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Tecniche di disinformazione-Introduzione
by imc-italia Monday, Oct. 14, 2002 at 10:23 PM mail:

Tecniche di disinformazione, manuale per una lettura critica dei media-Escuela popolar de Madrid- Grupo de Aprendizaje colectivo- Comunicacion popular- INTRODUZIONE
Le parti successive si trovano in Parte A: Strutturazione dell’informazione nei giornali http://italy.indymedia.org/news/2002/10/94116.php Parte B: Il linguaggio http://italy.indymedia.org/news/2002/10/94118.php Parte C: Il contenuto dell’informazione http://italy.indymedia.org/news/2002/10/94119.php

TECNICHE di DISINFORMAZIONE Manuale per una lettura critica della stampa Gruppo di Apprendistato Collettivo COMUNICAZIONE POPOLARE SCUOLA POPOLARE DI “PROSPERIDAD” Madrid CON LA COLLABORAZIONE DI WWW.CRIMELIST.IT RIGOROSAMENTE ANTI-COPYRIGHT (Il sapere non ha padroni) Si raccomanda e si ringrazia la riproduzione parziale, o meglio, totale di questo lavoro, per qualunque mezzo, telematico, elettronico, meccanico, tipografico o altri, ed incoraggiamo la sua massiccia distribuzione e/o pubblicazione. Distribuito da: SCUOLA POPOLARE PER ADULTI “LA PROSPE” c/Luis Cabrera, 19 28002 MADRID Tel. : 0034 91 562 70 19 Posta elettronica : prospe@nodo50.org Pagina web: http://prosperesiste.nodo50.org SENTIMIENTOS KONTRA EL PODER (SENTIMENTI KONTRO IL POTERE) Apdo. De Correos 5 28901 GETAFE (Madrid) @: indiano46@teleline.es INDICE INTRODUZIONE A) STRUTTURAZIONE DELL’INFORMAZIONE NEL PERIODICO 1. Localizzazione ed estensione della notizia 1.1 Secondo le pagine dove appare 1.2 Secondo la sua ubicazione nella pagina 1.3 Secondo la sua estensione 1.4 Secondo la sezione dove appare 2. Contorno/cornice nella quale è inserita la notizia 3. Fotografie ed altro materiale grafico 4. Strutturazione di una notizia: la “Piramide rovesciata” 4.1 Titoli e trafiletti 4.2 Decontestualizzazione B) IL LINGUAGGIO 1. Il linguaggio scritto 1.1 Tono/linguaggio orientato 1.2 “Parole magiche” 1.3 Associazioni di parole e fatti 1.4 Eufemismi e tecnicismi 1.5 Espressioni orientate 1.6 Stili narrativi 2. Il linguaggio delle immagini 2.1 Immagini manipolative 2.2 Campagne fotografiche 3. Il linguaggio dei numeri C) CONTENUTO DELL’INFORMAZIONE 1. Selezione ed uso delle fonti di informazione daaaaaaaaaaaaaaaaaaaa 2. Informazione falsa 2.1 Informazione falsa scritta 2.2 Informazione falsa visiva 3. Selezione degli argomenti di informazione 3.1 La non-informazione 3.2 “Informazione-Fulmine”. Notizie che appaiono e scompaiono 3.3 La sovrinformazione ANNESSO: NOTIZIE PER ORDINE DI COMPARSA INTRODUZIONE Oggi giorno l’opinione pubblica costituisce un elemento fondamentale per la stabilità o l’instabilità del sistema. E in una società mediatica “l’opinione pubblica si forma giorno dopo giorno mediante il continuo bombardamento dei mezzi di comunicazione. La verità è ciò che loro ci propongono come verità. Ciò che non è riportato dalla stampa non esiste, e quello che esiste è solo nella forma in cui appare in essa”. L’importanza dei media da luogo, da un lato ad un forte controllo su questi da parte di chi ha potere, ma, contemporaneamente, alla necessità che questo controllo passi inosservato per mantenere l’apparenza di libertà di informazione, imprescindibile perché si possa considerare una società come democratica. Un terzo aspetto è che la maggior parte dei media siano aziende, da cui derivano obbiettivi commerciali che vanno ad influire anch’essi sulla loro linea informativa. Il risultato dell’unione di questi tre obbiettivi è la configurazione di un sistema di manipolazione ampio e sottile, a volte contraddittorio, ma che generalmente più che informare pretende imporre una realtà mediante opinioni e valorazioni presentate come verità indiscutibili. La raccolta di queste tecniche di disinformazione è frutto di tre anni di lavoro del Gruppo di Apprendistato Collettivo (GAC) di Comunicazione Popolare, nell’ambito del progetto educativo e sociale della Scuola Popolare di “Prosperidad”. Tre anni analizzando in maniera critica numerose notizie di stampa estratte dai principali periodici nazionali spagnoli, di modo che, giorno dopo giorno, abbiamo definito ed elaborato criteri e conclusioni che adesso vi presentiamo sotto la forma di queste tecniche. Tutte queste sono apparse in maniera chiara e ripetitiva, isolate o combinate fra loro. Molte di loro possono essere applicate ad altri mezzi, TV o radio, anche se non alla lettera, perché ogni mezzo di comunicazione possiede i suoi strumenti di disinformazione dovuti alle proprie caratteristiche differenti dagli altri. La soggettività è inevitabile in ogni prodotto culturale per cui, anche pretendendo dare una visione neutra ed imparziale della realtà, questa non potrà mai essere totalmente oggettiva. La maniera migliore di avvicinarsi all’oggettività è mostrando la realtà da differenti punti di vista, raccogliendo informazione su uno stesso tema a traverso fonti distinte e con differenti posizioni su di esso. Dunque è precisamente in questo punto dove risiede un primo e fondamentale elemento di manipolazione da parte dei media: la sua pretesa di oggettività, l’inganno di offrirci la loro visione della realtà come se si trattasse della realtà stessa, e nascondendo sempre gli interessi che difendono. Per fare una lettura critica dell’informazione, presumibilmente oggettiva, è fondamentale conoscere gli interessi ai quali rispondono coloro che ti offrono questa informazione. La “realtà virtuale” costruita dai media è quindi parziale e obliqua. Generalmente questi danno copertura e priorità ai punti di vista di coloro che ostentano i poteri politico ed economico (aziende, grandi partiti politici, governo, grandi sindacati, ecc.) in cambio la visione, valutazione opinioni e interessi dei giovani, anziani, lavoratori, malati, studenti, detenuti, donne, immigrati, impiegati, organizzazioni popolari, …. sono quasi sempre passati sotto silenzio o emarginati o deformati. La disinformazione non sempre è sistematica, preparata e disegnata in maniera cosciente e controllata. La complessità del processo di elaborazione dell’informazione, ed il vasto campo da dove si può raccogliere fa che molte volte la disinformazione sia frutto dell’incompetenza del/della giornalista per non conoscere un argomento, per mancanza di tempo e spazio, per i suoi pregiudizi o quelli del redattore/trice, per applicare schemi di lavoro troppo semplicisti o sensazionalisti, ecc. Però non c’è dubbio che in molti altri casi esistono campagne di disinformazione che rispondono ad interessi economici o politici chiari, del mezzo di comunicazione o dei gruppi impresariali che lo finanziano e sostengono. La maggior parte delle notizie sono distribuite da Agenzie di Stampa internazionali. Queste al principio selezionano una piccola parte delle informazioni perché il 90 per cento di esse vengono rifiutate. Vale a dire, che ciò che viene a nostra conoscenza è solo una piccola frazione di ciò che succede nel mondo. È necessario per tanto conoscere che criteri di selezione sono usati per la scelta delle informazioni ed a che interessi possono rispondere. Non dimentichiamoci che la maggior parte di queste agenzie sono grandi aziende nordamericane, europee e giapponesi, che sono di solito strettamente vincolate ad importanti gruppi finanziari in contatto diretto con i governi dei paesi ai quali appartengono. Logicamente non hanno interesse a ché si verifichino cambi sociali, né certamente nel far conoscere notizie e situazioni che manifestino i pericoli e gli aspetti negativi del sistema o mettano in questione la sua validità. Però non solo queste agenzie influiscono nell’informazione (sono solo il primo filtro) ma lo fanno pure le banche che finanziano i mezzi di comunicazione, le corporazioni che possiedono questi mezzi, le aziende che hanno azioni o che sostengono il giornale (radio; TV; ecc.) mediante la pubblicità. E non si tratta solo di aziende: per esempio lo stesso Stato spagnolo (italiano; ecc.) è colui che apporta più soldi ai media nazionali, sotto forma di pubblicità (pagata con denaro pubblico); in questo modo indiretto può “castigare” o “premiare” le voci avverse o quelle a lui favorevoli. E alla fine, la stessa linea ideologica dei giornalisti e dei redattori, vale a dire: anche i loro pregiudizi, il loro corporativismo, eccessiva specializzazione, fedeltà alla impresa e la loro tendenza alla autocensura influiscono nell’orientamento dell’informazione. La disinformazione viene quindi da numerosi filtri e obliquità, senza che nessuno di questi in particolare, se non tutto il processo sia la causa per cui l’informazione ci arriva manipolata e deformata, e incluso spesso coscientemente alterata. Quindi non solo in ciò che si pubblica, ma anche in come si pubblica sta la disinformazione. Di quando in quando appaiono notizie critiche e discordanti nei media. Però in generale non sono che “fessure controllate” che danno credibilità al mezzo dotandolo di un’apparenza plurale ed indipendente, e che sono abbondantemente contrastate da un’alluvione di informazioni di segno contrario (che rispondono ai diversi interessi di potere) o da una presentazione che gli imprime un carattere lontano ed aneddotico. Inoltre, la maggioranza di queste informazioni discordanti, realmente critiche, appaiono sotto forma di opinione (colonnisti, “lettere al direttore, ecc.”), la qual cosa relativizza la sua importanza. Questo dossier non si incentra sulle cause o origini della disinformazione (struttura impresariale del processo mediatico, interessi politico-economici, ecc.) ma sulle forme con cui si attua questa disinformazione sulla stampa, sotto la apparente oggettività ed esaustività del periodico. Per questo lo abbiamo sottotitolato “Manuale per una lettura critica della stampa”. Perché più che inquietudini teoriche, ci guida in questo lavoro un desiderio pratico di proporre strumenti per l’analisi critica. Le tecniche di manipolazione che sono qui raccolte sono solo alcune gocce d’acqua di tutta una corrente che tergiversa la realtà. Però anche così, consideriamo importante imparare a difenderci dai media, a vedere quello che c’è dietro la facciata (leggere le notizie “ dal rovescio “) per, alla fine, pianificarci adesso l’esigenza e la necessità di avere una informazione al servizio dei nostri interessi, e non contro di essi. Il presente dossier è strutturato in tre parti. Nella prima ci soffermiamo su come si organizza e gerarchizza l’informazione in un giornale (sezioni, estensione, …), il contesto in cui si presenta la notizia e come si ordina quest’ultima. Nella seconda parte analizziamo il linguaggio scritto, fotografico e statistico, vale a dire la forma in cui ci presentano la notizia, lo stile narrativo, l’uso di virgolette, aggettivi, ecc. E nella terza ed ultima parte del lavoro studiamo il contenuto delle notizie: la loro precedenza, la loro falsificazione, gli argomenti che trattano, quelli che vengono esclusi e quelli che vengono esagerati. Segue un annesso con notizie concrete che illustrano ed esemplificano i punti e le idee esposte.

