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intervista a Lula, candidato del Pt: brasile e argentina....
by garabombo Sunday, Oct. 06, 2002 at 6:42 PM mail: garabombo@autistici.org

dal quotidiano argentino pagina12:

INTERVISTA A LULA SU ARGENTINA, LA CRISI, STATI UNITI E IL SUO PROGETTO DI PAESE.
“Io propongo un nuovo contratto sociale”

Oggi può vincere al primo turno. O passare al ballottaggio con degli ottimi risultati. In ogni caso, Luiz Inácio Lula da Silva, il candidato alla presidenza del Brasile per il Partito dei lavoratori, otterrà un numero di voti superiore alla popolazione di tutta l’Argentina. Qui le sue idee e le sua definizioni, esposte a Pagina12.

Di Martín Granovsky

Nel 1998 Lula ha ottenuto 32 milioni di voti. Quasi un’Argentina. Oggi, che vinca al primo turno o meno, otterrà circa 40 milioni di voti. Più di un’Argentina, che voterà come presidente un meccanico che nel 1980 ha fondato un partito dei lavoratori con una stella rossa a cinque punte e adesso si propone di costruire un Brasile meno crudele nelle sue disuguaglianze sulla base di una diffusa deindustrializzazione.
Il nascondiglio di Lula era ieri uno dei misteri più seguiti dal Brasile. Certamente era nella sua casa di San Bernardo, a un’ora di pullman da San Paolo, o in casa di qualche amico. Mentre tutto il Partido de los Trabalhadores scendeva in strada per esibire i propri militanti come figurine ambulanti e per guadagnarsi gli ultimi voti, il candidato preferiva stare a guardare.
I responsabili della campagna elettorale di Lula hanno ammesso che, nonostante non ci sia la possibilità effettiva di ottenere risultati attendibili da una “inchiesta nazionale”, alcuni sondaggi piuttosto attendibile continuano a dare al candidato del Pt quasi la metà dei voti validi, vale a dire i voti positivi scartando la cifra dei suffragi in bianco o annullati. Perché non ci sia un secondo turno tra tre settimane, la somma dei voti per Lula ovviamente deve essere quella del 50% più uno. Intanto al PT non c’era traccia di eccitazione pre elettorale. La formula del partito sembra semplice: lavorare e lavorare. Essere persistenti al di là di qualsiasi spettacolarizzazione, confidare in una struttura di militanti più organizzata della altre.
Pagina12 ha saputo che Lula ha voluto seguire da vicino la situazione in ogni città del Brasile.
Il candidato alla presidenza per il PT ha rifiutato di rilasciare però interviste faccia a faccia ma ha voluto rispondere per iscritto alle domande che questo quotidiano gli ha invitao, ovviamente a partire dalla sua affermazione di un paio di settimane fa secondo la quale “il Brasile non crollerà, non è una Repubblichetta, non è l’Argentina”.
-Lei pensa che l’Argentina sia una repubblichetta?
-Questo già l’ho chiarito: no. E ho già detto che l’unica cosa che ci divide è il calcio. La priorità numero uno della nostra politica estera sarà la ricostruzione del Mercosur, molto debilitato per la crisi che hanno sofferto i suoi quattro membri.
-Che farà con il Mercosur se risulterà il vincitore delle elezioni?
-Seguire l’obbiettivo dello sviluppo. Questo non implica solo la crescita accelerata della nostre entrate, ma anche una effettiva redistribuzione delle entrate affinché venga posta fine alle gravi disuguaglianze che soffre il nostro continente. Così credo che le sorti del Mercosur dipendano dipendono in gran parte dal rapporto tra brasile e argentina, e dunque le relazioni tra i due paesi per noi sono una priorità. L’Argentina è un grande paese, con un enorme potenziale economico e una popolazione colta e politicizzata. Le sue difficoltà attuali sono passeggere e il Brasile dovrà impegnarsi affondo perché siano superate nel più breve tempo possibile.
