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le conseguenze del plan colombia per il venezuela
by comitato di solidarietà con il Venezuela Fi Monday, Feb. 14, 2005 at 6:40 PM mail:

iniziativa sulle consueguenze del plan colombia per i popoli colombiano e venezuelano con proiezione di un video girato alla frontiera fra i due paesi con interviste a profughi colombiani

Il Circolo ARCI “Due Strade”
e
“La Madrugada”
Comitato di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana

vi invitano alla

PROIEZIONE del DOCUMENTARIO
di Alessandro BOMBASSEI

LE CONSEGUENZE DEL PLAN COLOMBIA
PER IL VENEZUELA

Intervengono

Alessandro BOMBASSEI
Reporter free lance

Jacopo MERLINI
Regista di video sulla Colombia e il Venezuela


Il Plan Colombia è un piano di aiuti militari degli Stati Uniti al governo Colombia-no, lanciato nel 1998 dagli allora Presidenti Clinton e Pastrana. Lo scopo ufficiale è quello di combattere il narcotraffico, in realtà viene usato per combattere una guerra sporca contro le organizzazioni popolari, siano esse sindacali, contadine, guerrigliere, e per penetrare militarmente tutta l’area andina.
L’esercito colombiano viene ora affiancato da gruppi paramilitari di estrema destra, che compiono massacri di migliaia di persone inermi con le motoseghe. Il risultato è che ci sono più di tre milioni e mezzo di persone spostate in Colombia, di cui molte varcano i confini col Venezuela in cerca di pace.
Questo documentario è basato su interviste a gruppi di profughi fatte nelle monta-gne alla frontiera fra Venezuela e Colombia, e denuncia il diffondersi della violenza paramilitare anche in Venezuela





Martedì 15 febbraio 2005, alle ore 21
al Circolo ARCI Due Strade
Via Senese 129/R, Firenze

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Il Plan Colombia
by copiaincolla Monday, Feb. 14, 2005 at 6:56 PM mail:

Sud-sud






Il Plan Colombia
Millesettecento milioni di dollari. Ammonta a tanto il valore del pacchetto di programmi predisposti dall'Amministrazione Clinton a favore della Colombia per il biennio 2000-2001...







Autore: Antonio Mazzeo
Medellin, maggio 2000.

Millesettecento milioni di dollari. Ammonta a tanto il valore del pacchetto di programmi predisposti dall’Amministrazione Clinton a favore della Colombia per il biennio 2000-2001. E’ la quota maggiore del cosiddetto ‘Plan Colombia’, il vasto programma "per la pace, la prosperità e il rafforzamento dello Stato" varato lo scorso anno dal governo colombiano, che al di là dei generici pronunciamenti a favore dello ‘sviluppo’, ben s’inserisce nel quadro strategico neoliberista imposto dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca mondiale, privilegiando l’escalation militare per ‘chiudere’ il conflitto politico-sociale che insanguina la Colombia da oltre cinquant’anni. Conti alla mano il ‘Plan Colombia’ prevede investimenti nazionali per oltre 4 miliardi di dollari, risorse che il governo non potrà che attingere da un articolato programma di privatizzazioni e/o ampliando l’indebitamento estero, più un sostegno supplementare internazionale di 3.5 miliardi.

Il Congresso degli Stati Uniti, entro la fine di luglio, approverà la prima tranche di ‘aiuti internazionali’. I maggiori organismi finanziari completeranno il finanziamento richiesto dal Presidente Andrés Pastrana: il Fondo monetario ha già sottoscritto un accordo a sostegno del programma di aggiustamento economico del governo e per i prossimi tre anni fornirà 2.7 miliardi di dollari; un altro miliardo e mezzo di dollari è stato promesso dalla Banca mondiale per lo stesso periodo. Intanto la situazione economica nel paese è gravissima: la Colombia è nel mezzo della sua peggiore recessione dopo il 1931, la domanda interna è crollata, il settore industriale non regge la competizione con i produttori emergenti nel continente, la fuga di capitali è impetuosa. Secondo i dati ufficiali dell’istituto nazionale di statistica, gli scambi si sono contratti del 5.8% nel 1999 ed il PIL si è ridotto del 4%. La disoccupazione ha superato il 20% e aumentano giorno dopo giorno i nuovi poveri e gli indigenti. Come denuncia la stessa Undp (il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo), la recessione è il risultato più evidente della politica neoliberista intrapresa a fine anni ottanta e a cui gli ultimi governi hanno dato un’accelerazione tagliando gli investimenti nelle politiche sociali. Gli indicatori della disatrosa politica economica neoliberista sottolineano la forte inversione nella ridistribuzione del reddito e delle ricchezze del paese: secondo il rapporto del ‘Dipartimento nazionale di pianificazione’ (Dnp), durante il 1999 il 50% della popolazione ha dovuto ripartirsi il 13.8% del reddito totale del paese, mentre un 20% ha avuto accesso al 62.4% dello stesso. Più di un quinto della popolazione ha percepito redditi tanto esigui da collocarsi al di sotto della linea di indigenza e buona parte dei cittadini colombiani - il 45% in città e l’80% nelle zone rurali -, infine, non hanno potuto soddisfare necessità basiche, come abitazione, salute, istruzione.

Gli effetti delle ‘nuove riforme economiche’ nella stratificazione sociale sono deleteri e l’accentuazione delle disuguglianze estende e acutizza il conflitto politico-militare: nel 1996 i tre principali gruppi economici del paese si appropriavano del 36% del prodotto interno e i maggiori 5 gruppi finanziari controllavano il 92% delle attività del settore. La Colombia si conferma come una delle principali società sudamericane che "culturalmente si distingue per non aver incorporato il valore dell’uguaglianza e dei diritti civili nella sua vita quotidiana e nella sua organizzazione sociale. Lo stile dello sviluppo seguito, oltre a mantenere e riprodurre le disuguaglianze tra ricchi e poveri, genera una rigida segmentazione, aumenta la distanza sociale tra i differenti settori e rende difficili i meccanismi di mobilità e crescita sociale". Il ‘Plan Colombia’, come vedremo, è il nuovo meccanismo di consolidamento e di difesa militare dell’ingiustizia.



1. Aiuti in cambio di petrolio e riforme

Si legge al punto 101 del Progetto di Legge n.1758 ("Alliance with Colombia and the Andean Region Act"), presentato dai senatori Dewine, Grassley e Coverdell al Congresso degli Stati Uniti per ottenere il finanziamento del ‘Plan Colombia’: "il governo colombiano deve completare le riforme urgenti destinate ad aprire completamente la propria economia agli investimenti e al commercio esteri, particolarmente nel settore petrolifero, in vista del recupero economico". Miliardi in ‘aiuti’ dunque condizionati a che si completino le riforme strutturali di mercato. La lista di queste ‘riforme’ è lunga ed articolata: modifiche sostanziali allo stato sociale, ‘razionalizzazione’ delle finanze statali con tagli al settore pubblico e congelamento dei salari, privatizzazione del sistema bancario e delle maggiori imprese statali (miniere, industria elettrica e petrolifera, telecomunicazioni, rotte aeree). Dulcis in fundo, la scelta di aderire in tempi brevi al Nafta (l’accordo sul libero commercio dell’America del Nord), proprio quando la dipendenza di beni basici alimentari dagli Stati Uniti è diventata totale (nel ’98 sono stati esportati nel paese sudamericano mais, grano, olio di soia e riso per un valore di 502 milioni di dollari con conseguenze nefaste per la bilancia dei pagamenti e il debito estero). I dati forniti dal ministero dell’economia colombiano confermano che le aree sottoposte a semina di prodotti agricoli sono diminuite di un milione di ettari tra il ‘90 e il ’98, mentre le importazioni di alimenti sono aumentate dai 1.200 milioni di tonnellate del 1991 ai 5.800 milioni del 1998.

La completa apertura al mercato e al capitale internazionale e il rafforzamento del trattato di libero commercio è forse la contraddizione più grande del ‘Plan Colombia’, che nelle intenzioni del governo colombiano dovrebbe avviare un ampio programma di sviluppo alternativo delle coltivazioni illegali e di contrasto alla ‘narcoeconomia’. Questo tipo di coltivazioni infatti, sono cresciute nell’ultimo decennio proprio a seguito della liberalizzazione dell’economia. La privatizzazione delle grandi banche e del mercato dei cambi, l’ammodernamento del sistema finanziario e delle telecomunicazioni, la privatizzazione dei porti e la creazione di zone franche in tutto il paese (i punti cardine delle riforme liberiste imposte dalla Banca mondiale e dal Fondo monetraio internazionale), come sottolinea l’Osservatorio Geopolitico delle Droghe di Parigi, hanno favorito "l’espansione della quantità di valuta originata dai traffici illeciti" che ha fatto ingresso in Colombia, accelerando il processo di ‘narcodollarizzazione’ dell’economia.

Secondo quanto denunciato dalle confederazioni sindacali, il governo Pastrana punta in particolare alla ulteriore flessibilità del mercato del lavoro, alla riduzione dei salari d’ingresso, a modificare il regime di pagamento del lavoro nei giorni festivi, ad eliminare gli oneri sociali e i sussidi a favore dei dipendenti, ad esonerare gli impresari a devolvere parte dei profitti all’Istituto Colombiano di Bienestar Familiar, alle Casse di compensazione imprese-lavoratori e al Sena, l’istituto nazionale di formazione professionale.

L’erosione del potere di acquisto dei salari e dei diritti contrattuali è stata accompagnata da una forte politica repressiva e persecutoria dello Stato e delle grandi imprese a danno dei lavoratori, fattore che ha costretto l’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ad aprire un’inchiesta sulle violazioni dei diritti sindacali e sull’illegittimità di alcune norme del codice del lavoro fortemente discriminanti in tema di contrattazione collettiva e libertà di associazione. Intanto, nella totale assenza di protezione statale, sono stati assassinati negli ultimi dieci anni 2.800 tra dirigenti e attivisti sindacali (172 nel solo ’99), mentre 193 lavoratori sono stati fatti ‘sparire’ nel nulla.

Quale sia la reale entità del ‘pacchetto militare’ che l’amministrazione americana fornirà alla Colombia è ancora tutta da definire. Il valore degli aiuti e la stessa ridistribuzione in percentuale tra le varie voci di budget sono già state modificate tre volte nei passaggi tra le commissioni per il bilancio di Camera dei Rappresentanti e Senato Usa. La prima bozza del Piano definita dall’amministrazione Clinton prevedeva uno stanziamento per 1.273 milioni di dollari, di cui 1.025 direttamente destinati alle forze armate e della polizia della Colombia. La Camera dei Rappresentanti, a maggioranza democratica, ha aumentato di quasi 500 milioni di dollari l’ammontare del ‘programma Colombia’, destinando alle forze di sicurezza del paese sudamericano 1.007 milioni di dollari (il 63% del budget), più i 330 milioni previsti dal piano di ‘assistenza militare’ del Dipartimento della difesa per il biennio 2000-2001. Nella versione della Camera sono stati quadruplicati i fondi destinati alle ‘agenzie statunitensi impegnate nella lotta al narcotraffico’ (476 milioni), mentre sono stati stanziati 80 milioni di dollari per attività e programmi da realizzare in Colombia e nei paesi andini ‘classified’, cioè sottoposti al segreto militare.

Un ridimensionamento del ‘Plan Colombia’ è stato invece definito lo scorso 9 maggio dal sottocomitato per il bilancio del Senato Usa (a maggioranza repubblicana), che ha votato un programma complessivo di 1.142 milioni di dollari, in cui risultavano ‘tagliati’ gli aiuti militari (713,7 milioni), gli ‘aiuti’ alle agenzie specializzate statunitensi (189 milioni) e i fondi per le attività ‘classified’ (34 milioni). In particolare il Senato ha annullato il programma che prevedeva la consegna di 30 elicotteri Uh-60 "Blackhawk", sostituendoli con i meno sofisticati e meno costosi Uh-1h "Super Huey". Con questa modifica il budget per i velivoli varato dal Senato passa dai 452 milioni di dollari ai 182,5 milioni. Altri tagli agli ‘aiuti militari’ sono stati previsti per le voci "addestramento ed equipaggiamento" (da 47 milioni a 36), "interdizione aerea e fluviale" (i programmi di miglioramento della componente aerea e fluviale e delle infrastrutture radar e di supporto, ridotti da 446 milioni a 373). Il Senato ha altresì ridimensionato il pacchetto di aiuti destinato alla polizia nazionale colombiana (da 133 milioni di dollari a 100). Complessivamente, la versione del Senato dovrebbe garantire alla Colombia 350 milioni di dollari in meno rispetto alla proposta dell’amministrazione Clinton. Al contrario i fondi destinati ai paesi limitrofi (Perù, Ecuador, Bolivia) sono aumentati di quasi il 60% raggiungendo i 78 milioni di dollari.

