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L'«oro blu» di Sigonella Quanto ci costano gli Usa
by dalmanifesto Saturday, Feb. 04, 2006 at 9:29 AM mail:

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L'Italia di Berlusconi e l'«amico» Bush. Così manteniamo le basi americane

L'«oro blu» di Sigonella Quanto ci costano gli Usa

Nella base siciliana, tra bollette «calmierate» e vantaggiosi buoni benzina che alimentano gli incidenti stradali. Come gli americani sperperano acqua ed energia elettrica e come gli italiani contribuiscono a finanziare gli sprechi

ANGELO MASTRANDREA
INVIATO A SIGONELLA

C'è fango, molto fango tra gli hangar, i depositi di munizioni e la cittadella made in Usa di Sigonella. Non è una metafora e questa volta non c'entra la mafia che pure di fango ne ha sparso e secondo qualcuno continua a spargerne fuori e dentro i dieci chilometri di filo spinato che circondano una base in continua via di ampliamento. Quello che le ruspe continuano incessantemente a spalare dalla metà di dicembre è il prodotto di quanto la natura ha voluto improvvisamente riprendersi quando i due fiumi che circondano l'area militare hanno deciso di riunirsi in un unico pantano melmoso. Quello che il deputato regionale Lillo Micciché, trapiantato ai Verdi da Rifondazione comunista, definisce sorridendo come il risultato dell'espropriazione delle terre ai contadini. «Se fossero stati coltivati, questi terreni avrebbero tranquillamente assorbito l'acqua piovana e quella esondata dai fiumi». Invece, è bastata un'alluvione a inceppare una delle strutture militari strategicamente più importanti del Mediterraneo, vuoi per il ruolo logistico svolto vuoi per un'altra funzione nel frattempo acquisita: il controllo aereo del Mediterraneo alla ricerca dei barconi di «clandestini». Sorveglianza delle frontiere della «fortezza Europa» ma anche soccorso quando le imbarcazioni, spesso e volentieri, vanno alla deriva, ci tiene a far sapere il colonnello Antonio di Fiore, comandante italiano della base.

Chi paga le bollette?

L'acqua pare essere così l'elemento predominante in questo lembo di Sicilia, provincia degli States, che di solito fa notizia per siccità e penuria. E il metro e più di fanghiglia che hanno sommerso la base tra il 13 e il 14 dicembre appaiono come una nemesi per una base che spreca «oro blu» più di qualsiasi comune italiano: circa 700 mila galloni al giorno, e se un gallone sfiora i 4 litri vuol dire oltre 976 milioni e 530 mila litri all'anno, su una popolazione di circa 5 mila persone tra militari, loro familiari e operai civili. Fatto qualche altro calcolo, se ne desume che il consumo pro-capite è di circa 210 mila litri all'anno, «un valore nettamente più altro del consumo medio di una città italiana di grandi dimensioni (circa 180 mila litri per abitante, dove però solo il 35-40 per cento è realmente imputabile al consumo casalingo, mentre il resto è destinato a usi civili, industriali e agricoli)», scrivono in un dettagliato dossier gli attivisti del Comitato per la smilitarizzazione di Sigonella, protagonisti nel passato anche di affollate manifestazioni antimilitariste, in particolare alla vigilia della seconda guerra del Golfo, quando dalle basi italiane partivano armi e mezzi americani per l'Iraq. Cosa ne facciano i militari di tutta quest'acqua non è dato sapere, ma di sicuro costituisce un problema anche per le autorità Usa, che hanno avviato campagne di sensibilizzazione del personale e delle loro famiglie per ridurre quelli che loro stessi definiscono «sprechi e abusi». E che tradotti in cifre fanno 1.226.400 dollari all'anno, per il rifornimento e la potabilizzazione.

Ma chi paga tutti questi soldi? A porsi più di un dubbio è il deputato verde Mauro Bulgarelli, forte delle cifre provenienti direttamente dal Congresso Usa. Secondo le quali l'Italia pagherebbe il 37 per cento dei «costi di stazionamento» delle forze armate Usa nel nostro paese. In gergo tecnico si chiama burden sharing, «condivisione del peso», in soldoni fanno centinaia di milioni di dollari, sotto forma di contributi diretti, una minima parte, e di cosiddette facilities, «agevolazioni». Vale a dire sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite per trasporti, tariffe e servizi per i soldati e le loro famiglie. Ad esempio, nel 2002 il contributo sarebbe ammontato a 326 milioni di dollari, tre dei quali in contanti, gli altri in facilities.

Il vantaggio di essere yankee

Dunque la questione rimane irrisolta. Perché non ci sono solo le salate bollette dell'acqua ma anche quelle della corrente elettrica, visto che la base divora ogni anno energia per oltre quattro milioni di dollari. Il comandante Di Fiore assicura che ognuno paga per quanto consuma, e solo per alcuni servizi ci sono spese congiunte. «Gli Stati uniti pagano un affitto, dal quale vanno sottratte alcune facilities come il carburante», spiega. E non solo. Ad esempio, la Regione Sicilia ha erogato 388.150 euro per la costruzione delle nuove linee di trasmissione elettrica tra la centrale Enel di Pantano D'Arci e la base. O ancora, dall'aprile 2003 è entrato in vigore un accordo tra Us Navy, Enel e Monte dei Paschi di Siena per assicurare ampi risparmi sulle tariffe e una riduzione dell'Iva sulle bollette elettriche ai correntisti dell'istituto toscano. Solo se americani, s'intende.

