Almanacco dei misteri d' Italia
Mino Pecorelli le notizie del 2003 12 febbraio 2003 - PECORELLI: "L'UNITA'" ANTICIPA MOTIVAZIONI SENTENZA ANSA: "Non puo' sorgere alcun dubbio in ordine alla responsabilita' penale di Gaetano Badalamenti quale organizzatore" dell' omicidio del giornalista Mino Pecorelli "e di Giulio Andreotti quale mandante". Cosi' i giudici di Perugia motivano, secondo quanto riportato oggi dal quotidiano l' Unita', la condanna a 24 anni di reclusione inflitta dalla Corte d' appello al senatore a vita lo scorso 17 novembre. A proposito dei rapporti i cugini Salvo ed Andreotti nelle motivazioni della sentenza, sempre secondo quanto pubblicato dal quotidiano, i giudici scrivono che essi "erano tali da consentire" al senatore "di chiedere ai primi l' eliminazione dello scomodo Pecorelli". E secondo i magistrati perugini furono proprio i cugini Salvo ad intercedere presso Badalamenti e Bontate ("gli amici piu' intimi che avevano i Salvo, secondo quanto ha riferito Buscetta") per la realizzazione dell' omicidio. "Secondo quanto Bontate e Badalamenti ebbero a riferire a Buscetta - scrivono sempre i giudici perugini, secondo l' Unita' - Pecorelli dava fastidio all' on. Andreotti perche' attentava attraverso ricatti alla sua vita politica". E "tali circostanze costituivano per Andreotti un valido movente per volere l' eliminazione del giornalista".
E' attesa a Perugia per le motivazioni della condanna a 24 anni di reclusione inflitta in secondo grado a Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti per l' omicidio di Mino Pecorelli e non ancora depositate nella cancelleria della Corte d' appello. Stamani sono stati diversi gli avvocati del capoluogo umbro, componenti dei collegi difensivi dei sei imputati, che si sono recati negli uffici di piazza Matteotti per chiedere informazioni dopo la pubblicazione di un articolo sull' Unita'. Chiuso nel suo ufficio e' rimasto per tutta la mattina Gabriele Lino Verrina, che aveva presieduto la Corte d' assise d' appello. Il giudice non voluto incontrare i giornalisti che lo attendevano. Lo stesso ha fatto il presidente della Corte d' appello di Perugia. Assente, invece, il giudice a latere Maurizio Muscato, estensore delle motivazioni (il termine per il loro deposito scade sabato prossimo). Per l' omicidio di Mino Pecorelli la Corte d' assise d' appello di Perugia, il 17 novembre scorso, aveva condannato a 24 anni di reclusione Andreotti e Badalamenti come presunti mandanti. Confermate invece le assoluzioni per gli altri imputati, Claudio Vitalone, Giuseppe Calo', Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera. Tutti e sei erano stati assolti con formula piena dai giudici di primo grado il 24 settembre del 1999.
Sta valutando le iniziative da prendere al riguardo il procuratore della Repubblica di Perugia Nicola Miriano dopo la pubblicazione su un quotidiano di parte delle motivazioni della sentenza d' appello del processo per l' omicidio di Mino Pecorelli non ancora depositate. "Se ci sono state responsabilita' le accerteremo", si e' limitato a dire il magistrato. Di "fatto gravissimo" parlano anche i difensori di Giulio Andreotti, gli avvocati Giulia Bongiorno, Franco Coppi e Giovanni Bellini. In mattinata i legali hanno ottenuto dalla cancelleria della Corte d' appello una certificazione con la quale e' stato attestato che alle 12.30 le motivazioni non erano state ancora depositate. "Il presidente Andreotti - ha detto l' avvocato Bongiorno - si e' accollato una condanna a 24 anni di reclusione senza fiatare e ha sempre tenuto un comportamento processuale irreprensibile. A tutto questo si replica violando nei suoi confronti i piu' banali principi di correttezza". "Qualcuno dovra' dare delle spiegazioni" ha detto invece l' avvocato Bellini. Di fatto "che lascia perplessi" parla anche l' avvocato Walter Biscotti, componente del collegio difensivo di Giuseppe Calo'.
13 febbraio 2003 - PECORELLI: DEPOSITATE MOTIVAZIONI SENTENZA APPELLO "Il Nuovo" "Andreotti fu l'ideatore del delitto Pecorelli" Depositate le motivazioni della sentenza che ha condannato il senatore a vita a 24 anni di reclusione per l'omicidio del giornalista. "Aveva un forte interesse a che Pecorelli non pubblicasse certe notizie". PERUGIA - "E' stato l'ideatore dell'omicidio Pecorelli". E' per questo motivo che i giudici della Corte d'Appello di Perugia hanno condannato, a 24 anni di carcere il senatore a vita Giulio Andreotti. Lo hanno spiegato il presidente Gabriele Verrina e il giudice relatore Maurizio Muscato nelle motivazioni della sentenza, depositate alla cancelleria penale della Corte. I giudici ritengono che il movente del delitto sia da collegare all'attività del giornalista. "Andreotti - si legge ancora nelle motivazioni - aveva un forte interesse a che Pecorelli non pubblicasse certe notizie scottanti o le pubblicasse comunque in maniera addolcita". La corte spiega di aver dato una "insuperabile valenza probatoria" alle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, che ha detto di aver ricevuto da Badalamenti e Bontate "confidenze" in merito al delitto. "L'omicidio - ha detto Buscetta ed hanno ripetuto i giudici - era stato organizzato da Bontate e Badalamenti". "Il movente - sempre secondo Buscetta - era individuabile nell'attività di giornalista che Carmine Pecorelli svolgeva in collaborazione con il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e che era riferibile a documenti segreti provenienti da Aldo Moro o, comunque, riguardanti il caso Moro". "Se Bontate e Badalamenti - sostengono i giudici - hanno programmato di eliminare lo scomodo giornalista in uno scenario politico alquanto torbido, lo hanno fatto a seguito di un'esplicita richiesta di un'entità politica riconducibile all'imputato Andreotti". "Ciò - continuano - appare evidente, se si considera che il sistema mafioso è un sistema complesso, esteso, resistente, che ha i suoi referenti anche e soprattutto nei partiti". "L'omicidio Pecorelli - concludono - è stato un delitto che ha avuto come movente il mandante politico, che è stato solo organizzato ed eseguito da esponenti della mafia, perchè intorno all'eliminazione di Pecorelli confluivano, per modo diretto, interessi politici e criminali legati da un comune filo conduttore". La Corte d'assise d'Appello di Perugia condannò il 17 novembre scorso Giulio Andreotti e il boss mafioso Gaetano Badalamenti per l'omicidio di Mino Pecorelli, direttore di Op. Il delitto avvenne il 20 marzo del 1979. La sentenza ha in parte ribaltato quella di primo grado, che assolse tutti gli imputati: il senatore Andreotti, i mafiosi Badalamenti, Calò e La Barbera e l'estremista neo fascista Carminati.