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E il resto?
by Ignorante Monday, Oct. 14, 2002 at 10:35 PM mail:

Scusate la mia ignoranza ma dov'è il resto del documento? Devo andare sul sito in spagnolo? Please help

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Il resto segue
by teresa Monday, Oct. 14, 2002 at 10:50 PM mail:

Il resto segue in Parte A: Strutturazione dell’informazione nei giornali
http://italy.indymedia.org/news/2002/10/94116.php

Parte B: Il linguaggio
http://italy.indymedia.org/news/2002/10/94118.php

Parte C: Il contenuto dell’informazione
http://italy.indymedia.org/news/2002/10/94119.php

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pdf or rtf
by Marco Friday, Oct. 18, 2002 at 3:13 PM mail: cybercrema@libero.it

Ho scaricato il manuale dove diceva pdf ma ci ho trovato un rtf. Dov'è il pdf? Già che ci sono, esiste una copia scaricabile della versione originale?

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tecniche di disinformazione
by andrea Tuesday, Oct. 29, 2002 at 3:44 PM mail:

...ma com'è tradotto male...

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jfxz\vaxkh
by jkdfgdfguj Monday, Nov. 04, 2002 at 10:40 PM mail: kjvadsrrgjk

dafojdfhjkl gljiknfdsrfwhkjl;

6666666666666

look at me im a crazy I_talian
blah blah blah i'm a communist

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traducilo tu....
by roberto Monday, Nov. 18, 2002 at 11:46 PM mail:

bè caro andrea, come fai a dire che è tradotto male se non leggi il testo originale in spagnolo???

il traduttore

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ovvio
by falco Sunday, Feb. 16, 2003 at 11:36 PM mail:

ovvio....degli esperti della disinformazione secondo te lo traducono bene?

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intercâmbio
by Remozo Monday, Mar. 31, 2003 at 6:10 PM mail: c_e_r@hotmail.com

Ciao!
Io sono di Recife,in Brasile, non lo só parlare molto bene iagliano.
Qui cè il COLETIVO EDITORIAL REMOZO, che sono personi che lavorano con comunicazione alternativao -contrainformação-
Nuestro coletivo è nuovo, ma capire che solo lavorano en rede é che nui possiamo facere una vera revuluzione planetária.
Cè una amica che è en Roma adesso e puoi tornare facile il contato fra nui.
Abraços "nordestinos"

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....finalmente,...
by nazabal Friday, Apr. 11, 2003 at 4:06 PM mail:

E' certamente vera e conosciuta a molti ,ma non a troppi, la necessità di trattare nell'era delle guerre mediatiche un argomemento spinoso come questo... il lavoro non solo è interessante, ma anche critico, Grazie.

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Utilissimoanche per i grafici e gli esperti del settore della pubblicità.
by Gertrud Wednesday, Apr. 30, 2003 at 6:22 PM mail: gertrudvalentina@hotmail.com

Questo manuale lo trovo iper utile anche per chi, come me ed altri miei colleghi, opera nel campo della pubblicità.
Sul forum di lavori creativi infatti è nato proprio un discorso su come cambiare i temi classici della pubblicità italiana, basati quasi esclusivamente sul mostrare sederi tette e fifì delle donna per vendere (ma ci sono mille altri esempi classici).Insomma come riuscire a trasmettere un messaggio senza usare i soliti stilemi tipici della pubblicità.
Penso che uno studio di questo manuale, che apparentemente serve per leggere fra le righe dei quotidiani, sia utilissimo anche per proporre qualcosa di nuovo e di diverso nella classica pubblicità italiana.
Baciotti a tutti
Gertrud

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traduzione
by pix Tuesday, May. 06, 2003 at 5:33 PM mail:

Non sono in grado di fare meglio.
Se non altro la forma italiana si legge con scorrevolezza.


bye

pix

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TESI DI LAUREA
by Rovistando su internet Friday, May. 09, 2003 at 1:13 AM mail:

http://www.bolognadue.it/angelorizzi/teindice.htm

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Non è poi un gran che
by Daniele Tuesday, Oct. 21, 2003 at 5:15 PM mail:

3 anni di lavoro per scrivere una miseria come questa!
Quello che si dice è tutto vero, ma sembra più una ricerca di un liceale che non uno studio approfondito della materia (forse questa è solo una sintesi?). Alcuni degli esempi sono buoni, ma altri rivelano un po' troppo la parzialità dell'autore e ciò fa perdere al testo molti punti. Insomma, "dossier" alla fine è una parola un po' grossa.

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Traduzione
by Husky Sunday, Nov. 02, 2003 at 12:11 PM mail:

Il saggio è decoroso; peccato che sia tradotto così male. Ma se la levatura dei lettori è quella che si deduce dalla replica che riporto qui sotto: "bè caro andrea, come fai a dire che è tradotto male se non leggi il testo originale in spagnolo???" (il che è come dire che per giudicare il valore di un quadro è necessario vedere l'originale...) allora il saggio diventa perfino discreto.

