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L'OCCIDENTE SFRUTTATORE E TERRORISTA
by indyano d'italya Wednesday, Feb. 26, 2003 at 7:57 PM mail:

Vá pensiero, sull'ali del vento (dello sfruttamento e della guerra ...)

L'OCCIDENTE SFRUTTAT...
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Alle potenze imperialiste non basta più affidarsi a burattini locali.Il tentativo fatto in tal senso negli anni Novanta è fallito.Hanno bisogno di schierare direttamente le proprie forze armate.E di tornare ad agitare,contro i popoli e lavoratori:la minaccia del fungo atomico !!!

Da
L'OCCIDENTE SFRUTTATORE E TERRORISTA
A chi il petrolio e le braccia dell’Islam e dell’Asia?
A noi! Con ogni mezzo. Atomiche incluse.
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Terrorismo e Islam sono le "parole-chiave" che l’informazione ufficiale usa in relazione alla nuova guerra lanciata dall’Occidente. Non una riga su petrolio, profitti, manodopera nella regione mediorientale e nel continente asiatico tutto. È bene allora richiamare alcune semplici verità su queste altre "parole-chiave", chissà perché scomparse -a comando- dalla propaganda democratica dell’imperialismo...
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Con il 13% della popolazione mondiale, gli Stati Uniti, la Cee e il Giappone consumano quasi due miliardi di tonnellate di petrolio all’anno, il 52% della produzione mondiale (dati relativi al 1999 tratti dall’edizione 2000 della Bp Amoco Statistical Review of the World Energy). Ben i tre quinti di questo mare di petrolio viene da essi importato dall’Asia, dall’Africa e dall’America Latina. Un’area di rifornimento domina su tutte le altre: il Golfo Persico. Da lì provengono il 39% delle importazioni petrolifere dell’Europa occidentale, il 78% di quelle giapponesi e il 23% di quelle statunitensi. Le percentuali aumentano sensibilmente se si considera il mondo islamico nel suo insieme: che incorpora -a fianco dei paesi mediorientali- giganti petroliferi come l’Indonesia in Estremo Oriente, come l’Algeria e la Libia in Africa, o come l’Azerbaigian in Asia centrale.
In questi numeretti s’esprime non solo il dominio monopolistico esercitato da un pugno di super-stati sulla gran parte dei paesi e dei popoli del mondo, alla faccia di tutte le menzogne sull’uguaglianza delle nazioni. Ma anche l’importanza che riveste per l’Occidente il controllo (a prezzi per esso ragionevoli) dell’area mediorientale e del mondo islamico tutto. Privati di tale controllo, gli Stati Uniti, la Cee e il Giappone si troverebbero in ginocchio. Non solo perché incapaci di sviluppare l’enorme quantità di energia di cui necessita la loro vita economica e sociale. Ma anche perché sprovvisti della materia prima di base in alcuni settori economici centrali quali quello chimico-farmaceutico (da cosa pensate venga fuori la plastica?), quello automobilistico, quello agricolo...
Questa dipendenza diventerà ancor più forte negli anni a venire.
Attualmente, infatti, gli Stati Uniti e la Cee sono in grado di produrre una quota del petrolio che consumano: quasi 700 milioni di tonnellate. Le loro riserve di idrocarburi si stanno però esaurendo: al ritmo di estrazione attuale, dureranno solo un’altra decina d’anni. Quelle situate nel sottosuolo del Medioriente e dell’Asia centrale, invece, ben dieci volte tanto: quasi un secolo.
La cartina offre un bel colpo d’occhio su questa situazione.
Da essa emerge anche un altro fatto: è ancora il mondo arabo e islamico a comprendere le zone cruciali attraverso le quali passano le vie del trasporto dell’oro nero dai campi d’estrazione ai paesi occidentali: il canale di Suez, lo stretto di Ormuz nel Golfo Persico, lo stretto delle Molucche tra Indonesia e Malesia... E la regione che va dal Caucaso all’Asia centrale. Per decenni sotto il controllo dell’ex-Urss, tale zona riceve da tempo (non dall’11 settembre!) le attenzioni degli Stati Uniti e dell’Europa. Affinché le loro multinazionali mettano le mani sul petrolio e sul gas caspici. E affinché si aprano da lì nuove vie di trasporto sotto stretto controllo occidentale alternative a quelle già esistenti legate alla Russia. Al momento si contendono il mercato diversi progetti occidentali: la via turca, quella afghana, quella albanese...
Benché in lizza tra loro e legati a gruppi capitalistici e a progetti imperialistici contrastanti, la loro realizzazione richiede comunque una identica condizione: che l’area interessata sia messa sotto il giogo occidentale. Il che vuole dire due cose insieme. Da un lato che non deve emergere nessuna potenza asiatica (sei in linea Pechino?) in grado di fungere da polo di attrazione per i paesi e i popoli della regione in una chiave anti-occidentale (seppur tutta borghese). Dall’altro lato che le masse lavoratrici della zona -in gran parte musulmane- accettino di vivere in condizioni via via più misere, sotto il torchio di regimi autocratici e servili verso i padroni occidentali, senza neanche lontanamente sognarsi di usare alle condizioni ottimali per sé, per un proprio futuro meno nero e non per l’Occidente, le uniche ricchezze di cui al momento dispongono, e cioè le loro braccia e gli idrocarburi...
Ecco una delle ragioni per cui i paesi imperialisti da anni e anni si danno da fare per prendere in mano quella che viene definita la "chiave" verso l’Asia, e cioè l’Afghanistan. Per cui hanno iniziato quella sporca guerra di cui ha parlato Bush, e che l’attacco contro le Torri e il Pentagono non ha acceso ma solo accelerato.
Da essa dipende anche un altro target imperialista.
Nel capitalismo decadente del XXI secolo una percentuale crescente dei profitti e dei sovraprofitti globali sarà estratta dalla manodopera del continente asiatico, quella del mondo musulmano accompagnata dai lavoratori del subcontinente indiano e da quelli cinesi. In tutto la bazzecola di tre miliardi e mezzo di persone (con un settore di esse messo al lavoro nelle stesse metropoli). È vitale per i centri finanziari di New York, per il Pentagono e per l’intero circuito capitalistico occidentale che questa gallina dalle uova d’oro non cada nelle mani di una potenza capitalistica continentale (sei in linea Pechino?) o addirittura si metta in testa strani vagheggiamenti di emancipazione sociale e nazionale (all’inizio magari sotto la forma del rilancio dell’asianesimo o dell’internazionalismo islamico o del nazionalismo maoista o della difesa delle proprie tradizioni religiose contro l’invadenza della vampiresca e subdola civiltà cristiana...).
La "libertà duratura" serve anche a raggiungere questo scopo. Attraverso la collocazione di una sentinella armata dell’Occidente nel cuore dell’Oriente: in Afghanistan, sul tetto del mondo. Con i mirini puntati, da lì, contro gli sfruttati dell’intero continente.
Alle potenze imperialiste non basta più affidarsi a burattini locali. Il tentativo fatto in tal senso negli anni Novanta è fallito. Hanno bisogno di schierare direttamente le proprie forze armate. E di tornare ad agitare, contro i popoli e i lavoratori dell’Asia, la minaccia del fungo atomico.
Le parole "sfuggite" al ministro Rumsfeld non sono casuali.
Una favola racconta che nel 1945 gli Stati Uniti sganciarono le bombe nucleari sul Giappone per costringere alla resa un governo che non voleva saperne di arrendersi, e per evitare perdite umane ancor più alte di quelle prodotte dai bombardamenti di Hiroshima e di Nagasaki. La tesi fu confezionata a Washington dall’amministrazione Truman, nelle stanze del potere della Casa Bianca e del Pentagono. E fu ripetuta per decenni, in piena libertà, nella stragrande maggioranza dei libri di testo di storia occidentali. Una menzogna di stato. L’obiettivo dei bombardamenti nucleari fu ben altro.
Al termine della seconda guerra mondiale le masse lavoratrici cinesi erano alla testa di un travolgente moto di liberazione che chiamava alla riscossa i popoli di tutto l’Oriente, dall’Indonesia alla Palestina. Un moto che poteva alimentare e collegarsi coi focolai di lotta di classe apertisi in Europa, soprattutto in Italia, in Jugoslavia, in Grecia, in Polonia... "Ecco con cosa dovrete fare i conti, se vi azzarderete a resistere alla nostra volontà", mandò a dire il nuovo boss del mondo capitalistico al popolo cinese, alle masse oppresse dell’Oriente, al proletariato internazionale: "col terrore nucleare."
Hiroshima e Nagasaki furono un esperimento sul futuro che si avvicina.