14 febbraio 2003 - MOTIVAZIONI SENTENZA PECORELLI: DAI GIORNALI "Il Corriere della sera" "Delitto Pecorelli, Andreotti fu l'ideatore" Le motivazioni della condanna in 368 pagine: "Consenso tacito" sull'omicidio. Il senatore: "Ma è uno scherzo..." ROMA - Giulio Andreotti è stato l'"ideatore" dell'omicidio del giornalista Carmine Pecorelli. E, malgrado non ci sia la prova diretta che il senatore a vita lo commissionò alla mafia, la sua "partecipazione al delitto ha sicuramente assunto la forma del consenso tacito". E' questo il passaggio principale della motivazione con cui la Corte d'assise d'appello di Perugia, ribaltando l'esito del processo di primo grado e ritenendo pienamente credibili le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta, ha condannato il 17 novembre scorso a 24 anni di carcere l'ex esponente democristiano e il boss mafioso Gaetano Badalamenti, indicati dagli inquirenti come i mandanti dell'assassinio del direttore della rivista "OP" avvenuto a Roma il 20 marzo del '79. I giudici hanno invece confermato la precedente assoluzione degli altri imputati: l'ex ministro e attuale magistrato Claudio Vitalone, il cassiere di Cosa nostra Pippo Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati, presunto estremista di destra legato all'organizzazione criminale romana della banda della Magliana. LE REAZIONI - "Ma è uno scherzo...", ha detto Andreotti, costretto a letto dall'influenza, ai suoi avvocati Franco Coppi e Giulia Bongiorno quando gli hanno letto i brani delle 368 pagine della sentenza che lo riguardavano. "I giudici hanno affermato un nuovo principio che lascia attoniti: Andreotti non poteva non uccidere Pecorelli", hanno osservato amaramente i difensori. Che ricorreranno in Cassazione entro la fine del mese: "Presenteremo un'istanza per chiedere che il processo venga discusso il prima possibile", hanno annunciato, lasciando intendere che, secondo loro, l'unica strada percorribile per i Supremi Giudici è quella di annullare la sentenza emessa dal collegio presieduto da Lino Verrina. Decisione che, peraltro, sarebbe stata adottata non all'unanimità e al termine di una camera di consiglio molto tesa. "La motivazione è un atto di fede incondizionato nei confronti di Buscetta", è stata l'accusa dell'avvocato di Badalamenti, Silvia Egidi. Mentre per il legale della famiglia Pecorelli, Claudio Ferrazza, "la sentenza d'appello corregge un errore marchiano del primo grado". L'OMICIDIO - Secondo i giudici del capoluogo umbro, il "movente del delitto è collegato eziologicamente all'attività del giornalista". Per quale motivo Andreotti sarebbe stato l'"ideatore" dell'agguato? Per la Corte, gli articoli sugli scandali Sindona, Italcasse e la cosiddetta vicenda degli "Assegni del Presidente" ma, soprattutto, la possibilità che Pecorelli venisse in possesso di una parte inedita del memoriale di Aldo Moro potevano creare problemi alla carriera politica di Andreotti. Nella motivazione della sentenza viene spiegato che "la mafia non aveva alcun interesse a uccidere Pecorelli in un contesto geografico ben lontano dalla Sicilia" mentre "tale interesse era ed è rinvenibile in capo ad Andreotti". Ma come viene giustificata la condanna del senatore a vita in mancanza di prove? "E' persona estremamente prudente, che ha sempre cercato di non esporsi direttamente tanto che, in casi molto meno gravi di un omicidio, ha fatto ricorso a intermediari per far conoscere i suoi desiderata", sostengono i componenti del collegio, sottolineando la "prova logica", da loro reputata "convincente e persuasiva", del "consenso tacito" al coinvolgimento di Andreotti (a cui, come per Badalamenti, sono state concesse le attenuanti per "l'età avanzata") nel delitto. BUSCETTA - "L'omicidio di Pecorelli è stato commesso nell'"interesse" di Andreotti", ha raccontato ai magistrati il pentito morto nell'aprile del 2000, dicendo di averlo saputo da Badalamenti e da Stefano Bontade. Nella ricostruzione della Corte, tra gli organizzatori del delitto ci furono anche i cugini mafiosi Nino e Ignazio Salvo. E "non è pensabile - si legge nelle motivazioni della condanna del senatore a vita - che essi abbiano realizzato il loro proposito criminoso senza consultarsi con il diretto interessato prima di darvi corso"; se infatti Andreotti non fosse stato d'accordo "si sarebbe corso il rischio di fare cosa sgradita all'interessato con la conseguenza che, piuttosto che ottenerne la gratitudine, se ne sarebbe avuta la riprovazione". Le dichiarazioni di Buscetta hanno "un'insuperabile valenza probatoria", hanno scritto nella motivazione i giudici. Per i quali, invece, non sono attendibili le affermazioni dei "collaboratori di giustizia" della Banda della Magliana che avevano indicato Vitalone e Calò come gli "intermediari" dell'assassinio e La Barbera e Carminati come gli esecutori materiali dello stesso. Flavio Haver
L'ANALISI Buscetta rimane l'unico pilastro Bocciati i pentiti della Magliana Evidenziata "la menzogna sui Salvo" L'effetto sul dibattimento di Palermo ROMA - Alla fine, com'era intuibile fin dalla sentenza letta in aula il 17 novembre, è rimasto solo Tommaso Buscetta. Le dichiarazioni dell'ex-mafioso che nel 1984 decise di abbandonare Cosa nostra per collaborare con lo Stato, per i giudici togati e popolari di Perugia hanno una "insuperabile valenza probatoria". E portano alla conclusione racchiusa in tre righe, a pagine 323 delle motivazioni della condanna: "Il giornalista Carmine Pecorelli rappresentava un ostacolo insormontabile per l'ascesa di Giulio Andreotti perché era geloso custode di molti segreti e Giulio Andreotti ne ha richiesto e ottenuto la morte". Nelle lunghe dissertazioni che precedono e seguono questa frase, i giudici disegnano un quadro fosco e non sempre così chiaro e convincente come invece essi ritengono che sia. A pagina 319, ad esempio, scrivono che "non può revocarsi in dubbio che Andreotti abbia espresso il suo consenso alla deliberazione criminosa" dei boss mafiosi Tano Badalamenti e Stefano Bontade e, poco dopo, che "Andreotti è stato l'ideatore dell'omicidio Pecorelli"; salvo aver affermato, venti pagine prima, che "la partecipazione di Andreotti ha sicuramente assunto almeno la forma del tacito consenso". E poco dopo: fermo restando che Badalamenti e Bontade hanno organizzato il delitto, perché così hanno riferito a Buscetta, "non è pensabile che abbiano realizzato il loro proposito criminoso senza consultarsi, prima di darvi corso, con il diretto interessato", cioè Andreotti. L'ideazione, insomma, diventa qualcosa di più sfumato fino a prendere le forme di un atteggiamento - il "tacito consenso" - che per i giudici corrisponde all'"approvazione, seppure non manifestata espressamente, ma chiaramente percepibile, di un'iniziativa altrui" come sarebbe stato l'assassinio del giornalista commesso "nell'interesse" dell'allora capo del governo. Del resto, si legge ancora nelle motivazioni, "spesso il linguaggio mafioso è fatto di parole non dette, di silenzi pesanti, di ammiccamenti". E Andreotti lo sapeva, anche perché lo scrittore Leonardo Sciascia - fanno notare i giudici - "a suo tempo aveva chiarito, sia pure in forma letteraria, il fenomeno mafioso e la sua potenza di dinamiche segrete e nascoste ai più". Per gli avvocati del senatore a vita tutto questo è solo un assurdo teorema che non sarà difficile smontare davanti alla Corte di Cassazione. Per l'accusa, invece, è solo una piccola parte di verità: perché insieme alle sue certezze, la Corte d'assise d'appello ha buttato alle ortiche l'altro pezzo della propria ricostruzione e cioè la catena che legava ad Andreotti l'ex-senatore Claudio Vitalone, l'altro boss Pippo Calò e i presunti killer della mafia e della banda della Magliana. Con la stessa sicurezza che li ha portati a non avere dubbi sulle parole di Buscetta, i giudici hanno bollato come "intrinsecamente inattendibili" le dichiarazioni di tutti i pentiti dell'organizzazione criminale romana. Lasciando cadere forse l'unico elemento certo della ventennale indagine sull'omicidio Pecorelli: il proiettile che ha ucciso il giornalista proveniva dall'arsenale clandestino custodito negli scantinati del ministero della Sanità, frequentato da esponenti della Magliana e del terrorismo nero. Un taglio così netto della catena delle responsabilità rischia di indebolire nel suo complesso la sentenza che ha condannato a 24 anni di galera l'ex-presidente del Consiglio. Mentre potrebbe tornare utile all'accusa in un altro processo che vede alla sbarra Giulio Andreotti: quello per associazione mafiosa in corso a Palermo. A leggere la sentenza depositata ieri, se il verdetto spettasse ai giudici di Perugia, la condanna per mafia del senatore a vita sembrerebbe quasi scontata. A parte il "contesto" tutto interno a Cosa nostra in cui viene inscritto il delitto Pecorelli, secondo la Corte "la menzogna pervicacemente sostenuta dall'imputato" sui suoi rapporti con i cugini Salvo "non può trovare spiegazione se non nella consapevolezza, da parte di Andreotti, dell'organica appartenenza dei Salvo alla mafia". E ancora: "Quanto emerso sulla base di inconfutabili elementi di prova in ordine ai rapporti di Andreotti con personaggi appartenenti a un'organizzazione mafiosa non può sconcertare più di tanto, ove si pensi ai colpevoli e consapevoli rapporti dello stesso Andreotti con Michele Sindona". Le carte esaminate a Perugia su questi punti sono le stesse all'esame dei giudici d'appello di Palermo; la partita giudiziaria dell'ex-uomo più potente d'Italia, prima che davanti alla Cassazione, continua in Sicilia. Giovanni Bianconi
