Lettera che Ignazio Andolina, ex dirigente del palazzo di giustizia di Ragusa, ha fatto pervenire al procuratore generale presso la Corte di Cassazione di Catania,al ministro della giustizia, al vice presidente del CSM, e all'On. Oliviero Diliberto, presentatore di una interrogazione parlamentare sui fatti in questione.
Oggetto: Procura della Repubblica di Ragusa -Procuratore Capo Dott. Agostino Fera. Interrogazione dell’On.le Diliberto e altri (4-17118) presentata nella parte finale della scorsa legislatura. Libro “Morte a Ragusa” dello scrittore Carlo Ruta. Delitto Tumino del 1972. Relazione del Procuratore Generale di Catania Giacomo Scalzo n. 8/05 Int.Parl. 4373/05 Prot. U. Del 17 nov. 2005.
Sono venuto in possesso, solo pochi giorni fa, occasionalmente, della relazione, che ho letto, del Procuratore Generale di Catania, indicata all’oggetto, con alcuni allegati, compilata, come vi si legge, in risposta alla richiesta del Ministero della Giustizia n. 4387/2005/AG/PFB/8758 del 18/10/2005 di informazioni sui fatti oggetto dell’interrogazione parlamentare, anch’ essa indicata all’oggetto. Una prima, immediata valutazione mi induce ad affermare che essa altro non è che un concreto ulteriore elemento dello scandalo, purtroppo non ancora compiutamente esploso, qui a Ragusa, connesso con la pubblicazione del libro di Carlo Ruta, sopra accennato. Occorre, infatti, dire che, almeno sino ad oggi, non molte sono le persone che sono al corrente dei fatti specifici denunziati dal giornslista-scrittore in relazione alle indagini svolte, a suo tempo, dalla magistratura ragusana per l’uccisione dell’ing. Tumino, avvenuta nel 1972, avendo soltanto notizie vaghe e generiche offuscate dal lungo tempo trascorso, vuoi, anche, per l’atavico disinteresse della gente iblea alle vicende che non la colpiscono direttamente, che è tipico, peraltro, delle popolazioni di questo nostro profondo Sud, da sempre paurosamente prive di senso civico e quasi fisiologicamente incapaci di guardare a ciò che succede poco fuori dall’uscio di casa, vuoi, soprattutto, per il timore di non esporsi agli occhi e alle orecchie di chi vive, imperversando sui deboli e gli indifesi, nel “Palazzo”.
Certo, l’auspicio e la speranza che qualcosa, per il bene di tutti, cambi ci sono, ma a condizione che sempre più “cittadini” acquistino il coraggio della denunzia dei misfatti e dei camuffamenti della verità che gli autorevoli inquilini compiono e, quando è il caso, anche dell’indignazione, o la consapevolezza del dovere di aiutare, per quanto è possibile, la società civile a migliorare e, perchè no, anche la capacità di vergognarsi nell’isolare i pochi impavidi in circolazione, per loro natura fortemente assetati di libertà e giustizia, ma puntualmente perseguitati con gli inevitabili atti di violenza che dal palazzo provengono, tesi a farli tacere . Sono auspici e speranze che si trasformerebbero immediatamente in certezze se alcuno degli organi d’informazione a rilevanza nazionale cui mi rivolgo decidesse di occuparsi del caso, che non è puramente e semplicemente un caso di mala giustizia, bensì di scandalosa manipolazione di una vicenda giudiziaria, trasformata da attività di ricerca della verità in attività che con l’amministrazione della giustizia nulla aveva a che fare e che ancora oggi da più parti si cerca di sotterrare definitivamente, con effetti tanto nocivi per la dignità del nostro Stato, da non essere più oltre tollerabili. Una vicenda che, scaturita da un banalissimo, quanto eccezionale per il pacifico e civile ambiente ragusano, delitto ad opera di ignoti, si trasformò subito in un fatto di cronaca di rilevante portata per la notorietà di un personaggio che vi risultò coinvolto, il figlio dell’ allora presidente del Tribunale di Ragusa, Roberto Campria, al quale seguì, a distanza di pochi mesi, l’uccisione, ad opera di questi, di un giovane giornalista, Giovanni Spampinato, che del primo omicidio si era quasi quotidianamente occupato accompagnando i suoi servizi giornalistici con sferzanti denunzie di inerzie investigative, uccisione che da gran parte dell’opinione pubblica fu recepita come conseguenza della verità da lui scoperta, in sostituzione degli investigatori, o comunque per esservi arrivato vicino. Sono anche auspici e speranze che ora affido ai destinatari di questo mio scritto. Chi ne ha titolo faccia ciò che il proprio dovere d’ufficio, o professionale, o soltanto la sua coscienza, gli impone di fare, tenendo a mente che in questa nostra Italia è già giunto il tempo della lotta alle convenienze o agli accomodamenti e aggiustamenti della verità e a chi svolge ruoli significativi nel delicato campo dell’informazione non è più consentito di volgere lo sguardo altrove quando la gente gli chiede di occuparsi di fatti di rilevante importanza, perchè ancora e sempre “oportet ut scandala eveniant”.