Onde fornire un’immagine più ‘umanitaria’ e ‘sociale’ del ‘Plan Colombia’, il Senato ha altresì accresciuto i finanziamenti previsti per i contraddittori ed ambigui programmi di "sviluppo alternativo’ e di "rafforzamento delle istituzioni colombiane". Queste voci sono passate dai 237 milioni di dollari della versione iniziale ai 380 dell’emendamento del Senato. In realtà ci troviamo di fronte a programmi prevalentemente finalizzati alla fumigazione delle coltivazioni di coca, alla creazione di speciali ‘unità di polizia investigativa’ sul modello Fbi e a non meglio specificati "programmi di sviluppo regionale alternativo" (difficile non immaginare che si tratti di attività finalizzate ad accelerare l’apertura dei mercati andini agli investimenti e alle imprese nordamericane). Il Senato ha altresì triplicato il fondo destinato alla "difesa dei diritti umani" (da 15 milioni di dollari a 53,5 milioni), ma la denominazione non deve ingannare più di tanto. Si tratta infatti di finanziamenti destinati a creare ‘speciali unità per i diritti umani’ nelle Procure e nella Polizia nazionale, e per ‘migliorare i sistemi di protezione di testimoni e giudici’ impegnati nei procedimenti penali.

Se ancora è tutto da definire l’ammontare complessivo del pacchetto di aiuti, ancora più contraddittori e indeterminati appaiono i contenuti e le finalità del ‘Plan Colombia’: alla data odierna, ne esistono almeno tre versioni, da utilizzare secondo l’interlocutore e il momento. La prima stesura del progetto, presentata segretamente lo scorso novembre al Senato Usa dal presidente Andrés Pastrana e dall’ambasciatore colombiano negli Stati Uniti Luis Alberto Moreno, ha come obiettivo cardine quello di "ottenere un sostegno ai propri sforzi militari in tre aree geografiche, prima nel distretto di Putumayo e poi, nei due prossimi anni, nel centro e nell’area sudoccidentale della Colombia". In questa versione, il ‘processo di pace’ occupa solo il punto V. La seconda versione del ‘Plan Colombia’ è stata fornita ai mass media americani dal Senato lo scorso febbraio: il processo di pace viene presentato come punto principale e si ridimensiona il peso degli aiuti militari. L’ultima versione è stata indirizzata all’Unione europea: vi si enfatizza "l’investimento sociale", si sottolineano gli "sforzi per la difesa dei diritti umani" e sono stati soppressi tutti i riferimenti al "rafforzamento militare". Unico elemento omogeneo, l’obiettivo di "implementare i mezzi necessari per attrarre gli investimenti stranieri e promuovere l’espansione del commercio".

"Il Plan Colombia è una strategia integrata per rafforzare la pace, riattivare l’economia e generare occupazione, proteggere i diritti umani, rafforzare la giustizia e aumentare la partecipazione sociale" ha dichiarato Pastrana in occasione della sua recente visita al Parlamento europeo. Pare che gli abbiano creduto tutti: il presidente del consiglio spagnolo Josè Maria Aznar, si è impegnato a convocare i paesi partner dell’Unione, più Giappone e Canada, per sostenere finanziariamente il Plan Pastrana. L’appuntamento è per la metà di giugno a Madrid. Il protagonismo spagnolo a favore del ‘Plan Colombia’ non deve lasciare stupiti più di tanto: tra le maggiori imprese lanciatesi alla conquista dei settori chiave dell’economia colombiana, accanto a quelle nordamericane, compaiono proprio quelle iberiche: alla privatizzazione del sistema elettrico concorre la ‘Iberdrola’, alla privatizzazione delle telecomunicazioni la ‘Telefónica de España’ e alla privatizzazione delle banche il ‘Banco Santander’.



IL PLAN COLOMBIA SECONDO L’AMMINISTRAZIONE CLINTON E IL CONGRESSO USA



Casa Bianca

Camera dei Rappresentanti

Senato









Totale aiuti alla Colombia

1,025.3

1,006.9

713.7

Atiuti ad altri paesi

77

139

205

Aiuti alle agenzie USA

115,7

476,1

189,5

Interventi segreti

55

80

34,3

TOTALE

1,273

1,701

1,142.5





2. Aerei ed elicotteri "per la lotta contro la droga"

A differenza del governo Pastrana, il Dipartimento di Stato Usa non nasconde le finalità del suo neointerventismo nel paese sudamericano: per ogni mille dollari promessi alla Colombia, 730 saranno destinati a potenziare i programmi di ‘cooperazione militare’. Così, con la copertura della cosiddetta ‘crociata anti-droga’ dell’amministrazione Clinton, la Colombia del 2.000 punta a divenire il maggior destinatario dell’’assistenza militare’ degli Stati Uniti nel mondo, accanto ad Israele ed Egitto.

Novecentocinquantaquattro milioni di dollari subito, altri 318 entro il prossimo anno. E’ questo il budget previsto per potenziare le capacità operative delle forze armate e della polizia colombiana. Il denaro finirà particolarmente per l’ammodernamento della componente aerea ed elicotteristica. Mentre il programma originario della Casa Bianca prevedeva il trasferimento alla Colombia di 30 Blackhawks e 33 Hueys, con il nuovo emendamento del Senato gli Hueys salgono a 75, con l’opzione di una nuova commessa per altri 18 elicotteri Hueys. Ad essi si aggiungeranno 11 caccia intercettori e 11 velivoli OV-10 antispionaggio più 341 milioni di dollari per il potenziamento della rete radar e d’intelligence.

Il Dipartimento della difesa interverrà altresì per ampliare la flessibilità operativa "in funzione anti-narcos" della polizia nazionale colombiana. Quasi 200 miliardi di lire sono stati previsti a favore dell’acquisizione di sistemi di comunicazione, armi e munizioni, e per la costruzione di un imprecisato numero di "basi anti-droga" alla frontiera con Perú ed Ecuador. Nonostante il riconosciuto fallimento della politica di ‘fumigazione’ aerea delle piantagioni di coca e le sue pesanti conseguenze sociali ed ambientali, gli Usa fornirebbero alla polizia locale 15 aerei ‘anti-droga’ ed una ventina di elicotteri del tipo ‘Super Huey’ che opereranno dall’aeroporto meridionale di Guaymaral. Gli analisti militari sperano che la versatilità di questi strumenti da combattimento, possa essere determinante per vincere la resistenza delle basi della guerriglia, proprio in una fase in cui sono stati avviati faticosi ed incerti colloqui di pace. Secondo la sottosegretaria di Stato Albraigth il pacchetto di aiuti "si concentrerà a ristabilire il controllo del governo al sud della Colombia, più esattamente nei dipartimenti di Putumayo e del Caquetà". Proprio queste due sono le aree del paese sotto il controllo dei principali gruppi guerriglieri (Farc ed Eln).

Negli ultimi tre anni, gli Stati Uniti hanno già esportato oltre mezzo miliardo di dollari in armi pesanti alla Colombia. Eppure nel 1996 il governo di Washington era stato costretto a negare a Bogotà la certificazione di "paese cooperante con la politica anti-droga", a seguito dello scandalo che aveva colpito l’ex presidente Ernesto Samper e i maggiori quadri dell’establishment politico-militare, rei di aver ricevuto ingenti finanziamenti in nero dal Cartello della coca di Cali. Il ‘niet’ alla Colombia è durato solo due anni, in quanto l’amministrazione Clinton registrava "importanti passi contro il traffico di droga" da parte del neoeletto presidente Pastrana.

La non certificazione di ‘paese cooperante’ non ha costituito tuttavia un ostacolo al flusso degli aiuti militari Usa. Nel settembre 1996 ad esempio, il Dipartimento della difesa ha fornito addizionalmente alla Colombia 40 milioni di dollari "in aiuti militari anti-droga", 30 all’esercito e 10 alla polizia nazionale. In quel periodo le forze armate colombiane non disponevano di unitá specializzate in missioni anti-narcos, così l’aiuto è stato dirottato quasi esclusivamente in missioni belliche anti-guerriglia. L’anno successivo, l’invio di armamenti ha raggiunto il valore di 64 milioni di dollari e grazie al voto favorevole del Congresso fu approvata la consegna di 18 elicotteri di seconda mano Uh-1 "Huey" armati di fucili mitragliatori M60d; nel ’98 giungevano in Colombia altri 12 elicotteri Uh-60l ‘Black Hawk’ per 169 milioni di dollari.

La quota maggiore di aiuti militari è stata fornita dall’International Narcotics Control (Inc), l’agenzia per il controllo anti-droga del Dipartimento di stato, che nel ’99 ha stanziato per la Colombia 203 milioni di dollari, 195 dei quali finiti direttamente all’esercito e alla polizia. Il budget per la Colombia era di appena 30 milioni l’anno precedente: l’Inc ha così potuto moltiplicare il numero di militari colombiani addestrati nella lotta ‘anti-droga’ e ha potuto fornire all’aeronautica e alla marina del paese sudamericano le apparecchiature e i sistemi d’arma necessari per migliorare l’operatività dei velivoli cargo C-130 e C-26 e dei pattugliatori veloci delle coste e dei fiumi interni.

"La presenza militare e gli aiuti degli Stati Uniti sono quasi nove volte maggiori di quelli che erano nella metà degli anni novanta" denuncia il rapporto presentato lo scorso dicembre dai ricercatori Adam Isackson e Joy Olson del ‘Latin America Working Group’ e del ‘Center for Internacional Policy’, uno dei maggiori centri indipendenti di ricerca statunitensi sulle relazioni nazionali con il sud America. "La Colombia riceve oggi più assistenza militare da parte degli Stati Uniti in addestramento, armi ed equipaggiamenti di quanto è ricevuto congiuntamente da tutti i paesi dell’America latina e dei Caraibi. Il numero di militari statunitensi presenti permanentemente in Colombia ha raggiunto le 250-300 unità, mentre le missioni delle Forze speciali Usa sono passate dalle 20 del 1998 alle 34 dell’anno successivo. Se sino al 1995 la Colombia riceveva annualmente 30 milioni di dollari per la lotta al narcotraffico, nel 1999 si è raggiunta la cifra di 294 milioni di dollari".
A questo pacchetto di ‘aiuti’ si devono poi aggiungere i sistemi d’arma acquistati direttamente dal governo colombiano attraverso il programma Usa delle ‘Vendite militari all’estero 1999’ (11 elicotteri Uh-60 ‘Blackhawh’, 12 elicotteri d’addestramento Th-13 ‘Sioux’, fucili leggeri, veicoli e munizioni) per un valore di 28 milioni di dollari, più una spesa di 40 milioni di dollari per le armi comprate ad imprese private statunitensi. In tutto 68 milioni di dollari contro i 5 spesi l’anno precedente, nonostante l’aggravarsi della crisi economica e del deficit statale colombiano. Lo scorso novembre inoltre, l’amministrazione Clinton ha notificato al Congresso la possibilità di un ulteriore trasferimento di armi alla Colombia sempre attraverso il programma di ‘vendite all’estero’: si tratterebbe di un megacontratto di 221 milioni di dollari per 14 elicotteri ‘Blackhawk’ e differenti tipi di munizioni. Per accelerare la commessa, è già pronto un prestito per il governo di Bogotà di 20 milioni di dollari da parte della ‘Export-Import Bank’ degli Stati Uniti. Le forze di sicurezza colombiane potrebbero infine ricevere aiuti militari supplementari attraverso uno speciale fondo d’emergenza anti-droga. Secondo quanto preannunciato dalla Casa Bianca si tratterebbe di equipaggiamento e munizioni per oltre 58 milioni di dollari.



Aiuti Militari Usa alle Forze armate e alla Polizia colombiana

(anni 1996-2000)

Programma

1996

1997

1998

1999

2000 richiesto













International Narcotics Control
Fondi per equpaggiamento, addestramento, sradicamento ed altri programmi della Sezione anti-droga del Dipartimento di Stato

$16.000.000


$ 33,450,000


$ 57,000,000

$ 203,160,000


$636,000,000


Attività di formazione ed addestramento militare
Fondi per corsi diretti da personale Usa.

$ 147,000;
32 studenti

$0;
0 studenti

$885,000
261 studenti

$900,000

265 studenti

$900,000

265 studenti













Aiuti d’emergenza
Autorizzazioni della Presidenza per attrezzature d’emergenza da rilevare dagli arsenali Usa.

$40,500,000

$14,200,000

$41,100,000

$58,000,000



Attività anti-droga (Sezione 1004)
Addestramento, miglioramento dell’equipaggiamento ed altri servizi forniti dal Dipartimento della difesa



$7,411,000

$11,775,000

$27,731,000

$136,000,000

Attività anti-droga (Sezione 1033)
Addestramento unità con base fluviale, equipaggiamento ed altri servizi forniti dal Dipartimento della difesa

$0

$0

$2,172,000

$12,623,000

$20,000,000























Totale



$83,561,000

$110,232,000

$294,464,000

$791,900,000



Trasferimenti sistemi d’arma Usa alla Colombia

(anni 1996-2000)













Programma

1996

1997

1998

1999

2000 (previsione)

Vendita diretta da governo a governo di sistemi di difesa, addestramento e servizi

$55,878,000

$96,142,000

$76,879,000

$18,000,000

$18,000,000 (Vendita elicottero BlackHawk)











Vendita armi programma anti-droga, addestramento e servizi

$28,571,000

$ 6,935,000

$10,782,000

$10,000,000

$10,000,000











Vendite di aziende private autorizzate dal governo Usa











$33,470,542

$85,835,667

$85,025,792

$40,122,462



(Fonte: Department of State, Background Notes: Colombia, Washington, January 1999)





I nuovi orizzonti della strategia USA

"La Colombia è d’interesse vitale per gli Stati Uniti. E’ nel nostro interesse sostenere l’amministrazione Pastrana e il processo di pace. La Colombia è un importante partner economico degli U.S.A.: è il nostro 5° maggiore mercato di esportazione in America latina". Così, lo scorso agosto, ha giustificato l’esigenza di varare il nuovo pacchetto di aiuti il sottosegretario di Stato per gli Affari politici Thomas Pickering, uno dei maggiori sostenitori nordamericani del Plan Colombia. Se infatti l’obiettivo primario del Pentagono è quello di eliminare dal cortile di casa qualsiasi focolaio di guerriglia ‘filo-comunista’, la strategia del Dipartimento risponde al crescente interesse del capitale nazionale di promuovere le esportazioni alla Colombia, intervenire direttamente nella realizzazione delle imponenti opere programmate (dighe, centrali idroelettriche, arterie stradali e fluviali), perpetuare il monopolio delle compagnie petrolifere nell’estrazione dell’oro nero.