14 febbraio 2003 - PECORELLI: MOTIVAZIONI; NESSUN ELEMENTO SU VITALONE ANSA: Esclude in maniera netta qualsiasi responsabilita' di Claudio Vitalone nel delitto la motivazione della sentenza d' appello relativa al processo per l' omicidio di Mino Pecorelli depositata ieri. Per il magistrato romano i giudici di secondo grado hanno confermato l' assoluzione del primo giudizio. Stessa decisione per altri tre coimputati, Giuseppe Calo', Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera. Condannati invece a 24 anni di reclusione in appello Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti, anche loro invece assolti in primo grado. "Non v' e' alcun elemento per ritenere che Claudio Vitalone abbia ricoperto un qualche ruolo nella vicenda" si legge nelle motivazioni. Secondo i giudici d' appello, inoltre, "non ci sono elementi per sostenere che Stefano Bontate, per fare eseguire l' omicidio di Carmine Pecorelli, si servi' di Pippo Calo' e, per suo tramite, di Danilo Abbruciati e compagni". Esclusa anche la partecipazione di La Barbera e Carminati. La Corte d' assise d' appello ha comunque sottolineato che il fatto di non avere potuto individuare intermediari ed esecutori materiali dell' omicidio non e' di ostacolo all' affermazione della responsabilita' dei mandanti. "L' omicidio - si afferma nelle motivazioni - non rientra nella categoria dei reati a concorso necessario, bensi' in quella dei reati a concorso eventuale, i quali possono essere commessi tanto da un solo individuo, quanto da una pluralita' di soggetti". Per quanto riguarda l' eliminazione del giornalista romano secondo i giudici e' stato dimostrato che Andreotti aveva la possibilita' di rivolgersi direttamente ai cugini Salvo e chiedere loro l' eliminazione "dello scomodo Pecorelli". "Egli per conseguire il suo scopo - e' detto ancora nelle motivazioni - non aveva necessita' di rivolgersi a Vitalone ne' ad altri perche' facessero da intermediari. Analogamente Stefano Bontate non aveva necessita' alcuna di rivolgersi a Pippo Calo' per organizzare l' omicidio e per farlo eseguire dal momento che in Roma aveva un suo rappresentante, Angelo Cosentino, soggetto abbastanza inserito nell' ambiente della delinquenza comune e dei terroristi, cui faceva capo una cosiddetta decina (una sorta di gruppo di fuoco - ndr)". "La motivazione - ha detto l' avvocato Arturo Bonsignore, uno dei difensori di Vitalone - elimina completamente anche quei schizzi di fango dei quali parlavano invece i giudici di primo grado. Esclude infatti qualsiasi tipo di contatto con gli scenari evocati dai collaboratori di giustizia, in particolare con gli ambienti della banda della Magliana. La Corte d' assise d' appello - ha concluso il legale - definisce inattendibili i pentiti dopo avere attentamente vagliato le loro affermazioni".
19 febbraio 2003 - PECORELLI: INCHIESTA CSM E PROCURA PERUGIA SU FUGA NOTIZIE MOTIVAZIONI SENTENZA ANSA: Il Csm avviera' un' inchiesta sulla fuga di notizie che ha permesso all' 'Unita" di pubblicare stralci delle motivazioni della sentenza della Corte d' Appello di Perugia che ha condannato il senatore a vita Giulio Andreotti per l' omicidio Pecorelli, prima del loro deposito. A chiedere l' indagine sono stati i cinque membri laici della CdL, secondo i quali la vicenda "lede il prestigio dell' ordine giudiziario". Di qui l' esigenza di accertare "responsabilita' " e verificare se per qualcuno o per piu' magistrati di Perugia ricorrano "gli estremi per trasferimenti d' ufficio" per incompatibilita' ambientale o funzionale. "Le notizie apparse sulla stampa in particolare le anticipazioni dell' 'Unita" di parte delle motivazioni della sentenza Andreotti emessa dalla Corte d' Appello di Perugia legittimano interrogativi inquietanti in ordine all'inammissibile conoscenza della sentenza, prima del suo regolare deposito - scrivono i laici della CdL nella richiesta depositata al Comitato di presidenza del Csm e che secondo il regolamento di Palazzo dei Marescialli portera' automaticamente all' avvio dell' indagine - ancora una volta si e' consumata, tra fughe di notizie e una manipolazione mediatica preventiva, un' azione che lede il prestigio dell' ordine giudiziario, anche se e' divenuto abituale il 'deposito dei provvedimenti giudiziario in edicola'". Per questo, secondo il gruppo del Polo "appare indispensabile individuare le anomalie e le trasgressioni comportamentali che nel caso che ci interessa non possono non appartenere a momenti precedenti il rituale deposito: l' accertamento delle responsabilita' diventa una doverosa necessita'". Quindi la richiesta finale di aprire la pratica "per verificare, in un ambiente giudiziario nel mirino dei media, se corrano gli estremi per trasferimenti d' ufficio".
Anche la procura della Repubblica di Perugia ha aperto un fascicolo (nel quale non e' stato comunque al momento ipotizzato alcun tipo di reato) dopo la pubblicazione da parte dell' Unita' di ampi stralci delle motivazioni del processo d' appello per l' omicidio di Mino Pecorelli prima del deposito del provvedimento. Sugli accertamenti viene mantenuto un riserbo assoluto. A coordinarli sarebbe comunque direttamente il procuratore capo Nicola Miriano. Subito dopo la pubblicazione delle motivazioni ai magistrati perugini si erano rivolti con una denuncia gli avvocati Giulia Bongiorno e Franco Coppi, difensori di Giulio Andreotti. La Corte d' assise d' appello aveva infatti condannato a 24 anni di reclusione il senatore a vita e il boss mafioso Gaetano Badalamenti ritenendoli i mandanti dell' omicidio di Pecorelli. I due erano stati assolti in primo grado cosi' come Claudio Vitalone, Giuseppe Calo', Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati. Per questi ultimi la sentenza assolutoria e' stata confermata anche in appello. Gli avvocati Bongiorno e Coppi hanno chiesto alla procura perugina di chiarire la vicenda.
25 febbraio 2003 - CALO' E' NEL SUPERCARCERE DI ASCOLI "Il Resto del Carlino" Anche Calò al supercarcere di Marino ASCOLI - C' un nuovo 'ospite' di tutto riguardo al super-carcere di Marino del Tronto: si tratta di Giuseppe Calò, un personaggio al centro di numerose inchieste e che è stato coimputato del senatore Andreotti nell'intricata vicenda legata all'omicidio Pecorelli. In questi giorni è al centro di un altro mistero, quello dell'omicidio Calvi. E proprio questa circostanza ha permesso di scoprire che da qualche tempo era stato trasferito ad Ascoli (in una segretezza assoluta visto che la notizia non era ancora trapelata): ha partecipato, infatti, all'udienza di ieri di fronte al Gip di Roma in video-conferenza proprio dal supercarcere di Ascoli dove c'è un locale attrezzato per questo tipo di necessità e già utilizzato anche da Riina.
10 marzo 2003 - PECORELLI: TAORMINA CRITICA APPLICAZIONE PM CANNEVALE ANSA: L' on. Carlo Taormina ha annunciato oggi che presentera' un' interrogazione in merito all' applicazione del magistrato Alessandro Cannevale alla procura generale presso la Corte d' appello di Perugia per preparare - sostiene - il ricorso in Cassazione contro le assoluzioni nel processo per l' omicidio di Mino Pecorelli. In questo procedimento Taormina e' difensore di Claudio Vitalone, accusato di essere uno dei presunti mandanti del delitto ma poi assolto con formula piena in primo e secondo grado. Secondo il penalista "non e' tollerabile che il Csm non provveda alla nomina del nuovo procuratore generale della Corte di appello di Perugia, posto vacante da un anno nonostante l' importanza di tale sede giudiziaria". "In assenza di un pg nel pieno delle sue funzioni - scrive Taormina in un suo comunicato - e nonostante la presenza di espertissimi e preparatissimi magistrati presso la stessa procura generale ritengo vergognoso che il pubblico ministero Cannevale sia stato il magistrato che ha svolto le indagini, il magistrato che ha esercitato l' accusa in primo grado, il magistrato che ha impugnato la sentenza di primo grado con la quale tutti gli imputati furono assolti, il magistrato al quale e' stato affidato l' incarico di esercitare l' accusa nel processo di appello accanto ad un sostituto procuratore generale assai preparato e sia ora anche il magistrato applicato ancora alla procura generale per preparare il ricorso per Cassazione contro gli imputati assolti in secondo grado dopo essere stati assolti in primo grado". Taormina chiede quindi che 'il Csm intervenga per interrompere questa perversa spirale e per accertare come sia possibile che un sostituto procuratore, giovanissimo e di pari esperienza, possa scavalcare oggettivamente intere procure della Repubblica e intere procure generali".
