve intervenire per vietare l'invasione prima della scadenza del termine dato al regime sudanese.

Solo ora parte il circo: palla la centro.

Regge ancora il secondo livello di copertura, a chi solleva la questione del petrolio, i guardiani della verità oppongono il fatto che i giacimenti siano sotto contratto con i cinesi, il che dovrebbe sollevare ogni sospetto di interessi diretti del "quartetto" e dell'industria estrattiva. Spiegazione che spinge il Guardian, a dare dei fessi ai governi che hanno trattato con il Sudan e che ora vorrebbero invaderlo per consegnare il petrolio ai cinesi.. Affermazione che va completata. Il Sudan non ha un'industria estrattiva particolarmente sviluppata, il petrolio sudanese è ancora tutto da sfruttare, i contratti in essere non sono con i cinesi, ma con Cina, Indonesia ed India, e riguardano l'attuale, esigua, produzione sudanese.

Il velo cade con le parole di un funzionario Onu alla sigla della pace. Intervistato dalla BBC dichiarava che per i contratti preesistenti alla firma della pace sarebbe stata fatta una valutazione, i paesi partner infatti, non fornivano le necessarie garanzie di trasparenza, addirittura nessuno di loro aveva ancora firmato al convenzione internazionale contro la corruzione; il rapporto tra sud e nord sul petrolio doveva essere trasparente per garantire la pace.. Al suo fianco un rappresentante del governo sudanese si dichiarava soddisfatto perché finalmente il suo paese avrebbe avuto accesso alla tecnologia occidentale, che avrebbe migliorato notevolmente l'industria. Ovviamente questa trascurabile evoluzione del quadro politico sudanese ha interessato solo le borse, che hanno premiato le compagnie dei paesi che hanno "aiutato" la pace, giornali e media paiono avere informazioni confuse, forse perché quelle poche che sono filtrate andavano raccolte attraverso i mesi, quando i fatti avrebbero meritato attenzione, e non solo ora che gli effetti di allora si manifestano nell'ennesimo genocidio.

Vedremo nei prossimi mesi l'esito di questo ennesimo teatrino, un filone di successo con interpreti ormai rodatissimi ed esperti Difficilmente americani ed inglesi rovesceranno al-Bashir, ma l'occasione di un muscoloso intervento umanitario è allettante, probabile che il Darfur si trasformi in una specie di Kurdistan sudanese, sottratto al controllo di Karthoum, costretta ad osservare impotente a causa di un'inferiorità manifesta.


da:
http://www.reporterassociati.org/

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Il nuovo "teatrino" umanitario.
by Grimaldi spaccatutto Thursday, Aug. 05, 2004 at 12:24 PM mail:

http://www.pane-rose.it/pagina_art.php?id_art=3522&loc=1

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Ecco dov'è il petrolio
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 1:03 PM mail:

Ecco dov'è il petrol...
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I rettangoli sono concessioni petrolifere, la linea che va a Nord è l'oleodotto.
da Rainews.

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Mappa attuale situazione sul campo
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 1:09 PM mail:

Mappa attuale situaz...
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http://www.reliefweb.int/w/rwb.nsf/vLCE/Sudan?OpenDocument&StartKey=Sudan&Expandview

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distribuzione dei rifugiati
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 1:15 PM mail:

download PDF (107.6 kibibytes)

Dallo stesso sito.

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Testo integrale di Grimaldi
by desnudo Thursday, Aug. 05, 2004 at 1:21 PM mail:

Cap Anamur, Sudan, imperialismo euroamericano in Africa: complici, ignoranti, utili idioti

Mondocane fuorilinea (3/8/04) di Fulvio Grimaldi

(5 agosto 2004)


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“Quel che il popolo americano ha imparato dalla guerra del Golfo è che è molto più facile andare a prendere a calci in culo la gente del Medioriente, che non fare sacrifici per limitare la dipendenza dell’America dal petrolio importato” (James Schlesinger, ministro dell’energia sotto Jimmy Carter, 1992).

Posto che la Destra, la borghesia, il capitalismo colonialista e imperialista, fanno il loro mestiere, ideologicamente abbastanza dichiarato e, comunque, autoevidente, la vicenda Cap Anamur-profughi “sudanesi” è da iscriversi a caratteri di granito negli annali delle vergogne della sinistra italiana e europea (non statunitense, né, ovviamente, terzomondiale) e dei suoi mezzi d’informazione, con citazione per particolare ignominia di “manifesto”, tristemente vista la sua tradizionale dignità, e, non sorprendentemente, di “Liberazione”, autoproclamati “giornali comunisti”.

A quanto nei primi trenta giorni mi è stato dato di leggere, vedere, rintracciare in rete (ammetto la possibilità di qualche vocina trascurata), siamo stati in 2 (DUE!) del mestiere, tra Germania e Italia, a denunciare un tanto efferato quanto trasparentissimo complotto imperialista contro il più grande paese arabo-africano, giocato sulla pelle, non tanto di 37 robusti e sanissimi giovanotti ghanesi e nigeriani, probabilmente strumenti consapevoli dell’operazione (le loro storie degli “orrori” visti e subiti in un Darfur dove non erano mai stati, le loro sceneggiate nevrotiche, la falsa identità sudanese dichiarata a tutti gli “umanitari” precipitatisi a bordo), quanto degli autentici disperati che a frotte sfuggono alle sciagure direttamente o indirettamente inflitte dal colonialismo e dai suoi eredi, mercenari e sodali. I 37 “sudanesi” e i loro padrini tedeschi sono serviti, venuta alla luce la megatruffa, a sputtanare gli autentici fuggiaschi e richiedenti asilo. Per la maggiore agibilità dei Bossi-Fini, Turco-Napoletano e Pisanu. Proprio come, in un’operazione non dissimile, il perugino rossonero Campo Antimperialista, attribuendo patente di resistenti a squalificati e truffaldini personaggi anti-iracheni, da decenni nell’orbita Cia, ha agevolato la criminalizzazione della Resistenza popolare di quel paese e, grazie al protagonismo di arnesi del neonazismo stragista e picchiatore italiano, da decenni nell’orbita dei servizi, la sua identificazione con quel poco di antisemitismo che, tra quelle schiere, rigurgita in Europa, al di là delle provocazioni e mitizzazioni sioniste. Quei due eravamo il sottoscritto e Juergen Elsaesser, già autore del fondamentale “Menzogne di guerra”, opera incontrovertibile di smascheramento dell’aggressione “umanitaria” alla Jugoslavia e, dunque, di svergognamento delle sinistre anche allora conniventi. Meritiamo medaglie? Neanche per sogno. Il nostro è stato il più elementare esercizio del dovere-diritto di cronaca e di analisi che tutti, ma proprio tutti i fatti della vicenda e del suo retroterra storico e politico, consentivano agevolmente, anzi, imponevano.

La grandiosità della cosa sta nella diserzione di tutti gli altri. Tutti, proprio tutti, si sono avvolti nei caldi panni dell’indignazione morale e della commozione umanitaria, tralasciando ogni pur minimo studio, ogni più elementare considerazione sia del Sudan, di cui nessuno mostrava di sapere un cazzo, al di là delle decennali balle comboniane, israeliane e imperialiste in genere, né di voler spedire qualcuno a vedere, sia della Cap Anamur e dei suoi rintracciabilissimi trascorsi di provocazione al servizio dell’imperialismo occidentale. A questa cosiddetta “ONG” navigante, “Liberazione”, confermando una vocazione consolidata all’incompetenza e alla subalternità alle fonti del nemico di classe, diretta emanazione della strategia del suo sovrano partitico, non si è addirittura peritata di dedicare un altamente elogiativo riquadro in neretto intitolato “La nave della speranza – Quando la salvezza viene dal mare: in azione di 25 anni”.

Dunque i cronachieri del tabloid cartonato di RC sapevano che 25 anni fa la Cap Anamur era stata protagonista assoluta (10.000 salvataggi e assordanti clamori mediatici) della “tragedia” del boat people vietnamita. Gente che, sollecitata da opportune promesse di bengodi statunitensi ed europei (il modello erano i migranti cubani verso la Florida, attratti da posti, case e privilegi sicuri), tentava di lasciarsi alle spalle un paese devastato e impoverito da vent’anni di carneficine e distruzioni franco-statunitensi e che, a fatica, provava a rimettersi in piedi sotto un embargo non meno micidiale dello stragista “agente orange”alla diossina (a proposito di “armi chimiche in mano a terroristi”). Era con ogni evidenza il tentativo di rivincita contro gli irriducibili comunisti vittoriosi, modello e istigazione rivoluzionaria per le masse del mondo. Ma per “Liberazione”, cioè per Bertinotti e i suoi corifei scribacchini, si trattò di eroismo umanitario, lì come poi in Somalia, Angola, Etiopia, Afghanistan, Cecenia (!), Haiti (!), Iraq(!), Sudan, dove “l’associazione – sempre rimasta indipendente da qualsiasi organo di governo -ancora oggi raccoglie disperati e profughi persi fra i flutti”. La fonte? Un’accurata ricerca in Internet, un’indagine presso compagni tedeschi della cosiddetta “Sinistra Europea”, una domandina ai governi interessati? Macchè, solo ed esclusivamente la stessa “ONG”, nella fattispecie il suo dirigente Bernd Goeken. Affidabilità? Ovvia, l'ha detto la tv…