La priorità di assicurare l’investimento straniero in particolare per l’industria petrolifera è stata inserita nel testo di emendamento al ‘Plan Colombia’, proposto dai senatori democratici Dewine, Grassley e Coverdell. "Con gli aiuti" – si legge nell’emendamento - "s’insisterà a che il governo della Colombia completi le riforme urgenti orientate ad aprire completamente la sua economia agli investimenti e al commercio estero, particolarmente all’industria petrolifera, come un percorso verso il suo recupero economico". Lo stesso senatore Coverdell ha giustificato gli aiuti alla Colombia con lo scopo di "proteggere gli interessi petroliferi in Venezuela paese strategico al centro di una profonda crisi politica, sociale ed economica".

Per sponsorizzare l’approvazione del ‘Plan Colombia’, si è presentato in audizione al Congresso, il vicepresidente della Occidental Petroleum Company - Oxy, Lawrence Meriage. Il responsabile della multinazionale petrolifera su cui vanta una partecipazione per mezzo milione di dollari il vicepresidente degli Stati Uniti Albert Gore, ha chiesto ai legislatori che gli aiuti militari non siano destinati solo "a recuperare il controllo del sud della Colombia, dove pure stiamo operando", ma anche alle aree più settentrionali, "come il Nord di Santander, alla frontiera con il Venezuela, dove stiamo per intraprendere le operazioni di trivellazione e dove le coltivazioni di coca sono aumentate del 300%". Il vicepresidente della Oxy si è guardato bene di riferire al Congresso che la sua compagnia si trova a fronteggiare in Colombia la resistenza del numeroso gruppo indigeno degli U’wa, che proprio nel Nord di Santander si è visto espropriare terreni e villaggi per consentire l’insediamento di nuovi pozzi, e che minaccia il suicidio collettivo come purificazione contro l’indebita appropriazione di quello che considera il "sangue delle terre ancestrali".

Il governo di Bogotà è di ben altre idee e ha deciso di fornire le migliori garanzie al capitale nordamericano ed europeo: la compagnia petrolifera statale Ecopetrol ha firmato nell’ultimo anno 18 contratti con società estere (tra le più note la Occidental Petroleum, la Chevron e la British Petroleum), che ‘investiranno’ nel paese per il quadriennio 2000-2003 oltre 672 milioni di dollari su un’estensione di 678.500 chilometri quadrati; è stato riformato il settore bancario per promuovere gli investimenti esteri (oggi il capitale straniero controlla il 27% degli istituti finanziari locali), sono stati rinnovati gli accordi preferenziali di mercato con gli Stati Uniti (l’effetto è stato il crollo del prezzo dei prodotti agricoli tipici, cotone, caffè, mais) e si è dato il via alla fluttuazione del tasso di cambio con il dollaro. Unico settore produttivo interno favorito dalle manovre è quello della media-grande industria manufatturiera che ha migliorato le esportazioni al gigante nordamericano abbattendo i salari della manodopera (non oltre i 150 dollari mensili per turni settimanali che sfiorano le 60 ore).

Così dopo la breve crisi delle relazioni Usa-Colombia a seguito dell’affaire Samper, i rapporti bilaterali sono idilliaci e l’attuale governo ha preferito delegare a Wasghington i compiti della propria tutela politico-economica-militare. Mai come adesso la Colombia è stata la meta preferenziale delle visite dei maggiori esponenti della politica militare statunitense. Solo negli ultimi 12 mesi è giunto il segretario della difesa William Cohen e la direttrice del Centro Emisferico per gli Studi della Difesa (istituzione creata dal Pentagono nel ’97 per "seguire gli eserciti del continente"), Margaret Daly Hayes; tre volte è arrivato lo zar antidroga Barry McCaffrey, e ben dieci volte il generale Charles Wilheilm, a capo del Comando Sud degli Stati Uniti, che per le sue ‘attenzioni’ alla Colombia ha ricevuto la massima onorificenza della Repubblica, la Croce d’oro bolivariana. A fine marzo è arrivato perfino il capo di Stato maggiore delle forze armate Usa, generale Henry Shelton; nel suo curriculum vitae il vicecomando della 5^ Divisione delle forze speciali in Vietnam, il comando della 101^ Divisione durante la guerra del Golfo e della Special Force che intervenne ad Haiti nel 1994. Il generale Shelton inoltre, è stato consigliere del Pentagono in occasione dell’attacco missilistico contro le basi afghane dello sceicco Osam Bin Leaden e del recente conflitto per il Kosovo.





Contratti di ricerca petrolifera in Colombia firmati dalla compagnia Ecopetrol con imprese private (gennaio-aprile 2000)



Contratto Compagnia Area Dipartimento

Rio Juanambù AEC Colombia (Canada) 170.000 ha Putumayo

Pacayaco AEC Colombia (Canada) 164.000 ha Putumayo - Caquetà

Pijao AIPC Indipendence (Usa) 41.000 ha Cundinamarca-Tolima

Bicudo Braspetro (Brasile) 70.000 ha Meta

Colòn Canadian West (Canada) 37.000 ha Cundinamarca-Tolima

Torbellino CMS (Canada) 32.000 ha Tolima

Guayacanes La Luna Oil Corp. (Colombia) 150.000 ha Santander

El Golfo Petrocol-Canadian West (Col-Can) 14.500 ha Huila





Contratti in via di definizione tra Ecopetrol e multinazionali del petrolio



Contratto Compagnia Area

Campoalegre Emerald 29.455 ha

Canalete Chevron 116.053 ha

Pena Alta Chevron 143.121 ha

Maya Sheridan 150.218 ha

Altamizal Sipetrol 56.409 ha

Guadalupe Total 143.331 ha

Buganviles Hallywell 60.827 ha

Cubarral Chevron 19.201 ha

Samorè Occidental

Niscota British Petroleum

Panto British Petroleum

Florena British Petroleum

Volcanera British Petroleum









Valore degli investimenti previsti da Ecopetrol in associazione con imprese estere

(in milioni di dollari)



2000 2001 2002 2003 Totale

Attività di esplorazione 3 15 10 24 52

Estrazione 325 109 122 116 672

Totale 328 124 132 140 724





(Fonti: Ecopetrol; El Colombiano, 29 de enero, 2000; Cambio, 13 de marzo, 2000, El Espectador, 24 de abril, 2000, ).



3. L’evoluzione della percezione della minaccia

La Colombia è senza alcun dubbio il paese del continente americano più ‘monitorato’ dagli strateghi del Pentagono. Già a partire dal 1993, il paese e l’area andina vengono inseriti tra le quattro zone del pianeta, insieme a Medio Oriente, il sud-est asiatico ed i Balcani, "potenzialmente più conflittive tra il 1992 e il 2010". E’ in queste aree che gli Stati Uniti percepiscono la maggiore minaccia al ‘nuovo ordine internazionale’ sorto dopo il crollo del muro di Berlino e la guerra del Golfo. Cinque anni più tardi, maggio ’98, i vertici dello Stato maggiore Usa si diedero appuntamento all’Università della difesa nazionale di Washington per esaminare gli sviluppi del conflitto armato in Colombia. Una seconda riunione viene organizzata a fine ’98 dal dipartimento dell’Us Army preso il proprio College di Carlisle, in Pennsylvania. Sei mesi dopo, si svolge una terza riunione per attenzionare geostrategicamente il paese sudamericano. Per quest’ultimo appuntamento è la Cia ad incaricarsi dell’organizzazione: ai lavori vi prendono parte più di 50 ufficiali del Pentagono, del Dipartimento di stato, dell’Fbi, della Dea e dell’agenzia d’intelligence. I tre incontri testimoniano il progressivo stato d’allarme che si registra tra gli alti vertici militari di Washington. Mentre nel primo incontro la Colombia fu infatti percepita come un "problema per l’area", a Carlise il paese fu identificato come un "grave fattore di destabilizzazione della sicurezza regionale". Nel terzo incontro il giudizio fu di aperto pessimismo e gli analisti prospettarono la possibilità di una "guerra totale", dell’"estensione del conflitto" e perfino di una sua "balcanizzazione".

Come se non bastasse, a metà novembre ’99, a conclusione dell’ennessimo viaggio a Bogotà, è giunta la dichiarazione del responsabile del Comando Sud degli Stati Uniti, generale Chales Wilhelm: "la Colombia ha preso il posto di Cuba come principale minaccia alla pace nell’emisfero occidentale…". Erano passati meno di quattro mesi dall’incidente accaduto a Patascoy, nella selva meridionale della Colombia, al velivolo speciale dell’Us Air Force ‘Rc-7 DeHavilland’ per l’intercettazione delle comunicazioni telefoniche e radio. Cinque militari statunitensi e due ufficiali dell’aeronautica colombiana erano morti in mezzo alle fiamme dopo che l’aereo si era schiantato al suolo in un’area sotto il controllo delle Farc.

Sulle cause dell’incidente e sugli scopi della presenza di un velivolo nordamericano in una zona teatro di guerra era stato posto il più assoluto riserbo. Grazie però ai reportage di alcune testate internazionali venivano raccolti alcuni elementi che confermavano il coinvolgimento diretto delle forze armate statunitensi nel ‘conflitto a bassa intensità’ in atto in Colombia.

Sotto la pressione di alcuni congressisti, il Dipartimento della difesa era costretto ad ammettere la presenza di proprie basi radar e stazioni d’ascolto terrestri (Gbr) nelle regioni meridionali di Guaviare (San José), Amazonas (Leticia) e Vichada (Marandua). "Altri due radar della rete dei Caraibi dell’Us Air Force operano dalla penisola settentrionale della Guajira (Rioacha) e dall’isola di San Andrès, di fronte alla costa nicaraguense. Una quarta stazione radar Gbr è in fase di allestimento presso la base di Tres Esquinas (Putumayo)".

Formalmente queste installazioni radar sono sotto il controllo delle forze armate colombiane, ma all’interno l’elaborazione dei dati viene gestita da team di tecnici nordamericani, composti ognuno da 36-45 unità. Il Pentagono ha aggiunto che il personale specializzato degli Stati Uniti ha avuto il compito di addestrare "in sofisticate attività d’intelligence", nel biennio 1998-99, ufficiali dei servizi segreti dell’aeronautica e dell’esercito colombiano nelle basi di telecomunicazione di Bogotá, San José del Guaviare, e Santa Marta, nel nord del paese. Secondo il responsabile per gli Affari internazionali anti-droga Rand Beer, il personale Usa lavorerebbe "per accrescere la capacità delle forze di sicurezza colombiane a raccogliere ed analizzare le informazioni sulle attività dei narcos e su quelle dei gruppi insorgenti che potrebbero minacciare le forze anti-droga". Sempre il Pentagono ha affermato che nel ‘98, "hanno operato in Colombia 67 ufficiali della Special Operation Force, il gruppo Interforze coordinato dal Comando Sud per le operazioni speciali (Socsouth), di stanza presso la base navale di Roosvelt Road (Portorico)", e che le unità Usa in Colombia forniscono assistenza ad "oltre 1.500 membri delle forze di sicurezza in alcuni settori specifici, come la fanteria leggera, il trasporto elicottero, ecc.".





4. L’industria militare fa la guerra alla coca.

L’incidente al velivolo ‘subaffittato’ dal Diaprtimento della difesa per la fumigazione dei campi di coca, ha permesso all’opinione pubblica di conoscere altri particolari inquietanti dell’impegno Usa in Colombia. Secondo il settimanale Newsweek, tra i 300 effettivi statunitensi presenti in Colombia, vi sarebbero "almeno un centinaio di agenti della Dea e della Cia"; Nesweek segnala inoltre come gli avieri dell’RC-7 non sarebbero le prime vittime Usa della ‘guerra alla coca’: "A partire dal 1997 sono morti tre piloti della società privata DynCorp (Virginia) contattata dal Pentagono per missioni di intercettazione anti-droga. La DynCorp che conta in Colombia 90 impiegati, in coordinamento con la Polizia nazionale ha lanciato tonnellate di defoglianti chimici sulla selva e ha effettuato incursioni in elicottero contro i laboratori di trasformazione". La DynCorp, che impiega piloti di elicottero veterani della guerra in Vietnam, fornisce inoltre la manutenzione dei velivoli della polizia impegnati in operazioni anti-coca.