26 marzo 2003 - PECORELLI: RICORSO LEGALI ANDREOTTI IN CASSAZIONE ANSA: E' stato depositato stamani in Cassazione il ricorso dei difensori di Giulio Andreotti, gli avvocati Giulia Bongiorno e Franco Coppi, contro la condanna a 24 anni di reclusione inflitta al senatore a vita per l' omicidio di Mino Pecorelli. L' istanza si compone di 479 pagine divise in capitoli. Per l' omicidio di Mino Pecorelli Andreotti era stato assolto con formula piena in primo grado, come come gli altri cinque imputati. Venne poi condannato in appello, insieme a Gaetano Badalamenti, il 17 novembre scorso. La Corte d' assise di secondo grado aveva invece confermato le assoluzioni per Claudio Vitalone, Giuseppe Calo', Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera.
Carmine Pecorelli e' stato ucciso e qualcuno ne ha voluto la sua morte; ma non e' certamente il sen. Giulio Andreotti il suo carnefice. Per questo gli avvocati Giulia Bongiorno e Franco Coppi, difensori dell' ex presidente del Consiglio, chiedono alla Cassazione di annullare senza rinvio la sentenza della Corte d' assise d' appello di Perugia. Chiedono cioe' ai Supremi giudici di assolvere Andreotti dall' accusa di essere stato, con Gaetano Badalamenti, il mandante dell' uccisione del giornalista. Un delitto per il quale entrambi sono stati invece condannati a 24 anni di reclusione il 17 novembre scorso dopo che la Corte d' assise di primo grado aveva prosciolto tutti e sei imputati. I perche' della loro istanza gli avvocati Coppi e Bongiorno lo scrivono in 479 pagine depositate stamani in Cassazione. Un ricorso che critica pesantemente le motivazioni di primo grado, definite illogiche. Parlano di inesistenza del movente e del mandato a uccidere, di interesse da parte di Andreotti nell' omicidio. Di una "causale che si sgretola". "Il movente - si legge nel ricorso - non e' mai stato nell' animo del sen. Andreotti e vive soltanto nell' immaginazione incontrollata della sentenza". Gli avvocati Coppi e Bongiorno puntano a smentire le "evidenti falsita'" di Tommaso Buscetta facendo perno proprio sull' interrogatorio nel quale il pentito accusava Andreotti. Respingono, con motivazioni logiche e giuridiche, la tesi del consenso tacito sul mandato a uccidere. Definiscono il capitolo delle motivazioni dedicato a questo aspetto come uno dei "piu' intrisi di illogicita' e di contraddizioni". "Alla totale inesistenza di prove testimoniali e di dichiarazioni di collaboranti corrisponde - sostengono i legali - la totale inesistenza di comportamenti del sen. Andreotti dai quali possa dedursi che il mandato a uccidere sia stato da lui conferito direttamente o attraverso altri a Badalamenti e a Stefano Bontate". Nel ricorso si bolla poi come "soltanto agghiacciante' l' affermazione della Corte d' assise d' appello di Perugia secondo la quale "una affermazione e' vera se il suo contrario non puo' essere dimostrato". Una lunga parte del loro appello, gli avvocati Bongiorno e Coppi la dedicano proprio a Buscetta. Evidenziano come i giudici perugini abbiano considerato non utilizzabili alcuni verbali di interrogatori ai quali venne sottoposto don Masino. In particolare quelli del 6 aprile e del 2 giugno 1993 resi nell' ambito di una rogatoria internazionale (in quel periodo il pentito era infatti in Florida). Atti - sottolineano i legali - "grondanti di prove della falsita' di Buscetta". Secondo il ricorso il confronto tra le due rogatorie documenta "uno stridente, insuperabile, clamoroso contrasto: il 6 aprile Buscetta avrebbe parlato di una richiesta mentre solo 57 giorni dopo, disconoscendo quelle dichiarazioni, afferma che nulla sa di una richiesta". In definitiva i difensori di Andreotti sostengono che se il 6 aprile esisteva un' accusa e nasceva un processo fondato su quell' accusa, dal 2 giugno proseguiva il processo oramai svuotato dalla sua originaria accusa. La sentenza di secondo grado - sottolineano ancora - non ha dedicato un solo rigo a cercare di giustificare questa sfasatura: per la sentenza nessun documento attesta infatti questa sfasatura. Gli avvocati Coppi e Bongiorno si sono quindi appositamente recati ieri a Perugia per fotocopiare l' intestazione del faldone che contiene quell' interrogatorio di don Masino e prova il suo inserimento agli atti del processo. Documento poi inserito nel ricorso in Cassazione. Ma un duro attacco e' riservato alla credibilita' stessa di Buscetta. I legali ricordano infatti che don Masino fu costretto ad ammettere di avere mentito a Giovanni Falcone. Sottolineano poi che il tribunale di Palermo "ha dimostrato e affermato perentoriamente l' inattendibilita' di Buscetta" proprio in merito all' omicidio Pecorelli. Secondo gli avvocati Coppi e Bongiorno la Corte perugina ha quindi omesso di verificare quanto fosse attendile il pentito. Ha anzi assunto una "falsa premessa" muovendo dal presupposto che Buscetta lo sia stato sempre ritenuto e "ignorando inspiegabilmente il fatto che altro giudice aveva definito inattendibile Buscetta proprio in merito" all' eliminazione del giornalista. Nel ricorso vengono poi esaminati in dettaglio gli articoli di Pecorelli su Andreotti, in particolare quelli sul sequestro di Aldo Moro. Si sottolinea che il giornalista non aveva carte in grado di nuocere alla carriera politica del senatore. La versione del memoriale ritrovata nel 1990 viene considerata dai legali migliore per Andreotti di quella recuperata nel '78. Gli avvocati Coppi e Bongiorno definiscono "una invenzione della sentenza" l' ipotesi che Andreotti si sarebbe preoccupato per le carte in mano a Pecorelli. "E' la sentenza - affermano - ad immaginare il contenuto dei documenti e a ritenerlo devastante". "Alla sentenza insomma - sottolineano i legali - sembra impossibile che Andreotti non si preoccupasse per gli articoli che Pecorelli minacciava di pubblicare
27 marzo 2003 - PECORELLI: RICORSO A CASSAZIONE ANCHE PER DIFESA BADALAMENTI ANSA: I difensori di Gaetano Badalamenti, gli avvocati Silvia Egidi e Paolo Gullo, hanno presentato ricorso in Cassazione contro la condanna a 24 anni di reclusione per l' omicidio di Mino Pecorelli da parte della Corte d' assise d' appello di Perugia. Nel provvedimento si chiede l' annullamento senza rinvio della sentenza del 17 novembre scorso che aveva riconosciuto Badalamenti colpevole di essere stato mandante del delitto insieme a Giulio Andreotti. I due erano stati invece assolti in primo grado cosi' come gli altri quattro imputati, per i quali il provvedimento e' stato invece confermato. Ieri anche i difensori del sen. Andreotti avevano presentato ricorso in Cassazione.
