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Veltroni, la scoperta dell’alba
by Nazione Indiana Thursday, Oct. 05, 2006 at 9:57 AM mail:

Sciascia per esempio, Arbasino, o Sanguineti, Volponi, Natalia Ginzburg: gli scrittori italiani più importanti che negli anni ’60, ’70 decidevano di impegnarsi direttamente, professionalmente, in politica. Nel 1980, una data emblematica, qualcosa è cambiato. Per fare un esempio, Calvino capisce che la figura di “intellettuale impegnato” che fin allora ha inseguito come modello, ha segnato il passo, raccoglie i suoi saggi composti dal ’55 e pubblica proprio in quell’anno Una pietra sopra, il sigillo a una lunga esperienza, conclusa.

Una generazione almeno è passata e oggi l’evento inedito e molto indicativo è La scoperta dell’alba di Walter Veltroni. Un politico al massimo del suo riconoscimento manda alle stampe un’opera di fiction, un romanzo (come ribadisce la copertina Rizzoli) e arriva subito primo in classifica. In sé l’episodio non sembra un’anomalia: Veltroni stesso ha sempre cercato di ritagliarsi un’attività parallela di operatore/divulgatore culturale (dalle recensioni dei film per il Venerdì) e ha già pubblicato altre opere di narrativa (una biografia di un jazzista, un paio di racconti ispirati alle storie dei desaparecidos argentini). E d’altra parte gli editori pare che non aspettino altro che professionisti affermati in altri campi si dedichino alla letteratura tout-court: cantautori, giudici, prefetti, comici, presentatori televisivi, che appunto scrivano non solamente libri di memorie, ma romanzi.

Il libro di Veltroni si inserisce così (anche suo malgrado) perfettamente in quella strana sfera gassosa che è il contesto culturale e politico oggi in Italia (un paese dove, per dire, la direzione dei programmi culturali della tv nazionale è affidata a Gigi Marzullo e quella dei servizi parlamentari a Anna La Rosa). Il pensiero che la letteratura abbia una sua autorevolezza autonoma, una sua specificità, e delle sue regole da imparare e sperimentare prima contro se stessi e poi rispetto a un editore e un pubblico di lettori magari indulgenti, non sfiora per niente Veltroni. Ed è un peccato perché quello che ne viene fuori è un libro molto mediocre, che queste regole ignora, che quest’autonomia non considera, mentre dichiara della letteratura e in generale dell’arte un’idea reverenziale, feticistica.

Ma andiamo con ordine: quali sono i difetti principali della scrittura della Scoperta dell’alba? 1) La mancanza di differenziazione dei personaggi, che parlano tutti con una lingua media bassamente lirica, anagraficamente irriconoscibile; 2) la ridondanza del discorso: nella scena madre Giovanni Astengo, il protagonista, torna alla sua casa di campagna e compone il suo vecchio numero di telefono di quand’era bambino, riuscendo a parlare con se stesso. Lo stupore è così descritto: “Non riuscivo a parlare, il cuore mi esplodeva e un insopportabile disordine mi aveva invaso. Respirai profondamente, pensai che tutto questo non aveva senso”, e qualche pagina dopo: “Mio Dio. Qualcosa, qualcuno mi stava portando a contatto con me stesso bambino, nel momento decisivo di tutta la mia esistenza. Qualcosa, qualcuno mi consentiva di parlare con me stesso bambino a quarantott’ore dalla fuga di mio padre. Era assurdo, ma stava succedendo”; 3) l’incapacità di dar corpo ai personaggi e di gestirli nel tempo. Il romanzo è molto breve (viene chiamato eufemisticamente romanzo un testo di circa 140.000 battute che in una normale gabbia editoriale sarebbero equivalse a 50, 60 pagine e non a 150) e quindi i caratteri non hanno tempo di svilupparsi. I conflitti con i quali si trovano ad avere a che fare vengono presentati per essere, a distanza di poche pagine, evitati più che risolti. Esempio: la figlia di Giovanni, Stella è una bambina down. I genitori – si dice anche se non si vede – ne soffrono, e il fratello sente il peso di una responsabilità eccessiva, ma è buonissimo e la porta in vacanza con sé negli States. Lì trova Stella insopportabile, capricciosa, e chiede aiuto ai genitori, che nel giro di qualche pagina prontamente arrivano.