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Mafia yankee

Questa storia comincia negli anni Sessanta.Arriva in Texas,dalla lontana Arabia Saudita,Muhammad bin Laden.Il patriarca ha già un portafoglio ricchissimo(è uno degli uomini più ricchi del suo Paese)e non sbarca come un immigrato clandestino: vuole fare affari.

Questa storia comincia negli anni Sessanta. Arriva in Texas, dalla lontana Arabia Saudita, Muhammad bin Laden. Il patriarca ha già un portafoglio ricchissimo (è uno degli uomini più ricchi del suo Paese) e non sbarca come un immigrato clandestino: vuole fare affari. Nel 1968 un misterioso incidente aereo lo toglie però di torno. Ma non "uccide" certo la voglia della famiglia bin Laden di fare business negli Usa. Tanto che il nuovo capofamiglia (suo figlio Salem, che è anche fratellastro del futuro, celeberrimo Osama) nel 1973 torna di persona in Texas e fonda ad Austin la compagnia aerea Bin Laden Aviation. Fa anche quello che insegnano tutti i manuali del buon manager: cerca i contatti giusti per entrare nei circoli che contano. E chi sceglie come "chiave d'accesso"? Mister George Bush, erede di una delle famiglie del petrolio più ricche di tutto lo Stato, e soprattutto uomo della Cia fin dal 1961, dai giorni della Baia dei Porci (il fallito putsch anticastrista a Cuba finanziato dagli americani, ndr.). E' un connubio che funziona subito: Bush senior fa sempre più soldi e carriera, diventando capo della Cia nel 1976, poi vice di Reagan nel 1981 e, infine, presidente Usa nel 1988; Salem e i suoi fratelli entrano invece alla grande nel business petrolifero e finanziario, diventando addirittura soci dei Bush. Ma qui dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Nel 1975 alla prestigiosa Harward business school prende la laurea George W. junior. L'attuale capo dello Stato americano se la spassa un po' e poi, tre anni dopo, entra nel mondo del lavoro. Fondando una sua compagnia petrolifera (il core business di famiglia): la Arbusto Energy. Tra i suoi compagni d'avventura c'è, sorpresa sorpresa, lo sceicco Salem bin Laden... E non solo: nel consiglio d'amministrazione compaiono infatti i nomi di Khaled bin Mahfouz e James Bath. Il primo è oggi ritenuto uno degli alleati fondamentali di Osama, mentre entrambi sono diventati "famosi" come uomini chiave dello scandalo della Bank of commerce and credit international (Bcci). Uno scandalo scoppiato nell'ottobre del 1988, quando i magistrati americani scoprono che l'istituto bancario è in realtà la "lavatrice" che ricicla il denaro del narcotraffico per finanziare operazioni segrete in mezzo mondo. Detto in soldoni, il "denaro sporco" dei trafficanti di droga veniva ripulito attraverso il sistema bancario - spesso grazie a una compagnia anonima di copertura - e diventava "denaro nascosto", usato dalla Cia per foraggiare vari gruppi ribelli e movimenti di guerriglia dall'Iran all'Iraq, dai contras in Nicaragua per arrivare fino ai mujahadeen della resistenza afgana all'invasione sovietica. A proposito di quest'ultima operazione, ecco un passaggio del reportage pubblicato da Time Magazine nel numero del 29 luglio 1991 con il significativo titolo di The Dirtiest Bank of All (La banca più sporca di tutte): "Poiché gli Usa volevano fornire ai ribelli mujahadeen in Afghanistan missili Stinger e altro materiale militare, c'era il bisogno della piena collaborazione del Pakistan. Dalla metà degli anni '80 il distaccamento della Cia a Islamabad fu una delle più grandi sedi di servizi segreti al mondo. 'Se lo scandalo Bcci è un così forte imbarazzo per gli Usa che indagini dirette non sono mai state condotte, ciò ha molto a che fare con il tacito via libera che gli stessi americani diedero ai trafficanti di eroina in Pakistan', ci ha detto un agente segreto dell'agenzia". Da segnalare anche che la Bcci aveva stretti rapporti sia con il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi [massone piduista noto come il "banchiere di Dio" -nota mia-A.B.], sia con la Banca nazionale del Lavoro di Atlanta.
Ma torniamo ora alla connection tra i Bush e i bin Laden. Nel 1982 George junior trasforma la Arbusto Energy in Bush Exploration Oil, che diventa la calamita che attrae altre compagnie e infine dà vita alla Harken Energy. Tutte operazioni finanziate in gran parte con capitali provenienti da Arabia Saudita e da altri paesi arabi, ma anche da personaggi legati all'affaire Bcci (come Mafhouz e James Bath...) o da politici intimi al clan Bush: un nome su tutti, James Baker, alla faccia del conflitto di interessi (Baker è stato segretario di stato Usa, ndr.). La Harken non naviga certo in buone acque, due volte arriva sull'orlo della bancarotta, ma non chiude mai. Bush junior segue le orme del padre, fa un sacco di soldi e comincia pure a pensare alla carriera politica. Un escalation che non si ferma neppure davanti all'ennesima misteriosa morte di questa storia. Nel 1988 Salem bin Laden scompare in uno strano incidente aereo, sempre in Texas, proprio come suo padre Muhammad. Ma non smettono di fioccare le super commesse per la società dei Bush-bin Laden. Ecco cosa ha scritto Giancarlo Radice in un'inchiesta pubblicata dal Corriere della sera: "Nell'89 il governo del Bahrein straccia improvvisamente un contratto con la Amoco e incarica la Harken di un mega-progetto di estrazione petrolifera off shore, ben sapendo che la Harken fino a quel momento non ha realizzato altro che qualche piccola estrazione di greggio di Oklahoma e Louisiana (mai in mare) e si trova in condizioni finanziarie disperate". Dunque, le "strade parallele" fra i Bush, Bath e le famiglie saudite non si fermano, conclude Radice. Anzi, "attraversano buona parte degli anni '90, per poi scomparire progressivamente dai rapporti d'intelligence. In Afghanistan la guerra anti-sovietica è finita da un pezzo. La 'pecora nera' della famiglia bin Laden, Osama, è ormai la mente occulta del terrorismo internazionale. E George W. Bush comincia la sua marcia verso la Casa Bianca". Il paradosso di questa storia è ora evidente: l'America, la Cia e il piccolo George si trovano oggi ad affrontare un nemico che loro stessi hanno proveduto a far crescere, foraggiandolo con i loro sporchi affari. Un business che, alla fine, gli si è rivoltato contro. Nel modo più tragico.
(Questo articolo è stato preso dal sito clarence.com
url: http://www.clarence.com/contents/societa/speciali/010911torri/osama1.html )

Caro Antonius,
come volevasi dimostrare,la tecnica dei narco finanziamenti in aiuto degli eserciti amici non è MAI venuta meno.
Per chi volesse saperne di più: http://digilander.iol.it/subliminale/VerNas.htm
Ciao!
SART
http://www.digilander.libero.it/subliminale/F43.htm

terrorismo IN iraq

Bombe per la pace
La guerra contro il terrorismo e' cominciata

Interrogativi sgradevoli e non richiesti sull'Iraq
"Immaginiamo lo scenario.... Un'agenzia della stampa irachena ha dichiarato oggi che Saddam Hussein ha deciso di rimuovere il primo ministro Ariel Sharon. Hussein ha deciso che i programmi di difesa nucleare, chimica e biologica sono una minaccia troppo grossa per la stabilita' della regione. I servizi di intelligenza irachena hanno presentato ad Hussein la strategia di guerra contro Israele: manovre segrete di invasione, sabotaggio, conflitto d'informazione e bombardamenti a tappeto. Il presidente e' entusiasta." [Doug Morris]

Iraq: la minaccia fantasma
"Durante il mio servizio come ispettore delle Nazioni Unite degli armamenti, ho avuto l'incarico di tenere contatti con il signor Chalabi e il Congresso nazionale Iracheno per raccogliere "informazioni d'intelligence" [Scott Ritter]