-Perché si oppone all’attivazione dell’ALCA (Accordo di Libero Commercio delle Americhe)?
-Nei termini in cui è stato proposto dagli USA nel 1994, un accordo di libero commercio produrrebbe nella regione dei problemi enormi. L’asimmetria tra i paesi è enorme e non si intravedono politiche e risorse che tendano ad eliminar le grandi disuguaglianze socioeconomiche tra i paesi membri. Gli Usa perseverano nella loro egemonia tecnologica, militare, culturale ed economica, e non si propongono una politica di compensazione, come quella che l’Unione Europea ha portato avanti per le difficoltà di Spagna, Portogallo e Grecia. Una proposta simile non porta all’integrazione, piuttosto sostiene l’annessione latinoamericana all’economia degli Usa.
-Qual è l’alternativa all’ALCA?
-negoziare a partir dal Mercosur e approfondire le relazione con la Comunità delle nazioni Andine. Credo pienamente nei rapporti e negli scambi tra i distinti blocchi subregionali. Senza il brasile l’ALCA non esiste. E in più una vera integrazione dovrebbe includere Cuba. Il popolo brasiliano ha già pagato a caro prezzo la sottomissione del paese alla globalizzazione neoliberale portata avanti dagli Usa. Il paese ha chinato la testa d’innanzi alle pretese del FMI e della Banca Mondiale ed è restato timido all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Se il Brasile si sottomette all’integrazione forzata nell’ALCA i costi già pagati si moltiplicheranno. Uno studio dell’ambasciata brasiliana a Washington ha constatato che le esportazioni brasiliane verso gli USA pagano una imposta media del 45%, mentre i prodotti nordamericani pagano in Brasile un’imposta media del 15%. Se queste cose non cambiano, di che cosa andiamo a discutere con loro?
-Se vince manterrà una politica ostile nei confronti degli USA?
-No. Un governo democratico-popolare non mostrerà alcun tipo di ostilità. Il mercato nordamericano assorbe il 25% delle nostre esportazioni, ma il nostro governo non resterà sottomesso: le difenderà. Il Brasile è ancora una delle dieci maggiori economie del mondo e non può essere trattato come una repubblica delle banane.
-Come saranno le relazioni con gli USA?
-Di reciproco rispetto e di risoluzione diplomatica dei conflitti. Gli USA sono una grande nazione. Mi auguro che anche l’amministrazione nordamericana ritenga che la stabilità del brasile sia indispensabile per il resto del continente.
-E’ d’accordo con chi dice che gli USA stanno portando avanti una politica più unilaterale che mai?
-Le condizioni geopolitiche attuali dettate dall’unilateralismo degli Stati Uniti compongono un contesto internazionale sfavorevole per l’attivazione di politiche autonome che rispondano ad interessi nazionali.
-Appoggerà un’azione militare contro l’Iraq?
-L’attacco non ha attualmente il consenso delle Nazioni Unite, dove in questo momento, inoltre, gli USA contano solamente sull’appoggio della Gran Bretagna. Se ci fosse un attacco unilaterale, questo faciliterebbe un sentimento di ribellione molto forte nel mondo arabo e aggraverebbe di conseguenza il conflitto esistente in Medio oriente e in diverse regioni con una considerevole presenza di popolazione araba o mussulmana. Gli ispettori dell’ONU devono stabilire se l’Iraq è una base terroristica, in modo che poi il Consiglio di Sicurezza decida sulle adeguate sanzioni. Un eventuale attacco contro l’Iraq danneggerebbe l’economia mondiale, come testimonia la crescita del prezzo del petrolio già in atto.
Per questa, e in accordo con la tradizione diplomatica brasiliana, difendiamo una soluzione negoziata per questa crisi.