L’impatto socio-ambientale della campagna finanziata attraverso l’International Narcotics Control del Dipartimento di stato avrebbe avuto effetti devastanti. Nel solo ‘98 gli aerei T-65 e Ov-10 ‘Bronco’ della DynCorp avrebbero fumigato oltre 65.000 ettari di terra nei dipartimenti meridionali di Guaviare e Caquetà, utilizzando il glisosfato, un’erbicida cancerogeno solubile in acqua. Solo lo scorso anno all’impresa privata il Dipartimento avrebbe versato 68 milioni di dollari, tre volte e mezzo in più dei 19,6 milioni spesi nel ’96 per fumigare la Colombia.

In realtà l’’affaire Colombia’ si tra strasformando in un immenso business per le aziende private statunitensi che operano nel settore militare. I colossi United Technologies e Bell competono per assicurarsi la megacommessa per la componente elicotteristica; accanto alla DynCorp stanno inserendosi in Colombia altre aziende specializzate nel fornire ‘assistenza tecnica’ e ‘consiglieri militari’ alle forze armate colombiane, favorite dal Pentagono che così può eludere le limitazioni degli emendamenti del Congresso che fissano il personale statunitense in Colombia a non oltre i 250 addetti militari e 100 impiegati civili. L’ultima di queste società ‘di servizio’ ad aprire una filiale a Bogotà è stata la Mpri (Military Professional Resources Inc.), anch’essa con sede in Virginia, contattata per il sostegno logistico e l’addestramento ‘supplemenatre’ della polizia e delle forze armate colombiane. La Mpri, il cui manager è il generale in pensione dell’Us Army Ed Soyster, gia direttore della Dia (la Defense Intelligence Agency), è una delle società più note nelle aree di conflitto internazionali: essa ha fornito supporto logistico per una serie di operazioni militari nei Balcani, in Medio Oriente e in Africa. Fondata appena 12 anni fa nella città di Alexandria conta su un giro d’affari annuo di circa 12 milioni di dollari, con 160 dipendenti full-time, tra cui una serie di ex alti ufficiali delle forze armate statunitensi, come i generali Carl Vuono, che guidò l’esercito durante l’operazione Desert Storm e Crosbie ‘Butch’ Saint, che fu uno dei comandanti delle operazioni Usa in Europa.

La Mpri, in particolare, è stata impegnata nel rifornimento di munizioni e nel sostegno operativo degli eserciti croato e bosniaco durante le loro controffensive contro le unità serbe. Così come in Colombia, le attività della Mpri si sono incrociate con quelle della DynCorp nel teatro di guerra dei Balcani; a quest’ultima società, infatti, gli Stati Uniti hanno affidato nell’autunno ‘98 il compito di verificare il ritiro delle unità serbe dal territorio del Kosovo, in seguito al rifiuto del leader yugoslavo Slobodan Milosevic di ammettere la presenza di monitor ‘militari’. I dati di ‘intelligence’ raccolti dai 150 uomini contrattati dalla DynCorp sono stati determinanti per l’operazione Nato di bombardamento in Kosovo e Serbia la primavera successiva.




Programmi anti-droga e sistemi d’arma Usa previsti dal
Plan Colombia
Programma Destinatario Valore
6 elicotteri Uh-60 Blackhawh Polizia Nazionale $ 96.000.000
34 elicotteri (usati) Uh-1n Polizia Nazionale $ 20.000.000
15 elicotteri Uh-1h Super Huet Polizia Nazionale $ 20.000.000
Supporto e operazioni gruppo aereo Polizia Nazionale $ 6.000.000
25 sistemi di puntamento aereo Polizia Nazionale $ 6.000.000
Miglioramento sicurezza basi anti-droga Polizia Nazionale $ 6.000.000
Aereo da trasporto Dc-3 Polizia Nazionale $ 2.000.000
Adeguamento sistemi sicurezza prigioni Polizia nazionale $ 1.200.000
Ricostruzione base anti-droga Esercito $ 2.000.000
Aggiornamento velivolo A-37 Dragonfly Aeronautica $ 14.000.000
(Fonte: Bureau of International Narcotics and Law Enforcement Affairs, Fiscal Year 2000 Budget Congressional Presentation 24)


5. Usa-Colombia un rapporto che nasce lontano

Come in un qualsiasi rapporto coniugale, le relazioni politico-militari e in materia di lotta al narcotraffico tra gli Stati Uniti e la Colombia hanno vissuto alti e bassi, seguendo sempre "un modello ciclico, con fasi oscillanti", in cui si sono alternate fasi caratterizzate da distanza e dubbi, tensioni e frizioni, critiche e difficoltà, a fasi caratterizzate da cordialità e vicinanza, convergenza e collaborazione. Tuttavia negli ultimi 35 anni le amministrazioni statunitensi non hanno mai fatto mancare il loro aiuto a favore dei programmi di riarmo e di vera e propria belligeranza delle forze militari colombiane, neanche quando le collusioni di esse e delle classi dirigenti con il traffico di stupefacenti sono state palesi, o quando il conflitto interno ha raggiunto livelli di drammaticità e di violenza insostenibili. La Colombia non è mai stata sottoposta all’isolamento o alla marginalizzazione internazionale per la questione del narcotraffico o per la violazione dei diritti umani: il ruolo chiave del paese nello scacchiere caraibico-andino, la competizione ideologica tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, il ferreo orientamento anticomunista e filostatunitense delle forze armate e dei ceti dominanti, il sostegno allo sforzo per eliminare le guerriglie in Centroamerica ed accerchiare l’isola di Cuba, le hanno assicurato, anche nei momenti più bui della sua storia contemporanea, l’assistenza e l’appoggio economico-militare nordamericano. Grazie ai ripetuti accordi firmati, gli Stati Uniti sono stati la fonte primaria per buona parte delle infrastrutture, dell’equipaggiamento e delle operazioni d’intervento antiinsorgenza delle forze militari colombiane.

E’ in Colombia che si sperimenta per la prima volta il cosiddetto ‘Plan Lasso’ (Latin American Security Operation), la stretagia Usa di aiuto alle forze armate dell’America latina, varata negli anni ’60 all’interno della "dottrina della sicurezza nazionale" e irradiata a tutto l’emisfero grazie ai programmi di ‘formazione’ delle èlite militari presso la ‘School of Americas’, istituzione che al tempo aveva sede a Panama. Il 18 maggio 1964, sotto il comando del colonnello Hernando Currea Cubides, comandante della 6^ brigata, il governo colombiano lanciava una vasta campagna nelle regioni in cui si stavano organizzando i gruppi di ‘autodifesa campesina’ da cui presto nasceranno le prime unità delle Farc. L’obiettivo della cosiddetta ’Operaciòn Marquelita’ è quella di annientare le organizzazioni campesine, e l’esercito arriva a schierare per l’occasione 16.000 uomini, e l’intera dotazione di elicotteri, aerei di riconoscimento, bombardieri e pezzi d’artiglieria. Per questa prima operazione di guerra in larga scala, l’amministrazione degli Stati Uniti consegnerà direttamente a Bogotà 300.000 pesos del tempo.

Perso sul campo l’effetto sorpresa, e a seguito del crescente consenso che i gruppi insorgenti conquistano tra le popolazioni che vivono ai margini del latifondo, il presidente Guillelmo Leòn Valencia, decide di estendere l’intensità del conflitto. Il 24 dicembre 1965 viene firmato il decreto d’istituzione dello stato d’assedio in tutto il paese, che obbliga tra l’altro i cittadini ad impegnarsi "nel ristabilimento dell’ordine pubblico minacciato dalle forze guerrigliere". Il decreto, trasformato in legge nel ‘68, dava il via alla formazione delle cosiddette ‘giunte di autodifesa’, organizzazioni formate da personale civile addestrato ed equipaggiato per operazioni anti-guerriglia, sotto il comando di personale militare. La ‘militarizzazione’ della società colombiana era la nuova risposta alle richieste degli Stati Uniti di creare un vero e proprio cordone di sicurezza per isolare i fuochi della guerriglia e spostare a proprio favore il ‘conflitto di bassa intensità’. Anche in questo caso però, gli effetti non saranno quelli previsti: in Colombia lo scontro si generalizzerà e degenererà, e come vedremo in seguito, dalle ceneri delle ‘giunte di autodifesa’, quindici anni più tardi, si svilupperà il fenomeno paramilitare.

Dopo lo scacco dell’’Operaciòn Marquelita’ i legami Usa-Colombia si manterranno di basso profilo almeno sino alla metà degli anni ’70. Dando il via all’altalenarsi amore-odio nelle relazioni tra i due Paesi, l’amministrazione Lopez Michelsen (1974-78), accusata dal governo nordamericano di inefficenza nella repressione della produzione e del traffico di marihuana nella costa Atlantica, decide l’acquisto di 17 elicotteri forniti di mitragliatori e di 12 velivoli T-33, per avviare la "lotta al narcotraffico". Bogotà autorizzerà i velivoli Usa a sorvolare la Colombia per intercettare le avionette che fanno la spola tra il dipartimento settentrionale della Guajira e la Florida. Nell’aprile del ‘77 le cronache registrano una battaglia aerea tra alcuni elicotteri della Dea e dell’aviazione colombiana contro un Dc-3 carico di marihuana sui cieli della città di Rioacha.

Una serie di scandali che colpiscono il Das, il Dipartimento degli Affari Speciali, dipendente dalla Presidenza, costringe il governo a trasferire l’anno successivo le competenze della lotta anti-droga alla Polizia giudiziaria e alle forze armate, che pur di contro voglia perché ritengono prioritario l’impegno antiinsorgente, intraprendono una serie di attività contro il narcotraffico. Con l’esigenza di migliorare la propria immagine internazionale dopo le ombre nella conduzione della ‘guerra sporca’ contro la guerriglia e i civili, i vertici militari pianificano l’’Operaciòn Fulminante’, un’operazione interforze a cui partecipano 10.000 militari dell’Armada Nacional e il Gruppo di volo dell’aeronautica con base a Barranquilla. L’operazione ha come risultato la distruzione di oltre 10.000 ettari di coltivazione di marihuana però acutizza il conflitto con migliaia di piccoli produttori della zona e vengono denunciati "eccessi contro la popolazione e casi di corruzione tra le forze armate". L’’Operaciòn Fulminante’ potè contare sulla piena cooperazione del governo degli Stati Uniti, che alla vigilia del ‘blitz’ fornivano gli equipaggiamenti e gli aiuti finanziari per le attività dei militari colombiani. Sempre nel ‘78 si svolge l’operazione aerea congiunta ‘Stopgap’ e l’anno successivo Washington interviene finanziariamente a favore della costituzione del corpo della Guardia coste colombiano che assume il controllo dei maggiori fiumi interni.

Nel 1982 Colombia e Stati Uniti firmano un nuovo accordo militare, che assicura una serie di mezzi logistici alla Polizia nazionale, che l’anno prima aveva istituito un proprio corpo antinarcotici. Grazie agli aiuti nordamericani, la Polizia istituiva 14 ‘compagnie anti-droga specializzate’ e un proprio 'servizio aereo' che avrebbe avuto come principale base operativa l’aeroporto di Guayamaral e quali basi secondarie, gli aerodromi di Santa Marta, San José del Guaviare e Vallepudar.

Nello stesso anno, quasi a voler smentire le denunce-stampa su un presunto contributo elettorale ricevuto dal boss del narcotraffico Rodriquez Gacha ‘il mexicano’, il presidente Betancur autorizzò una vasta operazione di bombardamento di defoglianti contro le coltivazioni di marijuana della Sierra Nevada di Santa Marta. L’intervento militare che provocò tra l’altro la morte di alcuni bambini indigeni della comunità Arhuacos, fu appoggiata della Marina Usa che dispiegò una flotta di 9 unità navali davanti alla costa atlantica della Colombia (operazione ‘Hot Trick’). L’improvvisa foga anti-narcos del governo colombiano fu prontamente premiata dal Congresso: gli aiuti militari passarono da 3 milioni e mezzo di dollari nell’‘83 a quasi 11 milioni nell’‘85. In cambio la Marina Usa ottenne l’autorizzazione a pattugliare le coste della Guajira e il Pentagono potè installare il primo di una serie di impianti radar nell’isola di San Andrès, che assicurò il controllo del traffico aeronavale del Nicaragua sandinista.

Questo peridodo di idillio tra le due diplomazie, coincide con la presenza a Bogotà come ambasciatore Usa di Lewis Tambs, acceso sostenitore della lotta anti-insorgente, che passerà alla storia per aver coniato in un suo rapporto al governo, il termine di ‘narcoguerriglia’, enfatizzando il presunto intreccio tra le organizzazioni armate della sinistra e i produttori e i trafficanti di coca. Il termine farà la fortuna degli strateghi del Pentagono che negli anni ’90 giustificheranno l’intervento Usa nell’area andina per annientare l’insorgenza. L’ambasciatore Tambs, a seguito della scoperta di un laboratorio per il processamento e di un grosso carico di cocaina (quasi 14 tonnellate), dichiarerà che essi erano "sotto la vigilanza della guerriglia comunista delle Farc e l’approvazione del Partito Comunista colombiano", e che il traffico godeva della "copertura di Cuba e Unione Sovietica". La notorietà del diplomatico sarebbe crollata appena 5 anni più tardi, quando il suo nome comparve tra coloro che avevano ‘coperto’ le operazioni del capitano Oliver North, il protagonista del cosiddetto ‘Contrasgate’, il traffico di armi-droga gestito dalla Cia a favore della Contras antisandinista.