Perchè Bush farà la guerra per risollevare l'economia Usa e invece combinerà un disastro
"Ormai è certo che si farà la guerra. Contro l'Iraq, contro l'Iran, contro la Siria o la Libia, contro la Somalia o il Sudan, o contro tutti i paesi musulmani messi assieme, non si sa. Quello che è certo è che gli strateghi del Pentagono e della Casa Bianca hanno deciso che l'unico modo per risollevare le sorti dell'economia Usa è una guerra generalizzata. Ma questa volta la guerra non risolverà proprio nulla, anzi aggraverà la situazione di crisi mondiale e ci condurrà al disastro"

I report di Globalobserver: un osservatorio sulla politica internazionale, la globalizzazione e i diritti umani ...


i nuovi nazisti stelle e strisce
Credo che sia giunto il momento per gli europei di dare
una spallata alla servile dipendenza politica dagli Usa,
paese che sta andando verso una inesorabile decadenza morale,politica ed economica.Il patetico tentativo della squallida classe politica americana attuale di nascondere le proprie magagne attraverso l'uso della guerra otterrà il solo risultato di creare un sempre più crescente odio verso gli yankees ed i loro servi sciocchi.
Insistere ora neell'appoggiare indiscriminatamente la politica di aggressione nordamericana al mondo porterebbe
alla medesima conclusione storica che spettò agli entusiasti alleati della Germania nazista.

Alle radici del nazionalismo americano

Un pensiero che prescinde dalle divisioni tra i partiti

Con la sua pretesa di difendere ovunque nel mondo la libertà e la democrazia, il documento strategico pubblicato il 20 settembre scorso dall'amministrazione Bush mette di fatto fine al disarmo; proibisce ad ogni potenza di rivaleggiare con gli Stati uniti sul piano militare; teorizza l'intervento preventivo; sottrae i cittadini americani alla giurisdizione della Corte penale internazionale. Gli Stati uniti rivendicano oggi lo status di «impero del bene» a cui aspirano ormai da un secolo.

