Allora funziona!
Ecco come fare danni alle alla multinazionali globalizzatrici senza rompere vetrine e senza rischiare nulla, anzi guadagnarci in salute, portafoglio e sodisfazione personale.
Interessante articolo da Repubblica.
Io sono un paio d'anni che ho iniziato il mio personale boicottaggio di diversi marchi. Piu' siamo e piu' i danni fatti dai black bloc risulteranno meno che patetici al confronto...
http://www.repubblica.it/online/societa/marchi/crisi/crisi.html
I "loghi" più noti del mondo hanno perso valore nell'ultimo anno per 49 miliardi di dollari a favore dei nuovi prodotti locali La crisi dei marchi globali più che il G8 poté il mercato di RICCARDO STAGLIANO' ROMA - Se sei un "logo" ti tirano le pietre. Sono tempi duri per i grandi marchi, quelli internazionalmente noti da New York a Vladivostok: in strada gli anti-global li contestano come le ultime incarnazioni del Male capitalistico, sul mercato le loro quotazioni non brillano più come una volta. Anzi. Solo Coca-Cola, per dire del più globale brand di tutti i tempi, ha visto le proprie azioni scendere a un valore di circa la metà rispeto a quello raggiunto in Borsa alla fine degli anni '90. E se è vero - come scriveva in copertina "Business Week" della settimana scorsa - che i marchi globali valgono ancora un sacco di soldi lo è altrettanto che la quantità di valore perso nell'ultimo anno non ha pari nella loro storia recente. Dei 74 "loghi" apparsi nella classifica di quest'anno ben 41 hanno infatti perso terreno: 49 miliardi di dollari (circa 100 mila miliardi di lire) volatilizzati (ovvero una perdita di oltre il 5 per cento), toccando quota 851,6 miliardi di dollari. Di chi è la colpa? Una lunga analisi apparsa nei giorni scorsi sul "Financial Times" azzarda alcune ipotesi. C'è un dato macroeconomico generale, ovvero la crisi delle dot-com che ha decurtato il valore di tante compagnie ad alto contenuto tecnologico. Ma questo non spiega l'indebolimento di tanti campioni della Old Economy, come il -5 per cento di Coca-Cola e Nike, il -9 per cento di McDonald's e il -12 per cento di Gillette, solo per citarne alcuni. Declini insospettabili sino a pochissimi anni fa quando l'investitore più scaltro di tutti i tempi, quella sorta di Re Mida della finanza che ha per nome Warren Buffett (l'uomo più ricco del mondo secondo la classifica di Fortune sino alla staffetta con Bill Gates), aveva investito massicciamente in tutte queste e in altre ancora. Un'euforia giustificata da vari sommovimenti mondiali. La caduta del muro di Berlino, per esempio, che aveva liberato mercati potenziali enormi (Russia, Cina e così via) e enormemente affamati di beni occidentali, i frutti proibiti loro preclusi sino a pochi mesi prima. Un effetto che aveva fatto lievitare le vendite e, soprattutto, le prospettive delle multinazionali yankee. "Era solo una prima fase, però - spiega oggi Tim Ambler, ricercatore di marketing internazionale alla London Business School -. Nell'attuale seconda fase questi Paesi hanno riscoperto un po' del loro nazionalismo e del loro orgoglio commerciale e hanno detto: 'Aspettate un minuto: perché stiamo svendendo il nostro patrimonio nazionale agli americani che, dopo tutto, sono stati i nostri nemici per tutti questi anni?'". Una riscossa giocata molto con l'arma tipica del consumatori: decidere di non comprare. E così, sempre l'anno scorso, né Coca-Coila né Procter & Gamble né altri nomi importanti dell'industria americana figuravano nelle classifiche dei 10 marchi più pubblicizzati in Cina che erano tutti, strettamente, Made in China. E se molte multinazionali stanno cercando di seguire il vento e adattare i loro prodotti alle realtà locali (magari comprando aziende del posto come ha fatto di recente McDonald's), si tratta della presa d'atto di una sconfitta, del risultato di 1 a 0 nella partita localismo contro globalismo. I super-marchi sono sotto schiaffo anche in patria: solo l'anno scorso sono stati 31.432 i nuovi prodotti "senza marca" introdotti sul mercato americano. "E' sempre più difficile fare marketing di massa - spiega Martin Hayward, presidente del londinese Henley Center - perché a nessuno piace più essere considerato normale, tutti vogliono essere trattati come individui, nella loro specificità". E per le elefantiache multinazionali il mestiere si fa sempre più complicato. Concetto espresso anche da Susan Fournier, docente di marketing alla Harvard Business School: "Il modello 'taglia unica', per cui una formula andrebbe bene per tutti, va ormai abbandonata anche per i prodotti di massa. Le multinazionali prima di tutto devono comprendere come sono le vite dei loro consumatori e costruire i prodotti affinché vi si adattino". Non viceversa, altrimenti la punizione del mercato sarà molto più dolorosa - per le grandi compagnie - di quelle che qualsiasi Black Bloc saprà infliggere loro. (9 agosto 2001)
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