6. "Operations other than war"

Ambasciatore che va, ambasciatore che viene. Il nuovo diplomatico Usa inviato in Colombia a sostituire l’ambiguo Tambs, non farà rimpiangere assolutamente le sue crociate anti-narcoguerriglia. Del resto le credenziali di Thomas McNamara, giunto a Bogotà nel 1988, erano le migliori: egli aveva ricoperto per anni il ruolo di direttore della sezione antiterrorismo e antidroga del Dipartimento di stato. Gli effetti non si lasceranno attendere e gli aiuti militari alla Colombia subiranno una nuova impennata: il valore dei sistemi d’arma inviati raggiungerà i 72 milioni di dollari, nove volte in più di quanto era stato fornito quattro anni prima.

La presenza di McNamara in uno dei paesi andini dove più forte è lo scontro sociale e militare non è certamente causale. Essa s’inserisce infatti nella nuova strategia interventista nell’emisfero definita dalla ‘Direttiva presidenziale sulla Sicurezza nazionale’, che avrà come punto centrale nel settembre ’89 la pianificazione della cosidetta "Iniziativa Andina" che prevede il rafforzamento della cooperazione economica-militare degli Stati Uniti con i paesi dell’aerea, grazie all’invio delle forze armate statunitensi e alla creazione di nuove basi Usa. Contemporaneamente la Casa Bianca inizia a destinare al Dipartimento della difesa maggiori risorse finanziarie a favore della "lotta contro la droga": in meno di tre anni, si passerà dai 380 milioni di dollari ai 1.100 milioni previsti per l’anno fiscale ’92. Come spiegato dall’allora segretario alla difesa Richard Chaney, il "confronto contro la droga" veniva a rappresentare una delle "missioni prioritarie per il Pentagono".

Con la legittimazione dell’azione militare nelle attività antidroga fornito dalla nuova ‘Direttiva sulla Sicurezza", le forze armate degli Stati Uniti assumevano la leadership nel monitoraggio del traffico di stupefacenti verso gli Stati Uniti e il sostegno alle agenzie istituzionalmente responsabili (ad esempio, la Dea). A sovraintendere a queste nuove funzioni operative vengono chiamati cinque alti comandi: Usacom (il Comando Atlantico), Us Southcom (il Comando del Sud), quello del Pacifico, il Comando di difesa aerea del Nord America e l’U.s. Force Comand.

In questo nuovo contesto geostrategico è il Comando Sud di stanza nella base di Howard, Panama, ad assumere un ruolo chiave. E’ ad esso e ad Usacom che a partire dal ’93 vengono delegate le funzioni che erano state assegnate agli altri tre comandi. Secondo il Pentagono, oltre duemila "voli anti-droga" partivano annualmente dalla base di Howard, a cui facevano riferimento logisticamente le operazioni interforze del Custom Service, del Dipartimento della difesa, della Guard Coast, della Cia e della Dea. Howard continuava ad assicurare altresì ai paesi alleati dell’area caraibica l’addestramento e l’equipaggiamento delle unità navali e terrestri impegnate in azioni speciali ‘anti-droga’ ed anti-guerriglia.

La nuova centralità della ‘lotta al narcotraffico’ verrà consacrata con la pubblicazione nel giugno ’93 del nuovo U.S. Army Field Manual 100-5, Operations (l’ultimo era del 1986), il manuale che determina le strategie militari degli Stati Uniti nel pianeta. Nel testo le operazioni anti-droga vengono identificate come una modalità di "operations other than war", la nuova denominazione dei cosiddetti "conflitti di bassa intensità", la cui esecuzione sembra proprio ritagliato per lo scenario colombiano.


7. Tra frizioni e incomprensioni avanza l’americanizzazione
Gli anni che segnano la mutazione dell’atteggiamento politico-militare degli Stati Uniti verso il centro e il sud America, sono anche quelli in cui si registrano le maggiori tensioni con la Colombia, le cui contraddizioni in tema di narcotraffico più volte infastidiranno la Casa Bianca, che tuttavia starà bene attenta a non tirare troppo la corda e rischiare di rompere con un alleato, sempre più impegnato a ‘contenere’ i gruppi della guerriglia. L’elemento che più metterà in crisi i rapporti sarà l’applicabilità del trattato di estradizione firmato nel 1979, congelato sino al 1983 e che alla fine vedrà la consegna di un solo esponente di primo piano del narcotraffico, Carlos Leheder, arrestato nell’87 grazie all’apporto di uomini della Dea che operarono accanto ai militari colombiani. La lunga serie di attentati terroristici e di omicidi contro personaggi simbolo della repubblica (giornalisti, magistrati, politici, militari), da parte dei boss della coca ‘estradabili’, condurrà prima lo Stato all’empasse e poi all’abrogazione della stessa legge sull’estradizione con l’approvazione della nuova Costituzione nel ’91. Al risentimento e alla sfiducia da parte di Washington si aggiunse il contenzioso che Bogotà aprì con il partner dopo l’intervento a Panama a fine dicembre ’89 per deporre e sequestrare l’ex alleato Noriega (già agente della Cia e importante interlocutore del Pentagono nella lotta al sandinismo). Nell’occasione il governo colombiano protesterà contro il blocco delle coste settentrionali del paese da parte della portaerei ‘Kennedy’ e di altre unità minori. Dalla stessa portaerei si alzeranno più volte in volo gli aerei-radar Awacs, che sorvoleranno la Colombia senza autorizzazione. Ad accrescere gli attriti nei giorni dell’invasione di Panama arrivò l’inaspettata dichiarazione ad un’emittente radio dell’ambasciatore Usa in Germania, secondo cui il governo di Washington non scartava la possibilità di arrivare ad azioni di forza in Colombia. "Per noi – spiegò l’ambasciatore - è importante realizzare un blocco navale in Colombia per impedire che si riforniscano di cocaina ed altre droghe gli Stati Uniti". Le unità navali rimasero di fronte la costa colombiana sino a metà febbraio: l’unica azione militare che portarono a termine fu il mitragliamento in acque internazionali di una nave cargo battente bandiera cubana in seguito al rifiuto del comandante di consentire l’abbordaggio per verificare se tra i container fosse nascosta cocaina.
Nonostante il ‘raffreddamento’ delle relazioni per l’invasione di Panama, il 2 febbraio ’90 la Colombia autorizzò il volo di due aerei della Dea per individuare piste clandestine, coltivazioni di coca e laboratori di cocaina. Gli aerei spia statunitensi in varie occasioni rischiarono la collisione con i velivoli civili in rotta sui cieli della Colombia, ma il governo preferì non accogliere le numerose proteste dei piloti. L’’americanizzazione’ del paese ebbe nuovo impulso con l’arrivo di due radar tattici che furono installati a Barranquilla e Apaiay che si "aggiunsero ai tre radar pre-esistenti appartenenti alle forze aeree statunitensi per coordinare i sensori, processare le informazioni e assicurarsi la copertura aerea del paese".
Il febbraio del ’90 rappresenta un momento cruciale nelle relazioni Usa-Colombia. E’ in questo mese che si svolge nella città atlantica di Cartagena, il summit voluto dal presidente Bush per lanciare la campagna di cooperazione nell’emisfero contro il traffico di droga, a cui partecipano i presidenti di Colombia, Perù e Bolivia. Il vertice non produrrà a breve termine nessun atto concreto, anche se istituzionalizzerà l’intervento anti-droga delle forze armate dei paesi andini. Inoltre il vertice sarà l’occasione per dispiegare in Colombia un imponente apparato di sicurezza (5.000 addetti militari ed elicotteri per il trasporto truppe nell’aeroporto di Barranquilla), che permetterà di sviluppare una serie di nuove relazioni di scambio e collaborazione con gli omologhi colombiani. E’ opportuno sottolineare che a coordinare il sistema di vigilanza del vertice di Cartagena sarà chiamato il maggiore dell’esercito Usa Arnaldo Claudio, che come vedremo in seguito, avrà un ruolo da protagonista nella copertura delle ‘operazioni sporche’ del conflitto colombiano.
E come già successo dieci anni prima con la presidenza Betancur, per ricucire lo strappo con gli Stati Uniti a seguito del rifiuto del governo di accettare 2,8 milioni di dollari in ‘aiuti Usa’ per creare una speciale unità anti-droga dell’esercito, nel gennaio ’92 viene avviata una campagna di fumigazione delle coltivazioni di coca con l’uso del glisosfato. I funzionari della Dea e l’ambasciata degli Stati Uniti a Bogotà, promossero la fumigazione aerea indicando la rilevanza della sradicazione chimica. "Allo stesso tempo i rappresentanti ufficiali statunitensi contribuirono a legittimare l’uso del glisosfato mediante la divulgazione di opinioni scientifiche e di esperti, come quelli dell’impresa privata Labat-Anderson di Arlington, Virginia, che affermavano l’efficacia pratica e l’assenza di tossicità dell’erbicida già sperimentato in Guatemala".
La Colombia continuò così ad essere il principale destinatario andino di aiuti militari Usa, ricevendo nel biennio 91-92, 98,9 milioni di dollari, contro i 13 milioni destinati al Perù e i 61,8 milioni alla Bolivia. Sempre nel ’92, attraverso un fondo speciale della Presidenza Usa, furono inviati 7 sistemi d’arma per il valore di 7 milioni di dollari, provenienti dallo stock del Pentagono. Il sostanzioso pacchetto militare fu determinante ad assicurare la prima grande modifica strutturale delle forze armate colombiane, nel momento in cui la presidenza di Cesar Gaviria decide d’interrompere le trattative con la guerriglia e di optare per la "guerra integrale" alla sovversione, aumentando le spese militari e creando 18 brigate, 4 divisioni, 3 brigate mobili e 17 battaglioni controguerriglia. Dal punto di vista operativo, le forze armate colombiane ottenevano l’assistenza diretta del Comando Sud attraverso i ‘mobile trainings teams’ che curarono l’addestramento del personale incaricato delle operazioni anti-droga, i ‘tactical analysis teams’ per la valutazione dei dati di intelligence, e i ‘planning assistence teams’ per la pianificazione delle operazioni. Nel 1991, 26 gruppi Usa istruirono le unità colombiane nella manutenzione delle apparecchiature, nell’uso di armi tattiche e nel miglioramento funzionale dei velivoli aerei, degli elicotteri e dei pattugliatori fluviali.
Sempre nel ‘91 l’Us Air Force e il Corpo dei Marines installavano radar terrestri per coordinare le operazioni di raccolta dati degli Awacs e dei velivoli Orion P-3 e supportare gli intercettori e le forze terrestri colombiane. Congiuntamente Stati Uniti e Colombia effettuavano importanti operazioni interforze: l’’Operaciòn Amazonas’ "contro i laboratori di droga nella regione amazzonica"; l’operazione navale ‘Cordova’ "contro le unità navali trasportatrici di cocaina"; l’operazione ‘Tranquilandia’, nel sud della Colombia, "contro i principali laboratori e le piste d’atterraggio"; le operazioni ‘Support Justice II, III e IV (1991-92), "contro le principali aree di processamento della droga e contro i velivoli aerei dei trafficanti". ‘Support Justice’ fu un’esercitazione regionale senza precedenti che ha coinvolto unità di Colombia, Perù, Ecuador e Bolivia, assistite dalla Dea e dal Dipartimento della difesa.
Le relazioni tre i due paesi attraversarono una nuova fase critica, nei mesi che seguirono alla ‘fuga’ del leader del cartello di Medellìn Pablo Escobar dalla sua ‘prigione dorata’ di Itaguì. Per giungere all’arresto di Escobar si era mosso ripetutamente il Pentagono o la stessa Fbi, che alla vigilia dell’invasione di Panama aveva inviato un gruppo speciale nel paese centroamericano per verificar

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Sulle nuove guerre
by Laura Coci Monday, Feb. 14, 2005 at 6:57 PM mail:

Credo che sia necessario considerare le nuove guerre nel contesto del processo noto come globalizzazione. Per globalizzazione intendo l’intensificarsi delle interconnessioni globali, politiche ed economiche, militari e culturali (Mary Kaldor)

La guerra moderna ha caratteri molto differenti da quelli della guerra tradizionale, che si è sviluppata nelle forme note a partire dal XVII secolo e che ha connotato (e reso possibile) la nascita degli stati nazionali.

La guerra moderna, in primo luogo, evidenzia la linea di demarcazione tra quanti – da una parte - dispongono delle risorse economiche, del controllo dei mezzi di comunicazione, della libertà di movimento (un privilegio), e quanti – dall’altra - vivono al di sotto di ogni soglia di povertà, non accedono all’informazione, non hanno possibilità di spostamento per il regime dei visti e i costi di viaggio.

Mary Kaldor individua come elementi caratterizzanti delle guerre moderne la nuova politica dell’identità, i diversi metodi di combattimento, la nuova economia di guerra.

La nuova politica dell’identità (sia nazionale che transnazionale) comporta una rivendicazione del potere, anche distruttivo, sulla base di semplici etichette, in contesti di indebolimento delle fonti della legittimità politica, a livello locale o globale (per esempio degli organismi internazionali): un gruppo rivendica una posizione di privilegio su di un altro in quanto portatore di purezza etnica o garante dell’ordine internazionale, paladino dei diritti umani contro la violenza genocida o rappresentante del bene contro il male. Etichette, appunto, che tendono a isolare singoli paesi creando contrapposizioni funzionali al controllo della geopolitica mondiale.