Patto e negoziazione.
Negoziare sembra il verbo chiave di Lula. La redazione della rivista Istoé è rimasta talmente impressionata dalla sua ossessione che ha titolato in prima pagina nel suo ultimo numero “Negoziare e negoziare”, con il riferimento ad un servizio su Lula. E non è semplicemente uno stile. Se Lula vince le elezioni oggi o tra tre settimane, erediterà un paese tremendamente vulnerabile, dipendente dai capitali, a loro volta dipendenti dall’altalena di Wall Street e dallo scetticismo dei mercati dovuto alla situazione legata all’Iraq. Nessuno sa quanti dei 540 deputati che formano la camera dei deputati brasiliana Lula otterrà, ma di certo non sarà la maggioranza e dunque questo è l’altro dato che rafforza una negoziazione permanente.
Il PT non è un’organizzazione atterrata sulla terra da Marte e ancor meno è nata da un’interpretazione libresca o da una definizione ideologica di una corrente socialista. E’ un fenomeno prettamente brasiliano.
Per il Pt la questione non è formare una coalizione ideologica ma una coalizione sociale. Per questo prova a coinvolgere nel progetto gli industriali scontenti come Enrique Satub de gradiente e lo stesso Alencar, produttore di magliette che fattura 300 milioni di dollari all’anno ed è il candidato a vice di Lula. […].
Io sto proponendo al Brasile un nuovo contratto sociale.
Un patto che ponga ad un tavolo di negoziazioni gli industriali, i sindacati, i distinti settori della società civile organizzata e i movimenti sociali affinché si possano attivare e portare avanti le riforme necessarie e affinchè crescano con la giustizia sociale.
-Non è eccessivamente carica di magia l’idea che la negoziazione in quanto tale possa uniformare le posizioni della gente e degli investitori allo stesso tempo?
-Non vedo nessun contraddizione. E tantomeno credo che stabilità e crescita si possano opporre. Questo lo pensano alcuni economisti conservatori e io non sono d’accordo. [..]
Noi pensiamo di dare impulso alla costruzione civile e incentivare nuove cooperative di credito. In precedenza avevamo dei surplus commerciali per più di 10 milioni di dollari all’anno; oggi invece siamo nelle mani dei capitali stranieri e leghiamo la crescita delle nostre attività alla buona volontà di chi investe da lontano; ogni volta che i mercati internazionali attraversano una turbolenza la nostra economia trema.
In più negli ultimi otto anno il PIL pro capite ha segnato la sua crescita più scarsa nella storia del paese. La disoccupazione è passata dal 4,5% del 1994 al 7% di oggi e senza contare le forme di sottoimpiego. E’ aumentata invece la criminalità ed il rischio paese del Brasile è tra i tre maggiori del mondo. La nostra partecipazione al volume del commercio mondiale è calata allo 0’8%.
-Come è cambiato il PT dall’anno della sua nascita? Ha scolatati a destra?
-No, le differenze stanno nell’età di 22 anni del nostro paese e nel raggiungimento di una maturità diversa. Abbiamo fatto delle promesse e adesso il popolo vuole un Pt che dica come le manterrà.
Ed è molto chiaro perché, perché il PT già governa in cinque Stati, sette capoluoghi ed una parte delle città con più di 200mila abitanti. E’ per questo che il brasile vuole essere governato dal PT, perché vuole capire in che modo le cose potranno essere diverse.

Destra e sinistra
Lula mostra una certa irritazione quando gli viene riproposto l’argomento di destra e sinistra legato alla sua figura ed al suo partito.in generale l’irritazione è propriamente di destra, sono i conservatori coloro che sono soliti dire che non importano le distinzioni ideologiche. I critici di Lula, da sinistra, vedono come una prova chiara del suo spostamento verso posizioni di centrodestra l’autodefinizione di un uomo quasi al di sopra delle distinzioni ideologiche. C’è anche un’altra spiegazione possibile: nel caso di Lula, la sua storia personale non mostra in nessun momento una preoccupazione dogmatica. Nel reportage della rivista Istoé, alla domanda dei cronisti “Lula, lei si sente un uomo di sinistra?”, il candidato del pt ha risposto “Non mi sono mai preoccupato di questo”. Ha spiegato poi che ciò che lo tiene in vita politicamente non sono certo le etichette. “Ai principi della mia vita politica mo hanno chiesto se ero comunista. Ho risposto che ero un meccanico. Dal punto di vista filosofico sono di certo socialista, e credo che la ricchezza nel mondo deve essere ridistribuita in modo più giusto in tutta la società. Se vinciamo porteremo avanti un progetto di giustizia sociale e di redistribuzione delle entrate”.































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