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testi in spagnolo
by ghigus Sunday, Nov. 23, 2003 at 8:27 AM mail: ghigus@lycos.com

i testi delle università spagnole sono spesso molto pragmatici ed esemplicativi (per tutti, diremmo noi) ma forse è meglio così.
La cultura deve essere per tutti ed è inutile complicarla.
Mi permetto di consigliare la lettura del primo libro sulla persuasione occulta (che tutti conoscerete):
"the hidden dimension" di, mi sembra, T. Hall
saluti

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interessante
by mingushot Sunday, Nov. 28, 2004 at 2:22 AM mail:

non ho ancora avuto tempo di leggere tutto il testo ma dalla premessa mi pare si capisca bene dove va a parare esto estudio espanolo.Ma basta osservare la televisione per capire con che cosa abbiamo a che fare.c'era bisogno di un saggio spagnolo per capire che la pubblicità dello yogurt mueller ( come quello di tanti altri prodotti) è un invito a sostituire l'affetto col cibo? che il tg serve a condizionare il modo con cui percepiamo la realtà esterna , quella che non viviamo quando lavoriamo , quello che fa la gente che non conosciamo?Questa potente cattedra della carta stampata e tv ( editoria si chiama e mi viene in mente solo un cognome) la conosciamo già. Spero solo che si conosca bene anche l'effetto catartico : vi siete chiesti perchè il cinema ha sempre il lietofine?

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interessante
by freehotdoc Sunday, Nov. 28, 2004 at 2:22 AM mail: freehotdoc@yahoo.it

non ho ancora avuto tempo di leggere tutto il testo ma dalla premessa mi pare si capisca bene dove va a parare esto estudio espanolo.Ma basta osservare la televisione per capire con che cosa abbiamo a che fare.c'era bisogno di un saggio spagnolo per capire che la pubblicità dello yogurt mueller ( come quello di tanti altri prodotti) è un invito a sostituire l'affetto col cibo? che il tg serve a condizionare il modo con cui percepiamo la realtà esterna , quella che non viviamo quando lavoriamo , quello che fa la gente che non conosciamo?Questa potente cattedra della carta stampata e tv ( editoria si chiama e mi viene in mente solo un cognome) la conosciamo già. Spero solo che si conosca bene anche l'effetto catartico : vi siete chiesti perchè il cinema ha sempre il lietofine?

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pubblicitari
by a.h. Wednesday, Dec. 29, 2004 at 12:43 PM mail:

...del resto guy debord gia' sapeva che il suo 'la societa' dello spettacolo' sarebbe stato il libro piu' letto dai nemici che cercava di combattere.

non mi stupisce che dei pubblicitari possano trovare molto utili risorse in un manuale che mostra come si manipola l'informazione: la pubblicita' serve a rappresentare un prodotto come migliore di un altro, ad aggiungere un valore in piu', un segno in piu' al prodotto la cui firma compare in uno spot.

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Hollywood entra in guerra
by *** Friday, Sep. 16, 2005 at 6:00 PM mail:

Hollywood entra in guerra: come la politica, il profitto e la propaganda condizionarono i film della II Guerra mondiale

di Clayton R. Koppes e Gregory D. Black. New York: Free Press/Macmillan, 1987, X + 374 pag., illustrato, $22.50 ISBN 0-02-903550-3.