Gaetano Badalamenti, detenuto da anni negli Usa, ha sempre avuto un legittimo impedimento a comparire nei processi perugini, di primo e secondo grado, per l' omicidio di Mino Pecorelli, delitto al quale si e' sempre proclamato estraneo. Anche per questo la condanna a 24 anni di reclusione nei suoi confronti deve essere annullata. Lo affermano i difensori del boss, gli avvocati Silvia Egidi e Paolo Gullo, nel ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d' assise d' appello di Perugia. Il collegio, infatti, il 17 novembre scorso ha ritenuto Badalamenti mandante del delitto insieme a Giulio Andreotti (entrambi erano stati invece assolti in primo grado). L' istanza, una cinquantina di pagine, si apre proponendo ai Supremi giudici una serie di eccezioni formali. In particolare gli avvocati Egidi e Gullo tornano a contestare il ricorso alla videoconferenza per permettere al loro assistito di assistere alle udienze. Ribadiscono infatti che Badalamenti aveva il diritto di poter intervenire di persona al dibattimento. Se cio' non e' successo - si afferma nel ricorso - e' perche' l' imputato aveva un legittimo impedimento a tornare in Italia. Sempre a questo riguardo i difensori di Badalamenti spiegano che nel 1999 venne attivata formalmente la procedura per il trasferimento dagli Stati Uniti. Un procedimento che - secondo i due legali - non si e' concretizzato per il mancato consenso delle autorita' statunitensi a dare il loro consenso formale. Non certo per assenza di volonta' da parte del loro assistito. La parte centrale del ricorso e' invece dedicata alle affermazioni di Tommaso Buscetta. E' stato infatti lui a sostenere di avere appreso da Badalamenti che l' omicidio Pecorelli era stato organizzato da quest' ultimo e da Stefano Bontate nell' interesse di Giulio Andreotti. Una circostanza che il boss ha pero' sempre negato, dicendosi pronto al confronto con il pentito per poterlo smentire. E nel ricorso si sottolinea piu' volte l' inattendibilita' di don Masino. Secondo gli avvocati Egidi e Gullo, Buscetta ha inventato le accuse nei confronti di Badalamenti per vendetta, ritenendolo responsabile dell' omicidio dei suoi familiari nella guerra di mafia. E' stato lo stesso don Masino - si afferma ancora nel ricorso - ad ammettere il suo odio quando e' stato interrogato nel corso del dibattimento di primo grado. Gli avvocati Gullo ed Egidi criticano poi le motivazioni del processo d' appello per quanto riguarda la valutazione dell' attendibilita' di Buscetta. Un problema che - hanno affermato - e' stato saltato completamente. Nel ricorso vengono invece riportate le affermazioni di alcuni testimoni, sentiti nei due processi perugini, che definiscono don Masino un millantatore. In particolare quella di Frank Coppola che defini' Buscetta "un soffiatore di vetro". I difensori di Badalamenti hanno poi riportato stralci delle motivazioni della sentenza della Corte d' assise di Palermo per il primo maxiprocesso di mafia fatte proprie dai giudici perugini per evidenziare la credibilita' di Buscetta. Gli avvocati Gullo ed Egidi sottolineano che quella pronuncia e' datata e comunque in essa si afferma che Buscetta e' credibile quando descrive l' ambiente di Cosa nostra, ma non quando riferisce fatti specifici sugli omicidi. Nell' inchiesta sull' omicidio Pecorelli - si sostiene ancora nel ricorso - le affermazioni di Buscetta non trovano conferme, ci sono invece solo ricorsi negativi. I difensori di Badalamenti sottolineano infatti che nessuno, dell' ambiente mafioso o all' esterno, sapeva del coinvolgimento di Badalamenti nell' organizzazione del delitto. I legali ritengono quindi che fosse praticamente impossibile la mancata diffusione di una simile notizia all' interno di Cosa nostra. Le vere prove che emergono dai processi di Perugia - concludono gli avvocati Egidi e Gullo - sono favorevoli a Badalamenti. Per questo chiedono alla Cassazione di assolvere definitivamente Badalamenti.
1 aprile 2003 - PECORELLI: PROCURA FA APPELLO E CHIEDE NUOVO PROCESSO ANSA: Chiede che siano nuovamente valutate l' attendibilita' dei pentiti della banda della Magliana e delle loro affermazioni, ma ripropone anche l' importanza probatoria dei proiettili Gevelot che uccisero Mino Pecorelli il ricorso della procura generale di Perugia contro l' assoluzione di quattro imputati nel processo di secondo grado. A firmarlo e' stato Alessandro Cannevale, il magistrato che ha seguito l' inchiesta fin dall' inizio e ora applicato presso la procura generale. Nel ricorso (depositato proprio alla scadenza dei termini) si invitano i Supremi giudici ad annullare con rinvio la sentenza della Corte d' assise d' appello che il 17 novembre scorso ha confermato l' estraneita' al delitto di Claudio Vitalone, Giuseppe Calo', Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera. I perche' dell' istanza sono illustrati in una sessantina di pagine. La scorsa settimana alla Cassazione avevano invece presentato ricorso i difensori di Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti, condannati in secondo grado a 24 anni di reclusione (dopo essere stati assolti in primo) perche' ritenuti mandanti dell' omicidio. Per loro e' stato chiesto l' annullamento senza rinvio del pronunciamento, cioe' il definitivo proscioglimento. Il procedimento dovrebbe ora essere esaminato dalla Cassazione a ridosso dell' estate o subito dopo le ferie. Nel ricorso depositato oggi la procura generale perugina lamenta tra l' altro l' errata applicazione dell' articolo 192 del codice di procedura penale, quello sulla valutazione della prova, da parte dei giudici di secondo grado. In particolare in relazione alle dichiarazioni di Vittorio Carnovale, Antonio Mancini, Fabiola Moretti e Maurizio Abbatino (le loro rivelazioni sono alla base della ricostruzione accusatoria), ma anche per le intercettazioni ambientali disposte nel corso delle indagini. Secondo il pg la Corte d' assise d' appello ha "erroneamente ritenuto inattendibili" le affermazioni dei collaboratori e "privi di qualsiasi valenza probatoria" i risultati delle intercettazioni. Si evidenziano poi le "motivazioni assolutamente diverse" alla base delle assoluzioni nei due gradi di giudizio. Carnovale, Mancini e Moretti erano stati considerati sinceri primi dai giudici, totalmente inattendibili da quelli d' appello. Un giudizio che la procura generale contesta, chiedendo un nuovo processo per valutare la loro credibilita'. "Profili di manifesta illogicita"' vengono poi evidenziati sulle considerazioni svolte dal collegio di secondo grado sulla deposizione del perito balistico Antonio Ugolini e sul sequestro di cartucce nei locali del ministero della sanita', considerato dagli investigatori un deposito della banda della Magliana. Nel ricorso vengono richiamate le motivazioni della sentenza di primo grado nelle quali si affermava che i proiettili usati per uccidere Pecorelli provengono proprio dal lotto trovato in quello scantinato. "Nessuna parola meritano secondo la Corte d' assise d' appello - sostiene Cannevale nell' atto depositato oggi - le considerazioni relative alla scarsa circolazione delle cartucce Gevelot e soprattutto le specifiche caratteristiche dei proiettili" che uccisero il giornalista. "Del tutto ignorate" poi, secondo il magistrato, le prove che collegavano il deposito a Carminati, indicato da quattro pentiti come esecutore materiale dell' omicidio. Circostanze che ora la procura generale di Perugia chiede vengano sottoposte a una nuova valutazione da parte di altri giudici.