Ricapitoliamo. E basterebbe già. Il 20 giugno – dicono il capo della “ONG”, il tedesco Elias Bierdel, e il suo capitano Stephan Schmidt – i 37, tutti maschi, tutti giovani e gagliardi in piene forze (non s’era mai visto), sarebbero stati pescati a largo di Malta; il 24 la Cap Anamur entra in un porto di Malta dove le toccherebbe, per diritto internazionale, depositare i profughi. Non lo fa, più tardi giustifica la sosta a Malta con un guasto. Trova che la vicenda susciterebbe maggiori echi nel mondo se si approdasse in Italia. Gira per altri 5 giorni nel Mediterraneo, stranamente visto che secondo i naviganti e gli “umanitari” che si sono precipitati a bordo (Legambiente, Arci, Acli, Caritas, Emergency, l’oscura Medici Senza Frontiere, la spionistica Reporters Sans Frontieres, l’inquietante ICS “tutto per gli albanesi, niente per i serbi”, parlamentari sinistri, e tutta la compagnia di giro già fattasi sostegno alle menzogne Nato in Jugoslavia) i profughi sarebbero allo stremo, fisico e psicologico, viste le orrende immagini del “loro” Darfur con stupri, incendi, massacri, rapimenti, che ancora gli sconvolgono corpo e mente ( e qui si sono distinti per Gran Guignol strappasinghiozzi soprattutto qualche padre comboniano e Massimo Serafini, precipitatosi sul posto con la “Goletta Verde”). Il 29 giugno, dopo ben nove giorni di inspiegabile girovagare con i “disperati esausti e a corto di acqua a viveri” (gliene hanno portato da affondare la nave), Bierdel chiede di sbarcare a Lampedusa. Ottiene di attraccare a Porto Empedocle, da un governo italiano perfettamente al corrente dell’imbroglio (e che non mancherà di utilizzarlo contro successivi, autentici profughi), il 12 luglio. Succede ancora un po’ di trambusto attorno all’arresto dell’equipaggio, rapidamente azzerato dall’indignazione umanitaria generale, e all’espulsione dei falsi “sudanesi”, falsi fuggiaschi da falsi orrori, che, rientrati in Ghana e Nigeria e tirati per le orecchie per aver rinnegato la patria, tornano tranquillamente ai loro villaggi. Villaggi da cui chissà chi li aveva estratti.

Dopo aver attirato sul Sudan la riprovazione e la commiserazione di tutto il mondo, dei delinquenti colonialisti, dei complici travestiti da samaritani e degli utili idioti, la storia di spie, provocatori e mercenari, elevata a manifestazione autoesaltante, politically correct, di tutto il perbenismo cialtrone o ignorante internazionale, poteva dirsi esaurita, ma vincente. Nei giorni successivi, innescate da Bierdel e soci, partono le cannonate propagandistiche e di avvertimento contro il Sudan: Washington, Londra, Berlino, Parigi, ONU e Nato ventilano sanzioni e interventi. La corsa degli imperialismi verso il petrolio, gli oleodotti e la sovranità e unità del Sudan, paese che diversamente da Angola, Nigeria, Senegal, Marocco, Muaritania, Niger, Ciad, Mali, Uganda, Kenia, Etiopia, Eritrea, non regala i suoi minerali alle multinazionali e non accetta basi e “istruttori” USA, è partita. Il Consiglio di Sicurezza, infervorato di umanitarismo non meno che al tempo dello sbranamento della Jugoslavia e, poi, dell’avallo all’occupazione e ai suoi fantocci in Iraq, scaglia tuoni, fulmini e sanzioni. Powell sfanfareggiava ai quattro venti sul “genocidio nel Darfur”. La scena è pronta, lo spettacolo può iniziare. Grazie Cap Anapur.

Storia di spie, provocatori e mercenari? Ohibò, non ci andiamo giù un po’ pesanti? Che diranno mai gli umanitaristi non violenti, muncipalisti e partecipazionisti della “Sinistra radicale e innovata”? Dovunque, in passato, colonialisti e imperialisti hanno cercato di infilare tentacoli, la Cap Anamur era lì, a pescare nel torbido, esibendo una volta 10.000 vietnamiti, un’altra milioni di kosovari in fuga e un’altra 37 “sudanesi”. Fondata nel 1979 da Rupert Neudeck, si è data lustro ripescando i boat people vietnamiti “in fuga verso un occidente prospero e libero”, definitiva “satanizzazione” dei vietnamiti e dei comunisti. In Congo, a mestare contro Kabila, quando fu cacciato il dittatore Mobutu, Neudeck si manifesta anche all’assalto dell’ideologia socialista partecipando dal largo della Corea del Nord alle pressioni militari e propandistiche statunitensi, per poi dare un contributo fondamentale all’aggressione, prima tedesco e papalino e poi di tutto l’Occidente, (ricordare il sergente non pentito D’Alema, in corsa verso la presidenza della Repubblica sottobraccio al compagno Bertinotti) alla Jugoslavia, sostenendo le storie-horror del ministro Rudolf Scharping e di Madeleine Albright (la cannibala di Iraq e Jugoslavia, recuperata alle guerre giuste e ben fatte da John Kerry). Entra in campo al suo fianco Elias Bierdel, all’epoca ancora corrispondente della Tv tedesca ARD, che rafforza l’intento squartatore con sanguinolenti aneddoti antiserbi e antipalestinesi raccattati qua e là. Dal 2003 è il successore di Neudeck. Battesimo del fuoco per ottenere la qualifica di spia e provocatore, i 37 “sudanesi” e la farsa del Canale di Sicilia.

Sorella e sostenitrice della Cap Anamur è la tedesca Gesellschaft fuer Bedrohte Voelker (Associazione per i popoli minacciati, APM), che ha anche una sezione sudtirolese nella quale si è distinto il presunto “pacifista interetnico” Alex Langer, sudtirolese, sodale del provocatore e disinformatore Adriano Sofri, allorché invocava l’intervento bombarolo della Nato contro la perversa etnia serba e si agitava per agevolare l’aggressione Nato e la fine dell’interetnicità socialista nei Balcani. Dal compagno Giuseppe Catapano, che ha effettuato in proposito una ricerca che sarebbe spettata ai ben più attrezzati giornali di sinistra, apprendiamo che l’APM si è adoperata più di tutti perché il governo tedesco difendesse e liberasse Bierdel e compari. Finta di sinistra, come la Cap Anamur, l’APM ha una sezione anche in Bosnia, che lavora con zelo per la secessione del Kosovo e del Sangiaccato in Serbia. Per anni ha gestito l’illegale università parallela albanese di Pristina, etnicamente pulita, finanziata dal destabilizzatore finanziario George Soros e sostenuta con i fondi del narcotraffico degli indipendentisti UCK, istruiti dall’amerikana Al Qaida. Sempre l’APM, non ha fatto mancare il suo sostegno alle “minoranze oppresse” nel Caucaso, a partire naturalmente dai filotedeschi terroristi ceceni, pure rinforzati dall’amerikana Al Qaida (per il “manifesto” e “Liberazione”, prodighi di attribuzioni terroristiche a palestinesi e iracheni, trattasi di “ribelli” e “guerriglieri”), per finire con gli analogamente filotedeschi tartari della Crimea. Massimo appoggio viene poi riservato, non tanto alle legittime nostalgie, quanto al revanscismo dei tedeschi cacciati dai Sudeti, dalla Transilvania, dalla Slesia, dal Don e da Danzica.

In Italia il comitato dei garanti dell’APM vede la presenza del noto medievalista di estrema destra e di Campo Antimperialista, Franco Cardini, e di Sergio Salvi, autore di un libro intitolato “L’Italia non esiste” (Camunia, Firenze, 1996). L’associazione del defunto Langer e soci ha rapporti stretti con le riviste della “nuova” destra radicale comunitarista (“Frontiere”) e con lo chauvinismo croato attraverso l’Associazione Culturale Italia-Croazia di Sandro Damiani. Innumerevoli i proclami per l’autodeterminazione del Kosovo, spesso ospitati da un –auguriamocelo – inconsapevole “manifesto”, giornale ingannato non di rado dalle facciate libertarie-ecologiche-sociali-umanitarie di queste conventicole collateraliste.

Quanto stretto sia il legame tra questa gente e gli ambienti della riconquista coloniale occidentale è saltato agli occhi in primis grazie al sincronismo tra l’operazione Cap Anamur e le mosse della cancelleria tedesca, precipitasi sul boccone petrolifero sudanese prima ancora che Colin Powell riuscisse a completare davanti al Consiglio di Sicurezza, dove ha contro una Cina già ampiamente introdotta in Sudan e una Francia che, invece, vorrebbe la sua fetta, la frase “genocidio nel Darfur”. Facendo passare per sudanesi i passeggeri della nave, al ministro degli esteri Joshua Fischer è stata offerta l’occasione di “dirigere tutti i fari dell’opinione pubblica mondiale sul Sudan”. Heidemarie Wieczorek-Zeul, ministra per i paesi emergenti, e Gerhard Baum, ex-ministro degli interni, hanno tempestivamente proposto un intervento militare. Kerstin Mueller, sottosegretaria agli esteri, ricupera la “pulizia etnica” e la “guerra di espulsione”, Christa Nickels, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani, non si avventura nel Darfur – come del resto nessuno dei trombettieri, dalle cancellerie occidentali a “Liberazione” - ma si dichiara certa che in Darfur “è in atto, in sostanza, un genocidio”. Dal Darfur, un capo ribelle, eccheggia, con meravigliosa conoscenza di causa e effetto: “Questa è la nostra Sebrenica”. Quando si dice le sinergie!

