dalla prima pagina di Liberazione
Chi è responsabile della proliferazione nucleare? Danilo Zolo
Penso di essere uno dei pochissimi europei che abbiano avuto la ventura di visitare la Corea del Nord. L’ho visitata per due volte, in anni successivi, invitato dall’Università di Pyongyang. Il mio soggiorno è stato complessivamente di alcuni mesi e questo mi ha consentito di vedere e, forse, di capire. Se non altro per questa ragione, ho sempre seguito con particolare curiosità le vicende nord-coreane di questi anni, cercando di andare oltre i luoghi comuni occidentali.
Il suo regime autoritario e la ferrea chiusura verso il mondo esterno contribuiscono a legittimare la spregevole caricatura che ne è stata fatta, sino a giustificare la sua definizione di rogue State, “Stato canaglia”, che l’attuale amministrazione degli Stati Uniti gli ha illegalmente attribuito. E fino a trovare del tutto normale che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite abbia deciso di sanzionare il paese, che già versa in condizioni economiche difficilissime, con una serie di restrizioni militari e finanziarie. Contro Pyongyang è stato persino deciso - risum teneatis - l’embargo dei prodotti di lusso.
La ragione delle sanzioni, come è noto, è un esperimento nucleare sotterraneo vantato dal regime di Kim Jong Il, ma del quale nessuno è in grado di definire con precisione l’entità, salvo la generale convinzione che si è trattato di un test di scarso rilievo. Nonostante questo, le cinque potenze che sono membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (e che dispongono di arsenali nucleari potenti o potentissimi) non hanno esitato ad accusare Pyongyang di essere una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale. Si tratta di una mistificazione imposta alla comunità internazionale dall’ambasciatore degli Stati Uniti, John Bolton, nonostante le resistenze della Russia e della Cina.
Le considerazioni che si possono fare in questo momento sono sostanzialmente due. La prima riguarda la natura del regime nord-coreano e la sua pericolosità per la stabilità del sud-est asiatico e per l’ordine globale. Non c’è dubbio che il regime guidato da Kim Jong Il sia fortemente personalizzato e molto lontano dal modello occidentale dello Stato di diritto, anche se è grottesco presentare il suo leader come un tiranno medievale bizzarro e spietato. L’ideologia dominante è quella della Juchi idea. Si tratta di una combinazione di etica confuciana, di veteromarxismo e di fiero nazionalismo che esalta l’indipendenza del paese, la sua compattezza ideologica, le conquiste sociali ottenute dal regime. L’idea Juchi è racchiusa in una singolare metafora: la Corea del Nord governa se stessa con assoluta autonomia, così come le dita della mia mano obbediscono solo ai miei comandi. Nessuno le può comandare al mio posto.
Non c’è alcun dubbio che il regime nordcoreano sia molto rigido, chiuso e difficilmente trattabile: lo è persino per la Cina che tende ancora a proteggerlo. Ma è una risibile forzatura statunitense sostenere che un piccolo paese dotato di risorse limitatissime, politicamente isolato e sottoposto a severi controlli di intelligence, sia un pericolo per l’ordine mondiale. In realtà gli Stati Uniti sono alla ricerca affannosa di pretesti per rafforzare la loro presenza in un area sempre più dominata dalla Cina.
La seconda considerazione riguarda il tema della proliferazione nucleare. La preoccupazione per l’aumento del numero degli Stati che dispongono di arsenali nucleari è del tutto legittima. Si pensi che già oggi è stato accumulato a livello planetario un arsenale nucleare che ha raggiunto una potenza equivalente a oltre un milione di bombe di Hiroshima. Ma è da respingere qualsiasi tentativo di usare il Trattato di non proliferazione come uno strumento giuridico internazionale idoneo a contenere il fenomeno e tale da legittimare gli interventi contro chi non si attiene alle sue prescrizioni. Il Trattato di non proliferazione non è mai stato, dalla sua entrata in vigore nel 1970 ad oggi, così clamorosamente calpestato. E i primi ad averlo violato sono gli Stati Uniti che hanno sistematicamente ignorato gli impegni aggiuntivi del Trattato, sottoscritti nel 1995, che impongono alle potenze nucleari di fare passi concreti verso un disarmo totale. Washington non solo ha esplicitamente dichiarato che non intende disfarsi del suo armamento nucleare, ma sta sviluppando testate di nuova generazione, investendo elevatissime risorse finanziarie nella produzione di nuovi ordigni che vengono sperimentati in test subcritici che non richiedono l’esplosione.
E’ chiaro dunque che oggi la proliferazione nucleare non dipende dalla Corea del Nord o dall’Iran, ma anzitutto dagli Stati Uniti (e da Israele). Ma nei loro confronti il Consiglio di sicurezza non prenderà mai alcuna misura, perché il loro strapotere militare li pone al di sopra del diritto e delle istituzioni internazionali.
18 ottobre 2006
www.liberazione.it
|