19 maggio 2003 - TRAVAGLIO SU COMMENTO AVV. BONGIORNO A SENTENZA ANDREOTTI da "Dagospia" BUONANOTTE, AVVOCATO BONGIORNO - TRAVAGLIO DEMOLISCE L'"ASSOLUZIONE" ANDREOTTI E TRAFORA LA PRINCIPESSA DEL FORO... Marco Travaglio per L'Unità L'avvocatessa Giulia Bongiorno ci usa la cortesia di spiegarci i segreti dei suoi ultimi trionfi nei due processi Andreotti (una condanna a 24 anni per omicidio a Perugia e una mezza prescrizione per mafia a Palermo). Lo fa in una strepitosa intervista a Sette. Un'intervista piena di rivelazioni sconvolgenti ("Da bambina, in tv, ai cartoni animati preferivo Perry Mason") e di particolari inquietanti. Dopo la sentenza di Perugia la piccola Giulia, questo "fuscello leggero con anima di acciaio", questa donna sottile come un chiodo, apparentemente indifesa ma pronta ad azzannare l'avversario con l'arguzia", non ha retto più. Perché lei, per Andreotti, è più che un avvocato: è la sua "ombra, amica di famiglia, consigliere e figlia adottiva". Dunque s'è ammalata come se avessero condannato lei: "di celiachia, un raro malanno che provoca rigetto di pasta, pane e ogni farinaceo". Anche Andreotti, per solidarietà, s'è sentito male. Ma per un'altra patologia ("sbalzi di pressione", ha confidato a Oggi) e per l'altro processo, quello per mafia. È l'alternanza. Tornando ai segreti della Perry Mason in gonnella, apprendiamo che è "testarda e stakanovista". E anche un po' bugiarda, visto che ripete la solita bufala: "Confermando l'assoluzione di primo grado, quella di Palermo diventa una sentenza matrioska che fa piazza pulita di Perugia". Due bugie in due righe: non è stata confermata nessun'assoluzione ("prescrizione per i reati commessi fino alla primavera 1980") e il delitto Pecorelli risale al 1979, cioè rientra nel periodo in cui i reati sono provati, ancorchè prescritti. Ma il vero segreto è l'"esame a ragnatela": "Imparo a memoria i verbali delle indagini". Poi prepara domande. Ma non così, a caso: "A raffica. Penso a una domanda e individuo tre risposte, anche di più. E le scrivo su grandi fogli, tutte. Ognuna porta ad altre domande e a una serie di possibili risposte. Una selva di frecce, una ragnatela, appunto". Un genio. E meno male che c'era lei. Perché altrimenti - spiega - i giudici avrebbero preso sul serio le fanfaluche della Procura. Tipo i "viaggi segreti" di Andreotti, inventati dalla polizia che aveva "ignorato i posti giusti", non aveva saputo "aprire i cassetti giusti". Chi li ha poi aperti? La piccola Giulia, naturalmente. Purtroppo, però, le cose sono andate molto diversamente. Mentre Fuscello d'Acciaio girava l'Italia sbattendosi da un ufficio all'altro, Procura e polizia si rivolgevano al Comando dei Carabinieri, che a sua volta raccoglieva i tutti i dati sui viaggi dalle stazioni periferiche. Ecco perché l'ufficiale di Pg, al processo, sbottò: "Ma le pare che io devo girare il mondo?". L'altra mirabolante scoperta riguarda le due versioni del memoriale Moro. Secondo l'accusa, quella integrale - molto più compromettente per Andreotti - finì in mano a Pecorelli, che fu ucciso per questo. "Ma a un tratto - scrive il cosiddetto intervistatore - irrompe la Bongiorno". E che ti scopre? Che fra le due versioni non c'è questa gran differenza. Purtroppo, però, né i giudici di Palermo né quelli di Perugia l'han presa sul serio. Infatti insistono entrambi sulle enormi differenze fra i due memoriali. E a Perugia Andreotti è stato condannato in appello proprio per Pecorelli. Ma i colpacci della principessa del foro non finiscono qui: scopre pure la prova che "Andreotti aveva tentato il salvataggio delle banche di Sindona perché c'era un interesse pubblico". Se l'ex premier incontrava Sindona, bancarottiene e latitante, e tentava di salvare il suo impero malavitoso basato sul riciclaggio mafioso in parallelo all'opera meritoria della P2 e di Cosa Nostra, lo faceva per noi. Per l'"interesse pubblico". Purtroppo Giorgio Ambrosoli non lo capì, e non fece neppure in tempo a conoscere l'avvocatessa Bongiorno. Così si mise in testa di fare l'interesse pubblico contrastando quel salvataggio. E Sindona lo fece assassinare. Ma in nome dell'interesse pubblico, s'intende.
10 giugno 2003 - PECORELLI: FIGLIO ESCLUSO DA FONDO SOLIDARIETA' VITTIME MAFIA "Il Gazzettino" Figlio di Pecorelli escluso dal fondo di solidarietà Perugia Mino Pecorelli sarebbe stato fatto uccidere: ora uno dei figli del giornalista, Stefano, si è visto respingere la domanda per accedere al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso. Secondo il comitato del ministero dell'Interno che decide sulle istanze, la stessa Corte d'assise d'appello perugina ha infatti ritenuto estranea Cosa nostra al delitto. Lo stesso organismo ha ritenuto che non ci siano elementi in base ai quali ritenere che i due imputati si possano essere avvalsi di legami previsti dall'articolo 416 bis del codice penale.
9 luglio 2003 - PECORELLI: IL 29 OTTOBRE CASSAZIONE ESAMINA RICORSI ANSA: Saranno discussi dalla Cassazione il 29 ottobre prossimo i ricorsi contro la sentenza della Corte d' assise d' appello di Perugia che il 17 novembre scorso ha condannato a 24 anni di reclusione Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti per l' omicidio di Mino Pecorelli, confermando invece l' assoluzione degli altri quattro imputati. L' udienza e' stata fissata a partire dalle 10 davanti alle Sezioni unite. Tre i ricorsi che saranno esaminati dalla Suprema corte. A essa si sono infatti rivolti i difensori di Andreotti e quelli di Badalamenti che sollecitano l' assoluzione dei loro assistiti (dichiarati estranei alle accuse in primo grado, il 24 settembre del 1999 con una sentenza poi riformata dai giudici di appello che hanno ritenuto i due mandanti del delitto). La procura generale di Perugia ha invece chiesto alla Cassazione di annullare le assoluzioni, disposte in primo e secondo grado, di Claudio Vitalone, Giuseppe Calo', Massimo Carminati e Michelangelo La Barbera.
15 luglio 2003 - PROCESSO PECORELLI; IL RICORSO DI ANDREOTTI IN CASSAZIONE "La Gazzetta del Sud" Contro la condanna del senatore a vita accusato di essere il mandante dell'omicidio di Pecorelli Andreotti, il ricorso alle Sezioni unite L'udienza della Cassazione si terrà il prossimo 29 ottobre ROMA - Il primo presidente della Cassazione, Nicola Marvulli, ha accolto la richiesta del difensore di Giulio Andreotti, professor Franco Coppi, di far decidere alle sezioni unite della Suprema corte, il ricorso contro la condanna - emessa dalla Corte di assise di appello di Perugia - a 24 anni di reclusione pronunciata il 17 novembre 2002 nei confronti del senatore a vita, accusato di essere il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. I motivi che hanno spinto Marvulli ad assegnare questa delicata udienza al massimo consesso di Piazza Cavour sono di due tipi: uno attiene alla questione di diritto sollevata da Coppi; l'altra attiene al fatto che, in Cassazione, alla terza sezione penale, presta servizio il giudice Claudio Vitalone. Proprio questa circostanza ha fatto sì che Marvulli, per motivi di opportunità, assegnasse il caso alle sezioni unite dal momento che Vitalone è stato coinvolto nel procedimento sul delitto Pecorelli. Invece, per quanto riguarda la questione di diritto, l'obiettivo della difesa di Andreotti è quello di ampliare il potere di intervento della Cassazione sulle sentenze di condanna precedute da un verdetto di innocenza. Ecco, letteralmente, i termini della questione sulla quale le sezioni unite dovranno pronunciarsi: "Se e in quali limiti l'imputato assolto in primo grado e condannato in appello, possa dedurre mediante ricorso per Cassazione, la mancanza o la manifesta illogicità della motivazione della sentenza di condanna, sull'assunto che entrambe le sentenze abbiano omesso di valutare decisive risultanze probatorie". Come si vede dal riferimento sia alla sentenza assolutoria (emessa, però, con formula non piena) che a quella di condanna, l'obiettivo del difensore di Andreotti è quello di puntare l'indice contro entrambe le sentenze e di travolgerle. Secondo indiscrezioni del Palazzaccio, l'accoglimento e la formulazione di una simile questione di diritto "apre la strada all'annullamento della sentenza di condanna". La richiesta di assegnare la decisione alle sezioni unite, è stata presentata da Coppi lo scorso 9 giugno. Il 10 giugno Marvulli ha deciso di assegnare l'udienza alle sezioni unite, il primo luglio, invece, ha fissato al prossimo 29 ottobre la data della discussione del ricorso e ha nominato il consigliere Giovanni Canzio come relatore del ricorso. È la terza volta, questa, che il primo presidente Marvulli decide di assegnare alle sezioni unite un ricorso delicato: prima di Andreotti, le sezioni unite sono state chiamate a occuparsi della richiesta di rimessione avanzata da Silvio Berlusconi e Cesare Previti, e del ricorso presentato dalla Procura di Palermo contro l'assoluzione del giudice Corrado Carnevale.