Sullo sfondo, la reale vicenda sudanese, di un paese in cui ripetutamente ho assistito di persona a come l’imperialismo sionista, cattolico e statunitense, ora anche europeo, da almeno 40 anni, cioè dall’indipendenza e dall’ascesa al potere di successivi governi nazionalisti ed antimperialisti, cerca di sfasciare e ridurre all’obbedienza, con particolare accanimento da quando, dieci anni fa, si sono scoperti, accanto all’acqua e alla fertile agricoltura, ricchi giacimenti di idrocarburi. E’ bastato che il governo centrale di questo paese, tradizionalmente laico e con un’intellighenzia assai evoluta – che mai ha tentato di imporre la legge coranica agli animisti e ai pochissimi cristiani del Sud – riuscisse a combinare una pace con le varie bande ribelli del Sud, specialiste in stragi reciproche, ma dall’Occidente armate e pubblicizzate, che subito si è aperta l’altra morsa della tenaglia attorno alla sovranità e unità del paese: le divergenze tra musulmani nomadi e contadini musulmani nel Darfur, area opportunamente piagata da un’avversità ambientale che è in massima parte responsabilità dello “sviluppo” occidentale e del sottosviluppo in cui i britannici, cacciati nel 1959, lasciarono, come ovunque, lo loro colonia. Già qualche anno fa mi ero inoltrato con un ottimo ambasciatore italiano (altri tempi!) in profondità nel Darfur. Già allora la siccità provocava carestie spaventose e fughe in massa, allora, non istigate e mascherate, proprio come in Kosovo, da atrocità governative, verso il centro Sudan, ma allora la "comunità internazionale umanitaria" era totalmente assorbita dalla necessità di destabilizzare il sud dei secessionisti neri e al Darfur non dedicava nè una pagnotta, nè "forze di liberazione".

Da lì le versioni del tutto unilaterali e, come nel caso dell’Iraq e della Jugoslavia, razzisticamente sprezzanti verso le rettifiche delle autorità statali sudanesi, su “bande di milizie arabe janjawid” che sterminerebbero e espellerebbero i poveri contadini: leggende orrifiche di tipo “kosovaro” mai verificate, “milioni” di profughi nel Ciad amico degli USA (come l’Uganda, da sempre fomentatore della secessione meridionale), “centinaia di migliaia” di massacrati, gente e villaggi a gogò bruciati, gli inevitabili stupri, voracemente illustrati da certi monumenti femministi, fino agli “orrori dipinti negli occhi dei 37 sudanesi” mai stati in Sudan. E, inevitabili, le “forze della democrazia”, variamente intitolate “Movimento per la giustizia e l’eguaglianza”, o “Esercito di Liberazione del Sudan” (del Sudan, capite, mica del solo Darfur!), ontologicamente buone, come l’UCK kosovaro, o gli stragisti di civili ceceni, con il corollario dei santuari nel paese “amico” filo-USA, Ciad, e dei mai menzionati armamenti forniti da misteriosi umanitari a stelle e striscie (ma, nella vulgata umanitaria, “strappati ai governativi”). Ed ecco l’ esito pianificato, talmente banale, scontato e ripetitivo da ricordare i “selvaggi senz’anima” dei missionari (non per nulla la bandiera morale è agitata dai monaci comboniani che da cent’anni, con il pretesto delle scuole e delle cliniche private, rompono i coglioni ai sudanesi): la grandinata degli annunci di “interventi umanitari” delle potenze occidentali, in gara per sbranare il paese e rapirne le ricchezze nel quadro della generale “normalizzazione” del Medio Oriente e della ricattura euro-statunitense dell’Africa, in questo caaso soprattutto del petrolifero Sahel.

A questo proposito, è opportuno un cenno sulla progressiva militarizzazione dell’Africa sahariana e subshariana da parte delle amministrazioni Clinton e Bush e, prima, la vicenda dell’infiltrazione tedesca in Sudan.

E’ per iniziativa degli USA e dell’UE, quest’ultima sospinta da Berlino, che il Consiglio di Sicurezza ha licenziato una risoluzione che, pur non nominandole espressamente, consente sanzioni contro il Sudan. Nuove sanzioni, visto che sono in vigore dai tempi dell’indipendenza di quel paese riottoso – e anche in disputa con l’Egitto, “nostro amico”, per la gestione delle vitali acque del Nilo, accaparrate in misura sproporzionata dal Cairo - sanzioni, variamente giustificate, degli USA e, a intermittenza, degli europei. Sono stati i tedeschi e i britannici a esercitare il massimo della pressione morale sulla necessità di intervenire militarmente, ricorrendo alla drammatizzata rappresentazione della disperazione nella provincia occidentale del Darfur . Pressione denunciata ripetutamente dal ministro degli esteri sudanese Mustafa Osman Ismail, già artefice dell’accordo con i secessionisti del Sud, che a costoro concede buona parte dei proventi del petrolio a scapito della collettività nazionale (vedi Croazia), nonché un referendum sull’indipendenza tra sei anni. A nulla è servita questa davvero generosa disponibilità di Khartum, neanche a impedire che i negoziati con i “ribelli” del Darfur, ripetutamente avviati dal governo, venissero da costoro ripetutamente sabotati, nonostante l’impegno del presidente Omar El Bashir ad adoperarsi per la pacificazione della provincia entro il tempo impossibile di 30 giorni, arbitrariamente imposto dall'ONU contro il precedente impegno di 90 giorni concordato con Kofi Annan.

Per i tedeschi c’è in ballo un grosso affare. Bypassando con disinvoltura predatrice le legittime istituzioni sudanesi, sotto gli auspici di Berlino, la multinazionale tedesca di infrastrutture Thormaehlen Schweisstechnik ha concluso in Kenia un accordo con gli esponenti del Sud Sudan per la costruzione di un corridoio ferroviario, stradale e di oleodotti di 2.500 km, tra la capitale della provincia meridionale Juba, sprofondata in giacimenti di petrolio, oro e uranio, attraverso il fidato Uganda, fino a Mombasa nel fidato Kenia. Oggi le vie di comunicazione e di trasporto dal Sud portano tutte al Nord, verso Port Sudan e rimangono quindi sotto controllo governativo. Un progetto con cui l’impresa tedesca favorisce oggettivamente lo smembramento del paese. “Si tratta dell’arteria femorale della nostra indipendenza”, si è infervorato Costello Garang, leader di una delle tante bande secessioniste alimentate dall’esterno. Al contrario, a rafforzare con il governo l’asse sud-nord, che finora ha tenuto insieme il grande paese multietnico, si sono impegnati paesi come Russia, Cina, Malaysia. Il loro contributo di 1,7 miliardi di dollari è però poca cosa rispetto ai 3 miliardi offerti dai tedeschi. Del resto, è da tempo che il neocolonialismo di Berlino tiene gli occhi puntati su quest’area dell’Africa, in evidente competizione con quanto gli USA vanno facendo sul fianco occidentale e nel Sahel: con sostegno tedesco sta per partire tra Kenia, Uganda e Tanzania un’unione economico-monetaria, cui dovrebbero associarsi presto i secessionisti del Sud Sudan, con il risultato di evidenti tensioni diplomatiche tra i filo-occidentali, oltrechè corrottissimi, regimi di Uganda e Kenia, da un lato, e Khartum dall’altro.

Non restano fuori dal gioco gli statunitensi che, fin dai tempi del primo mandato Clinton, hanno intrapreso una massiccia campagna di penetrazione e militarizzazione soprattutto dei paesi della Costa Occidentale e del Sahel. La definitiva presenza militare degli USA, in forma di basi permanenti, truppe e “istruttori” delle forze armate locali, è stata sancita il 23-24 marzo scorsi a Stoccarda, quando i capi di stato maggiore di Ciad, Mali, Mauritania, Marocco, Niger, Senegal e Tunisia hanno partecipato per la prima volta a una riunione presso la sede del comando europeo dell’esercito statunitense (Us-Eucom). Tema: “La cooperazione militare nella lotta globale contro il terrorismo”. L’autoattentato dell’11 settembre 2001 dei golpisti al potere a Washington è servito anche a questo. E per la prima volta, forze armate di Washington hanno partecipato nel marzo 2004 a operazioni militari in quattro paesi del Sahel: Ciad, Mali, Niger e Algeria, in quell’Algeria che gli USA stanno da anni destabilizzando e ricattando proprio manipolando il terrorismo, di patronato Al Qaida, cioè Cia e Mossad, del Gruppo Salafista per la predicazione e il combattimento. E’ con l’alibi della lotta a questi agenti dell’imperialismo, che gli USA hanno fornito armi in particolare al Ciad, con ogni probabilità per sostenere la ribellione dei movimenti nel Darfur (dove abitano sei dei 22 milioni di sudanesi). E all’interno della corsa statunitense al petrolio e ai minerali africani, con obiettivi Angola, Nigeria, Zambia, il ribelle Zimbabwe di Mugabe, il Congo, il Senegal, e il Sudan che prendono vita via via mezzi e strutture colonialiste statunitensi più articolate e potenti, come la Pan Sahel Iniziative, l’African Crisis Response Iniziative, l’African Center for Strategic Studies, emanazione diretta del Pentagono, l’Africa Contingency Operations Training Assistance “per il mantenimento della pace e per l’aiuto umanitario”.

Come scrive il giornalista francese Pierre Abramovic, analista dell’Africa, “Nell’arco dei prossimi dieci anni, il continente africano diventerà, dopo il Medioriente, la seconda fonte di petrolio, di gas naturale e di minerali indispensabili degli Stati Uniti”. Due percorsi strategici sono al centro del pensiero militare americano: a ovest l’oleodotto Ciad-Camerun verso l’Atlantico e, a est, l’oleodotto Higleig-Port Sudan. Il Sudan, orgogliosamente indipendente, sta nel mezzo. Sul posto, in Ciad, ci sono già i mercenari del MPRI, la massima compagnia USA di assistenza militare al Pentagono, collaudata in Kosovo, Bosnia, Macedonia e Iraq. L’intera campagna politico-mediatica del Darfur, cui la Cap Anamur ha fornito pozzi di carburante, e l’intervento “umanitario” di Bush, Blair, Schroeder e del Consiglio di Sicurezza sono da collocarsi su questo sfondo. Difficile? No, a disposizione di tutti. Per la maggiore vergogna dell’informazione cosiddetta alternativa e di “sinistra radicale”, insieme al suo codazzo del “volontariato umanitario”.