Se si può riassumere in un’evidenza, il difetto principale di Veltroni è l’applicazione di una retorica specificamente politica all’ambito letterario. L’ignoranza di quel monito cardinale di qualsiasi scrittore, la frase che si ripete a buffo nei corsi di scrittura: Show! Don’t tell!; non dire, mostra; non dichiarare, metti in scena. Lo stupore, la rabbia, il conflitto padre-figlio, il senso di inadeguatezza a essere genitori di una bambina down, ogni sentimento in un romanzo va declinato in azione, dialoghi, descrizioni, in una costruzione che renda quei sentimenti, e non li enunci.

Mentre, sempre generalizzando, la retorica politica richiede proprio l’opposto: la chiarezza, l’immediata corrispondenza tra parola e riferimento, la psicagogia ottenuta attraverso anche la ridondanza: il piano non simbolico insomma.

Questa differenza tra i piani del discorso Veltroni sembra non ignorarla affatto, e anzi – per una strana forma di ingenuità – pare dichiararla anch’essa più volte all’interno dello stesso romanzo. Tante volte quante manifesta la sua reverenzialità nei confronti dell’arte e del genio in generale, sempre descritti come mondi modello, ma inattingibili, sacri e misteriosi, e mai come ambiti professionali, dove l’arte è appunto anche mestiere o professione. “Mi innamorai della figura di un genio della matematica che si chiamava Paul Erdös. Mi piaceva la religiosità del suo rapporto con i numeri. Mi piaceva il fatto che cercasse il senso della matematica dovunque, sempre. Si poteva presentare in qualsiasi ora del giorno e della notte dai massimi matematici del mondo, vestito a caso, occhiali spessi e barba lunga. «Il mio cervello è pronto» diceva. E mi colpì il racconto della moglie di un suo collega che testimoniò come Erdös e il marito fossero rimasti, una volta, in un convegno pubblico all’università, a pensare per un’ora e mezza, uno di fronte all’altro, senza dire una parola. Poi il marito aveva rotto il silenzio, entuasiasta, dicendo «Non è zero, è uno». E tutti erano impazziti di gioia” (pag. 20); “Così la chiamò «Casa del sertao che diventerà mare» prendendo in prestito questa definizione da un film che aveva entusiasmato oltre ogni immaginazione. Un film brasiliano, di un regista geniale e pazzoide che si chiamava Glauber Rocha” (pag. 33); “Quella sera di dolce magia, davanti a un pubblico estasiato, il pivot dei Philadelphia Warriors, Wilt Chamberlain, realizzò 100 punti dei 169 con i quali la sua squadre sconfisse i New York Knicks. Tirava, volava e segnava. E il pubblico progressivamente cominciò a capire che stava per entrare in una leggenda” (pag. 38). E ancora il suo omaggio infinito a Moby Dick e soprattutto a Italo Calvino, nume tutelare del figlio che divora tutti i suoi libri, ma non in quanto scrittore, ma in quanto “costruttore di sognanti geometrie”.

Cosa resta di questo libro allora? Una testimonianza fondamentale, nelle ultime pagine, dove Giovanni Astengo scopre il motivo per cui il padre sparì anni e anni fa: era un terrorista. Si è dato alla clandestinità. Alla fine di un romanzo famigliare pieno di aggettivazione edulcorata, di tantissimi “lieve” e “intenso”, le ultime pagine sono uno stacco deciso, e spiazzano di netto. Rispetto al mondo svagato che c’è stato narrato fino all’ultimo dove le albe si susseguono come un sogno continuo e i conflitti sfumano per evaporazione, la scoperta da parte del protagonista di avere un padre assassino trascolora il tono del romanzo. E la considerazione che ne scaturisce si riflette a questo punto nella dimensione politica. Il cosiddetto “veltronismo”, quella pratica della politica che non accetta una lettura di classe delle conflittualità e che in genere soffoca proprio le conflittualità invece di rispettarle in nome della loro alterità, è forse il frutto obbligato della grande ferita politica degli anni ’70, cicatrizzata sì ma solo in superficie. La radicalità di quell’opposizione ha portato sull’orlo di una guerra civile e lutti personali ingiustificabili. Cosa farne dunque se non consegnarla con sempre più forza e sempre più in fretta all’oblio di un qualsiasi romanzo?

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