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Dalla cacerola all'assemblea
by IMC Italy Friday, Aug. 30, 2002 at 10:42 AM mail:

Da PAGINA12

Quartiere per quartiere, i vicini dibattono sul dafarsi. Dalla cacerola all'assemblea Sono iniziate spontaneamente, con il calore dei cacerolazos, e si sono moltiplicate con velocità. Le assemblee si riuniscono negli angoli e nelle piazze e discutono della statalizzazione della banca, di una manifestazione al supermercato del quartiere, sorprese ogni giorno della forza delle sue convocazioni.

Di Horacio Cecchi

L’assemblea seguiva ormai i suoi canoni caratteristici, nonostante i suoi partecipanti rappresentassero uno strano ventaglio di età, occupazioni e disoccupazioni, con inquilini, dueños e pettegoli, proprietari di casa e proprietari senza tetto, in giacca e cravatta, e con sandali e bermuda, kiosqueros, meccanici, ingegneri, tassisti, medici, calzolai. Fino a che non si sono ingarbugliati sul futuro nome dell’organizzazione di quartiere. “Perché chiamare popolare l’assemblea, per far scappare i vicini?”, ha domandato un vecchietto. “Propongo di chiamarla Multisectorial”, ha controbattuto un militante, un docente. Riceve applausi e fischi. La scena si sviluppava in San Telmo. Non era l’unica. Le assemblee si ripetono quartiere per quartiere, e in molti quartieri si susseguono fino a due o tre riunioni differenti di autoconvocati. Hanno cominciato spontaneamente, al calore dei cacerolazos, un colpo di telefono, un appuntamento, per finire a discutere della nazionalizzazione della banca, del rifiuto del debito estero, della calda e concreta manifestazione alla Corte Suprema e del vitale controllo dei prezzi al supermercato della curva. Ogni angolo funge da potenziale seme d’assemblea, in ragione di un centinaio di vicini per angolo, ognuno dei quali scoprono la forza e il potere che nasce da loro stessi, senza sapere come, per che cosa, nè gli obbiettivi, né le scadenze, appena coscienti e ancora sorpresi che dal 19 dicembre hanno rovesciato due presidenti.
La vecchietta, Alberta, Rosa o Felisa, fa lo stesso, attende senza fretta, come si vede che aveva fatto durante un gomitolo di anni ingarbugliati pazientemente, con le sue rugose mani incrociate, la destra che prende, con tutta la fermezza che le danno i suoi nodi, il polso sinistro, in piedi, perché in che altro modo si può stare in un’assemblea di vicini nonostante siano tanti i seduti; sono passate tre ore senza dire niente, solo ascoltando o ricordando nell’Esquina (angolo) Angel Gallardo y Corrientes, a contatto con il ruggito dei collettivi, con le auto che passano rasenti, con i poliziotti che, incoscienti, fanno gli spacconi con la loro fugace presenza.
Guarda Mariano, silenziosa e incurvata, mentre Mariano, senza anni, o almeno senza gomitoli e matasse, reclama la statalizzazione della banca, il non pagamento del debito estero, il rigetto di qualsiasi accordo con il FMI, l’opposizione ai supremi capi politici, l’espulsione di Duhalde, la sostituzione dei deputati e dei senatori non rappresentativi con le assemblee del popolo, il ripudio delle banche, dei politici e degli uniformados, la connessione con le commissioni interne delle fabbriche, tutto subito, in una richiesta che più che una richiesta, a questo punto della serata del mercoledi, le dieci meno dieci, risuona come un’esigenza. E’ stato durante una interruzione di Mariano, un lapsus della lingua, uno squarcio nella dialettica del suo discorso, che si è sentita doña Alberta, Rosa o Felisa, fa lo stesso, domandare quasi mormorando ma con la fermezza del mormorio costante delle onde: “E la luce, quando la tagliamo?”. A venticinque isolati, Scalabrini Ortiz e Santa Fe è un’altra esquina porteña, dunque un altro seme di germoglio assembleare. La breve abitudine di due settimane di riunioni, mercoledi e venerdi alle dieci di sera, è stata sufficiente per definire una metodologia pratica di ordine interno: nella propria esquina non c’è nessuno e niente che somigli ad un’assemblea, però un giovane, Javier, aspetta seduto all’ombra nella sua “segreta” funzione di indicatore dell’assemblea. Nessuno sa come si realizza il miracolo, però chi sta cercando l’assemblea inevitabilmente la sorge nel viso del giovane “che sa” . “stanno nella piazzetta lì, dice una prima e una seconda volta, indicando la ………di Malabia e Santa Fe-. Io sto aspettando un’amica e vengo”, aggiunge, cosa scomoda per il suo ruolo.
