Contro le avventure militari della borghesia italiana
Dunque, sono partiti i soldatini: un’altra missione di pace in giro per il mondo, per andare – il cuore in mano – ad aiutare i deboli e i bisognosi… un vero popolo di poeti, di santi e di navigatori. Siamo ormai a questi livelli. Noi non la pensiamo così. Da comunisti, noi pensiamo che, nell’epoca dell’imperialismo, ogni “missione all’estero” sia una missione di guerra. Imperialismo significa infatti accresciuta competizione internazionale, acuite guerre commerciali, esportazione di capitali che entrano inevitabilmente in conflitto gli uni con gli altri, controllo delle sorgenti di materie prime e delle loro vie di trasporto e dunque tentativo di escluderne i concorrenti, fino all’esplodere incontrollato di conflitti prima locali e poi, in prospettiva e in presenza di condizioni materiali favorevoli e necessarie, mondiali. E’ quello che sta succedendo da decenni (da quando cioè sulla scena del capitalismo mondiale si è ripresentata con violenza una nuova crisi economica di sovrapproduzione), e che riguarda innanzitutto la fascia che dai Balcani abbraccia il Medio Oriente fino all’Afghanistan e al Pakistan: crocevia di commerci più o meno leciti e legali (armi e droga), di vitali corridoi commerciali, di oleodotti e gasdotti, di campi petroliferi e sorgenti d’acqua, su cui da sempre (dall’inizio del ‘900) l’imperialismo ha allungato occhi e zampe – prima quello inglese e quello francese, poi quello americano e israeliano, senza dimenticare quello tedesco, russo, cinese... E italiano, che nell’area di interessi ne ha parecchi, e non da oggi: e che comunque vuole (deve, sotto la spinta della crisi economica) cercare di ritagliarsi una sua propria fetta di autonomia e presenza. Noi dunque pensiamo, da comunisti, che la “missione di pace” che vede il contingente italiano in prima linea e con posizioni direttive all’interno della forza Unifil sia una missione di guerra, in cui si intrecciano miserabile obbedienza all’imperialismo più forte (quello americano) e necessità di rivendicare sciovinisticamente un posto di riguardo al banchetto dei ladroni imperialisti. Come in Afghanistan, come in Iraq. Le prossime settimane e i prossimi mesi lo renderanno sempre più evidente, mentre ci si incammina giorno dopo giorno sulla via che conduce – sia pur non nell’immediato – verso un nuovo conflitto mondiale. A farne le spese sono e saranno ancora una volta i proletari di tutti i paesi, le masse povere e diseredate. Da comunisti, quale deve essere la risposta?
Rifiuto di appoggiare qualunque avventura militare, comunque mascherata, della borghesia del proprio paese Rifiuto di accettare sacrifici “in difesa dell’economia nazionale”, che è sempre e comunque economia del capitale, e dunque sfruttamento all’interno come all’esterno Organizzazione per difendere le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, fuori e contro partiti e sindacati che da mezzo secolo ormai non rappresentano più gli interessi operai Ritorno deciso ai metodi e agli obiettivi dell’aperta lotta di classe, rompendo con ogni logica di concertazione e pace sociale Lavoro per la rinascita, l’estensione, il radicamento del partito rivoluzionario mondiale. Anche “episodi” come questo, e soprattutto i molti e sempre più gravi che seguiranno, dimostrano che il modo di produzione capitalistico è giunto ormai da un secolo al capolinea; che questa sua lunga agonia è solo distruttiva e lo diviene di più ogni anno che passa (si pensi anche solo a che cosa è stato l’ultimo quindicennio!); che è dunque necessario dargli il colpo di grazia, per giungere finalmente, attraverso la presa violenta del potere e l’instaurazione della dittatura proletaria dirette dal partito comuniste, alla società senza classi, al comunismo.
Partito comunista internazionale (il programma comunista)
www.ilprogrammacomunista.com/it-prima.htm#1
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