Norman Birnbaum
Quando Abraham Lincoln venne rieletto nel 1864, Karl Marx si congratulò con lui a nome della International Workingmen's Association (1).
Charles Francis Adams, all'epoca ministro del governo americano, gli rispose in questi termini: «Il governo degli Stati uniti ha pienamente coscienza che la sua politica non è, e non dovrà mai essere, reazionaria.
Tuttavia, dobbiamo mantenere la rotta che da sempre seguiamo, ovvero astenerci da ogni propaganda e ogni tipo di intervento illegale all'estero.
I nostri principi ci prescrivono di applicare la stessa giustizia a tutti gli esseri umani e a tutti gli stati, e contiamo sulle conseguenze benefiche dei nostri sforzi per ottenere il sostegno dei nostri concittadini così come il rispetto e l'amicizia del mondo intero». La frase di George W. Bush, «o con noi o contro di noi», lascia supporre che il partito di Lincoln sia cambiato. Come e perché?
Il nazionalismo americano ha sempre oscillato tra un pragmatismo brutale e un idealismo retorico. Questo idealismo, che rappresenta un pericolo per i sostenitori del pragmatismo, è stato sfruttato con cinismo da questi ultimi. Infatti, che succederebbe se i cittadini iniziassero a prendere alla lettera il progressismo della Dichiarazione di indipendenza?
La descrizione che Tocqueville fa degli Stati uniti, questa nazione divisa tra regionalismo e mobilità, materialismo e religiosità, privatizzazione e nazionalismo arrogante, è sempre di attualità. Si tratta della repubblica commerciale condannata da Thomas Jefferson quando morì nel 1826, cinque anni prima del viaggio di Tocqueville. Jefferson, e i suoi successori, volevano ricongiungersi con l'universalismo redentore della Dichiarazione d'indipendenza. Ma se questa continua a forgiare l'immagine che la nazione dà di se stessa, lo fa più sotto la forma di una religione che di una memoria collettiva. O piuttosto di una setta. Per diventarne membri basta accettarne i principi, cosa che ha reso possibile l'integrazione, per quanto possa essere imperfetta, di cattolici e protestanti, gentili ed ebrei, bianchi e neri, europei, latini e asiatici.
Il nuovo governo pratica un surreale incrocio di generi. L'amministrazione Bush esige l'applicazione dei diritti dell'uomo in Iran, ma chiede ai tribunali di interrompere le azioni giudiziarie contro la multinazionale Exxon, accusata di complicità nelle repressione in Indonesia. Chi si ricorda dello stalinismo ne riconoscerà i segni. Eppure, Stalin non aveva questa capacità di plasmare l'opinione pubblica che il capitalismo americano esercita da un secolo. Il governo Bush è stato generato da un'élite il cui cinismo ben si addice a quest'epoca post-morale, da lungo tempo abituata a comprare l'opinione pubblica e i responsabili politici, negli Stati uniti come all'estero. In egual misura il regime attuale si poggia sui protestanti fondamentalisti, fanatici persuasi che gli Stati uniti abbiano un ruolo centrale nella lotta biblica del bene contro il male, basandosi sulla certezza che il paese debba dirigere il mondo (2). Forse ci si chiede come si sia arrivati a questo punto, dopo la relativa modernità del governo Clinton, che aveva ottenuto la cooperazione del capitale multinazionale, enfatizzato una supremazia americana più serena, invitato le élites straniere a partecipare alle decisioni internazionali e difeso una versione, anche se minimalista, della socialdemocrazia internazionale.
Bush è un falso tradizionalista o un falso moderno? In origine, i repubblicani erano i nemici accaniti della schiavitù. Allo stesso tempo erano il partito dell'espansione continentale (Lincoln stesso combattè nella guerra contro il Messico) (3), dell'industrializzazione a tappe forzate e della massima apertura verso l'immigrazione europea.
Il loro scopo ultimo era la difesa del modello americano e dei suoi interessi nazionali, opposto a un mondo corrotto. I suoi principi economici fondamentali erano l'apertura dei mercati ai prodotti americani, il protezionismo e l'importazione massiccia di capitali.
Alla fine del XIX secolo, questo trionfalismo si dirige verso il mondo esterno. La parte occidentale del paese decolla e il surplus di risorse rende possibile la conquista dei nuovi territori. Nazionalista e interventista, la popolazione reclama la guerra contro la Spagna.
Le Filippine vengono annesse nel 1898 dal repubblicano McKinley (1897-1901).
Quando l'occupazione si trasforma in lotta armata contro gli independentisti, compare un movimento di protesta trasversale a tutti gli strati sociali.
Questo movimento non può non ricordare quello provocato dalla guerra del Vietnam, che incitò i «saggi» (la classe dirigente) a fare pressioni su Lyndon Johnson per porre fine a un conflitto troppo costoso e pericoloso per la pace civile. McKinlkey, invece, tra il 1897 e il 1901 poteva ancora poggiarsi sull'espansionismo di un capitalismo emergente. Il millenarismo americano diventa il collante ideologico per un nuovo tipo di imperialismo. Quest'ultimo verrà trasformato in principio dal successore di McKinkley, Theodore Roosevelt (1901-1909). Riformista, Roosevelt cerca di integrare gli immigrati e civilizzare il nuovo capitalismo. Mette gli Stati uniti sullo stesso piano delle grandi potenze e provoca una rivoluzione in Colombia nel 1903 per creare Panama - condizione preliminare per la costruzione del canale. Afferma che gli Stati uniti devono giocare nell'emisfero occidentale «un ruolo di gendarme internazionale».
È questo imperialismo che si preoccupa della piccola gente che porterà alla nascita dello stato sociale militarizzato costruito dai successori di Roosevelt.
Le chiese, una parte dell'intellighenzia laica e i socialisti esprimono la loro inquietudine. Gli agricoltori del movimento populista, nemico della modernità incarnata dalle grandi città, si sentono come i reietti dell'imperialismo. I loro risentimenti sono all'origine del rozzo isolazionismo del periodo tra le due guerre, che si oppose, all'interno del partito repubblicano, all'internazionalismo dei banchieri e degli industriali. Stato d'emergenza permanente I repubblicani finirono per abbandonare Roosevelt a causa delle sue riforme economiche, cedendo però la presidenza a un riformista democratico, Woodrow Wilson (1913-1921). Imperialista moralista con tendenze calviniste, Wilson intensifica l'intervento in America latina. L'amministrazione democratica prosegue l'integrazione degli immigrati nella vita politica, specialmente dei cattolici. La frangia internazionalista del grande capitale plaude alla guerra contro la Germania. Vi si oppongono i socialisti e gli elementi populisti del Partito democratico, il cui leader, William Jenninigs Bryan, si dimette dalla carica di segretario di stato.
Ma la guerra trovò il consenso degli ideologi dell'imperialismo, della nuova tecnocrazia, del grande capitale e di larga parte del movimento operaio, tutti favorevoli all'estensione delle prerogative del governo federale. Il grande progetto di Wilson, integrare gli Stati uniti nella Società delle nazioni, fallisce a causa di opposizioni in contraddizione tra loro: gli isolazionisti dei due partiti, che si vendicano dell'entrata in guerra, e gli unilateralisti, che credono che gli Stati uniti debbano restare liberi di utilizzare la loro nuova potenza. L'avversario repubblicano di Wilson, il senatore Lodge, un patrizio della Nuova Inghilterra, afferma allora che l'America deve cogliere questa opportunità, poiché è divenuta la più grande potenza mondiale.
Nel periodo tra le due guerre, l'élite che si occupa della politica estera gestisce una pace agitata e si prepara per la guerra a venire.
I professori universitari, i banchieri, i giornalisti e i giuristi che lavorano per il grande capitale sono in maggioranza protestanti e originari della costa orientale. Riuniti nel Council on foreign relations, influenzano il governo e l'opinione pubblica, stabilendo le priorità internazionali e distinguendo tra politiche «responsabili» e «irresponsabili». Il futuro segretario di stato del presidente Dwight Eisenhower (1953-1961), John Foster Dulles, diventa una delle loro figure di spicco, rappresentando allo stesso tempo, in qualità di avvocato, il terzo Reich. Nelson Rockefeller li convice a sostenere la carriera del suo giovane protegé Henry Kissinger, professore ad Harvard. Questa élite riesce a integrarsi allo stesso modo con i governi democratici e con quelli repubblicani. E se su alcuni punti è divisa, resta unanime per quanto riguarda l'importanza da accordare al dominio americano. Gli esponenti repubblicani nati sulla costa orientale e quelli legati a Wall Street dominano questo ambiente ristretto. Ma, nel loro partito, si confrontano con gli ultimi partigiani del populismo progressista originari del Midwest. Diffidenti verso Wall Street, questi repubblicani esaltano un isolazionismo spesso fondato su una visione di classe, simile a quella dei tedeschi e degli irlandesi, che rifiutano qualsiasi alleanza con l'Inghilterra.
Il Partito democratico di Franklin Roosevelt (presidente dal 1933 al 1945) è una coalizione sbilenca di socialisti, sindacalisti, tecnocrati e banchieri. Incorpora vecchi repubblicani progressisti e accoglie anche cattolici ed ebrei. Il suo internazionalismo è wilsoniano, con accenti socialdemocratici. Ma le divisioni del suo partito, così come la pressione esercitata su di lui e sul suo successore Henry Truman (1945-1953) dall'internazionalismo in versione repubblicana, lo spinsero ad allearsi con il grande capitale interno allo stato sociale militarizzato.
I repubblicani abbandonano l'isolazionismo nel 1941. Ma, attraverso il maccartismo e la diffidenza verso gli europei, ispirano un nazionalismo aggressivo. Le chiese protestanti, che sostengono da più di un secolo l'invio di missionari in Cina, si infuriano per l'arrivo al potere dei comunisti nel 1949. L'unilateralismo di questi repubblicani traspariva dal rifiuto della riduzione degli armamenti, la fascinazione per la teologia termonucleare e la retorica bellicosa. Ma la cosa più stupefacente è che i presidenti repubblicani (Dwight Eisenhower, Richard Nixon, Gerald Ford e gli stessi Ronald Reagan e George Bush padre) obbediranno sempre a queste élites, che definiscono la politica estera, rimanendo di fatto multilateralisti al pari dei democratici.
Le operazioni segrete della Cia, gli interventi economici, politici e militari nel mondo intero, la manipolazione dei paesi alleati, furono praticate dai democratici come dai repubblicani. E se ci si guarda indietro, molte delle differenze che sembravano separarli appaiono oggi relativamente insignificanti. Eccetto Reagan, nessun presidente repubblicano ha attaccato direttamente il contratto sociale.
Semplicemente, tutti ne hanno accettato il crollo, provocato dall'evoluzione del capitalismo. In cosa è diverso il presidente attuale? Suo nonno, Prescott Bush, nato nella Nuova Inghilterra, era il socio del più ricco democratico dell'epoca del New Deal, Averell Harriman. Prescott, governatore e senatore del Connecticut, era favorevole tanto all'internazionalismo di Roosevelt che al suo riformismo sociale. Suo figlio George (il vecchio presidente), dopo la guerra, emigra in Texas, la cui economia si apre agli armamenti, alla finanza e all'alta tecnologia. Deve la sua carriera politica ai suoi stretti legami con l'ambiente degli affari (prima di divenire il vice-presidente di Reagan, fu ambasciatore in Cina, alle Nazioni unite, e diresse la Cia). Come rappresentante della vecchia élite repubblicana, non si trova a suo agio in un partito cui Reagan ha dato una tinta molto più plebea. Nel corso della sua campagna elettorale deve persino abbandonare il Council on Foreign Relations perché certi repubblicani dalla mentalità arcaica pensano che questa istituzione complotti contro la sovranità del paese.
George W. Bush non subisce questo tipo di limitazioni. Il suo dominio politico in Texas è schiacciante. Non ha mai attaccato frontalmente lo stato sociale, ha collaborato con la comunità nera e ispanica e ha riempito un vuoto ideologico difendendo una versione individuale e ritualizzata della religione. I democratici ridono del suo nepotismo, l'accusano di considerare la politica un business. Ma, in realtà, il giovane Bush ha capito un aspetto fondamentale del capitalismo: la sottomissione della sfera pubblica al mercato. I suoi soci in affari, esattamente come suo padre, sono presenti nel commercio delle armi, dei servizi finanziari, della petrolchimica e dell'alta tecnologia.
E i loro rappresentanti sono stati quindi piazzati alla testa delle istituzioni e dei dipartimenti federali. Per blandire il paese, Bush oppone costantemente un mondo esterno indifferente o ostile a una società americana retta e sana. Quanto alle sue velleità di ritorno a un minimo di protezione sociale, suonano come un'evocazione spettrale del periodo tra il 1941 e il 1964. Quando una larga parte della popolazione comprende, suo malgrado, che intere parti del capitalismo americano poggiano su attività criminali è difficile mantenere un qualche tipo di consenso (4). Di fronte a tutto questo, il governo tenta di spostare l'attenzione sviluppando una retorica bellicista. Il Partito democratico, sottomesso a una lobby israeliana che desidera solo la guerra contro l'Iraq e, se possibile, contro l'Iran, non sembra riemergere dal suo coma politico.
La sua passività nei confronti del colpo di stato giudiziario delle elezioni del 2000 le è stata fatale.
Mentre i democratici sono immersi nella più grande delle tormente ideologiche, Bush sa di dovere il suo posto alla quasi-assenza dell'opposizione.
Di conseguenza, governa in qualità di leader di una minoranza, muovendosi da una labile maggioranza all'altra. Ma gli attacchi dell'11 settembre 2001 gli hanno dato l'occasione di dichiarare lo stato di emergenza per una durata indefinita. E se la vacuità della sua ideologia è lampante, sarebbe ingenuo ignorare il suo dominio assoluto su di un opprimente apparato repressivo. Parla della nazione come di una chiesa, ma la sua versione del repubblicanesimo la riduce in realtà a un aggregato di tribù in piena decomposizione.


note:

* Docente all'università di Georgetown, Washington.

(1) La International Workingmen's Association è stata creata a Londra nel settembre 1864, da owentisti e cartisti inglesi, proudhonisti e blanqisti francesi, nazionalisti irlandesi, patrioti e socialisti polacchi, italiani e tedeschi. Marx l'ha abbandonata nel 1872, quando la sede fu trasferita a New York.
(2) Vedi Ibrahim Warde, «Non ci sarà pace prima dell'avvento del Messia», Le Monde diplomatique/il manifesto, settembre 2002.