I diversi metodi di combattimento sono da una parte riconducibili alle tecniche della guerriglia (e sono le aggressioni alle città sperimentate nei Balcani, discutibilmente definite “guerre civili”), dall’altra alla logica della spettacolarità, anche mediatica (la guerra in Iraq e la guerra NATO nella Federazione serbo-montenegrina e in Kosovo). Le nuove tecniche di combattimento tendono infatti a evitare gli scontri diretti tra eserciti regolari, con l’effetto di aver rovesciato, nel corso nel Novecento, il rapporto tra vittime militari e vittime civili: nella prima guerra mondiale rispettivamente otto a uno, nella seconda in rapporto di parità, nella guerra moderna uno a otto.

La nuova economia di guerra, infine, è decentralizzata (al contrario di quanto avveniva nelle guerre tradizionali) e dipende fortemente dalle risorse esterne, compreso il commercio illegale di armi, droga, beni pregiati; prevede inoltre il ricorso all’embargo, con l’effetto di produrre regressione delle relazioni sociali e azzeramento di diritti umani fondamentali quali la salute e l’istruzione, oltre che della vita stessa.

Negli ultimissimi anni le nuove guerre si sono sempre più identificate con le “guerre spettacolo”: spettacolarizzazione della guerra tecnologica (aerea), che si avvale di volta in volta delle etichette di “umanitaria” o “preventiva”, e che come tale viene accuratamente preparata presso l’opinione pubblica, mediante l’esibizione mediatica dei profughi (quegli stessi profughi che diventano clandestini da respingere a ogni costo quando approdano sulle coste europee), o l’individuazione e demonizzazione della nuova incarnazione del male assoluto: Noriega (chi ricorda il dittatore di Panama?), Saddam, Milosević…

La guerra tecnologica segna la linea di demarcazione tra globale e locale, ha un forte impatto televisivo, sancisce il principio per il quale una vita occidentale vale infinitamente più di una non occidentale: la morte di civili incolpevoli vittime di un bombardamento viene definita un “effetto collaterale”, non un crimine contro l’umanità, ma sarebbe certamente tale se fosse imputabile alla parte avversa. Ancora una volta, è una questione di etichette: i “giusti” sono tali per definizione, anche se distruggono obiettivi civili e provocano morte di civili (anche, a medio termine, con l’embargo).

Le guerre successive alla seconda guerra mondiale hanno anche prodotto, oggi, nel mondo, ventidue milioni di persone in fuga, profughe, rifugiate: altro “effetto collaterale” delle nuove guerre, connotate come guerre di aggressione alle città, alla popolazione civile, a donne e uomini divenuti “materiale di risulta” imbarazzante e reso invisibile (questa volta) dal silenzio dei media. Il cinismo dei governi che dichiarano la guerra giunge a pianificare l’invio di aiuti umanitari alle popolazioni che ne sono vittima: bombe per milioni di dollari da una parte, pacchi di cibo per pochi dollari dall’altra; i governi che dichiarano la guerra creano migliaia, centinaia di migliaia, di persone disperate, in fuga, impediscono che muoiano di fame e intervengono, poi, nei paesi devastati con la macchina dell’emergenza umanitaria e della ricostruzione.

Le organizzazioni umanitarie come Lodi per Mostar e come il Consorzio Italiano di Solidarietà (al quale Lodi per Mostar aderisce) non vogliono essere, e non saranno, strumento di questa politica.

Laura Coci
Lodi per Mostar

Mary Kaldor, Le nuove guerre, Roma, Carocci, 1999.

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Dopo un secolo di dominazione coloniale
by Maurice Lemoine Monday, Feb. 14, 2005 at 6:59 PM mail:

Il canale torna a Panama


Il 31 dicembre 1999, gli Stati uniti restituiranno a Panama il canale scavato tra il 1903 e il 1914. Lo stesso giorno se ne andranno le migliaia di soldati statunitensi che "proteggono la via d'acqua", retrocedendo definitivamente una zona di 1.474 chilometri quadrati sulla quale Washington esercitava una totale sovranità. Panama, messo di fronte a una nuova pagina della sua storia, esita fra timore e sollievo. Adesso deve gestire il passaggio tra i due oceani e riconvertire la Canal Zone. Ma Washington non abbandona tutte le sue preorogative sul territorio panamense.