P.S. Si direbbe che il capo di un partito sedicente comunista dovrebbe prendere provvedimenti contro quei suoi collaboratori esteri e giornalisti internazionalisti che di tutto questo al pubblico italiano non hanno fornito neanche un’ acca, anzi hanno corroborato con entusiasmo degno di miglior causa l’enorme inganno teso a favorire il ritorno a ferro e fuoco dell’imperialismo nei confronti dei popoli. Nulla del genere, come abbiamo visto. Anzi, nei confronti di un modesto informatore come il sottoscritto, ha "agito" (cambiare l'intransitivo in transitivo è una di quelle radicali innovazioni che piacciono al capo) la mannaia inquisizionista del Collegio Federale di Roma, con la sospensione di nove mesi dal partito per aver difeso Cuba, Milosevic, la resistenza irachena, l’Intifada palestinese e aver schifato le piroette liberaldemocratiche ed entriste del vertice (provvedimento la cui esecutorietà è stata per ora sospesa dal meno obbediente Collegio Nazionale di Garanzia, “per evidente mancanza di motivi di gravità”). Intanto il “giornale comunista” “Liberazione” va per la sua strada. Il 29 luglio con un’intera copertina dal- l’agghiacciante titolo “MASSACRO DI DISOCCUPATI”, dedicato all’operazione della Resistenza irachena a Bakuba contro l’esercito di collaborazionisti in formazione, addestrato alla liquidazione e, come provato, alla tortura dei combattenti per la libertà e la sovranità del paese; con un editoriale di prima pagina del dirigente per gli esteri dal nome-burla, Migliore, il 3 agosto, in cui del tutto sprovvisto dell’elementare capacità di classe, ma anche di semplice mestiere, di distinguere tra atti della resistenza vera e terrorismi della provocazione eterodiretta (come se in Italia non ci fossero state le stragi di Stato), si ripete l’anatema contro “gli attentati alle lunghe file di chi cerca lavoro” ( i partigiani che colpivano i collaborazionisti dei nazirepubblichini si rivoltano nella tomba) e, butta insieme le operazioni autentiche della resistenza con l'assoldato Mossad e Cia e inquinatore della resistenza, Al Zarkawi, gli attentati alle moschee, universalmente riconosciute come di matrice israelo-statunitense per frantumare l’unità dello sforzo liberatore iracheno, e, infine, le bombe contro le chiese cristiane, evidentissimamente dello stesso stampo, ma dal Migliore definite “scontro di civiltà”, per la maggiore gloria e soddisfazione di Huntington, Bush e Berlusconi.

Terminiamo con una frivolezza femminile. Cercatevi il “commento” di Ritanna Armeni, una dama che fa la portavoce del leader maximo e, ohibò, è l'annunciata co-conduttrice della spia Giuliano Ferrara a “Otto e mezzo”, del 28 luglio. Qui si trascorre felicemente, nella scia dell’alleanza D’Alema-Bertinotti e Sinistra Europea-UE, dalla donna che rigetta la rincorsa dell’uomo nella sua scalata maschilista delle gerarchie borghesi e capitaliste, nientemeno che all’esaltazione di autentiche emancipate, seppure in un contesto diverso, "tutto da rispettare" peraltro, come Hillary Clinton, Teresa Heinz Kerry, Elizabeth Ananaia Edwards. Incrdibile? Troverete questi concetti: “Superando una visione dell’emancipazione tutta europea”, queste coniugi si sono emancipate “nella giovane società americana dove altra è la funzione della famiglia, altro il suo ruolo istituzionale e religioso” e, dunque, “la via dell’emancipazione e della liberazione non è univoca né certa. Quella che ci mostra in questi giorni la convention democratica americana può essere una di queste (sic!). Una forma nella quale il supporto al ruolo del consorte nulla toglie alle personali aspirazioni, al personale desiderio di far politica. Del resto le donne sono abituate a cercare escamotage e scorciatoie”. Così parlò la First Lady del PRC, che, evidentemente, di “escamotage e scorciatoie” è ottima intenditrice. Così si inebriò dell’ascesa di donne nell’ombra e nella collusione con tre uomini che quattro quinti dell’umanità considerano criminali provati o promessi. Da Rosa Luxemburg a Hillary Clinton. Bel salto. Mortale.

Il resto, cari amici, è silenzio. Fino al ritorno dal Venezuela.

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la storia prima della pace
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 1:50 PM mail:

da:
http://www.warnews.it/index.cgi?action=viewnews&id=20

Questa la storia fino a giufno dell'anno scorso, poi sono cominciati i colloqui di pace petrolifera, e gli abitanti del Darfur hanno ricevuto il testimone di etnia attaccata, non senza aver costituito movimenti armati sostenuti dall'estero, dato che in Darfur petrolio ce n'è poco, quindi sperando solamente di destabilizzare il regime dai al-Bashir dopo aver messo al sicuro il controllo delle risorse.
Evidente la poca considerazione per i milioni di esseri umani che pagheranno queste geniali "strategie".


La guerra civile in Sudan è in corso ormai da 20 anni, e vede opporsi il governo settentrionale di Karthoum ed i ribelli del Sudan People's Liberation Army (SPLA), che rivendicano l'indipendenza delle regioni meridionali del Paese.
Una delle principali motivazioni di questa guerra (oltre a questioni economiche e territoriali) è sicuramente la profonda differenza etnica, sociale e religiosa esistente tra il Nord nazionalista, arabo e islamico ed il Sud nero e cristiano-animista, organizzato in strutture di stampo prevalentemente tribale.

Tale contrapposizione, portata alle estreme conseguenze da rivalità etniche, aveva già condotto le parti a combattersi in un primo conflitto che insanguinò il sud Sudan dal 1955 al 1972, poco prima che i Paese raggiungesse l'indipendenza dall'Inghilterra; le ostilità ebbero inizio quando una guarnigione governativa dell'Equatoria Corps si ammutinò e diede origine ad una lotta armata contro Khartoum; in seguito, i guerriglieri si riorganizzarono e diedero vita al gruppo Anya Nya, a sua volta accorpato ad altre fazioni minori per formare l'SSLM (Southern Sudan Liberation Movement), diretto da Joseph Lagu. Nel 1972 quest'ultimo firmò la pace con l'allora dittatore sudanese Nimeiri, ad Addis Abeba.

Agli accordi seguì dunque un periodo di transizione sostanzialmente pacifico, in cui gli Stati dell'Equatoria, Bahr-el-Ghazal e Upper Nile raggiunsero un relativo grado di autonomia.
Tuttavia, la situazione precipitò nuovamente nove anni dopo: la scintilla che scatenò il secondo conflitto ebbe luogo nel maggio del 1983, quando Nimeiri decise di estendere la Sharia (la legge islamica) anche alle popolazioni cristiane del sud.
Anche stavolta diverse divisioni governative di stanza nella regione si ammutinarono; una di esse, comandata da John Garang (che aveva ricevuto un addestramento militare negli USA) divenne il nucleo di base della guerriglia dell'SPLA. Successivamente i ribelli iniziarono a ricevere finanziamenti da amministrazioni o gruppi armati di Paesi vicini e lontani, fra cui Uganda, Eritrea, Chad, Stati Uniti e Israele.

Da allora, i due eserciti si sono fronteggiati senza sosta fino a pochi mesi fa; i venti anni di guerra sono stati segnati da combattimenti estremamente feroci, condotti anche con armi "non convenzionali" (il regime è stato più volte accusato dell'utilizzo dei gas letali).
Nel 1998 gli Usa hanno bombardato una fabbrica di armi chimiche vicino alla capitale, accusando Khartoum di fornire armi al terrorismo internazionale.

Il conflitto, concentratosi quasi esclusivamente nel sud del Paese, ha colpito in particolar modo la popolazione civile, tra cui si registrano gran parte degli oltre due milioni di vittime; inoltre, in centinaia di migliaia hanno perso la vita a causa delle carestie e delle epidemie connesse con la guerra, mentre altri quattro milioni e mezzo di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case e rifugiarsi nei campi profughi locali o dei Paesi confinanti (Uganda e Kenya in particolare).

Governo e ribelli si sono resi responsabili di gravissime violazioni dei diritti umani; per vent'anni l'aviazione ha bombardato incessantemente i villaggi, colpendo case, scuole, edifici pubblici, mercati e chiese. Le stragi di civili sono state quasi quotidiane, come testimonia l'enorme numero di fosse comuni rinvenute; inoltre, migliaia di persone, soprattutto donne e bambini, sono state rapite e deportate al nord come schiavi.
L'SPLA ha arruolato, spesso con la forza, un gran numero di bambini tra le sue milizie; inoltre i ribelli sono stati accusati di esercitare un opprimente monopolio sugli aiuti umanitari (che sovente sono stati negati alla popolazione, aggravando maggiormente il problema della fame e della carestia).