Per tornare al tema e per essere precisi, tenendo in disparte lo scandalo di oltre 34 anni fa, ancora vivo nel ricordo dei ragusani, legato al delitto sopra accennato e alle indagini incredibilmente incomplete e distratte allora svolte dal sostituto P.M. Fera, quello attuale è lo scandalo di un Procuratore della Repubblica, lo stesso anzidetto P.M. del 1972, che, divenuto oggetto di un’interrogazione presentata, nell’ottobre 2005, da un ex ministro di giustizia al suo successore con lo scopo di allontanare il magistrato dalla sua sede di servizio, occupata da oltre 35 anni, viene assurdamente “assolto” dal suo superiore gerarchico, non solo dalle accuse di smaccata inerzia investigativa nel procedimento per l’uccisione di Tumino che lo scrittore Ruta gli ha pubblicamente mosso col suo libro, pieno zeppo di incontestabili riscontri documentali, ma anche da quelle rivoltegli dall’illustre parlamentare, e da altri due colleghi, con la loro interrogazione, contenente apprezzamenti devastanti del suo operato di Procuratore capo. Il tutto con considerazioni che, tradotte in spiccioli, avrebbero la pretesa di dimostrare l’insussistenza di elementi negativi a carico del Fera, posto che il procedimento penale (contro ignoti) rivisitato dall’Avvocato Generale nel “percorso istruttorio” non sarebbe affetto da “deficit gravissimi” , che questi, inoltre, sarebbero frutto, “a dir poco, della fantasia del Ruta ...e che, di conseguenza, cade ogni necessità di riapertura delle indagini a suo tempo espletate”, laddove c’era , e c’è, da tenere conto, non già e non tanto di pretese accuse fantasiose o astratte del Ruta, bensì e piuttosto dei documenti “istruttori” , veri e reali, dallo scrittore tratti dal fascicolo del procedimento e pubblicati nel suo libro “Morte a Ragusa” nel gennaio 2005, libro del quale la Procura Generale di Catania ha sicuramente avuto contezza, ma che ha vistosamente ignorato nello stendere la risposta al Ministero. Il tutto, ancora, senza dire che lo stesso inverosimile rimprovero di accuse fantasiose rivolte al Ruta andrebbero rivolte anche ai tre parlamentari sottoscrittori dell’interrogazione al ministro della giustizia dell’ ottobre 2005, nella quale si parla, appunto, di “deficit gravissimi” nell’istruttoria sul delitto Tumino, condannati all’indomani del delitto Spampinato, che del primo è stato ritenuto, nella coscienza popolare, diretta conseguenza, anche da esponenti della cultura, del giornalismo e della politica del calibro di Giorgio Chessari, Miriam Mafai ed Achille Occhetto, oltre che del libro-dossier in parola. Ecco perchè io credo che la vicenda Fera sarà, prima o poi, esaminata con l’attenzione, l’impegno e l’imparzialità che sinora sono mancati e perchè mi ritengo in diritto, al pari di chissà quante altre persone, che vivono in queste mie contrade e di quelle, molto più numerose, che insorgerebbero se la vicenda stessa fosse adeguatamente divulgata in un ambito territoriale non soltanto locale, di avere le risposte che ancora le pubbliche istituzioni non hanno saputo dare , nè per quanto qui esposto, nè per le numerosissime altre denunzie, alcune anche a firma mia, contro il Procuratore della Repubblica di Ragusa, Agostino Fera che, a quanto pare, non trova alcuna remora neanche nel consegnare, per renderli pubblici, e trarne indebito giovamento, a rappresentanti di organi di informazione a lui benigni, atti ufficiali e riservati di uffici gerarchicamente superiori, o contigui al suo, e indirizzati ad uffici diversi dal proprio, dei quali è venuto in possesso per vie non chiare, così clamorosamente compiendo, tra l’altro, un’aperta violazione della legge 675/1996 della quale presto sarà chiamato a rispondere davanti alla competente autorità giudiziaria penale su iniziativa di una delle persone interessate, vistasi improvvisamente diventare, come in questi giorni ha saputo, oggetto di pubblica informazione anche con riferimento alle proprie vicende di salute e di parte offesa in procedimenti penali mai divenuti pubblici. Ragusa 15 ottobre 2006 Ignazio Andolina
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