21 agosto 2003 - PECORELLI: VIOLANTE REPLICA AD ANDREOTTI ANSA: PECORELLI: VIOLANTE REPLICA AD ANDREOTTI SU 'PANORAMA' EX PRESIDENTE ANTIMAFIA SPIEGA PERCHE' SCRISSE A PM SCARPINATO "Esiste una lettera dell'ex presidente dell'Antimafia, Luciano Violante, al procuratore Roberto Scarpinato in cui si dice che da una telefonata anonima si potevano avere grandi notizie su Mino Pecorelli. Perche' mandarla a Scarpinato a Palermo, se il processo era a Perugia?", si era chiesto Giulio Andreotti in un'intervista pubblicata la scorsa settimana da Panorama. Ora, sul numero del settimanale Mondadori in edicola da domani, Luciano Violante replica al senatore a vita. "La lettera - afferma Violante nell'intervista a Panorama - fu da me inviata a Scarpinato, sostituto procuratore a Palermo, il 5 aprile 1993 mentre il processo Pecorelli fu trasferito da Roma a Perugia molti mesi dopo, tra la fine del 1993 e i primi giorni del 1994". Il parlamentare Ds spiega che ai tempi era presidente della Commissione Antimafia e di aver ricevuto una telefonata anonima proprio il 5 aprile. Di quella conversazione dice di aver informato l'allora capo della Direzione Distrettuale Antimafia, Michele Coiro, il quale gli suggeri' di parlarne con la Procura di Palermo. Violante ricorda che tento' allora di contattare Gian Carlo Caselli, ma in sua assenza parlo' con Scarpinato che gli chiese una comunicazione formale della vicenda. E il testo della lettera, chiarisce ancora l'ex presidente dell'Antimafia, era il seguente: "La informo che stamane alle ore 9,20 mi ha telefonato una persona, con accento che sembrava torinese, la quale mi ha detto che in via Tacito, sede di Op, ci sarebbe un tale Patrizio, braccio destro di Mino Pecorelli, il quale possiederebbe la copertina del numero di Op che non fu mai stampato a causa dell'omicidio del suo direttore. Sulla copertina ci sarebbero sei nomi leggendo i quali si comprenderebbe chi possiede oggi i documenti di Pecorelli, che sarebbero custoditi in una valigetta. La persona, che non ha voluto rivelarmi la propria identita', richiamerebbe la prossima settimana per dare ulteriori notizie".
23 ottobre 2003 - PECORELLI; GIOVANNI CANZIO CONSIGLIERE RELATORE ANSA: CASSAZIONE: PECORELLI; GIOVANNI CANZIO CONSIGLIERE RELATORE LE UDIENZE IN PROGRAMMA DA MERCOLEDI' PROSSIMO Sara' Giovanni Canzio il consigliere relatore dell' udienza nella quale la Cassazione esaminera' i tre ricorsi presentati contro la sentenza del processo d' appello per l' omicidio di Mino Pecorelli conclusosi con la condanna a 24 anni di reclusione di Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti e l' assoluzione degli altri imputati. L' udienza si aprira' mercoledi' prossimo alle 10 davanti alle Sezioni unite. A guidare il collegio (nove giudici) sara' il primo presidente Nicola Marvulli. Il consigliere Canzio illustera' in sintesi i fatti al centro del processo (Pecorelli venne ucciso a Roma il 20 marzo del 1979). Si soffermera' quindi sulle motivazioni della sentenza di primo grado, con la quale il 24 settembre '99 vennero assolti tutti gli imputati, e di quella d' appello, del 17 novembre scorso, quando Andreotti e Badalamenti furono condannati come presunti mandanti del delitto, mentre venne confermata l' estraneita' ai fatti degli altri. Presentera' infine i tre ricorsi. A rivolgersi alla Cassazione sono stati i difensori di Andreotti e Badalamenti chiedendo l' annullamento senza rinvio delle condanne per i loro assistiti, cioe' l' assoluzione definitiva dei due. Un altro ricorso e' stato invece presentato dalla procura generale di Perugia che ha chiesto ai giudici di annullare le assoluzioni per gli altri quattro imputati, Claudio Vitalone, Giuseppe Calo', Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati. Dopo il consigliere relatore prenderanno la parola i rappresentanti dell' accusa e poi delle parti civili. Saranno quindi i difensori degli imputati a svolgere la loro arringa. E' prevedibile che l' udienza non si concluda mercoledi', ma prosegua il giorno successivo. Non e' escluso che la sentenza della Cassazione arrivi venerdi' 31 ottobre.
23 ottobre 2003 - PECORELLI: VERSO GIUDIZIO CASSAZIONE SU ANDREOTTI "Il Resto del Carlino" Andreotti-Pecorelli, si avvicina il giorno del giudizio PERUGIA - Le Sezioni unite penali della Corte di Cassazione cominceranno il 29 ottobre, alle 10 del mattino, la discussione che porterà al verdetto di legittimità nella vicenda processuale di Giulio Andreotti, imputato per l'omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Il terzo grado di giudizio, dopo un'assoluzione in primo grado a Perugia ed una condanna in appello nello stesso capoluogo umbro - a 24 anni per l'ex presidente del Consiglio e il boss detenuto Gaetano Badalamenti, quali presunti mandanti del delitto - si potrebbe concludere il 31 ottobre. La Suprema Corte, infatti, si è concessa due giorni di tempo. Prima è prevista la requisitoria del Procuratore generale, a seguire gli interventi della parte civile e infine l'arringa della difesa. Sono stati assolti, invece, lasciando così la scena del processo, gli altri coimputati: Claudio Vitalone, Giuseppe Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati. I dieci giudici della Cassazione chiamati al nuovo esame del caso, hanno davanti tre strade. Prima: l'annullamento della sentenza senza rinvio, quindi assoluzione piena per gli imputati, con accoglimento delle richieste della difesa e verdetto che diventa definitivo. Seconda ipotesi: annullamento della sentenza di secondo grado con rinvio ad altra Corte d'Assise d'appello. In questo caso, il processo ripartirebbe dall'assoluzione di primo grado. Terza ipotesi: condanna definitiva degli imputati per l'omicidio del direttore della rivista "Op", avvenuto il 20 marzo 1979 a Roma.
27 ottobre 2003 - PECORELLI: IN SETTIMANA DECISIONE CASSAZIONE "Il Tempo" In settimana la decisione su Andreotti ROMA - Conto alla rovescia per la sentenza sul delitto Pecorelli che vede tra gli imputati Giulio Andreotti. Le Sezioni Unite penali, che mercoledì saranno chiamate a decidere se confermare o meno la condanna a 24 anni inflitta al senatore a vita nel novembre scorso dalla corte d'assise d'appello di Perugia. Uno dei legali di Andreotti, Franco Coppi, ha sempre affermato che "la sentenza sembra delineare un delitto con i mandanti ma senza esecutori. In questo modo la sensazione è che siano stati ritenuti attendibili i pentiti".