Negli ultimi anni il tentativo di controllo dei giacimenti petroliferi e delle altre risorse dei territori meridionali ha preso il sopravvento su ogni altra questione, diventando così il vero motivo della guerra.
Le enormi ricchezze del sud - fra cui, oltre al petrolio, anche acqua, terreni coltivabili, bestiame, minerali, che non si trovano nel nord principalmente desertico - rappresentano da sempre un fortissimo richiamo per la classe dirigente (dal 1989 sotto la guida di Omar Hassan al-Bashir), ed ai grandi amministratori e proprietari terrieri ad essa legati; ad aggravare la situazione si è aggiunto l'intervento di influenti multinazionali petrolifere straniere, che hanno fomentato la campagna di guerra di Khartoum per tentare di conquistare quante più "aree produttive" a sud.
Si è così instaurato un circolo vizioso, attraverso cui il regime ha utilizzato gran parte dei ricavi dell' "oro nero" per acquistare armi sempre più distruttive, e prendere il controllo di un numero sempre maggiore di giacimenti. Centinaia di migliaia di civili sono stati così scacciati o uccisi unicamente per il fatto di abitare nei pressi di campi petroliferi, e talvolta, secondo numerose denunce di osservatori indipendenti, le multinazionali non hanno esitato a scatenare i propri eserciti privati sulla popolazione. La canadese Talisman Energy, ora ritiratasi dal Paese, ha ricevuto durissime accuse a riguardo, ma certamente non è stata l'unico caso.

Solo lo scorso anno sono stati compiuti importanti passi avanti sul piano diplomatico, dopo due decenni di indifferenza da parte della comunità internazionale. Sono stati infatti aperti i colloqui di pace in Kenya che, fra alterni e discontinui risultati, hanno portato ad un cessate-il-fuoco che dovrebbe preludere ad una pace definitiva: per cui, dopo sei anni di "transizione", il sud del Paese dovrà raggiungere una larga autonomia da Khartoum, insieme all'autodeterminazione ed all'utilizzo di una consistente percentuale delle risorse naturali locali.
Le trattative sono supportate dall'IGAD (Inter-Governmental Authority for Developement), che abbraccia diversi Paesi confinanti, oltre anche agli USA.
Proprio l'intervento del governo americano, anche se non certamente mirato per questioni umanitarie, è stato determinante nel raggiungimento di una intesa di massima: Washington ha infatti promesso enormi finanziamenti alle parti in cambio di un accordo di pace, che dovrebbe portare ad un significativo aumento della produzione di petrolio.

Mentre a sud, nonostante la tregua abbia subito numerose violazioni, sembra faticosamente aprirsi uno spiraglio di pace, nuovi timori sorgono per le crescenti violenze nella provincia del Darfur, regione desertica situata nel nord-ovest del Paese, ed abitata per lo più da tribù islamico-animiste nomadi.
Negli ultimi anni quest'area è stata al centro di una campagna di repressione da parte del regime, che ha cercato di stabilirne il controllo utilizzando il pugno di ferro, tramite rastrellamenti, arresti e condanne a morte di oppositori, oltre ad abusi sulla popolazione civile da parte dell'esercito stesso o di squadre paramilitari.
A partire dalla fine di febbraio alcune delle etnie locali più rappresentate (fra cui i Fur e i Masalit), a quanto pare sostenute dall'SPLA e da altri Paesi stranieri, hanno cominciato una campagna di lotta armata contro il governo, che a sua volta ha reagito rifiutando qualsiasi soluzione negoziale e replicando agli attacchi.

Daniele Bertulu
(Scheda aggiornata il 15-06-2003)

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MULTINAZIONALI PETROLIO COMPLICI IN VIOLAZIONI DIRITTI UMANI
by articolo di novembre Thursday, Aug. 05, 2004 at 1:59 PM mail:

MULTINAZIONALI PETROLIO COMPLICI IN VIOLAZIONI DIRITTI UMANI


by mazzetta Wednesday November 26, 2003 at 09:44 AM mail:

SUDAN 26/11/2003 1:39




Gli sforzi del governo del Sudan per il controllo dei bacini petroliferi nel sud del Paese hanno provocato centinaia di migliaia di sfollati. E’ la principale accusa contenuta in un voluminoso dossier presentato ieri da Human Rights Watch (Hrw), una delle più note organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Il rapporto punta il dito anche contro le multinazionali dell’oro nero, corresponsabili – secondo Hrw – dello spostamento di un’enorme massa di civili e della tragedia provocata da questo flusso forzato di popolazione. Nel documento – 750 pagine dal titolo "Sudan, petrolio e diritti umani" – si indaga sul ruolo svolto dal greggio nel ventennale conflitto sudanese, che dal 1983 contrappone il regime islamico di Khartoum ai ribelli dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan (Spla). Nella sua presentazione Hrw sostiene che questo rapporto è la più completa analisi delle connessioni esistenti tra lo sfruttamento delle risorse naturali e le violazioni dei diritti della persona. "Lo sviluppo petrolifero – ha detto Jemera Rone, una ricercatrice dell’organizzazione che ha seguito questa indagine – avrebbe dovuto essere causa di un ricongiungimento tra le persone del Sudan, invece non ha portato altro che sventure". Il report documenta come il governo sudanese abbia utilizzato strade, ponti e aeroporti costruiti dalle compagnie petrolifere per lanciare i propri attacchi contro la popolazione nella regione meridionale del Western Upper Nile. In aggiunta all’esercito, si legge nel documento (disponibile anche sul sito http://www.hrw.org), il governo avrebbe dispiegato militanti islamici al fine di proseguire la guerra e non avrebbe esitato a finanziare milizie nel Sud nel tentativo di manipolare etnicamente e destabilizzare la regione meridionale, che reclama autonomia e indipendenza. "Le compagnie petrolifere presenti in Sudan erano consapevoli dei massacri, dei bombardamenti e dei saccheggi che hanno avuto luogo nel sud, tutti con il chiaro obiettivo di liberare le aree ricche di giacimenti petroliferi" ha affermato ancora Rone. Le condizioni dei civili nelle aree da dove viene trivellato il greggio, sostiene ancora Hrw nella sua indagine, sono peggiorate quando la canadese Talisman Energy e la svedese Lundin Oil Ab hanno coordinato due concessioni petrolifere in Sud Sudan. A fronte della crescente pressione degli attivisti per i diritti umani, le due multinazionali dell’oro nero ha ceduto le proprie quote nel 2002. "Il governo sudanese – si legge ancora nell’ampio dossier, di cui è sufficiente scorrere il sommario per rendersi conto della vastità d’indagine – ha usato gli introiti dei proventi del petrolio per condurre campagne di ‘terra-bruciata’ per forzare centinaia di migliaia di agricoltori e allevatori ad abbandonare le proprie case nei bacini di estrazione" ha aggiunto la ricercatrice di Hrw. "Questi civili non hanno ricevuto alcuna compensazione ne una nuova sistemazione in modo pacifico. Al contrario, le forze governative hanno saccheggiato le loro colture e i loro allevamenti, devastato case e villaggi, ucciso e ferito i parenti degli sfollati e persino impedito alle agenzie umanitarie di raggiungere queste zone per fornire assistenza". Va aggiunto che questo rapporto è stato pubblicato in una fase particolarmente delicata delle trattative tra governo e Spla: i due protagonisti del conflitto nelle scorse settimane hanno raggiunto una serie di accordi tali da accendere le speranze per un’intesa globale che ponga fine al conflitto e che i più ottimisti auspicano venga firmata all’inizio del 2004



Fonte: MISNA

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un anno fa
by inizia la tragedia Thursday, Aug. 05, 2004 at 2:00 PM mail:



guerre dimenticate




SUDAN 2/8/2003 1:12
DARFUR, TESTIMONE: "SITUAZIONE SEMPRE PIÙ GRAVE, ESERCITO BOMBARDA VILLAGGI"
Politics/Economy, Standard


"La situazione in Darfur, nell’ovest del Sudan, sta peggiorando ma nessuno è in grado di capire cosa stia davvero accadendo. Noi possiamo soltanto constatare che nelle ultime due settimane è aumentato il numero di feriti in arrivo all’ospedale di Nyala, sia civili che soldati". A lanciare il grido d’allarme è un testimone contattato dalla MISNA sul posto, di cui si mantiene l’anonimato per motivi di sicurezza. Gli scontri tra l’esercito di Khartoum e i ribelli dell’Esercito-movimento di liberazione del Sudan (Sla-m) si sono intensificati, ma le accuse reciproche di attacchi e stragi di civili restano impossibili da verificare, per l’assenza di fonti indipendenti e la difficoltà di raggiungere questa regione semi-desertica, che si trova un migliaio di chilometri a ovest della capitale Khartoum ed è composta da Darfur settentrionale, occidentale e meridionale. "Sappiamo che nel nord Darfur l’esercito governativo sta conducendo attacchi indiscriminati e ha bombardato numerosi villaggi. I civili di quella zona sono in pericolo: per sconfiggere la ribellione il governo non esita a colpire la popolazione locale" dice ancora l’intervistato alla MISNA. Nei combattimenti avvenuti a giugno nella zona di El Fasher, aggiunge, tra le file dei ribelli locali vi erano anche guerriglieri dell’Esercito di liberazione popolare del Sudan (Spla), da vent’anni in lotta contro il regime di Khartoum nel sud del Paese. "Ho parlato con uno studente che è stato sequestrato e poi rilasciato dai ribelli: mi ha confermato la presenza del Spla in questa zona" aggiunge. Le autorità sudanesi hanno stretto l’assedio anche intorno a Nyala, capitale economica del Darfur occidentale e principale mercato della regione: "Vediamo arrivare continuamente nuovi reparti dell’esercito. In città c’è molta tensione ed è praticamente circondata dalle truppe governative, che hanno allestito numerosi check-point per l’ingresso e l’uscita dal centro abitato", dice ancora la fonte. Una decina di giorni fa il portavoce dei ribelli dello Sla-m aveva denunciato un attacco dell’aviazione sudanese nel nord Darfur con armi chimiche, che avrebbe provocato 300 morti, ma è impossibile ottenere riscontri oggettivi. Il movimento armato dello Sla-m, organizzatosi ufficialmente nei primi mesi del 2003 ma attivo da oltre un anno, sta lanciando attacchi contro numerose città della regione. Accusa il governo del Sudan di non offrire sufficiente protezione alla popolazione locale, esposta alle scorrerie delle bande di predoni che infestano la zona. Da anni nel Darfur sono attive formazioni armate incontrollate che hanno già provocato alcune migliaia di morti. Le autorità di Khartoum si rifiutano di riconoscere i ribelli come interlocutori politici e, nonostante un tentativo di dialogo settimana scorsa, stanno tentando di arginare la ribellione esclusivamente sul piano militare.
[EB]








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la pace secondo la BBC
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 2:03 PM mail:

Q&A: Peace in Sudan
The former enemies say they will now work together
After 22 months of negotiations in Kenya, the Sudan government and rebels have finalised a deal to try to end 21 years of fighting.

