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La guerra sul treno della crisi petrolifera
by IMC Italy Thursday, Aug. 22, 2002 at 1:22 PM mail:

Intervista. Parla l'esperto Onu Alberto Di Fazio di Francesco Piccioni

Qual è il peso del petrolio nel riprodursi ravvicinato di situazioni di guerra? Per rispondere bisogna conosconere i dati su disponibilità a livello globale, ritmi di estrazione, nuove scoperte, crescita dei consumi, reti di oleodotti, ecc. Siamo andati perciò a sentire il prof. Alberto Di Fazio, da sei anni al lavoro col programma dell'Igbp (International Geosphere-Biosphere Programme) dell'Onu, responsabile del progetto Gaim (Global Analysis, Integration and Modelling), appena nominato nella Commissione nazionale di coordinamento con l'Igbp.

Domanda 1: I vostri studi hanno elaborato una tesi "forte": ci troviamo in prossimità del picco della produzione di petrolio. A circa 10 anni. Le stime ottimistiche arrivano a 20, le minime a 5. Quelle dell'Iea (International Energy Agency), parlano del 2013.

Esiste una certa diffidenza verso le visioni "catastrofiste", scottati forse dalle previsioni degli anni '70, mche davano il petrolio per finito nel 2000. Ma non è vero! Beyond the mlimits prevedeva che verso il 2010-2020 ci sarebbero state delle crisi sistemiche provocate dallo sviluppo mesponenziale congiunto della produzione industriale e della popolazione mmondiale. E dopo 21 anni, nel '92, le previsioni risultavano confermate. Si tratta di un calcolo basato su grandezze puramente fisiche ed economiche. Quindi siamo vicini al "massimo della produzione", non all'"esaurimento". Quando si scopre un pozzo, lo si trivella, si comincia a pompare, e si aumenta la produzione in funzione della domanda, crescente. Prima che finisca, però, ci si ferma. Se, per tirar fuori un barile, occorre più energia di quella che un barile può dare, il pozzo chiude. Non è un problema economico, ma energetico. Stiamo parlando di un "massimo geologico", che viene raggiunto quando la giacenza è circa il 50-55% del valore iniziale. Non significa che "non c'è più petrolio", ma che la produzione non risponde più alla domanda.

Domanda 2: La tecnologia non aiuta?

La tecnologia migliora il rendimento della produzione. Oggi si pompa più rapidamente di prima, e troviamoespedienti tecnologici per andare in quella cavità orizzontale prima irrangiungibile, pompiamo vapore acqueo a 900. Ma più di quello che c'è, non se ne può tirar fuori. E' matematica. Raggiunto il massimo la produzione comincia a calare.

Domanda 3: Quel che resta è irrecuperabile?

Certo. La giacenza residua dipende dalla conformazione geologica del giacimento e varia tra il 20 e il 40%. Il massimo produttivo, invece, lo si raggiunge, in media, quando la giacenza è a metà.

Domanda 4: Sono ipotizzabili tecnologie che permettano di ramazzare anche quel 20-40% considerato irrangiungibile?

No. Esistono leggi fisiche: la massa per ml'accelerazione di gravità, per l'altezza. Più vado in profondità, più energia ci vuole. Dipende dalla legge di gravità, non dalla tecnologia. Questa permette di utilizzare una legge fisica a proprio vantaggio, ma solo fino al limite della legge naturale. Non è che questa penna possa cadere all'insù. Questa è la storia di un singolo pozzo. Quando un pozzo raggiunge lo stato di crisi, il sistema umano va avanti lo stesso. Gli americani hanno fatto due guerre mondiali pompando petrolio da nuovi pozzi. Ma è arrivato il giorno fatale, nel 1970, in cui la somma dei pozzi che chiudevano e quelli che venivano aperti era tale da segnare il massimo della produzione Usa. Da allora la loro produzione è in discesa. Sono il paese più potente e possono decidere e imporre certi rapporti all'Arabia saudita, o all'Iraq. Hanno sostenuto la propria crescita pompando a casa loro. Ma quando il problema del "picco massimo" si ripropone a livello globale, allora non c'è più nulla da fare. Posso bombardare o corrompere chi voglio, ma di petrolio ne esce sempre di meno.