di Jack Wikoff

La propaganda può essere definita come il tentativo di manipolare l’opinione pubblica allo scopo di promuovere o nuocere a una particolare causa, o a un individuo o a un gruppo. I propagandisti ricercano più il controllo che l’informazione. Dalla lettura di questo libro, non ci si può staccare se non con l’impressione che l’industria cinematografica e varie agenzie governative siano state pesantemente coinvolte nel lavoro di propaganda prima e durante la II Guerra mondiale. Nei tardi anni ’30 i “Big Eight” [1] di Hollywood dominavano sia il mercato interno che quello straniero. Queste società avevano creato un’industria integrata verticalmente. Come ci dicono gli autori, Koppes e Black: “Controllavano l’intero processo, dalla scelta degli attori alla produzione, attraverso la distribuzione (commercio all’ingrosso) e la proiezione (noleggio). Nei tardi anni ’30 i “Big Eight” raccoglievano il 95 per cento dei noleggi di film in tutti gli Stati Uniti. Era critico il loro controllo sulle catene delle sale, in particolare sulle importantissime sale cittadine di prima visione, quelle che determinavano il futuro di un film.” Koppes e Black spiegano brevemente che: “Gli uomini che guidarono l’industria del cinema nella sua transizione verso i grandi affari erano i proprietari di teatri, quasi sempre ebrei, ed erano gli unici adatti a quel compito. Il drammaturgo e sceneggiatore Ben Hecht [2] una volta osservò che Hollywood costituiva “una rinascita semitica senza rabbini e Talmud”.” Gli autori ci informano anche che: “Nel 1940 cinque dei quindici stipendi più alti del paese venivano pagati a gente del cinema. In cima all’albero della cuccagna vi era il magnate Louis B. Mayer, che nel 1937 fra stipendio e vari bonus incassò la somma principesca di 1,3 milioni di dollari, probabilmente la cifra più alta di ogni altro dirigente americano di quell’anno.” Il contenuto dei film divenne avidamente internazionalista ed anti-isolazionista molto tempo prima di Pearl Harbor. Nel 1938 la United Artist realizzò Blockade, [3] un racconto filorepubblicano della Guerra Civile spagnola interpretato da Henry Fonda. Le organizzazioni cattoliche protestarono contro la proiezione di questo film perché mostrava le atrocità compiute dall’esercito repubblicano filo-comunista con preti e suore. Joseph Breen, il giornalista cattolico conservatore a capo del Production Code Administration, [4] accusò Hollywood ed in particolare la Hollywood Anti-Nazi League [5] di tentare di “catturare gli schermi degli Stati Uniti con scopi di propaganda comunista.” E dichiarò che la Lega era “diretta e finanziata quasi interamente da ebrei”. Nel 1939 la Warner Brothers lanciò Confessions of a Nazi Spy, [6] film che sosteneva in maniera melodrammatica che la Germania cercava di conquistare il mondo intero. “Utilizzando tecniche semi-documentarie e lunghi periodi narrativi, il film identificava nel German American Bund un’arma del governo tedesco il cui scopo era quello di distruggere la Costituzione americana e il Bill of Rights.” [7] Fritz Kuhn, leader del Bund, rispose a questa campagna denigratoria con una causa per diffamazione chiedendo 5 milioni di dollari di risarcimento. Naturalmente, dopo che Kuhn fu accusato ed arrestato per la supposta appropriazione di fondi del movimento, la causa venne lasciata cadere. Che questa accusa contro Kuhn non fosse altro che una manovra politica lo prova l’immutata fiducia del movimento nei confronti del proprio leader. [Vedi: Peter Peel, "The Great Brown Scare," Journal of Historical Review, Vol. 7, no. 4, Inverno 1986-1987] Nel 1939 venne realizzato anche Beasts of Berlin, che fece tesoro dell’infame film del 1917, The Kaiser, Beast of Berlin, che aveva suscitato veri e propri tumulti anti-tedeschi in molte città americane durante la I Guerra mondiale. [8] Il 1940 ed il 1941 videro l’apparizione di film pro-bellici come The Great Dictator, la parodia di Hitler e Mussolini, interpretato da Charlie Chaplin ( vero nome Israel Tonstein), oppure Man Hunt, diretto dal fuoruscito tedesco Fritz Lang, The Mortal Storm, A Yank in the R.A.F., Sergeant York, I Married a Nazi ed una schiera di altri titoli. [9] Questi film furono parte integrante della vigorosa campagna, condotta da vari soggetti, per portare gli Stati Uniti ad una guerra contro la Germania. E’ interessante notare che il figlio del presidente Franklin D. Roosevelt, James, presidente della Globe Productions, entrò nell’affare della propaganda distribuendo un film inglese intitolato Pastor Hall. Era il racconto, reso molto affascinante, delle attività anti-Nazionalsocialiste di Martin Niemöller, “il capitano di U-boot della I guerra mondiale che tornò predicando il pacifismo”. James Roosevelt aggiunse al film un prologo scritto da Robert Sherwood, letto da nessun’altro se non sua madre Eleanor, la moglie del presidente. [10] I profondi legami fra Hollywood e l’amministrazione Roosevelt sono descritti più oltre nel paragrafo seguente del libro Hollywood Goes to War: “Ad agosto [del 1940] F.D. Roosevelt chiese a Nicholas Schenck, presidente della Loew (società da cui nacque la MGM), di realizzare un film su difesa e politica estera. A metà ottobre uscì quindi Eyes of the Navy, due bobine che un dirigente di uno studio garantì avrebbero portato al presidente migliaia di voti, con la proiezione nei cinema di quartiere. L’interesse di Schenck può essere stato sia personale che patriottico. Suo fratello Joseph, capo della Twentieth Century-Fox, era stato arrestato per evasione fiscale. Il presidente Roosevelt chiese al ministro della Giustizia, Robert Jackson, di rilasciarlo dietro pagamento di una multa, e la stessa richiesta fu fatta dal figlio di Roosevelt, James, a cui Schenck aveva prestato 50.000 dollari. Ma l’onesto Jackson insistette nella pena detentiva e Schenck scontò quattro mesi prima di essere rilasciato in libertà provvisoria per ritornare nel mondo del cinema.” [11] Nel settembre del 1941 una sottocommissione del Committee on Interstate Commerce iniziò le audizioni sulla “propaganda bellica diffusa dall’industria cinematografica e su ogni monopolio sulla produzione, distribuzione, o proiezione di film.” L’indagine era stata promossa dal Senatore isolazionista del Nord Dakota, Gerald P. Nye. Il principale avvocato di Hollywood era Wendell Willkie, il candidato repubblicano alle presidenziali del 1940 e noto internazionalista. Quest’ultimo e disperato sforzo degli isolazionisti fu troppo poco e giunse troppo tardi. L’attacco giapponese a Pearl Harbor, tre mesi dopo, chiuse la questione e non vi furono ulteriori audizioni. Una volta che gli Stati Uniti furono entrati in guerra con la Germania, gli studios sfornarono pellicole commerciali anti-Nazionalsocialiste uno dietro l’altra. Oggi il pubblico probabilmente si metterebbe a ridere di fronte a certi “classici” come Hillbilly Blitzkrieg, Women in Bondage, The Devil with Hitler, I Escaped from the Gestapo, Hitler's Children, That Nazty Nuisance, Strange Death of Adolf Hitler, Enemy of Women, Hitler's Madman, The Master Race, The Hitler Gang, Hotel Berlin e Tarzan Triumphs. [12] Koppes e Black riassumono così la trama di Tarzan Triumphs: “Agenti nazisti vengono paracadutati nel pacifico regno di Tarzan ed occupano una fortezza, sperando di sfruttare il petrolio e lo stagno del sottosuolo. Johnny Weissmuller, un po’ flaccido per l’età ma ancora a capo dei nobili selvaggi, raduna i nativi (tutti bianchi) contro le forze dell’Asse. "Kill Nadzies!" è l’ordine di Tarzan ai suoi. Lui stesso insegue il comandante delle truppe naziste nella giungla, e, mentre l’ufficiale tedesco, folle di terrore, sta freneticamente trasmettendo a Berlino con la radio ad onde corte, Tarzan lo uccide. A Berlino, l’operatore radio riconosce le grida e corre dal generale responsabile dell’operazione africana, mentre Tarzan, Boy e Jungle Priestess [13] guardano ridendo lo scimpanzé Cheetah che ciarla nel microfono. Ignorando l’esito fatale della battaglia avvenuta nella giungla, il generale sente Cheetah alla radio, balza in piedi, saluta, e urla ai suoi subordinati che stanno ascoltando non l’Africa ma Der Führer.” I ruoli dei “kraut” nazisti, sadici, maniaci sessuali, ostinati e stupidi, in questi film era interpretato da “grandi” di Hollywood come George Siegman, Erich von Stroheim, Walter Long e Hobart Bosworth. L’attore Bobby Watson fu occupato per tutta la durata della guerra ad interpretare il ruolo di Adolf Hitler. [14] Ad onor del vero, Hollywood produsse anche qualche pellicola di qualità fra le 2400 che realizzò fra il 1939 ed il 1945. Di queste poche mi vengono in mente Casablanca (Warner Brothers, 1942), The Story of G.I. Joe (United Artists, 1945), e Lifeboat (Twentieth Century-Fox, 1944). Si dice spesso che i migliori film di guerra di solito si realizzano molto tempo dopo che la guerra è terminata. [15] I giapponesi non se la passarono meglio nelle mani dei creatori di miti di Hollywood. Nel film Little Tokyo, U.S.A. (Twentieth Century-Fox, 1942) tutti i personaggi di origine giapponese vengono dipinti come leali all’Imperatore e capaci di sabotaggi e tradimento. Questo film propugnava veramente l’internamento dei nippo-americani. Alla fine del film, quando un “investigatore della polizia di Los Angeles americano puro” di nome Mike Steele distrugge la catena spionistica giapponese, fa ciò che ogni americano col sangue nelle vene presumibilmente vorrebbe fare, cioè prende a pugni la canaglia nipponica, dichiarando “Questo è per Pearl Harbor, occhi a mandorla…”. [16] Il freddo militarismo giapponese fu descritto nei film The Purple Heart, Guadalcanal Diary, Wake Island, Menace of the Rising Sun, Remember Pearl Harbor, Danger in the Pacific ed altri. Koppes e Black ci ricordano che “è raro un film che non impieghi termini come Japs, beasts, yellow monkeys, snips, o slant-eyed rats." I soldati nipponici vengono spesso mostrati mentre tentano di violentare donne bianche, di solito bionde formose. Un’altra sequenza frequente era quella del pilota da caccia giapponese coi denti da coniglio, colpito dai proiettili di una mitragliatrice in varie parti del corpo, col sangue che schizza sui cristalli intorno a lui e, in agonia, urla mentre l’aereo precipita nel Pacifico. Il massimo dell’assurdità nell’assegnazione dei ruoli, in materia di razza, lo si trova in Dragon Seed (MGM, 1944) in cui dei bianchi truccati pesantemente, compresa una Katherine Hepburn con gli occhi a mandorla, interpretano ruoli di Cinesi, mentre dei veri cinesi interpretano le orde giapponesi. [17] Nel 1943 la Warner Brothers lanciò Mission to Moscow, ispirato all’omonimo libro di Joseph E. Davies, ambasciatore americano in Unione Sovietica dal 1936 al 1938. Gli autori di Hollywood Goes to War lo descrivono come “il più noto esempio di propaganda spacciato per spettacolo mai prodotto ad Hollywood.” Mission to Moscow segue, con uno stile pseudo-documetaristico, la carriera di ambascatore di Davies e gli eventi che ebbero luogo in Unione Sovietica e nel mondo da metà degli anni ’30 fino al 1941. [18] L’amministrazione Roosevelt fu coinvolta pesantemente nella realizzazione di questo film, che rappresentava il presidente come un grande internazionalista e anti-fascista. Davies, l’autore, approvò il copione e fu lui, in fin dei conti, il vero responsabile della copertura dei crimini staliniani nel film. Davies insistette per rappresentare l’invasione sovietica della Finlandia come un “invito” dei finlandesi ai sovietici ad occupare delle posizioni strategiche contro la Germania. Allo stesso modo nel film si lasciano da parte altri crimini sovietici degli anni ’30: l’invasione della Polonia orientale nel 1939, l’aggressione contro Estonia, Lettonia e Lituania, la collettivizzazione forzata dei kulakhi (piccoli agricoltori) in Ucraina col risultato di ridurre alla fame milioni di contadini. Il film presenta i processi delle purghe moscovite come il risultati dei tentativi fatti da Trotsky, Bukharin, Krestinsky ed altri “vecchi bolscevichi” di vendere l’Unione Sovietica alla Germania e al Giappone. Mission to Moscow usava sequenze tratte da documentari per aggiungere verosimiglianza a questo “docudramma” d’annata, che descriveva gli isolazionisti americani come un piccolo complotto mirante a contrastare la volontà popolare di “sicurezza collettiva”. L’Unione Sovietica era descritta come una terra dell’abbondanza in contrasto con la cronica mancanza di cibo e di beni di consumo che avrebbe caratterizzato la Germania nazionalsocialista. Il pubblico fu indotto a credere che l’Unione Sovietica era una “democrazia” e che i russi erano “proprio come gli Americani”. La maggior parte delle case cinematografiche più grandi produssero film pro-sovietici negli ultimi anni di guerra, per esempio: Song of Russia (MGM, 1943), Three Russian Girls (United Artists, 1943), North Star (MGM, 1943), Boy from Stalingrad (Columbia, 1943), Days of Glory (RKO, 1944) e Counterattack (Columbia, 1945). [19] Mentre gli U.S.A. erano in guerra, varie burocrazie governative, in concorrenza tra loro e talvolta sovrapponendosi l’una all’altra, cercarono di influenzare il contenuto dei film. Il più influente fu l’Office of War Information, creato nel 1942. Hollywood Goes to War tratta nel dettaglio l’argomento delle relazioni fra l’industria cinematografica e l’OWI, sebbene con stile piuttosto lento e pesante. Anche il Bureau of Motion Pictures fece la sua parte. Mentre l’Office of Censorship, creato dall’amministrazione Roosevelt per sorvegliare durante la guerra la censura della posta, dei film, delle carte geografiche e d’altro materiale, poteva negare la licenza d’esportazione alle pellicole. Gli studios ricavavano mediamente il quaranta per cento dei loro introiti dal mercato estero e quindi l’Office of Censorship ebbe un potere considerevole sui contenuti dei film, dall’approvazione del copione fino alla versione finale del film approvata dal regista. [20] Hollywood Goes to War si occupa in modo rigoroso delle caratteristiche dei film realizzati dalle maggiori case e delle burocrazie coinvolte del processo di produzione di questi film. Il libro di Koppes e Black invece non parla dei film di formazione e dei documentari realizzati dall’Esercito e dalla Marina con personale “arruolato” ad Hollywood, esperti di cortometraggi, cinegiornali e animazione. Né viene fatta alcuna menzione della sezione Field Photographic dell’Office of Strategic Services (OSS), precursore della CIA, creato da William “Wild Bill” Donovan. [21] Utilizzando il talento di registi come Budd Schulberg e John Ford, il Field Photographic raccoglieva “prove” delle presunte atrocità nei campi di concentramento tedeschi presi alla fine della guerra. Queste sequenze furono utilizzate dall’accusa ai processi i Norimberga e nei film di “denazificazione” mostrati ai tedeschi durante la loro “rieducazione” forzata. [22] Senza dubbio, Hollywood voleva contribuire allo sforzo bellico ed alla sconfitta dell’Asse, tuttavia allo stesso tempo i magnati del cinema non gradivano affatto che si dicesse loro come condurre le proprie società monopolistiche. Per questi dirigenti degli studios era molto più importante la motivazione economica. Nella prima metà degli anni ’30 gli studios avevano alterato il contenuto dei film per consentir loro di invadere i lucrosi mercati tedesco, italiano, spagnolo e sud-americano. In Sud America ben 5.000 sale proiettavano film americani, 6.000 in Asia, e, cifra sbalorditiva, ben 35.000 in Europa. Nel 1935, quando il governo Nazionalsocialista richiese alle società straniere con uffici in Germania di assumere solo personale ariano, le maggiori case cinematografiche straniere protestarono. Il mercato straniero per Hollywood diminuì via via che i movimenti politici Nazionalsocialisti e Fascisti divenivano più influenti. Le Leggi di Norimberga vietarono i film tedeschi con attori ed attrici ebrei e limitarono il numero di film di produzione hollywoodiana al 20% del mercato tedesco. [23] L’inizio della II Guerra mondiale ridusse ancora di più il mercato estero per i film di Hollywood, mercato che ricominciò ad espandersi quando gli eserciti alleati conquistarono territori nell’ ultimo anno di guerra, ed i film americani furono nuovamente proiettati nelle sale “liberate” da poco. Dopo la fine della guerra, il grande sistema cinematografico che era fiorito in Germania dal 1919 al 1945 non fu capace di rinascere nella Germania dell’Ovest, e l’industria cinematografica internazionalista guadagnò un mercato praticamente aperto. Invece, il governo comunista della Germania Est ricreò un sistema cinematografico sotto completo controllo e di proprietà dello Stato. Gli autori spiegano con molta chiarezza che, durante la II Guerra mondiale, il potere di condizionare il contenuto dello spettacolo e dell’informazione fu straordinario, quando il dissenso veniva praticamente soffocato e censurato in nome dello “sforzo bellico”. Sfortunatamente Koppes e Black non indagano i motivi principali che condussero gli U.S.A. in guerra. Gli autori sono anche eccessivamente critici delle motivazioni degli isolazionisti e tendono a minimizzare l’influenza degli elementi di sinistra e dei marxisti nella Hollywood prebellica, specialmente fra gli sceneggiatori. Ciò nonostante il libro fornisce una ritratto forte di quanto accade quando un’industria potente ed il governo tentano di controllare la pubblica opinione. Così si esprimono nell’ultima pagina: “Hollywood aveva sempre dichiarato che forniva al pubblico ciò che il pubblico voleva, e, a riprova di ciò, citava la popolarità dei film. Ma da quando il cartello controllò la gamma delle scelte, di Hollywood si disse soltanto che il pubblico comprava quello che gli veniva dato”. [24]