dal nostro inviato speciale Maurice Lemoine
Curioso paese. Sotto certi aspetti, la capitale assomiglia a Miami. Numerosissime le banche, il World Trade Center non sfigurerebbe sulla foto di famiglia del gotha della finanza internazionale, i soldi scorrono a fiotti. Tutte le sere, la lunghissima avenida Balboa, che costeggia la baia di Ciudad de Panama, sembra una falsa Monte Carlo. Al volante di automobili da 50mila dollari, la gioventù dorata si lancia in corse infernali, e la polizia non interviene. Intanto, le scuole cadono a pezzi e negli ospedali mancano cotone e alcol. Gli agenti di sicurezza che stazionano di fronte ai centri commerciali arrivano appena a prendere 180 dollari al mese (1).
Una commessa prende meno di 250 dollari, come del resto più della metà delle persone che hanno un lavoro. A San Miguelito, nella periferia della capitale, si ritrova l'America centrale.
Ancora peggio a Colon, sulla costa caraibica, secondo agglomerato urbano del paese. Case in legno, vagamente coloniali, totalmente in rovina. Biancheria stesa sui balconi, rivoli nauseabondi tra i blocchi di abitazioni, odori di indigenza e di urina, montagne di immondizia mai raccolta. Delinquenza endemica, atmosfera da trappola tropicale. Una città intera lasciata all'abbandono.
Una tutela inaccettabile Ritorno a Panama City, in un condominio lussuoso. Di fronte a un'ampia vetrata fumé, un uomo massiccio contempla la baia che si estende fino al quartiere dell'alta finanza. Distoglie lo sguardo, guarda verso destra, lontano, il profilo slanciato del ponte delle Americhe, in equilibrio all'entrata del canale. La mimica manifesta irritazione. L'uomo è statunitense.Senza temere il pleonasma, l'uomo si è presentato come repubblicano e...
conservatore. E questo canale, che dovrà essere restituito alla fine dell'anno, gli resta sul gozzo. "Nel 1977, gli Stati uniti hanno fatto un terribile errore strategico accettando il trasferimento...". Alza le spalle. Facendo finta di nulla, lascia filtrare tutto il male che pensa dei panamensi. Poi torna al canale. "E' triste, agro-dolce veder ammainare la bandiera su quest'opera fantastica. E questo non è colonialismo. La prova è che la sola zona sviluppata del paese è proprio la zona americana...".
Da quando, il 15 agosto 1914, una nave a vapore di 10mila tonnellate, l' SS Action, ha affettuato la prima traversata dall'Atlantico al Pacifico, Panama è prima di tutto un canale. E un quasi-protettorato. E' stata una "ribellione spontanea", protetta dalle navi da guerra di Theodor Roosevelt che ha fatto di questa provincia colombiana uno stato indipendente, costruito dal nulla il 4 novembre 1903. Due settimane dopo la secessione e in cambio di 10 milioni di dollari, il trattato Hay-Brunau-Varilla concesse agli Stati uniti sia l'uso perpetuo di un canale ancora da costruire e di una zona di 8 chilometri su entrambe le rive, che la "totale sovranità" su questo insieme.
Il seguito è noto (anche se mai troppo bene). Lo stato nello stato, costituito dalla Canal Zone, offende il sentimento nazionale. Come, parimenti, irrita l'arroganza dei "zoniani", i padroni coloniali che vi abitano. Le loro 53 chiese e templi, le loro residenze bianche, confortevoli, circondate da prati ben tagliati e da terreni da golf che non finiscono più, i club per il barbecue e le automobili roboanti si distaccano troppo dalle pidocchiose rovine dei quartieri vicini. Come sopportare questi gringos che lavano i loro bambini con acqua minerale, mentre si vedono i propri morire di disidratazione nelle baracche del quartiere curiosamente chiamato Hollywood, intreccio vischioso di case in legno puzzolenti di spezie e sudore, situato al limite della zona?
Vengono in mente i tempi del generale Omar Torrijos. Arrivato al potere nel 1968 con un colpo di stato che spiazza l'oligarchia, il generale, nazionalista intransigente che si ispirava al colonnello Gamal Abdel Nasser (che era ruscito a nazionalizzare il canale di Suez) e riceveva consigli di prudenza da Fidel Castro, si lancia in una lotta tenace per mettere fine allo statuto coloniale imposto su una parte del paese. A chi vuole ascoltarlo, ama ripetere: "Non voglio entrare nella storia, voglio entrare nella zona del canale" (2). Davanti al Congresso degli Stati uniti, Henri Kissinger prende atto di questa determinazione: "Un blocco dei negoziati con lo stato panamense porterà fatalmente al sorgere di una guerra di guerriglia che renderà molto vulnerabile la via d'acqua".
Malgrado le urla di disappunto del senatore repubblicano Ronald Reagan che nella campagna elettorale del 1976 aveva affermato: "Noi abbiamo costruito il canale, noi l'abbiamo pagato e noi lo conserveremo!" il presidente James Carter firma con Torrijos, il 7 settembre 1977, gli accordi che porteranno il loro nome: "Carter-Torrijos". Prevedono il trasferimento a Panama, il 31 dicembre 1999, della sovranità sulla via d'acqua. E anche l'abbandono progressivo delle basi militari statunitensi insediate nella sua zona di protezione.
Fino alla scadenza del trattato, gli Stati uniti conservano due prerogative: il diritto di far funzionare il canale, disponendo delle acque e dei terreni necessari, e la responsabilità primaria della sua difesa. L'amministrazione della via interoceanica e dei suoi impianti è in mano alla Commissione del canale di Panama, ente pubblico statunitense, che obbedisce alla legislazione degli Stati uniti, diretto da nove membri: cinque statunitensi e quattro panamensi. Tutti sono nominati dalle autorità degli Stati uniti, che dispongono anche del potere di revocarli. Il 31 dicembre prossimo, dopo mezzanotte, questa commissione sarà sostituita dall'Autorità del canale di Panama ormai totalmente panamense. Per i panamensi è una data simbolica: segna l'emancipazione da quasi un secolo di tutela imposta dallo zio Sam.
I gioielli dell'esercito Usa Il sole è già alto quando, alle 7,30 precise, un'automobile bianca della Commissione del canale si ferma vicino agli hangar del porto di Cristobal (costa atlantica). Escono tre uomini, salgono su un'imbarcazione che si dirige verso le 55mila tonnellate di una petroliera. Partita dal Venezuela, viaggia verso la California. Alle 8,15, i tre piloti, saliti a bordo, salutano il comandante della petroliera. Avvisano il coordinatore del porto che stanno per salpare. Alle 8,50, i rimorchiatori Harding e Mehaffrey entrano in scena. Come cani da guardia in postazione a poppa e alla prua a tribordo, dirigono lentamente la nave verso le prime chiuse, quelle di Gatun (3).
Come le 13mila navi che transitano ogni anno (in media 37 al giorno), dopo aver percorso 80 chilometri in 12 ore, la petroliera arriverà all'altro oceano, evitando un'enorme deviazione di 14.800 chilometri lungo le coste del continente sud-americano e il pericoloso stretto di Magellano. Canal Zone, Balboa. Una città che non ha eguali nella regione.
Attorno agli edifici pubblici Balboa High School, Post Office, Railway Station (in disuso e trasformata in centro commerciale), caserma dei pompieri si estendono quartieri di piccole case bianche a uno o due piani, con tetti di tegole rosse. Strade ampie, prati ben tagliati, calma inusuale, tutto suggerisce ordine e precisione. Sulla cima di una collina, l'imponente edificio dell'amministrazione del canale sovrasta l'insieme.
Ancora per pochi giorni, la bandiera a stelle e strisce fiancheggerà la bandiera panamense. All'interno, nel suo ufficio spazioso, Jaime Bocanegra, gestore dell'organismo che amministra la transizione, è cosciente della gravità del compito che attende i suoi concittadini. Tutto il commercio mondiale verrebbe danneggiato da un cattivo funzionamento del canale. Fino ad ora, un'efficienza tutta statunitense ha sovrinteso alla sua gestione. La comunità marittima e commerciale, poco sensibile sia ai grandi dibattiti geopolitici che alla sovranità nazionale panamense, non nasconde di avere timori per l'era post-gringo. "Il canale è una grossissima responsabilità per Panama", ammette Bocanegra. Senza peli sulla lingua, precisa le sue idee: "Abbiamo un po' di paura.
Può essere paragonato al giorno del matrimonio. Si è felici di convolare, ma contemporaneamente si ha qualche timore di fronte alla nuova vita...". Tuttavia, l'ottimismo è di rigore all'appuntamento con la storia: "Lo viviamo come una sfida.
Dimostreremo che siamo all'altezza".
Sul fronte tecnico, le inquietudini sono sicuramente inutili.
Nel 1979, tra il 60 e il 65% dei lavoratori del canale era panamense, mentre i posti di responsabilità erano occupati dagli statunitensi. Vent'anni dopo, l'amministratore (la principale autorità) è panamense, come quasi tutta la struttura esecutiva, amministrativa e tecnica. Tutti i quadri dirigenti di un certo livello sono stati formati negli Stati uniti. Sui 7.929 dipendenti, nel 1998 solo il 6,8% era ancora statunitense alla fine del 1999, non sarà che il 2-3%.
Resta però il fatto che i politici locali non ispirano una fiducia illimitata. Dopo l'arresto del generale Noriega, nel dicembre 1989, i panamensi stessi non sono in vena di scherzare: "I gringos hanno preso Alì Baba, ma ci hanno lasciato i 40 ladroni!". Il canale continuerà a funzionare con la stessa efficienza oppure diventerà una mucca da mungere, ostaggio delle lotte e degli appetiti di bassa politica, a detrimento della manutenzione e del mantenimento (4)? Certo, nel maggio 1996, in occasione di una riunione voluta dall'Onu, le organizzazioni politiche e sociali panamensi hanno promesso di mantenere la via interoceanica al riparo dagli interessi partigiani e settoriali. Anche su questo punto, Bocanegra vuole essere rassicurante: "La legge prevede che in seno al direttorio (junta directiva) dell'Autorità del canale, solo due persone abbiano un legame politico diretto: il presidente, che ha rango di ministro di stato ed è nominato dal presidente della repubblica; e un membro designato dall'Assemblea legislativa. Gli altri nove sono nominati per nove anni. E' una garanzia di indipendenza, hanno una posizione sicura".
Ma non è sfuggito a nessuno che, annunciando la scelta dei direttori che gestiranno il canale a partire dal primo gennaio 2000, il precedente presidente della repubblica, Perez Balladares, ha nominato, tra gli undici membri, quattro persone che fanno parte della sua famiglia e di quella della moglie..."A differenza di stati dove l'amministrazione publica e gli affari sono separati ammette con disgusto Juan Materno qui, c'è confusione di ruoli. Chi dirigerà il canale? I politici. Non è certo il miglior sistema. Da qui nasceranno tutti i nostri problemi". Il personaggio non è un oppositore "primario".
Fondatore, con il generale Torrijos, del Partito rivoluzionario demcratico (Prd) al potere, ha dato le dimissioni durante il periodo Noriega. Da allora non è più tornato al potere, irritato per la corruzione e la deriva neo-liberista.
Fino all'ultimo istante, l'estrema destra conservatrice statunitese si è battuta per impedire la restituzione. Ma inutilmente. Il 1&oord aprile 1999, vicino all'entrata atlantica del canale, la bandiera a stelle e striscie è stata lentamente ammainata su uno dei gioielli dell'Us Army: Fort Sherman. Unico centro di addestramento al combattimento nella giungla dell'esercito statunitense, era talmente esteso da permettere manovre di battaglioni di 500 uomini. Ha permesso la formazione di circa 100mila soldati che, tra l'altro, hanno partecipato alla seconda guerra mondiale sul fronte del Pacifico, alla guerra del Vietnam, alla guerra del Golfo e... all'invasione di Panama. L'8 gennaio 1998, avvenimento altrettanto simbolico, l'ambasciatore degli Stati uniti aveva riconsegnato al ministro degli esteri panamense, Ricardo Arias, la chiave di Quary Heights, quartier generale del Southern Command (Comando sud), sede di tutte le operazioni militari di Washington in America latina.
Quattordici basi, più di 10mila soldati nel 1979. Per difendere il canale? Certamente no. "La presenza degli Stati uniti sul nostro territorio ha sempre avuto lo scopo di proteggere il loro potere militare su tutto il continente" spiega con calma ma senza eccessiva simpatia Daniel Delgado, ex ufficiale della forza di difesa panamense, dissolta dagli Stati uniti dopo l'operazione "Giusta causa", nel 1989. Howard e Albrook (basi aeree), Rodman (marina), Fort Amador e Fort Kobb (brigata di fanteria 193), isola di Galeta (centro di spionaggio continentale)... Per decenni, con la scusa di proteggere la via d'acqua, queste strutture sono state utilizzate come centri per il collaudo di armamenti e tecnologie militari (5), come basi d'appoggio ai colpi di stato, o a operazioni di contro-insurrezione, interventi segreti o meno in Colombia, in Bolivia, a Grenada, in America centrale...
Mentre il 31 dicembre si avvicina, restano a Panama 3600 soldati statunitensi. E qualche problema non risolto nei poligoni di tiro d'Emperador (2.556 ettari), Balboa ovest (3.727 ha) e Pina (2.556 ha). Alla vigilia della partenza, senza rispettare l'articolo IV degli accordi, che obbliga ad "eliminare tutto ciò che potrebbe costituire una minaccia per la vita, la salute e la sicurezza umana", circa un terzo di queste superfici (3.280 ha) contiene munizioni ed esplosivi non disinnescati (6). Il luogotenente colonnello Raynold Hoover, incaricato della neutralizzazione del materiale esplosivo, afferma che un tentativo di ripulire completamente questa zona potrebbe causare danni irreparabili alla flora, alla fauna e alla vita della foresta. Di conseguenza, è Delgado, oggi segretario generale al ministero degli esteri, che sbotta: "Ci parlano di ambiente e pretendono che bisogna proteggere questa magnifica foresta, ma durante 80 anni ci hanno gettato le loro granate e le loro bombe! Non è accettabile. Queste zone devono essere ripulite.
Costituiscono una minaccia per la gente e una limitazione ai progetti che noi vorremmo realizzare in futuro". Washington fa lo gnorri. La pulizia in questione costerebbe 150 milioni di dollari. Ma siamo a Panama, non in California. Là, dopo la chiusura (avviata nel 1998) di 22 basi, nessuno ha protestato per pagare i 2,5 miliardi di dollari necessari per un'operazione analoga (7).
Il paese si prepara a ricevere un saldo di circa 23.074 ettari, 870 installazioni di ogni tipo e i 4mila ultimi alloggi abbandonati dai militari e dai tecnici statunitensi. Alla fine dell'anno, l'ultimo soldato dell' "impero" avrà lasciato Panama. "Sarà una grande festa esulta questa volta Delgado la festa di Bolivar, di José Marti, di Omar Torrijos, di tutti i patrioti latino-americani". Ma allora, come spiegare il disincanto che si legge nei volti di tanti panamensi?
L'uomo abita un quartiere modesto ma per nulla miserabile. Una lieve amarezza incurva le sue labbra. "Lavoravo come cuoco, per 500 dollari al mese, in una mensa militare dei gringos. Quando la base è stata chiusa, ho perso il lavoro. Ne ho per fortuna trovato un altro, nella famosa catena di ristoranti Niko café.
Ma guadagno poco più di 220 dollari. Non posso più pagare l'affitto dell'appartamento". Molti hanno dovuto lasciare il lavoro nelle basi impiegati, giardinieri, lavandaie senza aver poi trovato altro. La partenza dei boys significa inoltre la perdita di una popolazione che godeva di alti stipendi e spendeva senza problemi. I gestori di supermercati e i venditori di automobili sono disperati, le agenzie immobiliari si strappano i capelli: mentre un appartamento in un bel quartiere si affitta a 750 dollari, per un gringo il prezzo sale a 1500.
Hotel e ristoranti sono preoccupati per la scomparsa di turisti di un genere un po' particolare: quegli statunitensi che venivano a trovare i loro amici militari ai bordi del canale esotico. Più di tutti, protestano i taxi, abituati a mance generose... Dal 1995, il malessere era diventato percettibile.
"Sono stati fatti molti studi ricorda Fernando Kant, militante del movimento popolare Papa Egoro (8) e affermano tutti che i panamensi non auspicano la partenza delle basi". Con un sorriso un po' stanco stampato sul volto, riflette a voce alta. "Forse perché siamo stati abituati, durante tutta la nostra vita republicana, a vivere sotto l'ombrello statunitense...". Nel 1995, c'erano ancora 8800 soldati statunitensi nella zona, la cui presenza sosteneva 22mila posti di lavoro e immetteva più di 350 milioni di dollari nell'economia (9). Il Local 907, legato al sindacato statunitense Afl-Cio, e che rappresenta i 3200 dipendenti panamensi delle basi, organizza allora violente campagne sulle conseguenze "drammatiche" della partenza delle truppe nord-americane.Improvvisamente, Panama esita, incapace di dire se auspica di essere totalmente indipendente o rimanere una colonia. Come altrove, "sovranisti" e "collaboratori" si scontrano.
L'occasione è troppo bella. Dall'operazione "Giusta causa", l'argomento di un mantenimento della presenza statunitense dopo il 2000 era ricorrente. Il governo Balladares, che pure era frutto del Prd, partito di tradizione anti-imperialista, vedeva di buon occhio che gli Stati uniti mantenessero alcune strutture (a condizione che non fossero troppo visibili!). Dal canto suo il Pentagono, anche se le condizioni geopolitiche sono cambiate le guerriglie centro-americane si sono trasformate in partiti social-democratici e siedono nei rispettivi parlamenti vorrebbe conservare qualche struttura destinata all'addestramento per il combattimento nella giungla, per il quale topografia e flora di Panama sono perfette. Inoltre, anche se non è indispensabile, questo insediamento facilita la presenza e le capacità operative nella regione.
Nati da un accordo informale tra il ministro degli esteri panamense, Gabriel Lewis Galindo, e l'ambasciatore degli Stati uniti a Panama, William J.Hughes, contatti vengono avviati in occasione della visita di Perez Balladares a Washington nel settembre 1995. Violando apertamente gli accordi Carter-Torrijos, proseguono per due anni. In gran segreto. In cambio di un affitto annuale e dell'entrata nell'Accordo di libero scambio nord-americano (Nafta), il governo panamense è pronto a permettere che gli Stati uniti conservino le basi di Howard, Sherman, Rodman e dell'isola di Galeta. Il 23 dicembre 1997, i due governi ammettono che un accordo è stato concluso e che mancano solo le firme. Per coprire l'operazione, sarà creato un Centro multilaterale anti-droga (Cma), centro civile di 2mila... militari, al quale avranno accesso altri paesi latino-americani (Messico, Colombia, Brasile, Perù ecc.).
Dalla Cina il nuovo "pericolo rosso"?
"Da quanto abbiamo potuto sapere racconta John Evans con l'estrema circospezione di un direttore esecutivo al ministero degli esteri (panamense) i contatti sono stati a un certo punto sospesi. Ogni processo di questa natura implica sforzi da entrambe le parti, ma sembra che questa volontà non sia esista". L'allora presidente Balladares deve far fronte alla virulenta opposizione di coloro che non hanno rinnegato Torrijos, e subisce una cocente sconfitta al referendum, organizzato il 30 agosto 1998, per riformare la Costituzione che impedisce la rielezione immediata e un secondo mandato. Gli Stati uniti, dal canto loro, malgrado tutto l'interesse per l'operazione, sono molto rancorosi. Dopo anni di pressioni panamensi per forzarli a ritirarsi, escludono di pagare, per le future basi, un affitto qualunque: la presenza del Cma rappresenterà, in sé, un apporto economico sufficiente.
Ma la costruzione traballa definitivamente quando viene reso pubblico l'articolo A del trattato di negoziato: prevede l'uso delle basi per combattere i "delitti connessi". Si tratta, nei fatti, della possibilità di realizzare azioni di contro-insurrezione. Nella più pura tradizione! "Non poteva essere accettato sostiene a posteriori Eduardo Morgan, ex ambasciatore di Panama a Washington né da noi né dagli altri paesi della regione. Si trattava di una base mascherata".
D'altronde, conferma un osservatore ben informato, né Washington né Panama hanno mai ricevuto l'appoggio dei paesi che avrebbero dovuto far parte del Cma (fatta eccezione per il Perù): "I messicani hanno detto: già soffriamo abbastanza per l'interventismo statunitense; i brasiliani, idem; la Colombia avrebbe accettato a condizione che fosse controllato anche il traffico di armi...". Il presidente Clinton non insiste. Non ha nulla da guadagnare ad apparire come "colui che rimette in questione i trattati". Legalmente, gli Stati uniti sono tenuti a rispettare la parola data, e la scena internazionale è sufficientemente mutata perché possano rinunciare a questa presenza a sud del Rio Grande, senza correre grandi rischi (10). I negoziati sono stati interrotti nel settembre 1998.
I gringos se ne vanno. I panamensi sognavano una retrocessione grandiosa, una riappropriazione magnifica, il popolo che invadeva la zona finalmente sua. Assistono invece alla sua precipitosa privatizzazione, sotto l'egida di un ente autonomo statale, l'Autorità della regione interoceanica (Ari).
Tuttavia, in un primo tempo, chi oserebbe non essere contento?
Qui, sulle rive del lago Gatun, in un diluvio di colpi di martello e di rumore delle betoniere, la tristemente famosa Scuola delle Americhe che ha addestrato alla lotta anti-sovversiva generazioni di torturatori e decine di migliaia di ufficiali latino-americani si sta trasformando in un hotel (spagnolo) di 250 camere, dotato di tre ristoranti, di varie piscine e di una marina. Là, il cantiere di demolizione di Fort Amador lascerà il posto a un complesso alberghiero di un consorzio americano-coreano. Sulla vecchia base di Albrook si insedieranno presto dei pensionati statunitensi che hanno deciso di trascorrere la terza età nei 146 appartamenti comprati dalla Comunità dei pensionati del canale per 6 milioni di dollari...
Nel settembre 1998, Nicolas Ardito Barletta, direttore dell'Ari (nonché vice-presidente della Banca Mondiale ed ex presidente della repubblica) calcolava che circa 7mila edifici e altre strutture, per un valore di circa 4 miliardi di dollari, sarebbero stati venduti a privati, in maggioranza stranieri.
Panama ha tutte le carte per trasformarsi in un grande centro di passaggio, con una clientela obbligata di 13mila navi di grande tonnellaggio che attraversano il canale e restano in media 24 ore nelle sue acque. Nel settore atlantico, vicino alla zona libera di Colon (Zlc), il Manzanillo International Terminal (Mit) è stato inaugurato sul terreno dove sorgevano le vecchie strutture dell'Us Navy a Coco Solo (11). Nell'agosto 1996, la compagnia di Hong Kong, Hutchison Port Holding (Hph) ha avuto la concessione di due tra i più importanti porti, Cristobal e Balboa, situati alle due estremità della via d'acqua. Il terminal di containers di Colon, attribuito alla compagnia taiwanese Evergreen e a un socio locale, ha cominciato l'attività nell'ottobre del 1997. L'insieme Balboa, Cristobal, Manzanillo, un tempo bloccati dalla presenza di basi marittime statunitensi, può trattare più di un milione di container l'anno e spera di raddoppiare la quantità nel 2000. Cosa chiedere di più?
"C'è una grande frustrazione. risponde indirettamente Magaly Castillo, dell'organizzazione Giustizia e Pace, all'ombra (in senso proprio e figurato) della chiesa cattolica Questa zona del canale per la quale si è tanto lottato, non è ancora possibile sfiorarla. Guardi il cerro Ancorn (a Balboa), oggi è un'enclave di diplomatici, di stranieri e di membri delle classi privilegiate dove non si può entrare. Mai un appartenente alla classe media potrà risiedere là. Per non parlare del popolo...". Il prezzo di vendita medio degli alloggi recuperati oscilla tra i 30mila e i 35mila dollari. Soltanto un'élite intenzionata a lasciare una capitale congestionata può occupare questo nuovo (e vecchio) quartiere residenziale. Nelle case più belle, e al termine di concessioni dirette e molto poco legali, alcuni membri del governo hanno sistemato le loro famiglie.
Quanto al modello di sviluppo prefigurato (12), nessuno potrebbe giurare che sia realizzabile. A cominciare dal turismo, che è al primo posto con decine di progetti ambiziosi. I più fiduciosi sono entusiasti: "Decine di navi da crociera passano per il canale e non si fermano. E' un turismo obbligato. Potrebbero fare scalo qui. Conoscete gli amanti di questo tipo di crociere: sono al 90% statunitensi che si abbuffano di pop-corn e gelati tutto il giorno, che scendono a terra per comprare tee-shirt o giocare al casinò. C'è un progetto a Colon, potranno visitare la zona libera, fare acquisti in duty free, passare la notte in un nuovo hotel ecologico, andare a vedere gli uccelli...". Gli scettici alzano le spalle, abbattuti: "In questi viaggi, portano tutto con sé, persino l'acqua minerale! Nella baia di Panama ci sono 300mila litri di residui umani! Come pensare che questa gente vada a fare il bagno in un'acqua del genere? Non li vedo scendere dalla nave per comprare gli oggetti fatti dagli indios. L'ecoturismo a Gamboa? Quel tipo di turista non ama dormire su un'amaca e toccare gli animali. E come si può fare un golf di 18 buche in un caldo del genere!...".
Stesse riserve di fronte all'ambizione di fare di Panama un centro marittimo di importanza mondiale e di puntare tutto sullo sviluppo degli scambi e della globalizzazione. Anche se non ha avuto effetti drammatici su Panama, la recente crisi asiatica ha creato inquietudine. In primo luogo nella Zlc: i prodotti made in Asia hanno continuato ad affluire, ma la ri-esportazione ha posto dei problemi: grandi paesi come la Colombia, il Venezuela e il Brasile hanno ridotto drasticamente gli acquisti.
Quanto al terzo aspetto della riconversione, fa digrignare i denti a coloro che sentono i poteri pubblici pretendere di voler fare del paese la Singapore delle Americhe. Quando viene affermato che i 20mila posti di lavoro previsti a medio termine rimpiazzeranno ampiamente quelli persi per la chiusura delle basi, nessuno può trattenersi dal chiedere: "Ma con quali salari? Se sono quelli delle maquiladoras (13), lo sfruttamento e la povertà aumenteranno". Infatti, sono alcune maquiladoras asiatiche che hanno occupato la vecchia base di Davis. Una dozzina di imprese di Taiwan dello stesso tipo sono attese in tre future zone industriali.
Nel frattempo, il resto del paese, definitivamente escluso da questo valzer di milioni di dollari, resta in stato di abbandono.
Lo "zio Chang" sostituisce lo "zio Sam"! E il canale finisce nelle mani dei "rossi"! I due importanti porti di Cristobal e di Balboa non sono forse stati attribuiti a un'impresa di Hong Kong? E la stessa Hong Kong non è tornata nel girone della Cina? Non si è dovuto aspettare molto perché gli ultraconservatori statunitensi tornassero all'offensiva. La Hutchison è legata alla Cina comunista e al suo esercito. Pechino cerca di fare con Panama ciò che l'Unione sovietica ha fatto con Cuba! Questa postazione economica potrebbe un giorno trasformarsi in postazione militare... Rapporto di causa ed effetto? Appena qualche settimana dopo l'elezione alla presidenza della repubblica della candidata dell'opposizione, Mireya Moscoso (il 2 maggio 1999) (14), il generale Charles Wilheilm, capo del Southern Command, ha messo pubblicamente in dubbio la capacità di Panama di garantire la sicurezza del canale (e lo sa bene: sono gli Stati uniti che, dopo l'intervento del 1989, ne hanno dissolto l'esercito!). Il 22 giugno a Washington, davanti alla Commissione per le relazioni estere del Senato, ha spiegato che la forza pubblica panamense "non è né attrezzata né organizzata" (15) per affrontare le incursioni dei "gruppi irregolari colombiani" (leggi: la guerriglia) che operano alla frontiera e che dunque il funzionamento della via d'acqua rischia di essere danneggiato dopo la partenza dei 3mila ultimi soldati statunitensi.
Evidentemente, non abbiamo ancora finito di sentir parlare della necessità di basi statunitensi a Panama. Si parla meno del trattato di neutralità firmato tra i due paesi contemporaneamente agli accordi Carter-Torrijos. Permette agli Stati uniti di intervenire unilateralmente, dopo la fine del 1999, se ritengono che la neutralità del canale sia in pericolo. Chi ha detto che il 31 dicembre Panama ritroverà la sua sovranità?