30 ottobre 2003 - PECORELLI: PG CASSAZIONE CHIEDE ASSOLUZIONE ANDREOTTI "Il Messaggero" Colpo di scena alla prima udienza del processo di terzo grado. Il senatore a vita: "Non mi intendo di diritto, ma me lo aspettavo" Il Pg di Cassazione: "Assolvete Andreotti" "Non c'è prova di un suo consenso tacito al delitto Pecorelli. E Buscetta è inattendibile" di RITA DI GIOVACCHINO ROMA - Colpo di scena in Cassazione. E' stato il pg della Suprema Corte Gianfranco Ciani, ovvero la pubblica accusa, a chiedere in apertura di udienza la piena assoluzione di Giulio Andreotti dall'accusa di essere il "mandante politico" dell'omicidio di Mino Pecorelli. Accusa che il 17 novembre dello scorso anno era costata al senatore la pesante condanna a 24 anni, inflittagli dalla Corte d'Assise di Perugia che aveva sostanzialmente creduto alle rivelazioni del pentito di mafia Tommaso Buscetta. "Una sentenza infedele al processo, che non ha tenuto minimamente conto delle motivazioni della difesa - ha tuonato Ciani - cancellate quella condanna senza rinvio ad altro giudizio". Poi ha aggiunto: "Non ci sono prove sul movente dell'omicidio indicato da Buscetta e neppure che Andreotti avesse rapporti di tale amicizia da potersi rivolgere ai cugini Salvo per poter chiedere un siffatto favore". Il Pg ha chiesto che venisse assolto anche Gaetano Badalamenti, il boss di Cinisi in carcere a Fairton negli Usa, coimputato di Andreotti in quanto sarebbe stato lui ad organizzare l'omicidio del giornalista romano "per fare un favore al Presidente". Chiesta anche la conferma delle assoluzioni di Claudio Vitalone, ora tornato giudice alla Suprema Corte, e degli altri imputati tra cui Pippo Calò, il presunto sicario Angelino La Barbera e l'armiere, ovvero l'ex terrorista nero Massimo Carminati. Siamo dunque all'ultimo atto dell'odissea giudiziaria del sette volte presidente del Consiglio. Al più tardi venerdì le sezioni unite della Cassazione decideranno sulla sorte di questo processo che tanto scalpore ha provocato, e non soltanto in Italia, per le gravissime accuse mosse ad un uomo che ha rappresentato lo Stato e cinquant'anni di storia italiana. Se la Suprema Corte accoglierà il parere del Pg Ciani, calerà per sempre il sipario sull'omicidio di Mino Pecorelli il giornalista che, secondo Buscetta, fu eliminato dalla mafia su richiesta dei cugini Salvo perché in procinto di pubblicare imbarazzanti pagine del memoriale Moro che avrebbero gravemente danneggiato la carriera politica di Andreotti. Ma questo per il Pg di Cassazione resta un teorema indimostrato: "Non c'è alcuna prova che Dalla Chiesa abbia consegnato a Pecorelli documenti che coinvolgevano Andreotti". Ciani non ritiene sufficienti i riscontri offerti dal processo di Perugia: non la testimonianza della compagna di Mino, Franca Mangiavacca, o del maresciallo Incandela, stretto collaboratore di Dalla Chiesa. E neppure i riscontri offerti dalle agende del giornalista che confermerebbero alcuni incontri con il generale nei mesi precedenti la sua uccisione. Ad avviso del pg Ciani non c'è prova che questi incontri fossero finalizzati al passaggio di documenti come anche non reggerebbe la teoria del "consenso tacito di Andreotti all'omicidio di Pecorelli". Sostiene il Pg: "Si può, al massimo, parlare di consenso presunto che non può trovare ingresso in tema di responsabilità penale". La reazione a caldo di Andreotti e dei suoi avvocati non poteva essere che di grande sollievo. "Mi sono laureato nel '41 e i miei ricordi di giurisprudenza sono un po' appannati, ma quella sentenza era davvero orribile", ha detto il senatore che si è dichiarato molto fiducioso nella giustizia. "Il procuratore generale è stato molto esplicito. Abbiamo grande speranza", è stato il commento dell'avvocato Franco Coppi. Mentre Gioacchino Sbacchi, il penalista palermitano, ha tirato un sospiro di sollievo: "Buscetta non era che la fonte di se stesso". Entusiasta l'avvocato Bongiorno: "L'accusa si è intelligentemente arresa di fronte agli errori patenti della sentenza perugina, è stato un atto di giustizia anche se naturalmente non è ancora il momento di cantare vittoria". Diverso il parere delle parti civili. Delusa la sorella della vittima, Rosita Pecorelli. "Me l'aspettavo. In questa vicenda - aggiunge Rosita - non è la prima cosa strana che accade dopo l'uccisione di mio fratello". Mentre l'avvocato Alfredo Galasso critica lo sconfinamento del Pg: "La requisitoria è sorprendente perché è sconfinata nel giudizio di merito, nel quale la Cassazione non può e non deve entrare". Favorevoli anche i primi commenti politici. Per Enzo Fragalà, An, crolla il progetto di criminalizzazione: "La sentenza di condanna per Giulio Andreotti non era frutto di errore giudiziario, ma di un pervicace disegno di una minoranza della corporazione in toga a tenere in piedi i teoremi politico-giudiziari che hanno avvelenato la vita politica italiana degli anni '90".
"La Gazzetta del Sud" LE REAZIONI ALLA REQUISITORIA DEL PG Taormina, legale di Vitalone: "Non è un buon esempio per i cittadini che occorra farsi triturare per 10 anni prima di ottenere giustizia" "Questo processo non doveva nemmeno cominciare" Sergio Pestelli ROMA - "Mi rimetto alla giustizia". Con queste uniche parole l'avvocato Raffaele Campione rappresentante, come parte civile, della vedova di Mino Pecorelli, si è rivolto alle sezioni unite della Cassazione. Lo ha reso noto l'avvocato di Giulio Andreotti, Giulia Bongiorno, sottolineando che "queste parole del difensore di parte civile sono la migliore dimostrazione di quanto sia erronea e viziata la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Perugia dal momento che è lo stesso legale a non chiedere che siano respinti i ricorsi degli imputati". Ma la richiesta di assoluzione ha scontentato, ovviamente, il pool di avvocati che rappresentano i familiari di Pecorelli: per Aurelio Galasso "la requisitoria del pg ha sconfinato nel giudizio di merito che è precluso in Cassazione". Il senatore a vita Giulio Andreotti, dal canto suo, si è detto subito "soddisfatto" per la richiesta di assoluzione chiesta nei suoi confronti dal pg della Cassazione. "Sono soddisfatto - ha detto Andreotti - dopo 10 anni di attesa". Per l'ex Presidente del Consiglio è una decisione attesa "considerando i fatti e le sentenze. Anche se in questi casi - precisa - bisogna sempre vedere come vanno concretamente le cose. Io non mi intendo molto di diritto, la mia laurea è del 1941, ma quella sentenza mi pare proprio orrenda. In verità - conclude - ero abbastanza ottimista ed ora aspetto la decisione della Corte". Più caustico Carlo Taormina - difensore di Vitalone - che ha detto: "questo processo non doveva nemmeno cominciare e non è un buon esempio per i cittadini italiani che occorra farsi triturare per 10 anni prima di ottenere giustizia". E il senatore-questore Mauro Cutrufo (Udc) commentando la richiesta di assoluzione da parte del pg della Cassazione dice: "Non praevalebunt. Ancora una volta i creatori di teoremi sono stati clamorosamente sconfessati dalla giustizia". "È ovvio - aggiunge Cutrufo - che c'è stato un disegno politico preciso per colpire in Giulio Andreotti l'esponente della DC che maggiormente poteva godere del credito e della fiducia degli italiani". Interpellato da "Radio Radicale", il capogruppo Udc alla Camera Luca Volontè commenta: "È un buon segnale dopo molti buoni segnali che riguardano il senatore Andreotti che è stato un pezzo di storia non solo della Dc ma anche del Paese". "Dopo il proscioglimento a Palermo - dice Volontè - questa richiesta del procuratore generale della Cassazione dà atto di una piccola parte della magistratura che ha tentato di riscrivere la storia del Paese prendendosela soprattutto con alcuni esponenti della Dc. Spero che questa richiesta del procuratore generale venga accolta e da quel momento in poi si possa guardare con più serenità a quanto di bene ha fatto la Dc e a quanto male è stato fatto ad alcuni suoi esponenti come il senatore Andreotti". Giuseppe Fioroni, esponente dell'esecutivo della Margherita, ha commentato così la richiesta di assoluzione di Andreotti: "La richiesta del procuratore generale della Cassazione di assoluzione piena per il presidente Giulio Andreotti rende atto dell'impegno politico di un uomo che ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo e alla crescita di questo Paese. Il comportamento del presidente Andreotti di fronte alla giustizia è un esempio per tutti coloro che invece di dimostrare la propria estraneità preferiscono dichiararsi impunibili o fuggire".
"Il Mattino" La vedova: mi rimetto alla giustizia "Mi rimetto alla giustizia". Così, l'avvocato Raffaele Campione rappresentante, come parte civile, della vedova di Mino Pecorelli, si è rivolto alle sezioni unite della Cassazione. Lo ha reso noto l'avvocato di Giulio Andreotti, Giulia Bongiorno, sottolineando che "queste parole del difensore di parte civile sono la migliore dimostrazione di quanto sia erronea e viziata la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Perugia dal momento che è lo stesso legale a non chiedere che siano respinti i ricorsi degli imputati".
30 ottobre 2003 - PECORELLI: CASSAZIONE, ASSOLTO ANDREO
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