(3) La guerra terminò il 2 febbraio 1848 con il trattato di Guadalupe Hidalgo.
(4) La crisi irachena permette di far passare in secondo piano «affari» importanti quanto quelli che colpiscono Thomas White, attuale segreatrio generale dell'esercito americano, implicato nello scandalo Enron, e Richard Cheney, chiamato in causa per aver ricevuto 8,5 milioni di dollari dall'industria Haliburton quando la lasciò per divenire vice-presidente.
(Traduzione di M. D.)
http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/index1.html


La famiglia Bush.Petrolio,Cia e Terrore
Venticinque anni fa un aereo cubano con 73 persone a bordo veniva fatto esplodere in volo. Era l'attentato piu' grave della stretegia del terrore pianificata dalla Cia contro il governo di Cuba. Una rete criminale sorta con lo sbarco alla Baia dei Porci, estesasi al Viet-nam, all'America Latina delle dittature, al Centroamerica dei diritti umani violati. A tesserne le fila, alcuni agenti segreti protagonisti dei grandi scandali degli Stati Uniti. Una santa alleanza del terrorismo internazionale sviluppatasi sotto le ali della famiglia Bush
Il terrore creato dai Bush

All'ombra della Cia http://www.zaratustra.it/


Venticinque anni fa un aereo cubano con 73 persone a bordo veniva fatto esplodere in volo. Era l'attentato piu' grave della stretegia del terrore pianificata dalla Cia contro il governo di Cuba. Una rete criminale sorta con lo sbarco alla Baia dei Porci, estesasi al Viet-nam, all'America Latina delle dittature, al Centroamerica dei diritti umani violati. A tesserne le fila, alcuni agenti segreti protagonisti dei grandi scandali degli Stati Uniti. Una santa alleanza del terrorismo internazionale sviluppatasi sotto le ali della famiglia Bush


Sei ottobre 1976. Un aereo di linea della compagnia cubana esplode subito dopo il decollo dall'aeroporto della piccola isola di Barbados, nel Mar dei Caraibi. L'aereo, un DC-8, operava settimanalmente sulla rotta Guyana-Trinidad-Barbados-Giamaica-Cuba. A causare l'esplosione un potente ordigno nascosto sotto un sedile del velivolo. Nessuna delle 73 persone che viaggiavano nel DC-8 sopravvive all'esplosione. Molte delle vittime saranno inghiottite dalle acque dell'Oceano o dilaniate dai pescecani. Nell'attentato sono morti i 24 membri della nazionale giovanile cubana di scherma, età media 20 anni, proveniente dal campionato centroamericano appena conclusosi in Venezuela, dove la squadra aveva conquistato il titolo. Cinque delle vittime ricoprivano le funzioni di rappresentanti culturali della Repubblica democratica di Corea in visita in alcune isole delle Antille; un'altra decina di passeggeri innocenti erano giovani guyanesi che si recavano a Cuba dove avevano ottenuto una borsa di studio per frequentare la Facolta' universitaria di Medicina. L'esplosione del Dc-8 a Barbados era il più grave atto terroristico subito da Cuba dopo il trionfo della rivoluzione guidata da Fidel Castro, l'1 gennaio del 1959. Ed era soprattutto un messaggio trasversale a tutti i paesi caraibici, perchè sospendessero qualsiasi relazione politica ed economica con L'Avana, e si unissero alla campagna di isolamento e di aggressione militare decretata dall'OEA, l'Organizzazione degli Stati Americani, sotto il diktat degli Stati Uniti.


Sulle tracce dei mandanti e degli esecutori

A poche ore dal brutale attentato, giungeva la prima rivendicazione. Gli esecutori dichiaravano far parte di ‘El Condor', una delle innumerevoli organizzazioni paramilitari di esiliati anticastristi con sede negli Stati Uniti ([1][1]).

In realta' gli inquirenti potero accertare che la pianificazione della strage era stata realizzata dal ‘CORU' (Comando de Organizaciones Revolucionarias Unidas), un coordinamento di gruppi di estrema destra operanti negli anni '70 in tutta l'America latina e nella città di Miami (Stati Uniti), finanziato e sostenuto dalla Cia e dalla DINA, la Direzione d'Intelligence del governo fascista cileno. Una vera e propra agenzia di servizi per la realizzazione di operazioni coperte, che il 21 settembre 1976, una quindicina di giorni prima dell'attentato al Dc-8, era stata incaricata di assassinare a Washington il diplomatico cileno Orlando Letelier, ex ambasciatore alle Nazioni Unite, rifugiatosi negli Stati Uniti dopo il golpe del generale Pinochet ([2][2]).

L'asse portante del ‘CORU', era costituito da agenti e provocatori di origine cubana, specializzatisi in operazioni clandestine e attentati terroristici. Al coordinamento avevano aderito i gruppi di esiliati anticastristi del ‘Frente de Liberacion Nacional de Cuba', del ‘Movimiento Nacionalista Cubano' e della ‘Brigada 2506', che avevano diretto le innumerevoli operazioni di aggressione militare contro Cuba e in particolare il fallito sbarco militare nella Baia dei Porci, nel 1961, la piu' grande operazione militare anticastrista, apertamente sostenuta dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Dopo il golpe di stato in Cile e il trionfo di sanguinose dittature militari in Argentina, Bolivia, Uruguay, Paraguay e Brasile, le organizzazioni eversive decisero di diversificare il proprio intervento avviando una lunga serie di attentati terroristici, perfettemante integrati nella strategia del Dipartimento di Stato e della Cia di lotta ‘occulta' al regime comunista dell'Avana, alle organizzazioni della sinistra popolare e ai movimenti di liberazione latinoamericani.

Il ‘CORU' realizzò così, nei primi anni '70, l'attacco alle ambasciate cubane di Buenos Aires e Citta' del Messico e puntò alla distruzione di alcune infrastrutture di proprieta' statale presenti nel Continente o in Europa. Imbarcazioni da pesca cubane e navi da trasporto sovietiche dirette ai maggiori porti dell'isola delle Antille furono assaltate nel Mar dei Caraibi da lance veloci condotte da agenti della controrivoluzione cubana, che agivano indisturbati dalle coste della Florida.

Gli attentati si intensificarono soprattutto dopo che le forze armate cubane erano intervenute in Angola accanto all'MPLA (Movimento Popular de Liberacion de Angola), a seguito dell'invasione della Namibia e dell'Angola da parte del regime razzista del Sud Africa ([3][3]). L'escalation terroristica raggiunse il suo apice nel 1976, quando i gruppi aderenti al ‘CORU' eseguirono attentati di enorme effetto psicologico quasi a voler preannunciare l'esplosione del Dc-8 a Barbados.

Il 22 aprile un ordigno bellico aveva distrutto i locali dell'ambasciata di Cuba in Portogallo, causando la morte di due funzionari. Meno di due mesi dopo, il 6 giugno, era stata fatta esplodere una bomba davanti all'ufficio della delegazione cubana presso le Nazioni Unite; tre giorni piu tardi, una valigia che doveva essere imbarcata su un aereo di linea della compagnia cubana, era esplosa anticipatamente in un hangar dell'aeroporto internazionale di Kingston (Giamaica). La strategia di sangue era proseguita il 18 agosto con l'esplosione di due bombe all'interno degli uffici della ‘Cubana de Aviacion' dell'aeroporto internazionale di Panama; il 22 settembre due granate erano state lanciate da un auto contro il Consolato di Cuba ad Ottawa (Canada). Nella capitale delle Barbados, infine, proprio alla vigilia dell'attentato al DC-8, era stata fatta esplodere una bomba che aveva distrutto gli uffici della ‘British West Indies Airways', rappresentante locale della compagnia aerea cubana ([4][4]).


La centrale delle stragi
Le indagini sull'attentato di Barbados permisero presto di dare un nome e un volto agli autori materiali della strage ordinata dal ‘CORU'. Furono così arrestati due cittadini venezuelani, Hernan Ricardo Losano e Freddy Lugo, i quali avevano viaggiato sul Dc-8 nella tratta Guyana-Barbados. Giunti nell'isola, avevano abbandonato il velivolo non prima di aver attivato l'ordigno che sarebbe esploso dopo la partenza per la Giamaica ([5][5]).