The conflict - Africa's longest-running civil war - has pitted the Muslim north against Christians and animists in the south, leaving some 2m people dead.

What was the war about?

Apart from an 11-year period from 1972-1983, Sudan has been at war continuously since independence in 1956.

In 1983, the government dominated by northern Arabs tried to impose Islamic Sharia law across Sudan, even in areas where the majority is not Muslim.

This exacerbated a rebellion that had begun in the south, which is inhabited by black African Christians and those who practise traditional religions.

The rebel Sudan People's Liberation Army (SPLA) has never clearly stated whether it is fighting for autonomy for the south within Sudan, or outright independence.

What are the chances that the war will stop?

In theory, the only issue to be settled now before a final and permanent peace is the practical arrangements to be made to secure a permanent end to hostilities - negotiators hope this could be finalised within weeks.

The government and the southern rebels have already agreed to set up a 39,000-strong army comprising fighters from both sides.

Last year, in the first breakthrough, they agreed that the south should be autonomous for six years, culminating in a referendum on the key issue of independence.

The SPLA accepted that Sharia could remain in the north.

Sudan has recently become an oil exporter and both sides have agreed on the key issue of how to share out the revenue, which mostly comes from the south.

The SPLA have secured a large share of Sudan's oil money and lots of jobs - which may give a new incentive to rebellion in disgruntled regions elsewhere in Sudan.

It is unclear if other Sudanese will accept this arrangement, or if there may be a backlash against southerners in Khartoum and elsewhere in the north.

And the three border areas with special status in the agreement, where power is still shared, could cause problems later on - if the south votes to secede from Sudan and to claim full independence.

What were the final sticking points?

The signing of the framework deal went ahead after months of delay over a number of issues.

Much of the wrangling was over the distribution of government and civil service jobs between the two sides.

In the end, they agreed on a 70:30 split of all jobs in the central administration in favour of the government.

The SPLA insisted that the national capital, Khartoum, should not be subject to Islamic law, even though it is in the north.

They also wanted three central areas - oil-rich Abyei, Blue Nile State and the Nuba mountains - to be counted as part of the south, while the government said they were in the north.

In these regions, jobs will be shared 55:45 - again most go to the government.

On Khartoum, a rebel spokesman said that this would be decided by an assembly, to be elected.

Is everyone included in this deal?

No.

It does not address the question of Darfur in western Sudan, where some one million people have been displaced in a year of fighting between rebels, the army and pro-government Arab militias.

The United Nations has described this as the world's worst humanitarian crisis and says the Janjaweed militias have pursued a policy of "ethnic cleansing" against the black African residents of Darfur.

The deal also ignores the civilian opposition.

Some say that the prospects of the southern rebels sharing power encouraged the Darfur rebels to take up arms.

Pessimists fear that peace in the south will enable Sudan to switch its military resources to Darfur.

But the SPLA say that this deal could be used as a formula to solve the Darfur conflict.

Why has the United States been so involved?

President George W Bush has been under pressure from both flanks to help bring peace to Sudan.

Human rights campaigners are worried about continued reports of slavery, while right-wing Christians, which have considerable influence in his Republican Party, want him to end what they see as the persecution of Christians by Muslims.

There are also concerns about the continuing cost of providing a massive humanitarian relief effort through the United Nations to help millions of people left desperately poor by the fighting.

John Danforth was appointed as Mr Bush's special envoy to Sudan in 2001.

The US is certainly putting pressure on both sides to stop fighting and the diplomatic muscle of the only superpower could prove decisive.

Mr Powell is holding out the carrot that the US will lift sanctions on Sudan if the war ends.

The US is also keeping a close eye on Sudan because of fears that terror groups may operate there.

Osama Bin Laden lived in Khartoum in the early 1990s and helped finance several major public works.

http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/africa/3211002.stm

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petrolio
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 2:06 PM mail:

VOL. XLVI

No 48

1-December-2003


SUDAN



First Oil From CNPC’s Block 6 To Lift Sudan Production In 2004



Sudan is set to raise oil production in the coming weeks with the start up from China’s CNPC-operated Block 6 in Western Kordofan, which is due to come on stream at 60,000 b/d rising to 180,000 b/d later, MEES understands. This will raise Sudan’s total oil production, currently running at an average of 295,000 b/d, by some 20% to above 350,000 b/d next year. Further on, the planned start-up of production by the CNPC-led consortium in Blocks 3 and 7 in 2005 will bring an initial 170,000 b/d on stream. This will lift national production above 600,000 b/d by the end of that year, rising to 750,000 b/d by the end of 2006 if the planned incremental production at those fields, as well as the Melut Basin project, progresses as planned.



CNPC signed an agreement with Sudan on 28 August to build a new 200,000 b/d, 730km pipeline to carry oil from its Block 6 Melut Basin fields to the Khartoum refinery (MEES, 8 September). It also signed a separate agreement to expand the refinery. CNPC is a shareholder with Sudan Petroleum Corporation (SPC) in the 50,000 b/d Khartoum refinery, which started operating in early 2000 (MEES, 15 May 2000), and agreed to carry out a $340mn expansion of the plant to raise throughput capacity to 100,000 b/d. The rest of the crude will be exported

via the existing export pipeline from Port Sudan on the Red Sea. Sudanese oil production is at present dominated by the Greater Nile Petroleum Operating Company (GNPOC), which operates the Heglig and Unity fields of Block 1, 2 and 4.



Blocks 3 And 7 To Drive Production Increases From 2005

Sudan’s medium-term production profile will be dominated by the start-up of production from major oil discoveries in Blocks 3 and 7 (for a map of Sudan’s exploration blocks, see MEES, 19 August 2002). Plans call for the CNPC-led consortium to start oil production from the blocks at 170,000 b/d in the second half of 2005, with production rising gradually to up to 300,000 b/d by late 2006 at the earliest. This major development has been made possible by the size of the discoveries. MEES learns from industry sources that the consortium estimates that Blocks 3 and 7 have some 3.5bn barrels of oil in place of which 775mn barrels are proven, which will allow substantial production rates over the lifetime of the fields even at conservative recovery rates. MEES understands that an export pipeline design for the blocks has been finalized and will shortly be put to tender. The blocks are operated by a consortium comprising CNPC (41% - operator), Petronas (40%), Sudapet (8%), Gulf Sudan (6%) and Thani Corporation of the UAE (5%).



The expected sharp increase in oil production over the next few years will reward the strategic commitment of Asian companies, which have been increasing their presence in Sudan over the last two years. The latest corporate action in this respect was the purchase by India’s Oil and Natural Gas Corporation (ONGC) of OMV’s stake in Sudan’s Block 5A and 5B (MEES, 8 September). The acquisition marked the third time in 12 months that European and North American oil companies have sold upstream stakes in Sudan to Asian companies. Canada’s Talisman Energy sold its 25% stake in GNPOC to ONGC Videsh in mid-2002 (MEES, 24 June 2002), and Petronas Carigali recently completed the acquisition of 40.375% share in Block 5A from Swedish independent Lundin Petroleum (MEES, 30 June). ONGC is also reported to be close to clinching an agreement to build a petroleum products pipeline to allow exports from the Khartoum refinery via the port of al-Khair. The National Iranian Oil Company (NIOC) is also reported to be looking at launching its international operations in Sudan. Work will be carried out through an NIOC-affiliate, Naftiran Intertrade Company (NICO), which owns Petro-Pars and Petro-Iran.



Western oil companies have come under sustained pressure from shareholders and activists to withdraw from Sudan due to the poor human rights record of the Khartoum government. Moreover the lack of security in several of the southern blocks has made it almost impossible at certain times for oil operations to continue. But recent investment moves have not been entirely Asian, with reports that southern Sudan’s Block 2, which borders Chad and the Central African Republic, has been awarded to a consortium comprising Swiss-based Cliveden (37%), High Tech (28%), Sudapet (17%), Khartoum State (10%) and the Heglig Oil Company (8%).



Nakuru Draft Framework

Progress in developing Sudan’s upstream sector is moving ahead along with efforts towards a comprehensive peace deal between the government and the insurgent Sudan People’s Liberation Movement (SPLM). Since the Machakos Protocol governing the framework for talks was agreed in July 2002, MEES learns that the parties and mediators, who met in Nakuru, have met and made substantial progress on wealth sharing issues including (i) land ownership; (ii) natural resource sharing (definition of net oil revenue, the intergovernmental grant framework to replace the arguments over north/south percentage shares of oil on existing oil contracts, establishment of a future generation fund and oil revenue stabilization account, establishment of a Fiscal and Financial Allocation and Monitoring Commission/Grants Commission; (iii) banking and finance (single central bank and currency, dual commercial banking); (iv) a basic framework for Foreign Financing and (v) agreement that the parties shall establish upon signature of a comprehensive Peace Agreement, a Joint National Transition Team.