note:


(1) 350mila lire circa.

(2) Riportato da Graham Greene, A la rencontre du général, Robert Laffont, Parigi, 1984.

(3) Le chiuse di Gatun permettono di alzare le navi a 26,5 metri al di sopra del livello del mare. Quelle di Miraflores, sul lato del Pacifico, permettono, in quindici minuti, di alzare le navi di più di nove metri.

(4) Attualmente, dopo un pagamento annuale di 109 milioni di dollari allo stato panamense, i pedaggi percepiti (750 milioni di dollari) assicurano l'equilibrio di bilancio del canale. A partire dal 2000, Panama sarà libero di gestire il bilancio globale come meglio crede e di fare profitti sulle operazioni.

(5) Nel 1993, la base di Rodman accolse 70 proiettili all'uranio impoverito per sottoporli a una valutazione in clima tropicale.

(6) Queste aree contengono poligoni di tiro (armi corte e fucili), campi di tiro (mortai e cannoni) e zone di bombardamento aereo.

(7) "Limpieza de las bases militares es un problema que necesita solucion", El Panama-America, 10 gennaio 1995.

(8) Rappresentante dei settori popolari, indigeni, ecologisti, fondato nel 1995 dal cantante di salsa Ruben Blades.

(9) Nel 1998, le basi militari impiegavano ancora duemila panamensi e i loro acquisti in beni e servizi ammontavano a 140 milioni di dollari. Se si tiene conto degli effetti moltiplicatori, è evidente che il ritiro statunitense potrebbe costare 350 milioni di dollari, cioè un ammontare compreso tra il 3 e il 4% del prodotto interno lordo (Nord-Sud Export, Parigi, 29 maggio 1999).

(10) Il centro anti-droga potrebbe essere stabilito in Ecuador, in Honduras, nelle isole dei Caraibi di Aruba o Curaçao, a Guantanamo (Cuba) o sulla base navale Roosevelt's Road, a Porto Rico.

(11) Il gruppo statunitense Stevedoring Services of the America (Ssa) vi ha investito 210 milioni di dollari.

(12) E' un consorzio americano-panamense Intercarib Sa/Nathan Associates Inc. nel quale gli interessi statunitensi erano maggioritari, che ha realizzato per l'Ari il piano generale e il piano regionale di questa riconversione.

(13) Fabbriche di subappalto che, attraverso incentivi fiscali e una revisione al ribasso del diritto del lavoro, poggiano sullo sfruttamento intensivo (per non dire scandaloso) della manodopera. Cfr. "In Centroamerica fra gli ostaggi delle maquilas", Le Monde diplomatique/il manifesto, marzo 1998.

(14) Mireya Moscoso (Partito arnulfista e vedova del dittatore Arnulfo Arias) ha vinto con il 44% dei suffragi, davanti a Martin Torrijos, il figlio del generale (Prd), con il 38% dei voti, e al banchiere Alberto Vallarino, 17%.

(15) El Nuevo Herald, Miami, 24 giugno 1999.
(Traduzione di A.M.M.)

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nazionalizzata la Venepal sotto il controllo operaio!
by Comitato "Giù le mani dal Venezuela" Monday, Feb. 14, 2005 at 10:27 PM mail: guilemanidalvenezuela@yahoo.it

La mattina del 19 gennaio 2005, nella Sala Ayacucho del Palazzo Presidenziale a Caracas, alla presenza dei lavoratori e dei dirigenti sindacali della Venepal, Chavez ha firmato il decreto 3438 con il quale si sancisce l’esproprio della Venepal. Si tratta di una vittoria per i lavoratori della Venepal, ma il fatto più importante è che costituisce un importante passo in avanti per la rivoluzione bolivariana.

Al suo apice, la Venepal impiegava 1.600 lavoratori, controllava il 40% del mercato nazionale, ed era uno dei principali produttori di carta di tutto il Sudamerica. Nell’aprile del 2002, durante il golpe contro Chavez, alcuni dei suoi principali azionisti erano presenti alla cerimonia d’insediamento del “presidente” illegittimo Pedro Carmona. Durante la serrata padronale del dicembre 2002 - gennaio 2003, i lavoratori della Venepal resistettero ai tentativi fatti dal padronato di bloccare anche quella fabbrica.

Nel luglio 2003, i padroni dichiararono fallimento. La risposta non si fece attendere: gli operai occuparono la fabbrica e continuarono a produrre sotto il controllo operaio. Rowan Jimenez, un attivista del sindacato e membro del comitato d’azione, raccontava come, durante l’occupazione “i lavoratori organizzavano la produzione, sbriciolando ogni record precedente di produttività e riducendo gli sprechi ed i colli di bottiglia ad un minimo mai visto in precedenza”.

Dopo 77 giorni di lotta si giunse ad un accordo instabile, che infatti non durò molto. Il 7 settembre dell’anno scorso, l’azienda cessò la produzione di nuovo ed i lavoratori ripresero la lotta.

Sin dall’inizio i lavoratori, memori dell’esperienza precedente, appoggiarono la rivendicazione della nazionalizzazione dell’azienda sotto il controllo operaio.

Alla fine, dopo mesi di lotta, il 13 gennaio, alla presenza di una delegazione di lavoratori della Venepal, che vi si erano recati chiedendo a gran voce una soluzione, l’Assemblea Nazionale ha dichiarato la Venepal ed i suoi impianti azienda di “pubblica utilità ed interesse sociale”, il primo passo per permettere a Chavez di firmare il decreto 3438.

Questo è il risultato della lotta e della determinazione dei lavoratori della Venepal che hanno dimostrato grande coscienza di classe, cercando sempre l’appoggio della comunità locale alla loro lotta.

Non c’è dubbio alcuno che questo sia un significativo passo avanti nella giusta direzione, ma necessariamente l’appello deve estendersi agli altri settori dell’economia che ancora languono sotto il controllo dei monopoli e degli imperialisti. Tra questi ci sono il settore bancario (di fatto un duopolio di due istituti spagnoli), le telecomunicazioni (controllate da multinazionali USA), la grande distribuzione (nelle mani di un paio di noti golpisti).

Questo passo è imprescindibile, e come nel caso della Venepal va fatto sotto il controllo operaio. In questo modo tutta l’economia potrà essere pianificata a beneficio della stragrande maggioranza dei lavoratori e di tutta la popolazione. Questo è l’unico modo per garantire la vittoria finale della rivoluzione.

Il controllo operaio e la gestione delle fabbriche da parte degli operai, se dovessero rimanere isolati in poche realtà non potrebbero, alla lunga, risolvere i problemi creati dal capitalismo.

Attraverso la sua esperienza, la rivoluzione bolivariana si è lanciata contro il muro del capitalismo. Ora deve distruggerlo e muovere verso un economia socialista pianificata democraticamente che sconfigga definitivamente la povertà.

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abbasso gli usa
by usa caduti in basso Thursday, Feb. 17, 2005 at 3:36 PM mail:

abbasso gli usa

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