Stavano nella piazzetta. L’assemblea non era ancora iniziata. Sono, per il momento, trenta vicini, uno con una macchina vuota e un bambino piccolo al coperto, che piange. Sono seduti vicino ai tavoli della piazzetta, affianco al campo di bocce, mentre aumentano i “consigliati” da Javier. La divisione in gruppi non è casuale: gli autoconvocati de S. Ortiz y Santa Fe già si erano divisi in commissioni di lavoro dalle prime assemblee, fin dal 2 di gennaio. C’è una commissione di Stampa e Diffusione, un’altra d’Organizzazione e Sicurezza; una di contatto con altri quartieri; un’altra di Azioni Concrete e, in ultimo, quella di Analisi Politica e Economica.
Mezz’ora dopo, quando hanno già superato il centinaio, comincia l’assemblea. Dopo che Sebastian ha letto il regolamento per partecipare all’assemblea, votato il venerdi scorso, gli autoconvocati discutono dei meccanismi dell’assemblea. Non è facile. Su un centinaio di partecipanti, arrivano 28 proposte, cioè: dibattito sugli accordi di base presi durante l’assemblea precedente; scacciare Duhalde ed elezioni subito; rimozione e meccanismi di elezione dei supremi rappresentanti politici; previdenza per la disoccupazione; appoggio ai picchetti di protesta; esigere la consegna delle medicine; organizzazione dei controlli durante i cacerolazos; no al debito estero; manifastazione contro Telefonica sabato alle 12,00; opposizione ai sindacalisti; il corralito; e seguono i temi.
Una donna vuole aggiungere la propria. “Propongo di partecipare ad una manifestazione contro il Commisariato 25, dove detengono e maltrattano i travestiti”. E’ bastata solo questa proposta perché l’assemblea scricchiolasse e le mascherate differenze si trasferissero in primo piano. La riunione è rimasta divisa in due. “Non facciamoci prendere dalle narici come piviere!”, quasi grida la vicina che aveva appena presentato le sue amiche. Una metà impugna questa bandiera. L’altra metà vuole attaccare la vicina delle piviere. Nel mezzo, Sebastian vuole moderare, “Stanno facendo politica”, accusando la signora delle piviere. “E allora, forse chiedere le dimissioni della Corte non è politica”, ribatte il giovane che un istante prima aveva il suo bambino in braccio.
Torna l’ordine. I vicini hanno imparato a comprendere le differenze. E’ ora di votare che proposte si dibatteranno. Dettaglio: nell’ordine del giorno figura “che fare con il corralito”. Quando arriva il turno solo due lo votano. “vogliamo sottolineare- dichiara Carlos a Pagina12- che noi non ci riuniamo per il corralito, come vuole far apparire qualche mezzo di comunicazione. Vogliamo che questa impostazioni duri nel tempo, fino a quando i cacerolazos non si saranno calmati”, finisce Sebastian. Lontano dalla piazzetta, i vicini di San Telmo si riuniscono nella facoltà di ingegneria. E’ la prima assemblea dopo che il quartiere è diventato fulcro dei primi cacerolazos. La conformazione dell’assemblea è più eterogenea che a Palermo, una forte composizione di inquilini, toni più duri, quasi nessuno dibatte da intellettuale illuminato. Per questo i giovani del centro di studenti stonano. Non solo per il loro aspetto, ma anche per le loro proposte, tanto valide come qualsiasi altra, ma irraggiungibili secondo altri. Una donna che si lamentava per la bolletta di Telefonica, si infervora pensando alle battaglie senza quartiere contro le imprese privatizzate. “Li ho minacciati con il giudizio”, raccomanda vittoriosa, fino a chele proposte più estreme la allontanano: “Non pagare il debito estero, libertà per i lottatori del popolo; rimozione della Corte Suprema”, propone il moderatore, che si presenta come un docente di ingegneria, e la vicina se ne va. “Perché non votiamo un nome?”, propone un vicino, seduto su di uno sgabello, e dopo varie discussioni si procede al voto. Comincia dunque la discussione sul nome, se “Autoconvocados di San Telmo” come propone uno; “e di Monserrat” come aggiunge un altro; “non inseriamo –popular- per non spaventare i vicini che non hanno pratica di militanza”, riflette il parlante. “Multisectoral Vicini di San Telmo Carlos Almiròn”, propone il docente; “y de Monserrat”, insiste l’altro. Grandi fischi, ma anche applausi e appoggio. Nessuno sa quale è stato il primo contatto, ma tutti, in ogni angolo, sanno a partire da quando e i motivi. La inedita esperienza dell’inesperienza ha portato i porteños in un dibattito, difficile, discutibile, angosciante per alcuni, abituale per altri, però sempre un dibattito; sul costruire qualcosa, come, quando, e con che mezzi, a partire dalla certezza ogni giorno più palpabile che, finalmente, una forma di forza si va accumulando tra le proprie mani e nelle proprie cacerolas.

Traduzione by Matteo Indy na

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