The latest Nakuru document, which presents a comprehensive draft peace agreement, has not yet received the green light from the SPLA side, although observers familiar with the talks process expect that a final accord will not be too far away from the proposed text. As regards hydrocarbon resources, the draft agreement stipulates the establishment of a Petroleum Commission – made up of members from both sides – accountable to the National Assembly, through which all development agreements shall be conducted. Regarding existing oil contracts, the SPLA will have access to contracts although these will not be subject to renegotiation. On oil revenue sharing, the draft agreement lays down the mechanics of the sharing mechanism, which after certain deductions, will pay 48% of net income to a putative government of south Sudan, with the remainder going to the Khartoum government (For full details of draft agreement relating to natural resources, see D section). The draft agreement is significant since, if agreed, it will be the first in the region whereby oil-derived revenue is shared between a central government and a potentially autonomous local government.



The peace talks were given support in late October when US Secretary of State Colin Powell visited Naivasha and spoke with both sides in the 20-year conflict, saying that progress was being made to end the conflict. “Both parties have agreed to remain in negotiations and conclude a comprehensive settlement no later than the end of December,” Mr Powell said in Kenya on 22 October. The two sides agreed transitional security arrangements for a six-year period in September.



The two sides have also agreed to establish a Commission for Land Ownership to define ownership and how to benefit from natural resources. The presidency will appoint its chairman, supervise its budget and audit its accounts. A similar commission will be set up in the south. The subject of land ownership was raised because of problems in this regard, especially in oil and agricultural areas, where property is ill-defined and unregulated. Furthermore, some southerners are asking for compensation because they have been forced to move out of oil-producing areas.

http://www.mees.com/postedarticles/energy/sudan/a46n48a02.htm

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un "successo" sino-americano
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 2:10 PM mail:

A Berkley quanlcuno lo considera un "successo".
Herr Professor dice che è andata "molto meglio" che in Iraq.
Meglio per chi?

Can U.S. Triumphs In Sudan Recur In Iraq?


Can U.S. Triumphs In Sudan Recur In Iraq?
News Article by PNS posted on April 21, 2004 at 02:48:49: EST (-5 GMT)

Can U.S. Triumphs In Sudan Recur In Iraq?

By Franz Schurmann
SACREMENTO OBSERVER

(PNS) - It`s well known that the Iraq War has been largely waged over who will dominate global oil. The United States already dominates a good part of global oil, along with its junior partner Britain. But it`s not widely known that China, step by step, is becoming as much a global player in the efforts to ensure a consistent oil supply.

Even a decade ago, Beijing`s streets were clogged by heavy traffic - but it was bicycles, not cars. However, as the London Financial Times reports, now "drivers may find petrol (gasoline) prices remaining stubbornly high this spring, as surging demand from China continues to surprise analysts." China is hurtling into the car, truck and plane age. And that requires several millions of barrels of oil every day to keep on moving its 1.3 billion population.

With Vice President Dick Cheney`s recent visit to China, it`s now clear that U.S.-China relations are closer than they have been since the founding of the People`s Republic in 1949. But it`s also not widely known that China and the United States have been silently working together for many years to bring oil and natural gas from Sudan, Africa`s biggest country by area, onto the global markets.

Cheney, it would seem, is the high U.S. official Bush would least likely send to China to discuss perilous issues. Cheney was a staunch proponent of the "China threat" theory. But when he was not serving in the two Bush administrations, he led Halliburton Corp., which makes the world`s top oil-lifting equipment. He has long railed against conservation and defended Americans` penchant for cars. He is first and foremost an oilman, and Chinese leaders can relate to that.

Cheney certainly knows that large numbers of Chinese workers have been operating in Sudan over many years. Last December, Sudanese President Omar al-Bashir spoke highly of Sudan-China ties. He said, "In the past, China helped gratuitously to build roads and bridges for the Sudan, but now China is engaged in petroleum projects and dam construction."

Because the Clinton administration branded Sudan a "rogue state," only a few Canadian and British firms were able to move crude oil and liquid natural gas to Port Sudan on the Red Sea and then onto world markets. Yet now the U.S. Agency for International Development, in a detailed plan for "Sudan`s development 2004-2006," wrote: "The prospects have never been better for national peace and a transition to recovery and development (in Sudan)."

America`s relations with Sudan have been through several ups and downs. In 1994, after the Saudis revoked his passport, Osama bin Laden fled to Sudan and launched philanthropic projects there through his organization, Al Qaeda. In 1996, under presumed American pressure, Khartoum deported Osama bin Laden. When the Clinton administration absorbed the shock of the Taliban`s coming to power in Afghanistan in 1996, they abandoned Sudan.

On Sept. 6, 2001, President Bush sent former senator and Episcopalian bishop John Danforth as his personal envoy to Sudan and then in May 2002 elevated his mission to "Special Envoy for Peace in Sudan." Even though Danforth left Sudan before the signing of a final peace treaty, the negotiations in Kenya have turned into haggling over who gets how much from the huge pile of oil royalties. However, greed can be a road to peace.

Mbendi, a South African oil Web site, describes Sudan`s oil reserves as "vast." Iraq, as is widely known, has oil reserves second only to those of Saudi Arabia. If peace should come to Iraq by June 30, then Bush and Cheney can relax and let others do the haggling. But if peace doesn`t come, oil prices will shoot up, thereby endangering America`s culture of cars, trucks and planes.

Why have Sudan peace talks come close to succeeding while the Iraqi ones don`t even exist? The simplest explanation is that Bush did not send troops to Sudan but did so to Iraq. Another key difference is that Bush reappointed Danforth in Sudan but sacked General Jay Garner hardly a month after he was in office and brought in L. Paul Bremer. Danforth`s methods were shrewdness, patience and moving step-by-step. But the two American pro-consuls in Iraq had very different approaches, thereby confusing Iraqis and leading to much bloodshed.

But one of the biggest boosts to the peace process was the presence of Chinese workers, who kept building roads and pipelines, demonstrating to the warring parties that jobs would come with peace. Some Sudanese even thought they were soldiers and one newspaper headline read "700,000 Chinese troops in the Sudan."

America, China and the world have a common interest in maintaining the culture of cars, trucks and planes. The world needs African, Middle Eastern and Central Asian oil. Wars destroy oil and liquid natural gas pipelines. The way Bush handled the Sudan issue was correct. The way he handled Iraq was wrong.

It`s not too late to get some advice and support from the Chinese. In Sudan many Chinese were killed, but the roads and pipelines were built. If China is asked by the United Nations to send in troops, chances are they will see themselves first as workers and only second as soldiers.

PNS Editor Franz Schurmann is emeritus professor of history and sociology at U.C. Berkeley and the author of numerous books.

http://splmtoday.com/modules.php?name=News&file=article&sid=1228

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un piano che parte da lontano
by mazzetta Thursday, Aug. 05, 2004 at 2:13 PM mail:



Oil, Power and Religion Complicate U.S. Peace Thrust for Sudan







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allAfrica.com

June 1, 2002
Posted to the web June 1, 2002

Charles Cobb, Jr.
Washington, DC

The night before the arrival of the head of the United States aid agency in Sudan, a Sudanese government aircraft bombed a village he was to visit in the rebel-controlled southern area of the country. Nevertheless, USAID Administrator Andrew Natsios says the cease fire in the contested Nuba Mountains appears to be holding.

"The most hopeful sign we saw on the trip that could be built on in the future," he says, "is the Nuba Mountain ceasefire."

Natsios, who is also U.S. Special Humanitarian Coordinator for Sudan, told reporters Friday that at levels beneath the top leadership of both Sudan's National Islamic Front (NIF) government and the rebel Sudan Peoples Liberation Army (SPLA), "favorable" signs of NIF and SPLA cooperation were evident. "There has been -- appears to be -- an exchange on both sides of military and political offices at the local level, which I don't think has...happened before, operationally in the field. People from one side of the conflict are visiting the other side, and the other side is visiting."

Elaborating on that point later, Natsios said that while he see two sides militarily, there aren't two sides in a social sense. There is a strong desire for peace at the grassroots, he says, but political leaders seem unready to respond. Although there are factions within the NIF government that favor peace, others do not. The unanswered question, he says, is "which faction will carry the day."

Natsios acknowledges that attacks on civilians are continuing. Commenting on government bombing that occurred immediately after his meeting with Nuer chiefs last Wednesday, Natsios said, "It was odd, from our perspective, that the bombing took place right where the chiefs that we had met were from. And it is not near the conflict area."

Humanitarian and development assistance in the embattled south is moving forward, according to USAID Assistant Administrator for Humanitarian Assistance, Roger Winter, after a slow start. Winter attributed the dely to "difficulties" with the NIF government over the decision-making process that will determine access for humanitarian purposes.

Asked about the NIF's assertion Thursday, that key "necessary principles" for humanitarian assistance requires that Operation Lifeline Sudan (OLS), the umbrella operation for UN and nongovernmental agencies working in Sudan, operate out of the capital Khartoum, and that all relief be distributed from internal facilities -- presumably government or government-controlled, Natsios emphatically called those demands "not acceptable!"

The USAID Administrator, pointing out that 50 percent of relief efforts are in SPLA-held areas in the south, said the governments requirements, "would` destroy the relief program itself. The principle of Operation Lifeline Sudan since it was created in 1988, was to allow the northern-held areas to be served from the North and the southern-held areas to be served through Lokichokio in Northern Kenya. Any change will disrupt the relief effort and endanger people's lives, and we would not accept it."

Constance Newman, USAID Administrator for Africa, announced two major initiatives. One is a US$22m agricultural initiative to increase both agricultural skills and access to capital in the south. "Southern Sudan has major natural resources and has the potential of being a major producer of agricultural products," said Newman.