Note del Traduttore:

[1] “Big Eight”, ovvero “Gli Otto Grandi”, con questa espressione venivano indicate le più grandi case cinematografiche statunitensi del periodo. Fra queste: Paramount Pictures, MGM (Metro Goldwyn Mayer), Warner Bros., United Artists, RKO, eccetera.

[2] Ben Hecht (Racine, Wisconsin, 28 febbraio 1894-18 aprile 1964) fu uno dei più prolifici sceneggiatori di Hollywood. Dovette la sua fortuna al magnate del cinema David O. Selznick. Vinse due Oscar (nel 1929 e nel 1935) ed ebbe quattro nomination. Fu anche un grande sostenitore del leader ebreo Zeev Jabotinsky e del movimento ebraico dell’estrema destra sionista guidato da Menachem Begin, e si oppose alla politica socialdemocratica dei primi due primi ministri israeliani David Ben Gurion e Moshe Sharett che accusava di non aver fatto abbastanza, durante la guerra, per aprire la porta della Palestina ai rifugiati ebrei.

[3] Blockade (lett. blocco, assedio), interpretato dal democratico e pacifista Henry Fonda, arrivò (incredibile, ma vero!) anche in Italia col titolo di “Marco, il ribelle”.

[4] Production Code Administration, conosciuto anche come Hays Code, era un vero e proprio vademecum di linee guida relative alla produzione di film. La MPAA (Motion Picture Association of America) lo adottò nel 1930, anche se la su effettiva applicazione data dal 1934. Fu abbandonato nel 1967. In pratica il Code (lett. Codice, Regola) prescriveva ciò che era e soprattutto ciò che non era “moralmente accettabile” nel girare un film negli Stati Uniti. Tutte le storie del cinema si affrettano a precisare che il Code non fu una censura governativa in quanto per le case cinematografiche l’adesione o meno era volontaria. La cosa che non si scrive è che tutte aderirono.

[5] la Hollywood Anti-Nazi League for Defence of American Democracy (Lega anti- Nazista di Hollywood per la difesa della democrazia americana) venne fondata nel 1937 coll’intento dichiarato di riunire gli ebrei dell’ambiente hollywoodiano, ma non solo loro, per combattere il Nazi(onalsociali)smo. Nel 1939 cambiò nome in Hollywood League for Democratic Action. Era dotata anche di un bollettino, “Hollywood Now”. Riceveva finanziamenti da produttori ed attori, fra cui note “stelle” del cinema.