Hernan Ricardo Losano e Freddy Lugo erano due veri e propri ‘professionisti' della lunga stagione di sangue realizzata dalla rete internazionale neofascista al soldo della Cia e dei ricchi possidenti di origine cubana esiliatisi in Miami dopo la fuga dall'isola del dittatore Fulgencio Batista. Hernan Ricardo, ufficialmente un fotografo ‘free-lance', non aveva mai fatto mistero di accedere con facilita' a grossi capitali finanziari e di tenere strette relazioni con l'Agenzia d'Intelligence degli Stati Uniti. Egli aveva avuto l'opportunità di partecipare a fine anni ‘60 ad un corso sull'uso di esplosivi organizzato dalla stazione Cia di Caracas. Inoltre aveva mantenuto stretti contatti con un alto ufficiale dell'Fbi, Joe Leo, distaccato presso l'ambasciata Usa in Venezuela ([6][6]).

Anche il secondo attentatore, Freddy Lugo, svolgeva la funzione di fotografo, alle dipendenze del Ministero delle Miniere e del Petrolio del Venezuela. Alla vigilia dell'attentato aveva chiesto un permesso per recarsi all'estero; qualche ora prima di abbandonare Caracas fu visto in un noto ristorante in compagnia del controrivoluzionario cubano Felix Martinez Suarez, presidente del ‘Frente de Defensa de la Democracia', ampiamente coinvolto nell'elaborazione di piani tendenti a convertire il Venezuela in una delle principali basi per estendere le attivita' terroristiche di marca neofascista a tutto il continente latinoamericano ([7][7]).

L'analisi degli spostamenti e delle telefonate eseguiti da Hernan Ricardo Losano e Freddy Lugo nei giorni precedenti all'attentato al Dc-8, permisero di accertare che l'operazione era stata coordinata dal cittadino nordamericano di origini cubane Orlando Bosh, implicato in numerosi atti di terrorismo e in particolare nell'assassinio a Washington del cancelliere cileno Orlando Letelier. Condannato a 10 anni nel 1968 per un attacco con bazooka contro una imbarcazione battente bandiera polacca ormeggiata nel porto di Miami, Orlando Bosh aveva ottenuto la liberta' quattro anni piu' tardi grazie ad un miracoloso indulto concessogli dalle autorita' giudiziarie della Florida. Nel 1974 l'Fbi lo aveva ritenuto responsabile dell'omicidio del dirigente controrivoluzionario Jose' Elias de Torriente, nell'ambito delle lotte interne tra le differenti fazioni anticastriste residenti a Miami. Per sfuggire al mandato di cattura, Bosh decise di abbandonare gli Stati Uniti per rifugiarsi nella Repubblica Dominicana, dove con altri terroristi di estrema destra latinoamericani diede vita al famigerato ‘CORU'. Dopo il golpe in Cile, Orlando Bosh decise di trasferirsi a Santiago dove trovò alloggio in una lussuosa villa a due passi della sede del Comando centrale delle forze armate. In Cile il ‘CORU' strinse un patto d'acciaio di mutua collaborazione con i servizi segreti di Augusto Pinochet: al gruppo di Orlando Bosh la DINA assegnò la direzione del fallito attentato in Costa Rica del rifugiato cileno Pascal Allende, segretario generale del MIR (Movimiento de Izquierda Revolucionaria) e la gestione del piano terroristico per assassinare a Washington l'ex ambasciatore Letelier ([8][8]).


Il signor Bosh e il dottor Bush
Nell'ambito del piano di destabilizzazione del continente pianificato dagli Stati Uniti, i servizi segreti cileni e la Cia reclutarono Orlando Bosh per eseguire nel 1976 altre importanti operazioni terroristiche, come l'attentato contro la ‘Empresa Air Panamà' a Bogota', il fallito attentato contro l'ambasciatore colombiano in Venezuela, l'eplosione di due ordigni nei locali della delegazione cubana presso le Nazioni Unite a New York. Ciò, invece di fare inserire il nome di Orlando Bosh nell'elenco dei più pericolosi terroristi dell'emisfero, gli assicurò quasi una specie di passaporto diplomatico per attraversare liberamente frontiere e godere della protezione di cancellerie e uffici diplomatici. Egli potè fare rientro negli Stati Uniti, dove fondo' un'effimera organizzazione politica, ‘Accion Cubana', poi passata alla clandestinita'. Nonostante l'accanimento delle autorità federali che lo arrestarono per cinque volte consecutive per diversi reati, Orlando Bosh fu sempre in grado di provare la propria ‘innocenza' in sede processuale ([9][9]).

L'unica nota dolente gli venne dall'importante quotidiano ‘The New York Times' , che in un lungo reportage realizzato nei giorni successivi alla strage del Dc-8 di Barbados, ricostruì alcuni sconcertanti particolari dell'ascesa di Orlando Bosh nell'Olimpo del terrorismo internazionale neofascista. In particolare fu sottolineato il suo reclutamento da parte della Cia sin dal 1960, per avviare la campagna politico-militare anticastrista. Di lui si ricordava una violenta lettera aperta contro l'allora presidente John F. Kennedy, accusato di "aver adottato misure restrittive" a danno degli esiliati cubani presenti negli Stati Uniti. Il ‘New York Times', citando alcuni funzionari del governo implicati nel cosiddetto scandalo del ‘Watergate' che aveva costretto Richard Nixon ad abbandonare prematuramente la Presidenza della Confederazione, denunciava il coinvolgimento diretto del gruppo anticastrista al soldo di Orlando Bosh nelle operazioni di spionaggio a favore della CIA per screditare il Partito Democratico alla vigilia delle elezioni del 1972. "Negli stessi anni – aggiungeva il quotidiano – gli uomini di Bosh venivano addestrati dalla Cia per operazioni clandestine di matrice terroristica".

Tra i principali finanziatori delle attività dei gruppi paramilitari di estrema destra diretti dal terrorista, oltre alla Cia, il ‘New York Times' citava l'ex presidente cubano Carlos Prio Socarras e il plurimilionario del Texas, Howard Hunt, capo Cia della Stazione di Citta' del Messico negli anni '50, tra gli organizzatori della catastrofica invasione della Baia dei Porci ([10][10]). "Tutte le forme del crimine organizzato della comunita' di esiliati di Miami, cosi' come la cooperazione in attivita' criminali, incluso il lucrativo traffico di droga, si crede costituiscano altre importanti fonti di finanziamento degli uomini di Bosh", concludeva il reportage del quotidiano statunitense ([11][11]).

Che i gruppi controrivoluzionari cubani di Miani finanziassero le loro crociate anticomuniste mediante il traffico di cocaina, lo sfruttamento della prostituzione e l'estorsione a danno di ricchi cubani esiliati negli Stati Uniti, era un fatto notorio all'interno dell'Fbi e dalla Dea, ma in nome della ‘difesa della democrazia', cioe' dell'imperialismo yankee in America Latina e nel Caribe, Bosh & soci erano tollerati, sostenuti e protetti. La loro rete di alleanze con i maggiori produttori ed esportatori di sostante stupefacenti del continente, come vedremo in seguito, sarà utilizzata dalla Cia e dal Dipartimento Usa, per portare a termine il piano di destabilizzazione contro il governo Sandinista del Nicaragua dopo la rivoluzione del 1979 contro il dispotico e corrotto regime di Somoza.


Posada Carriles, l'altro agente della Cia
Altri cittadini cubani e venezuelani furono indagati ed arrestati nell'ambito del procedimento contro gli esecutori dell'attentato al Dc-8 esploso nei pressi della costa di Barbados. Molti di essi prestavano o avevano prestato servizio presso un'agenzia di vigilanza privata, la ‘ICI' (Investigaciones Comerciales e Industriales), con sede a Miami e una filiale a Caracas, diretta dall'ex ispettore di polizia del regime di Batista, Luis Posada Carriles, tra i fondatori dela nota organizzazione terrorristica anticastrista ‘Alpha 66'. I tabulati provarono una fitta rete di chiamate telefoniche alla vigilia dell'attentato tra i due esecutori materiali, Hernan Ricardo Losano e Freddy Lugo, e il cubano naturalizzato nordamericano. Altra singolare coincidenza, il primo ‘fotoreporter' aveva lavorato saltuariamente presso l'agenzia d'investigazione privata ICI.