Domanda 5: Dagli anni '70 cosa è cambiato?

L'occidente ha reagito allo shock del '73 sapendo di poter gestire soltanto il 20% delle riserve totali. Ma si sono detti: "pompiamo di più". Hanno avuto la fortuna di trovare il petrolio nel mare del Nord, anche se a livello globale contava poco. Per l'Inghilterra e la Norvegia era una ricchezza, e ha permesso alla Tatcher di distruggere i minatori e di non dipendere dall'Opec. Però nel 2000 hanno raggiunto il picco massimo. Ora stanno mantenendo la produzione iniettando vapore, ma più la tieni alta, più presto si raggiunge il rapporto negativo tra energia impiegata e quella estratta. E qui succede il patatrac. La parte economicamente e militarmente dominante del mondo non può sopravvivere a un'economia in stagnazione. Figuriamoci con un'economia in contrazione. Ecco perché a quel punto si manifesta la crisi. Quello che i paesi più forti possono fare è spostare la propria crisi un po' più in là. Ad esempio conquistando il Medio oriente e monopolizzando il petrolio per le proprie necessità. Ma questo significherebbe guerra con tutti. E' uno scenario drastico. Non bisogna far l'errore di credere che questa sia una crisi come le altre, dove gli Stati uniti scaricano un po' di bombe sugli altri paesi e poi si riparte. Prima potevano pompare petrolio sul proprio territorio, costruire navi, aerei e cannoni e andare a fare la guerra altrove. Per fare navi e cannoni serve energia, mica si possono fare con Internet.

Domanda 6: Si potrebbe rispolverare il nucleare.

Certo, e Bush lo ha già proposto. Ma, se si vuole coprire col nucleare il 30% del fabbisogno energetico attuale (anziché il 3%), bisogna costruire 5.350 centrali. E scordarsi la crescita economica. In ogni caso con il nucleare si può far muovere il motore delle portaerei (nemmeno di tutte le navi), ma bisogna costruirle, lavorare l'acciaio. Le fonderie non vanno a energia elettrica.

Domanda 7: Con il carbone.

Sì, ma si torna indietro, al ciclo industriale precedente. A quel punto va in crisi anche la potenza militare.

Domanda 8: Negli ultimi 10 anni le riserve globali sono rimaste stabili. E' possibile pensare a scoperte di giacimenti che mutino il quadro? Si parla del Caspio, di Tengiz, dell'Afghanistan necessario per far passare gli oleodotti.

Quello del Caspio ammonta a meno del 3% delle riserve mondiali. E' rilevante per gli stati che ce l'hanno, e per le compagnie che otterranno i diritti di sfruttamento. Ma se ci aspettiamo un picco da qui a 10 anni, il Caspio lo sposta di appena tre mesi. Se scoprissimo un giacimento pari a tutta l'Arabia saudita, più l'Iraq e l'Iran, il picco andrebbe a 20 anni.

Domanda 9: Ed è possibile?

Basta vedere la curva delle scoperte petrolifere. Anche qui c'è un massimo, raggiunto negli anni '60. La probabilità cala man mano che si va avanti nel tempo. Per ogni barile scoperto, intanto, ne consumiamo quattro.

Domanda 10: Non ci sono regioni ancora "vergini"?

Le uniche regioni rimaste, di grande volume, sono a profondità oceaniche. Ma al di sotto dei duemila metri di profondità, a parte i problemi di ancoraggio delle piattaforme (sotto i 1.500 metri non ci va nnessuno), c'è il problema della pressione piezometrica: maggiore è la profondità, maggiore è il lavoro che devo fare, più energia serve. E' un fatto fisico. Per questo nessuno pensa a pozzi sotto 5.000 metri d'acqua: è energeticamente sconveniente. E così al Polo, o nell'Antartico. Tutte le terre emerse sono state esplorate, con i satelliti o direttamente. Gli Usa hanno speso il 51% in più per le prospezioni, negli ultimi 20 anni. Ma le scoperte calano. Le possibilità di una scoperta colossale sono insomma minime, e cambierebbe poco nel tempo-scala. Altrimenti il governo Usa non avrebbe sfiorato la crisi politica per andare a trivellare in Alaska, per un giacimento che equivale a otto mesi del loro consumo interno.

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