[6] Confessions of a Nazi Spy (Le confessioni di una spia Nazista) racconta la storia di un G-man (agente dell’F.B.I.), Ed Renard, interpretato da Edward G. Robinson, che indaga su un’immensa rete spionistica Nazista operante negli Stati Uniti e naturalmente la sconfigge, arrestandone membri e contatti. Il film durava 104 minuti e fu diretto da Anatole Litvak, ebreo nato a Kiev nel 1902 e morto nel 1974. Di lui dobbiamo purtroppo ricordare che fu anche a capo del dipartimento fotografico dell’esercito americano e, insieme al degno compare Frank Capra, documentò il D-Day, lo sbarco in Normandia.

[7] i Bill of Rights sono i primi dieci emendamenti alla Costituzione americana. Esiste anche un Bill of Rights Day, il 15 dicembre, che negli Stati Uniti è festa nazionale, introdotta, manco a dirlo, da Franklin Delano Roosevelt nel 1941.

[8] Beasts of Berlin (Le Bestie di Berlino) del 1939 fu diretto da Sam Newfield, interpretato da Roland Drew, Steffi Duna, Greta Granstedt, Alan Ladd, Lucien Prival, prodotto da Sigmund Neufeld, con musiche di David Chudnow; durava 87 minuti. Inutile dire che regista, produttore ed autore della colonna sonora erano ebrei. * The Kaiser, beast of Berlin (Il Kaiser, la bestia di Berlino) fu uno dei molti film americani di propaganda anti-tedesca prodotti durante la I Guerra mondiale, fra i quali rammentiamo anche The Prussian Cur (Il cagnaccio prussiano), To Hell with the Kaiser (All’inferno col Kaiser). Insomma film dei “bei” tempi in cui negli U.S.A. si ribattezzarono i sauerkraut (crauti) in “liberty cabbage” (cavolo della libertà), gli hamburger diventarono “liberty steaks” (bistecche della libertà) e i frankfurter (salsicce di Francoforte) dovettero cambiar nome in “victory sausage” (salsiccia della vittoria), mentre città “tedesche” (cioè fondate ed abitate in gran parte da americani di origine tedesca) si videro improvvisamente cambiar nome, come Berlin, nello Iowa, che divenne Lincoln, o East Germantown, nell’Indiana, che divenne Pershing. I “bei” tempi in cui finirono in galera 1.500 americani di origine tedesca, per il solo fatto di esserlo (tedeschi). Tanto per avere un’idea del clima che si respirava in U.S.A. prima e durante la I Guerra mondiale ritengo utile mostrare il manifesto del film The Kaiser, the beast of Berlin. La scritta in alto significativamente recita: “Avviso! Chiunque lanci fango contro questo manifesto non sarà perseguito dalla legge”.

[9] The Great Dictator (Il grande dittatore) diretto ed interpretato da Chaplin, uscì il 15 ottobre del 1940. Caricatura di Fascismo e Nazionalsocialismo, tutti personaggi ed i luoghi sono una satira pesante dei due regimi, anche nel nome dei personaggi: da Adenoid Hynkel (Adolf Hitler), Benzino Napaloni (Benito Mussolini), Garbitsch (Goebbels), il feldmaresciallo Herring (Goering), la Tomania (Germania), la Bacteria (l’Italia), l’Osterlich (l’Austria). Altri interpreti erano Paulette Godard, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Henry Daniell e Billy Gilbert. * Charles Spencer Chaplin (Londra, 16 aprile 1889-Vevey, Svizzera, 25 dicembre 1977), figlio di un guitto di music hall alcolizzato e di una mediocre cantante, morta nel 1928 nel manicomio di Croydon, è molto noto nel mondo del cinema. * Man Hunt del 1941, diretto da Fritz Lang, racconta la vicenda di un cacciatore inglese, Thorndike, in vacanza in Baviera che si trova Hitler nel mirino del proprio fucile. Interpretato da Walter Pidgeon (il cacciatore), Joan Bennett, George Sanders, John Carradine, eccetera. Durava 105 minuti. * Fritz Lang (Friedrich Anton Christian Lang) regista, sceneggiatore e produttore cinematografico austriaco, nacque il 5 dicembre 1890 a Vienna e morì il 2 agosto 1976. Cattolico. Lasciò la Germania nel 1934. Pochi sanno che la moglie, Thea von Harbou, simpatizzante Nazionalsocialista fin dai primi anni ’30 ed iscritta alla NSDAP dal ’32, divorziò da lui nel ’33 e rimase in Germania. Fu naturalizzato cittadino americano nel 1939. E’ considerato uno dei precursori del genere noir, nel cinema. * The Mortal Storm, diretto nel 1940 da Frank Borzage, narra la vicenda della famiglia Roth, che vive sulle Alpi bavaresi nei primi anni ’30, quando i Nazionalsocialisti vanno al potere. Fra gli interpreti Margaret Sullavan, James Stewart, Robert Young, Frank Morgan, etc. Durava 100 minuti. * A Yank in the R.A.F., diretto nel ’41 da Henry King ed interpretato da Tyrone Power, Betty Grable, John Sutton, eccetera, durava 98 minuti ed era un film decisamente scadente anche dal punto di vista cinematografico. Uno dei paesi che lo proibì fu la Finlandia. * Sergeant York, diretto nel 1941 da Howard Hawks con Gary Cooper. Altri interpreti: Walter Brennan, Joan Leslie, George Tobias, eccetera. Durata: 134 minuti. E’ la nota storia (tratta da una vicenda reale) di un tiratore scelto americano della I Guerra mondiale. Montanaro, arruolato controvoglia nell’esercito, pacifista convinto, diventa, ovviamente, un eroe. * I Married a Nazi, diretto nel ’40 da Irving Pichel con Joan Bennett, Francis Lederer, Lloyd Nolan, Anna Sten. Una ragazza americana sposa un tedesco nel 1938 ed in seguito fa la “sconvolgente” scoperta che è un nazionalsocialista. Durata: 77 minuti.

[10] James Roosevelt, figlio del più noto Franklin, lasciò le lucrose attività di cui occupava (assicurazioni e industria del lievito) per diventare vice presidente della Samuel Goldwyn Productions, per conto della quale girò per il mondo promuovendo i film della MGM. Nel 1939 fondò la Globe Productions. Nel 1942 fece anche una breve comparsa nel documentario ultra-patriottico The Battle of Midway di John Ford, distribuito grazie alle sue conoscenze politiche e cinematografiche. * Pastor Hall, del 1940, venne diretto da Roy Boulting ed interpretato da Wilfrid Lawson.

[11] Nicholas M. Schenck, ebreo russo nato nel 1881 a Rybinsk, un villaggio sul Volga. La famiglia emigrò in U.S.A. nel 1893. Dovette la sua fortuna a Marcus Loew, allora impresario teatrale. Nel 1932 guidava un impero dello spettacolo con 12.000 dipendenti, comprendente una prospera catena di sale teatrali e cinematografiche e la Metro-Goldwyn-Mayer, nata dalla fusione della Metro Pictures, Goldwyn Pictures (fondata da Samuel Goldwyn) e Louis B. Mayer Company. Concluse la sua esistenza nel 1969 nella sua villa di 30 stanze, con un molo privato eed una sala di proiezioni. * Joseph M. Schenck, fratello maggiore del precedente nacque nel 1878. Grazie all’amicizia con Marcus Loew insieme al fratello entrò nel mondo della celluloide ed in pochi anni divenne il primo presidente della nuova United Artists. Nel 1930 con D. F. Zanuck creò la 20th Century Productions che, nel 1935, si fuse con la Fox Film Corporation. Fu lui che lanciò Marilyn Monroe, della quale era infatuato. Morì nel 1961 a Los Angeles. * Marcus Loew, ebreo, nacque a New York nel 1870. Creò la Loews Theatres, una delle maggiori catene di sale cinematografiche e teatrali del paese. Acquistò la Metro Pictures Corporation all’inizi degli anni di 11 ’20 ed in seguito raggiunse il controllo della Goldwyn Picture Corporation. Nell’aprile del ’24, con l’acquisto della società di Louis B. Mayer, dette vita alla MGM. Morì nel 1927. * Eyes of the Navy, letteralmente “Gli occhi della Marina”.