Non che agli americani manchino i soldi, se è vero che l'amministrazione Bush ha stanziato, da qui al 2007 per la sola base di Sigonella, ben 675 milioni di dollari per consentirne il potenziamento. Una cifra che ne fa il secondo più oneroso programma al mondo di investimenti in infrastrutture per l'esercito a stelle e strisce impegnato nella «guerra al terrorismo». E infatti, stando a quanto rivelato qualche tempo fa dal quotidiano spagnolo El pais, la base siciliana sarà elevata a «postazione avanzata» nella lotta all'islamismo radicale, insieme a quella navale di Cadice, in Spagna. Ma il punto è che i soldi Usa sono destinati all'ampliamento del sito e non al pagamento delle bollette, per le quali invece gli «alleati» devono ringraziare i contribuenti italiani, che consentono di far risparmiare ai taxpayers americani, secondo stime dei comandi Usa, ben 190 milioni di dollari all'anno.

Militari a tutto gas

Non bastasse, per scorrazzare liberamente sulle strade italiane i militari Usa pagano la benzina appena 40 centesimi al litro, per un totale di 400 litri di benzina al mese a testa. Meno della metà di un qualsiasi automobilista. Cosa che, stando al settimanale destinato agli americani di Sigonella The signature, alimenterebbe un fiorente traffico al nero di buoni benzina, da 5, 10 e 20 litri, da utilizzare in qualsiasi distributore Ip, Agip o Esso, e un discreto numero di incidenti stradali. Circa 800 all'anno, in media 2,17 al giorno, solo in parte giustificati dal pessimo stato delle strade che la provincia di Catania pensa bene di mantenere piene di buche. Un problema anche per i comandi militari, l'indisciplina dei marines. Sul quale l'esercito e le istituzioni italiane paiono pronte a sorvolare, in nome dell'assunto per cui «gli americani portano tanto lavoro e un indotto economico che al sud non c'è da nessun altra parte».

Difficile dargli torto, con 1.200 civili che quotidianamente lavorano nella base più l'indotto, il business dei rifiuti, il vicino porto nucleare di Augusta stretto tra due petrolchimici e i ricchi appalti per l'ampliamento. E si sa, in Sicilia quando si parla di soldi bisogna spesso fare i conti con la mafia, come dimostrano alcune inchieste su Sigonella che negli anni passati hanno visto coinvolti appartenenti alla cosca catanese di Nitto Santapaola. Ma questo è un altro capitolo.

«Io, operaio, licenziato perché pacifista»

E' prevista per oggi la sentenza sulla vicenda di Marco Benanti, operaio nella base di Sigonella al quale non era stato rinnovato il contratto di lavoro in quanto «non gradito» dagli americani per alcuni articoli scritti per un sito internet quando ancora non lavorava nell'impianto. Una vicenda che sa di maccartismo e caccia alle streghe come ai tempi più cupi della guerra fredda. «Gli americani non mi avrebbero accordato il pass nella base a causa della mia attività giornalistica, in particolare per alcuni articoli di critica della politica estera degli Stati uniti», racconta Benanti. Il condizionale è d'obbligo, in quanto formalmente a non rinnovare il contratto è stato il consorzio italiano «Algese 2», che aveva vinto un appalto per i servizi aeroportuali nella base, e a concedere materialmente i pass per poter accedere alla base è il comandante italiano. Ufficialmente, gli americani non potrebbero intromettersi, come conferma il neo-comandante Di Fiore, che all'epoca dei fatti non era a Sigonella e che oggi afferma che non negherebbe mai l'accesso a nessun lavoratore nell'impianto, al massimo gli impedirebbe di circolare liberamente ovunque. Eppure quanto è accaduto appare alquanto singolare: a novembre del 2003, infatti, quando si preparava l'attacco all'Iraq, a tutti gli operai viene rinnovato il contratto tranne che a Benanti. Il perché lo ammette la stessa azienda davanti al tribunale di Siracusa: «Non si può accogliere la proposta (di conciliazione, ndr) in quanto il ricorrente non è gradito all'appaltante governo americano o meglio ci ha messo in imbarazzo con i suoi articoli contro le basi americane in Italia e in particolare la base di Sigonella». In cosa consisteva il lavoro di Benanti? «Sono stato assegnato alla Ware-house, una sorta di deposito dove si caricano e scaricano le merci dirette sugli aerei, con il compito di "fare le palette", cioè preparare la merce di carico e scarico per gli aerei e gli elicotteri». Era l'epoca delle grandi manifestazioni contro l'attacco all'Iraq, degli attivisti che bloccavano «i treni della morte» e dei portuali livornesi che rifiutavano di imbarcare mezzi militari e armi dirette in Iraq, e forse un pacifista che scriveva articoli dal titolo «fuori le basi Usa dalla nostra terra» e che poteva controllare cosa veniva caricato su un velivolo poteva risultare scomodo per gli americani, freschi di approvazione del Patriot act anti-terrorismo. Per cui, pur di non tenerlo lì e di risolvere la vicenda senza clamore, gli viene proposto un lavoro a tempo indeterminato all'aeroporto di Venezia in una società del consorzio, la Eagle Service, con tanto di alloggio pagato e turni agevolati per poter tornare a Catania a spese della società. Almeno fino a quando non gli fosse stata trovata un'altra sistemazione nel capoluogo etneo. Ma lui rifiuta e prosegue la sua battaglia. (a.mas.)

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