The second initiative is a five-year $20m education project for southern Sudan that will train over 2,000 women teachers in four regional training institutes. The initiative also proposes to build 240 primary schools and 10 secondary schools as well as to promote non-formal distance learning for over 20,000 out-of-school youth.

The tricky issue of oil operations in Sudan has barely been addressed by the diplomatic initiative although many analysts and observers consider the question of the use of oil revenues central to facilitating any durable peace. But with the NIF dependent on oil monies for the more than US$1m a day cost of the war, and the SPLA adamant about the legitimacy of oil facilities as military targets, the two sides are nowhere near agreement. The NIF has rejected suggestions of an independent trust fund for oil revenues, pending a peace settlement, as an infringement on its sovereignty.

Natsios says he recognizes that oil pipelines and rigs run through the traditional lands of the Nuer in the south. "A settlement that simply keeps everything in place and has peace would be inadequate," he acknowledges, because [southerners] have lost their home and their land, their traditional land."
Relevant Links
East Africa
North Africa
Sudan
United States, Canada and Africa

But oil is only one of a number of difficult issues, Natsios says. Other challenges include the emotional as well as political questions of governance, religion and cultural autonomy. Slavery and abduction also remain "controversial" issues, says Winter. "The government asserts that it doesn't have slavery as such. But there is obviously a practice that is problematic that occurs in parts of the country."

In March, the U.S. Special Sudan peace envoy, former Senator John Danforth, secured agreement from the parties for 15 foreign peace monitors. They are still not in place. "We are not going to impose anything on them," said Natsios, "because then it ultimately will not hold."

http://allafrica.com/stories/200206010081.html

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L'inviato speciale, l'uomo di pace.
by mazzetta Friday, Aug. 06, 2004 at 2:25 AM mail:

L'inviato speciale, ...
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Questo è l'inviato speciale di Bush in Sudan, per la pace Ovviamente.

Prete episcopale, senatore, repubblicano così per caso, studi a Yale (ancora?), ereditiero della fortuna dei Purina (Pappa per animaletti e non solo), ebbe l'onore di officiare i funerali di Reagan,e fu nominato ambasciatore alle Nazioni Unite in sostituzione di Nicholas Negroponte ( el asesino de las americas), ora ambasciatore a Baghdad.

OTTIME REFERENZE

John Danforth
From Wikipedia, the free encyclopedia.

John Claggett Danforth (September 5, 1936 - ) is the United States Ambassador to the United Nations and a former United States Senator from Missouri.

An heir to the Ralston Purina fortune, Danforth was born in 1936 in Saint Louis, Missouri. He graduated from Princeton University in 1958 and then received graduate degrees from Yale University in both Divinity and Law. He served as Missouri's Attorney General from 1969 to 1976,when he succeeded retiring Senator Stuart Symington in the U.S. Senate, which was the beginning of a three-term tenure in the Senate. Danforth retired from the Senate in 1995.

During the Clarence Thomas hearings of 1991, Danforth used his considerable clout to aid the confirmation of Thomas, a former Danforth aide and protege.

In 1999, Democratic U.S. Attorney General Janet Reno appointed Danforth to lead the investigation into the FBI's role in the Waco, Texas/Branch Davidian disaster of 1993. In September 2001, Republican President George W. Bush appointed Danforth a special envoy to the Sudan.

A political moderate who is respected by members of both parties, Danforth was once quoted as saying he joined the Republican Party for "the same reason you sometimes choose which movie to see — [it's] the one with the shortest line".

As an ordained Episcopal priest, Danforth officiated the funeral services of former President Ronald Reagan on June 11, 2004 at the Washington National Cathedral in Washington, D.C..

On July 1, 2004, Danforth was sworn in as the U.S. Ambassador to the United Nations, succeeding John Negroponte, who had left his post after becoming the U.S. Ambassador to Iraq on June 23, 2004.

Danforth is married with five adult children.

http://en.wikipedia.org/wiki/John_Danforth

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non solo Cina, anzi
by mazzetta Friday, Aug. 06, 2004 at 2:41 AM mail:

10 latest articles on Oil in Sudan :
Russian company to build oil pipeline in Sudan
Thursday July 29th, 2004 19:50
MOSCOW, July 29, 2004 (RIA Novosti) -- Russian company Stroitransgaz will take part in the construction of oil pipeline in Sudan.
The Stroitransgaz, in consortium with its subsidiary engineering company STG-International GmbH, has won the tender for construction of the 366-kilometre-long section of the oil pipeline Melut Basin Oil Development Project, press release of the Stroitransgaz says.
The client of the pipeline construction is Petrodar Operating Co., one of the leading (...)

Sudan's estimation of crude oil
Saturday July 17th, 2004 03:52
July 16, 2004 (LiquidAfrica) -- As of January 2004, Sudan's estimated proven reserves of crude oil stood at 563 million barrels, more than twice the 262 million barrels estimated in 2001.
As of June 2004, crude oil production was averaging about 345,000 barrels per day (bbl/d), up from 270,000 bbl/d during 2003. Crude oil production has been rising steadily since the completion of a major export pipeline in July 1999 and is expected by Energy Minister Awad al-Jaz to surpass 500,000 bbl/d (...)

Sudan has been self-sufficient in producing petroleum
Saturday July 17th, 2004 02:05
July 16, 2004 (LiquidAfrica) -- Sudan has been self-sufficient in producing petroleum products (except jet fuel) since the June 2000 opening of the 50,000-bbl/d Khartoum Oil Refinery in the Jayli area, 30 miles north of Khartoum.
The Khartoum refinery, built and jointly operated by CNPC, produces benzene and butane gas for domestic consumption and export, as well as gasoline for local consumption.
A portion of the surplus gas eventually will be used in the production of electricity, (...)

India may swap its shares in Sudan crude with Nigeria
Monday July 12th, 2004 17:57
NEW DELHI, July 12, 2004 (PTI) -- India may consider swapping its share of crude oil from Sudan's Greater Nile Oil Project (GNOP) with Nigeria - its largest sweet crude supplier (about 11 million tonne per annum).
India has been seeking a term contract with Nigerian National Petroleum Corp (NNPC) for at least 2 million tonne of crude oil per annum, but Nigeria has told New Delhi that specific crude allocation could be considered if there were possibilities of its swap with some other (...)

Dubai Indian firm wins $230 m Sudan contract
Tuesday July 6th, 2004 08:46
DUBAI, July 06, 2004 (PTI ) -- A Dubai based Indian engineering and construction major has secured three contracts worth $230 million in Sudan to cover all engineering, procurement and construction activities for an extensive oil pipeline system in the North African country.
The contracts secured by Dodsal are for a 741 km multipurpose pipeline system from the capital Khartoum to Port Sudan for India's Oil and Natural Gas Commission (ONGC), the Adar/Agordeed 31,000 barrels per day Field (...)

Sudan signs news pipeline deal with the Indian ONGC
Friday July 2nd, 2004 02:43
KHARTOUM, July 1 (SUNA) --Agreement for establishment of pipeline for transporting petroleum materials from Khartoum Refinery to Al-Khair port in Port Sudan and purchase of crude oil was signed Thursday between the Ministry of Energy and Mining and the Indian ONGC Company.
The Secretary-General of the Ministry of Energy and Mining, Dr. Omer Mohamed Khair, signed for the Ministry, while Dr. Lamba signed for the Indian company, in the presence of Minister of Energy and Mining, Dr. Awad (...)

Sudan to increase oil production to 500.000 bpd
Monday June 28th, 2004 01:06
KHARTOUM, June 27, 2004 (SUNA) -- The Minister of Energy and Mining, Dr. Awad Ahmed Al-Jaz, announced that the country's oil production will increase to 500,000 barrels per day during the coming year.
In a press statement to SUNA following a cabinet meeting on Sunday, in which he presented a report about the performance of his Ministry in the year 2003, Dr. Al-Jaz said that the prices of the Sudanese oil is among the highest prices at the international market.
He also said that the (...)

India clears ONGC's $200 mln Sudan oil pipeline
Thursday June 24th, 2004 12:14
NEW DELHI, June 24 (Reuters) - The Indian government approved state-run energy firm Oil and Natural Gas Corp's (ONGC) $200 million project to set up a petroleum product pipeline in Sudan, Oil Minister Mani Shankar Aiyar told reporters on Thursday.
Earlier this week, Chairman Subir Raha said ONGC (ONGC.BO), India's most valuable firm with market capitalisation of about $19.2 billion, planned to build and transfer a product pipeline from the Khartoum refinery to Port Sudan on the Red Sea. (...)

Indian govt to decide on insurance for OVL in Sudan
Thursday June 24th, 2004 06:48
By Amitav Ranjan
NEW DELHI, JUNE 23, 2004 (indianexpress) -- The Cabinet Committee on Economic Affairs will have to decide tomorrow if Indian firms need to buy political risk insurance for their investment in Sudan.
The Finance Ministry has suggested that ONGC Videsh Limited (OVL) take insurance cover for their equity while investing close to $750 million in constructing a product pipeline from Khartoum refinery to Port Sudan and in revamping the Port Sudan refinery.
It pointed (...)

India ONGC Videsh seeks Total's stake In Sudan oil block
Wednesday June 23rd, 2004 14:02
By Himendra Kumar
NEW DELHI, June 23, 2004 (Dow Jones) -- India's ONGC Videsh Ltd. is in talks with the Sudan government to buy the 35% stake of French petroleum major Total S.A. (12027.FR) in an onshore oil exploration block in Sudan's Muglad basin.
"Total wants to exit the block because of ethnic problems in the surrounding areas...We are certainly interested in the block. Our talks with the Sudanese government are on...Nothing has been decided yet," a senior ONGC official told Dow (...)

http://www.sudantribune.com/mot.php3?id_mot=37

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