[12] Hillbilly Blitzkrieg (lett. “La Guerra lampo degli zotici”), diretto da Roy Mack nel 1942 con Bud Duncan, Edgar Kennedy, Doris Linden, Lucien Littlefield, Cliff Nazarro, è un film comico in cui una coppia di soldati sgangherati aiutati da un cavallo, bloccano un tentativo spionistico tedesco teso ad appropriarsi dei progetti di un missile ultra-segreto * Women in Bondage (lett. “Donne in schiavitù”), del 1943, per la regia di Steve Sekely, con Tala Birell, Gertrude Michael, Anne Nagel, Gail Patrick, Nancy Kelly, distribuito dalla Monogram, raccontava la storia della sottomissione delle donne nella Germania del III Reich e della ribellione di alcune di queste * The Devil with Hitler (lett. “Il demonio è con Hitler”) venne diretto nel 1942 da Gordon M. Douglas * I Escaped from the Gestapo (lett. “Sono sfuggito alla Gestapo”) è del 1943; fu diretto da Harold Young ed è la storia di un falsario, fatto fuggire da una prigione americana da agenti della Gestapo, che vogliono utilizzare la sua abilità per produrre danaro falso con cui invadere gli U.S.A. e distruggere l’economia del paese. Inutile dire che il falsario Lane si ribella, il suo patriottismo sconfigge l’istinto mercenario e la democrazia trionfa. * Hitler's Children (lett. “I Bambini di Hitler”), prodotto dalla RKO Radio Pictures nel 1942 e diretto da Edward Dmytryk e Irving G. Reis con Bonita Granville, Tim Holt, Otto Kruger, eccetera. Questo “capolavoro” cinematografico della durata di 83 minuti, che fu vietato ai minori, narra la procedura “standard” usata nel III Reich per avere figli: le giovani tedesche si sottomettono volontariamente a rapporti sessuali con uomini ariani, anche al di fuori del matrimonio, al solo scopo di rimanere incinte e perpetuare la razza * That Nazty Nuisance (lett. “La seccatura nazista”), è del 1943, distribuito dalla United Artists e diretto da Glenn Tryon. Nel cast figurano Bobby Watson, l’attore che dette il volto a Hitler nei film dell’epoca e Joe Devlin, che faceva lo stesso con Mussolini. E’ un film comico in cui naturalmente Hitler è pazzo, Mussolini deficiente e l’imperatore Hirohito un confusionario. * Strange Death of Adolf Hitler (lett. “La strana morte di Adolf Hitler”), anch’esso del 1943, della Universal, diretto da James Hogan, storia di un complotto della Gestapo per assassinare Hitler e sostituirlo con un attore a cui è stata fatta una plastica facciale. * Enemy of Women (lett. “Il nemico delle donne”), diretto nel 1944 da Alfred Zeisler e distribuito dalla Monogram. Gli autori dichiararono addirittura che si trattava della biografia di Goebbels, tanto è vero che il film è noto anche col titolo “Private Life of Paul Joseph Goebbels”, il tutto per spiegare la sua pazzia che, secondo gli autori, sarebbe derivata da un amore giovanile per un’attrice, non corrisposto, che lo avrebbe portato ad odiarla e quindi a volersi vendicare su di lei e su tutte le donne. Goebbels era interpretato dall’attore Paul Andor * Hitler's Madman (lett. “Hitler il pazzo”), del 1943, diretto da Douglas Sirk, racconta dell’assassinio di R. Heydrich e della successiva rappresaglia di Lidice in Cechia. Purtroppo il ruolo di Heydrich è interpretato da John Carradine, il grande attore americano padre degli attori dei nostri giorni David, Keith e Robert. * The Master Race (lett.: “La razza padrona”), uscito nel ’44, diretto da Herbert Biberman, prodotto dalla RKO, è un film “interessante”, in quanto veicola la tesi secondo la quale, sebbene il III Reich stia per perdere la guerra, agenti nazionalsocialisti sarebbero già pronti a fomentare disordini nelle zone “liberate” per preparare la guerra successiva. L’esplicita morale del film è che, se si vuole evitare un nuovo conflitto, è necessario “thoroughly crush the instigators of the present war” (“schiacciare accuratamente i fomentatori della guerra attuale”). Fra gli interpreti: Lloyd Bridges e George Coulouris. * The Hitler Gang (lett. “La banda di Hitler”), anche questo del ’44, realizzato dalla Paramount e diretto da John Farrow, con il solito Bobby Watson nel ruolo di Hitler, racconta la “vera” storia della “presa del potere” da parte dei Nazionalsocialisti. Tutti i leader Nazionalsocialisti sono presenti nel film, da Goebbels (Martin Kosleck), a Hess (Victor Barconi), a Himmler (Luis Van Rooten) a Goering (Alex Pope), fino a Ernst Roehm (Roman Bohnen). * Hotel Berlin, del 1945, prodotto dalla Warner Bros. e diretto da John Gage e Peter Godfrey in fretta e furia per potere uscire prima della caduta del III Reich. * Tarzan Triumphs (lett.: “I trionfi di Tarzan”), di cui parla diffusamente il recensore, è del 1943, diretto da William Thiele e distribuito dalla RKO; fra gli attori: Frances Gifford, Sig Rumann, Johnny Sheffield, Stanley Ridges ed ovviamente Johnny Weissmuller che, nato a Timisoara – allora Freidorf - nel 1904, non era più un ragazzino e cominciava ad avere qualche acciacco.

[13] sono i nomi americani dei personaggi dei film di Tarzan. La Jungle Priestess è Mandra, la “Sacerdotessa della Giungla”, una bionda voluttuosa che guida un esercito di uomini-leopardo. Cheetah è, naturalmente, lo scimpanzé “Cita”.

[14] kraut (lett. crauti), spregiativo per tedesco * Erich von Stroheim nato a Vienna nel 1885, ebreo, è piuttosto noto nel mondo del cinema. Morì in Francia nel 1957. * Walter Long, americano (1879-1952) * Hobart Bosworth (1867-1943), americano * Bobby Watson (1888-1965), americano, interpretò, dal ’42 al ’62, ben 10 film nel ruolo di Adolf Hitler, tutti con titoli “ameni” (“Hitler, Dead or Alive” – “Hitler, Vivo o Morto”; “The whip hand” – “La mano con la frusta”, eccetera).

[15] in effetti Casablanca (Warner Brothers, 1942), dietto da Michael Curtiz ed interpretato da Humphrey Bogart e Ingrid Bergmann, nonostante il messaggio antifascista, è un bel film * The Story of G.I. Joe (United Artists, 1945), diretto da William A. Wellman ed interpretato da Robert Mitchum è la storia di un corrispondente di guerra americano in Nord Africa * Lifeboat (Twentieth Century-Fox, 1944), diretto da Alfred Hitchcock, è la storia di un gruppo di naufraghi (tre donne e sei uomini) scampati al siluramento della propria nave. Non è un brutto film.

[16] Little Tokyo, U.S.A. (Twentieth Century-Fox, 1942), diretto da Otto Brower, con Preston Foster nel ruolo del poliziotto Mike Steele (“steel” in inglese significa “acciaio”). Il commento più comune nelle enciclopedie del cinema è il seguente: un film “razzista, fortunatamente dimenticato, contro i nippo-americani”.