Una serie di criptiche telefonate erano state intercettate infine tra lo stesso Posada Carriles e Orlando Bosh. E come il fondatore del ‘CORU', Luis Posada era stata arruolato dalla Cia nel 1960, divenendo presto uno dei suoi maggiori esperti nell'uso di esplosivi e nella gestione di azioni controinsorgenti. Posada Carriles fu poi inviato in Guatemala per partecipare all'addestramento della ‘Brigada 2506', composta da mercenari cubani e nordamericani, alla vigilia del fallito sbarco nella Baia dei Porci, il 17 aprile del 1961.

Il tribunale di Caracas chiamato a giudicare sull'attentato di Barbados, condannò Luis Posada Carriles, ma il terrorista riusci', nel 1985, ad evadere dalla prigione grazie ad un'operazione diretta dalla stazione Cia di Caracas e dai servizi segreti venezuelani ([12][12]). A gestire operativamente la fuga di Luis Posada Carriles, fu chiamato un altro dei piu' accaniti oppositori di Fidel Castro, Jorge Mas Canosa, fondatore a Miami dell'organizzazione di estrema destra ‘The Cuban Nazional Foundation'.

Grazie alla rete degli agenti cubani con cui Posada Carriles aveva condiviso negli anni '60 la partecipazione nella cosiddetta ‘Operazione Mongosta' ([13][13]), il transfuga trovò protezione in Centroamerica, dove la Cia lo reclutò fino al 1990 per alcune azioni clandestine in El Salvador, Guatemala ed Honduras. Piu' recentemente, nel 1997, il nome di Luis Posada Carriles e' apparso nelle cronache dei quotidiani italiani, a seguito del suo coinvolgimento negli attentati ad alcuni importanti hotel dell'Avana, in cui trovo' la morte il turista italiano Fabio di Celmo. Posada ha ammesso di aver fornito il denaro agli autori materiali dell'azione terroristica, due cittadini di origine salvadoregna conosciuti durante gli anni trascorsi come agente segreto nel paese centroamericano. "Mi dispiace per lui, ma si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato" ha commentato cinicamente la morte del giovane turista italiano, in un'intervista a un quotidiano di Miami.

Impossibilitato a colpire il leader della rivoluzione cubana nell'isola delle Antille, dopo una lunga serie di attentati falliti o prematuramente abortiti, Luis Posada Carriles ha deciso di agire in occasione delle visite realizzate da Fidel Castro in alcuni paesi centroamericani. Così, alla vigilia dell'arrivo nel novembre 2000 del Capo di Stato cubano a Panama, il terrorista si è trasferito in questo paese per dirigere l'ennesimo attentato dinamitardo contro Castro. Le autorità panamensi, previamente avvertite dai servizi segreti cubani, lo hanno però arrestato qualche ora prima dell'arrivo del leader all''Universita' di Panama'.

La richiesta di estradizione presentata dal governo dell'Avana per i numerosi attentati eseguiti dal terrorista, e' stata respinta dalla presidente di Panama, Mireya Moscoso, e attualmente Luis Posada Carriles e' detenuto in una prigione della capitale in attesa che si concluda l'indagine sul piano di assassinio di Fidel Castro ([14][14]).


Gli agenti cubani e lo scandalo Irangate
Oltre alla partecipazione nella interminabile stagione del terrorismo nero latinoamericano, un'altra sorprendente analogia caratterizza gli agenti Cia di origine cubana: il loro ruolo di protagonista in alcuni dei maggiori scandali della recente storia nordamericana, primo fra tutti il cosiddetto ‘Irangate' o ‘Iran-Contra', l'ingente traffico di armi destinato al regime dell'ayatollah Khomeini, dipinto dall'allora presidente Ronald Reagan come il ‘principe del male', in cambio di aiuti militari e finanziari a favore delle organizzazioni in lotta contro la rivoluzione Sandinista trionfata in Nicaragua ([15][15]).

Nella piu' spregiudicata real-politik, grazie all'intermediazione di Israele, gli Stati Uniti armavano il primo Stato fondamentalista islamico, aprendo una trattativa clandestina con gli Hezbollah libanesi, pubblicamente accusati di fornire le basi per l'addestramento dei gruppi del terrorismo internazionale ([16][16]).

Dicevamo di Luis Posada Carriles, che dopo l'evasione dal carcere di San Juan de Los Morros finì per operare presso la base aerea di Ilopango in Salvador, reclutato dalla locale agenzia d'intelligence nordamericana. A capo della struttura clandestina di Ilopango, la Cia aveva posto altri due agenti di origini cubane, Rafael Quintero e Felix Rodriguez, direttamente responsabili del trasferimento di armi e denaro alle organizzazioni antisandiniste e del loro addestramento paramilitare.

Rafael Quintero e Felix Rodriguez operavano congiuntamente sin dal 1960, quando avevano partecipato a Panama ad un corso in operazioni clandestine diretto da personale delle forze armate degli Stati Uniti. Entrambi furono poi inviati per addestrare i controrivoluzionari cubani offertisi per lo sbarco alla Baia dei Porci ([17][17]).

Alla vigilia dell'operazione militare contro Cuba, i due si separarono. A Rafael Quintero venne assegnata una funzione di copertura delle operazioni di mobilitazione e partenza dei controrivoluzionari, mentre Felix Rodriguez fece ingresso clandestinamente a Cuba per organizzare le azioni di sabotaggio che furono scatenate simultaneamente all'attacco ([18][18]).

A seguito del fallimento dello sbarco, i due fecero rientro negli Stati Uniti per svolgere per conto della Cia altre importanti missioni di supporto alle organizzazioni anticastriste. In particolare Felix Rodriguez, per le sue indiscutibili doti ‘d'intelligence', intraprese una fulminea carriera di agente segreto, che gli permettera' di essere uno dei protagonisti delle vicende piu' oscure della recente storia mondiale. Dopo aver assistito nel 1962 a Fort Benning, in Georgia, ad un corso di specializzazione militare delle truppe d'élite delle forze armate Usa ([19][19]), Felix Rodriguez fu trasferito in una base operativa della Cia nel Nicaragua del dittarore Somoza, per eseguire un attacco armato ad una nave spagnola, come rappresaglia per la decisione del governo franchista di continuare le attivita commerciali con Cuba.

Risale tuttavia al 1967, l'operazione piu' spietata portata a termine dall'agente di origini cubane. Entrata in posseso della prova della presenza nella selva della Bolivia di Ernesto Che Guevara alla guida un fronte guerrigliero composto prevalentemente da rivoluzionari cubani, la Cia decise di inviare Felix Rodriguez nel paese sudamericano insieme ad un altro esule dell'Avana, Gustavo Villoldo Sampera, per coordinare la caccia all'eroe della liberazione di Cuba dalla dittatura di Batista. Quando l'esercito fece prigioniero il Che, ferito in un conflitto a fuoco, Rodriguez raggiunse in elicottero il teatro delle operazioni, per trasmettere l'ordine di esecuzione ([20][20]).

Superdecorato per il successo dell'operazione in Bolivia, Felix Rodriguez fu inviato in Perù per presiedere ad un corso di formazione della Cia a favore di una unita' di paracadutisti anti-guerriglia. Ottenuta la cittadinanza nordamericana Felix Rodriguez partì per il Sud-Est asiatico per operare agli ordini di Theodore Shackley, capo della stazione Cia in Laos ([21][21]).

Successivamente, Felix Rodriguez passò in Viet Nam, proprio negli anni piu' cruenti del conflitto tra gli Stati Uniti e il regime comunista di Hanoi. "A Saigon si dedico' a torturare ed interrogare i prigionieri e si approprio' di alcuni dei loro effetti personali che conserva come trofei", scrivono i ricercatori Adys Cupull e Froilan Gonzalez, autori di un importante volume sul complotto della Cia per assassinare Ernesto Che Guevara ([22][22]).


L'agente Felix e il complotto antisandinista
Tornato negli Stati Uniti nel 1979 dopo la sanguinosa avventura asiatica, Felix Rodriguez decise di dedicarsi al traffico d'armi avviando una societa' in compagnia dello stesso Theodore Shackley, suo superiore in Laos ([23][23]). Successivamente passo' a svolgere le funzioni di ‘consulente' della societa' israeliana ‘ISDS' (Internacional Security and Defense System), particolarmente attiva nel mercato latinoamericano, dove riforniva gli arsenali di numerosi governi dittatoriali.