[17] The Purple Heart, del 1944, diretto da Lewis Milestone. Otto aviatori americani vengono catturati a seguito della caduta del proprio aereo. E’ il 1942 e stavano rientrando dalla nota missione Doolittle (il bombardamento di Tokio). Gli otto vengono processati da un tribunale militare giapponese con l’accusa di crimini di guerra –il bombardamento aveva avuto solo obiettivi civili-. Naturalmente i giapponesi vengono descritti come bestie sadiche. Da notare che il regista, Milestone, è lo stesso del film tanto amato dai pacifisti “Niente di nuovo sul fronte occidentale” del 1930…la gente cambia, si sa. * Guadalcanal Diary, del 1943, della 20th Century Fox, diretto da Lewis Seiler, con William Bendix, Preston S. Foster e Anthony Quinn. * Wake Island, del 1942, diretto da John Farrow, racconta di un gruppo di marines che, senza rifornimenti, difendono la propria base, posta su un’isola, dai giapponesi * Menace of the Rising Sun (lett. “La minaccia del Sol Levante”), è un documentario realizzato nel 1942 * Remember Pearl Harbor, il titolo dice tutto. Diretto nel 1942 da Joseph Stanley è la ricostruzione americana dell’attacco di Pearl Harbor. * Danger in the Pacific (lett. “Pericolo nel Pacifico”) è anch’esso del 1942 e venne diretto da Lewis D. Collins. Gli americani fanno saltare in aria un deposito di munizioni in una sperduta isoletta tropicale. Le munizioni sono tedesche, ma le proteggono i giapponesi * Dragon Seed (lett. “Il seme del dragone”), MGM, 1944, diretto da Harold S. Bucquet e Jack Conway. L’eroica difesa di un villaggio cinese invaso dalle “bestie” giapponesi, guidata dalla “cinese” Katherine Hepburn. Ben 145 minuti! * Japs, spregiativo per “Japanese”; beasts, “bestie”; yellow monkeys, “scimmie gialle”; snips o slant-eyed rats, “topi con gli occhi a fessura o a mandorla”. * Ma quelli citati erano ancora dei film, film di propaganda, ma pur sempre dei film. Poi c’erano i “documentari informativi” prodotti o sponsorizzati dall’Esercito e dalla Marina che pretendevano di far “comprendere” l’”incomprensibile stile di vita e la filosofia giapponese”: tanto per fare un esempio citiamo “Our Enemy: The Japanese” (lett. “Il nostro nemico: il giapponese”), del ’43, che descriveva il popolo nipponico come “primitive, murderous and fanatical” (“primitivo, micidiale e fanatico”), utilizzava sequenze girate in Giappone negli anni ’30 e si serviva della voce narrante di Joseph C. Grew, ex-ambasciatore U.S.A. in Giappone. L’incipit di costui nel film era: “Against the madness of Japan nothing less than all our efforts will suffice.", ovvero “Contro la follia del Giappone saranno necessari tutti i nostri sforzi”.

[18] Mission to Moscow è del 1943, distribuito dalla Warner Bros. e diretto da Lumsden Hare e Michael Curtiz, dura 123 minuti ed ha un cast impressionante per numero di interpreti. Praticamente tutte le personalità politiche dell’epoca vi sono rappresentate (da Molotov a Kamenev, da Von Ribbentrop a Churchill, da Stalin a Schacht, da Eden a Bucharin).

[19] Song of Russia (MGM, 1943) (lett. “Canzone russa”), diretto da Gregory Ratoff, con Robert Taylor e Susan Peters, è la storia di un direttore d’orchestra americano che, durante un tour in Russia, prima della guerra, si innamora di una ragazza russa e la sposa; ma la loro luna di miele, con visite ai kolchoz dove i contadini trascorrono il tempo ballando e cantando, viene interrotta dall’invasione tedesca. Nadya, la moglie, organizza subito la resistenza nel villaggio, costruendo bottiglie Molotov e distruggendo panzer a decine. La cosa buffa di questo film è che negli anni ’50, cambiata la musica, molti degli attori, il regista e gli sceneggiatori vennero interrogati dall’HUAC (Commissione d’inchiesta sulle attività anti-americane) per aver collaborato ad un film filo-comunista ed i due sceneggiatori finirono nella lista nera di Hollywood. * Three Russian Girls (United Artists, 1943), diretto da Fedor Ozep ed Henry S. Kesler; altra mielosa storia d’amore fra un pilota americano ferito ed una ragazza russa, volontaria della Croce Rossa, subito dopo l’attacco tedesco del 1941. * North Star (MGM, 1943), diretto da Lewis Milestone, con Dana Andrews, Anne Baxter e Walter Brennan. Un gruppo di contadini ucraini vive felicemente in una fattoria collettiva, chiamata North Star (Stella del Nord), quando la loro tranquillità viene distrutta dalla brutale occupazione delle truppe tedesche. Non manca il medico Nazi(onalsociali)sta pazzo, il dottor Otto Von Harden (interpretato dall’ebreo Erich Von Stroheim) che fa rapire i bambini per prelevarne il sangue da usare per le trasfusioni e per esperimenti medici. 108 minuti di pura propaganda filosovietica. * Boy from Stalingrad (Columbia, 1943) diretto da Sidney Salkow * Days of Glory (RKO, 1944) diretto da Jacques Tourneur, con Gregory Peck, Lowell Gilmore, Maria Palmer, eccetera. I “Giorni della Gloria” sono quelli di una banda partigiana russa, guidata da Vladimir (G. Peck) che combatte eroicamente contro i tedeschi. E’ noto per i lunghissimi dialoghi in cui i protagonisti parlano diffusamente di democrazia, libertà e sacrificio. Un’enciclopedia del cinema lo definisce “all’inizio affascinante, ma alla lunga eccessivamente verboso”. I gloriosi combattenti Vladimir e la compagna Nina (interpretata da Tatiana Toumanova), alla fine (gli Dei siano ringraziati!), cadono in battaglia.

[20] l’Office of War Information (OWI), era un’agenzia governativa creata il 13 giugno 1942 allo scopo di consolidare i servizi d’informazione. Oltre a coordinare la diffusione delle notizie relative alla guerra all’interno degli U.S.A., l’OWI aveva una sezione all’estero che lanciò un’immensa campagna di propaganda e dis-informazione all’estero. Era diretto da Elmer Davis e funzionò fino al 15 settembre 1945, quando le sue funzioni passarono al Dipartimento di Stato. * l’Office of Censorship (lett. “Ufficio Censura”), nel periodo 1941-1945, sotto la direzione del giornalista Byron Price, controllava praticamente tutto della stampa e delle notizie in genere. Naturalmente l’ente dava solo “suggestions” (suggerimenti) ai giornalisti ed ai direttori di testate, come si affrettano a puntualizzare le fonti ufficiali.

[21] l’Office of Strategic Services (OSS), precursore della CIA, fu creato nel giugno del 1942 per precisa volontà di F. D. Roosevelt, ad opera di William “Wild Bill” Donovan, un avvocato di New York, veterano della I Guerra mondiale. Il suo compito era quello di raccogliere ed analizzare ogni tipo di informazione strategica che potesse essere richiesta dagli Stati Maggiori Riuniti e condurre “special operations not assigned to other agencies” (“operazioni speciali non demandate ad altre agenzie”). Disciolto formalmente nell’ottobre del 1945, rinacque nel 1947 col nome di Central Intelligence Agency (CIA), solo che stavolta, per mezzo del National Security Act (Legge sulla Sicurezza Nazionale), divenne un servizio permanente. Donovan, nel 1945, rimasto “disoccupato” si dedicò di nuovo alla professione: fu l’assistente del procuratore Telford Taylor nei processi di Norimberga.

[22] Budd Schulberg, romanziere e sceneggiatore americano, nato nel 1914. * Sean Aloysius O'Fearna detto John Ford, nacque nel 1894 in Maine da una famiglia irlandese e morì il 31 agosto del 1973. E’ molto noto nel mondo del cinema. Durante la II Guerra mondiale ebbe il grado di “commander of the USNR” (capitano di fregata –riserva- della Marina) e realizzò molti documentari per il Ministero della Difesa, fra questi The Battle of Midway (1942) e June 7th (1943). Nel 1942 divenne capo del Field Photographic Branch dell’OSS (vedi sopra).

[23] Le Leggi di Norimberga furono votate dal Reichstag il 15 settembre del 1935.

[24] A conclusione di questo scritto non si possono non ricordare i due veri padri di Hollywood, più volte citati nella recensione. Louis Burt Mayer, nato a Minsk nel 1885 col nome di Eliezer Meir, ebreo, e Samuel Goldwyn, nato a Varsavia nel 1879 col nome di Schmuel Gelbfisz, ebreo.

Recensione tratta dal sito dell’Institute for Historical Review – Journal of Historical Review http://www.ihr.org

Per approfondimenti sul tema segnaliamo:

G. Valli "Dietro il sogno americano. Il ruolo dell'ebraismo nella cinematografia statunitense" SEB, 1991

J. Kleeves "I divi di Stato. Il controllo politico su Hollywood" Edizioni Settimo Sigillo, 1999

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