Negli anni 1980-81 la Cia contattò Felix Rodriguez per differenti missioni in Uruguay, Brasile, Costa Rica, Honduras, Guatemala ed El Salvador; a sua volta, l'esercito cileno lo nominò consigliere in "tattiche di controinsorgenza". Nel 1982 l'agente fu chiamato a coordinare alcuni attentati terroristici contro unita' navali cubane inviate in Nicaragua a sostegno del governo sandinista e alla fine dello stesso anno si recò a Buenos Aires per una breve missione di ‘preparatore' dell'esercito argentino.

Due anni piu' tardi il Presidente Ronald Reagan dava l'autorizzazione per l'avvio delle operazioni Iran-Contra e Felix Rodriguez fu inviato in Salvador per assicurare la fornitura di armi agli antisandinisti e collaborare in attivita' controinsorgenti ([24][24]).

Nella pianificazione dell'operazione di sostegno militare della Contra nicaraguense, grazie ai fondi neri lucrati dalla Cia con il trasferimento di armamento pesante all'Iran e agli Hezbollah libanesi, Felix Rodriguez fu secondo solo al colonnello Oliver North, l'uomo prescelto dalla presidenza degli Stati Uniti per dirigere la segreta triangolazione ([25][25]).

A Felix Rodriguez, il colonnello delego' uno dei compiti più scottanti di tutta l'operazione, il trasferimento agli antisandinisti di denaro in contante, proveniente da alcuni dei maggiori narcotrafficanti colombiani, che proprio in quegli anni avevano lanciato una vasta campagna terroristica contro politici, magistrati, giornalisti e dirigenti sindacali che si opponevano alla cosiddetta ‘narcodemocratizzazione' dello Stato colombiano.

Deponendo davanti al ‘Sottocomitato sul Narcotraffico e il Terrorismo' del Senato degli Stati Uniti, Ramon Milian Rodriguez, accusato di traffico di droga e riciclaggio di denaro sporco, dichiaro' di aver consegnato alla fine del 1983 alla Contra 10 milioni di dollari "grazie all'intermediazione di Felix Rodriguez, che rappresentava la Cia in questa operazione". "Questo denaro – aggiunse Ramon Milian Rodriguez - era stato messo a disposizione da Pablo Escobar, Jorge Ochoa e Carlos Lehder, i capi del Cartello di Medellin". A spingere i maggiori boss del narcotraffico a finanziare le operazioni occulte degli Stati Uniti in Nicaragua, sempre secondo la testimonianza, c'era la convinzione che così si sarebbe "comprata un pò d'amicizia della Cia affinchè essa chiudesse gli occhi sugli invii di stupefacenti negli Stati Uniti" ([26][26]).

In realtà, la Cia ricompensò ampiamente il Cartello di Medellìn per il contributo alla causa antisandinista, assicurandogli ampia libertà di azione nel trasferimento degli stupefacenti dall'area andina al mercato Usa. Esso fu realizzato grazie all'uso delle maggiori infrastrutture presenti in Centroamerica per l'addestramento e il riformimento di armi alla Contra e degli stessi velivoli contrattati dal Pentagono per il trasporto del materiale bellico ([27][27]).

L'agente della Dea Celerino Castillo, ha rivelato all'autorita' giudiziaria di Washington che ingenti quantita' di cocaina provenienti dalla Colombia, finivanno "negli hangar dell'aeroporto di Ilopango, da dove venivano poi trasportati negli Stati Uniti da piloti che godevano della protezione governativa". Alcune partite di droga sarebbero giunte direttamente in alcune basi militari della Florida, in particolare quella di Homestead, a sud di Miami ([28][28]).

Il ruolo strategico delle basi militari centroamericane nello scambio armi-droga, e più esplicitamente dell'agente Cia chiamato a coordinarne le attività, è stato confermato dalle testimonianze di alcuni dei piloti contrattati per il riformimento militare alla Contra.

In una dichiarazione resa ai giudici, il pilota Michael Toliver, ha ammesso di aver trasportato alla base di Aguagate, Honduras, 14 tonnellate di apparecchiature militari e di essere rientrato in patria con 12 tonnellate di marihuana. "Ad Aguagate – ha spiegato Michael Toliver - ho ricevuto il denaro per le armi, 75.000 dollari, da una persona che si faceva chiamare Max Gomez". Non fu difficile per gli inquirenti verificare che ‘Max Gomez' non era altro che il nome di copertura di Felix Rodriguez.


Il fronte sud dell'offensiva narcoparamilitare contro Managua
L'inchiesta sulla rete Cia realizzata in Centroamerica per sostenere la campagna contro il governo rivoluzionario del Nicaragua, appurò altresì che al fine di potenziare il traffico armi-droga erano stati realizzati alcuni aeroporti clandestini in Costa Rica, paese che aveva dichiarato la propria neutralità nel conflitto, intraprendendo un'importante attività di mediazione tra le parti belligeranti ([29][29]). A beneficiarsi particolarmente di queste infrastrutture in Costa Rica fu il gruppo antisandinista dell'ARDE, guidato da Eden Pastora, che ottenne benefici per oltre 250.000 dollari utilizzati per l'acquisto di armi leggere ed un elicottero.

Jesus Garcia, ex funzionario di origini cubane del Ministero della Giustizia degli Stati Uniti, ha ammesso che alcuni voli partiti dall'aeroporto di Fort Lauderdale, a nord di Miami per raggiungere una pista segreta alla frontiera settentrionale del Costa Rica, "facevano rientro con mezza tonnellata di cocaina, che era gia' impacchettata e pronta per l'imbarco".

La pista segreta in questione era quella realizzata dalla rete Cia all'interno di un rancho del facoltoso cittadino nordamericano John Hull, che risiedeva nella capitale San Jose' ([30][30]). In stretto contatto con Oliver North, John Hull fungeva da intermediario nella finanziazione del ‘Secondo Fronte Antisandinista' diretto da Adolfo Calero, uno dei più intransigenti capi della controrivoluzione. Dopo la rottura di quest'ultimo con Eden Pastora, accusato di ‘tradimento' per aver avviato una timida trattativa di dialogo con Managua, John Hull accettò di partecipare nel complotto orchestrato dalla stazione locale della Cia per assassinare il leader dell'ARDE.

Per eseguire il fallito attentato contro Eden Pastora furono chiamati il cubano-nordamericano Francisco Chanes e il libico naturalizzato cileno Amac Galil. Il primo era uno dei finanziatori di un'organizzazione anticastrista con sede a Miami, la ‘Brigada 2506' – dal nome della forza paramilitare che sbarco' a Cuba – e dirigeva una societa' per l'importazione del pesce, presumbilmente utilizzata per l'introduzione in Florida di cocaina colombiana ([31][31]). Amac Galil invece, era ritenuto uno dei maggiori terroristi internazionali al soldo dei servizi segreti di Augusto Pinochet ([32][32]). Ancora una volta le ombre dell'asse criminale internazionale Cile-Miami costituito dalla Cia dopo il golpe contro Salvador Allende.

Nel rancho di John Hull fu pianificato un altro attentato - poi abortito – contro l'ambasciatore degli Stati Uniti in Costa Rica, Lewis Tamb, che aveva come fine quello di far cadere la responsabilità della morte del diplomatico sui sandinisti per giustificare un'invasione miliatre Usa in Nicaragua. Il denaro per questo attentato fu promesso direttamente da Pablo Escobar e Jorge Ochoa, come vendetta per le pressioni di Tamb, al tempo in cui ricopriva la carica di ambasciatore a Bogota', a favore della firma del trattato di estradizione Colombia-Stati Uniti dei maggiori boss del narcotraffico ([33][33]). Per eseguire l'attentato contro il diplomatico, era stato contattato l'ex funzionario Usa di origini cubane, Jesus Garcia.


Tutti gli uomini del Vicepresidente
Nonostante il cosiddetto ‘Rapporto Kerry', prodotto dalla Commissione d'investigazione del Congresso sulle responsabilita' governative dell'Irangate, faccia solo mensione all'allora vicepresidente George W. Bush, i documenti raccolti e le dichiarazioni rese da numerosi funzionari dipartimentali permettono di affermare che il futuro presidente degli Stati Uniti, - l'uomo della Guerra del Golfo contro il ‘terrorista' Saddam Hussein e del

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