G8, la polizia mentì: tutti prosciolti i 93 arrestati della Diaz.
Ora non si tratta più di un «teorema della sinistra», per usare la terminologia così cara al centro-destra. Adesso c'è anche un giudice - il gip di Genova Anna Ivaldi - a sostenere che la notte del 21 luglio del 2001, al termine del G8, i ragazzi pestati a sangue nella scuola Diaz non avevano fatto nulla. Né resistenza, né altro. Nulla. Furono picchiati selvaggiamente, spediti all'ospedale con le ossa rotte e i volti tumefatti , perché qualcuno aveva deciso di vendicarsi, di rovinarli, magari obbedendo all'ordine di chi voleva dimostrare una (inesistente) continuità tra movimento no-global, terroristi e chissà altro. Così, ieri, il gip ha deciso di archiviare il procedimento contro i 93 ragazzi indagati, sostenendo, appunto, che non avevano attaccato i poliziotti ma, al massimo, si erano limitati a cercare di proteggere il volto dai colpi, come dimostrano le moltissime braccia fratturate. Così, il gip si è spinto oltre la richiesta dello stesso pubblico ministero, il quale aveva chiesto l'archiviazione, motivata anche dal fatto che sarebbe stato impossibile individuare chi, tra i ragazzi, si fosse ribellato alla polizia.
Resta, a questo punto, aperto il filone più oscuro e importante della vicenda: chi e perché organizzò il blitz; chi e perché cercò di costruire prove false per incastrare i no-global; chi è il mandante e l'esecutore delle violenze. Le indagini vanno avanti. Lentamente ma vanno avanti. E sono davvero in tanti ad attendere una risposta a questi interrogativi. Perché, a dire il vero, il vero nocciolo delle inchieste sulle violenze del G8 di Genova ruota intorno a questi interrogativi. Che poi - inutile far finta di nulla - rimandano direttamente alle chiarissime responsabilità politiche di chi, per calcolo o incapacità, ordinò la mano pesante.
Ma cosa ha detto il gip Anna Ivaldi? La giudice per le indagini preliminari si è convinta che la versione data dai no-global fosse del tutto attendibile. I ragazzi, infatti, dichiararono che i poliziotti fecero irruzione dopo aver sfondato una porta e pestarono chi si trovava all'interno della scuola, nonostante nessuno avesse cercato di reagire e, al contrario, molti tenessero le braccia alzate. Una versione che, per il Gip, ha trovato riscontro nella concordanza delle dichiarazioni: «In particolare di quelle rese in sede di convalida d'arresto, a proposito sottolineandosi il fatto che i 78 stranieri arrestati vennero condotti in quattro diverse carceri (Pavia, Voghera, Vercelli, Genova Marassi), mentre alcuni di essi vennero interrogati mentre erano ricoverati presso gli ospedali civili di Genova. La circostanza rende del tutto improbabile l'eventualità che gli stessi abbiano potuto concordare tra loro le versioni e attribuisce quindi particolare valore al fatto che i racconti coincidano anche su punti specifici». Per il gip, altri riscontri si trovano anche nelle dichiarazioni di molti operatori di polizia: «Circa tali dichiarazioni deve premettersi che esse pur non consistendo in vere e proprie ammissioni hanno però un particolare valore in quanto chi le ha rese ha nella sostanza smentito la versione dei fatti contenuta nei verbali».
Il magistrato ha infine sottolineato una circostanza che potrebbe rivelarsi fondamentale per fare luce anche sull'altro filone, ossia sui mandanti istituzionali del blitz: tutti i poliziotti ascoltati hanno attribuito «ad altri di esservi entrati (nella scuola) per primi e ostacolando così l'identificazione degli operatori che dopo lo sfondamento delle porte entravano per primi». Ed è - paradossalmente - proprio questo atteggiamento che potrebbe favorire l'altra metà dell'inchiesta. Semplici i motivi: un po' di tempo fa - soprattutto quando emerse il disdicevole episodio della molotov portata nella scuola direttamente dai poliziotti - qualcuno pensò che ci si sarebbe potuti salvare la faccia dando in pasto alla magistratura e all'opinione pubblica il volto e il nome del traditore - il "Giuda", venne chiamato - il quale agendo di testa sua e senza aver ricevuto un solo ordine avrebbe cercato di incastrare i no-global, infangando così con la sua azione decine di funzionari e agenti estranei e "immacolati".
Peccato solo che nessuno dei poliziotti interrogati dalla procura di Genova ha accettato di vestire i panni del traditore. Ognuno rimanda ad altri; ognuno cerca di alleggerire la sua posizione, magari raccontando uno spicchio di verità. Così diventano sempre più consistenti le possibilità di accertare se alla scuola Diaz ci fu una provocazione organizzata a tavolino. Fino ad ora, dalle deposizioni emerge che le molotov furono trovate dal vice-questore Pasquale Guaglione, che ha raccontato di averle consegnate a Valerio Donnini, il dirigente superiore di polizia che durante il G8 aveva il «coordinamento operativo e logistico dei contingenti dei reparti mobili, dei reparti volo, delle squadre nautiche e delle unità speciali». Donnini mise le molotov nella jeep guidata dall'autista Bugio il quale, a sua volta, le mise nel portabagagli della macchina. La sera stessa, Bugio accompagnò con la medesima jeep il vice-questore Pietro Troiani alla scuola Diaz, che a sua volta ha preso la busta con le due molotov e le ha consegnate al suo collega Massimiliano Di Bernardini. Poi le molotov sono comparse tra i reperti sequestrati e mostrate come prova del fatto che la Diaz era stata trasformata nel "covo" dei sovversivi. Non è ancora chiaro chi decise di inserire le molotov nell'elenco degli oggetti sequestrati. Ma è chiaro che la storia del "Giuda" non regge. Tanto più adesso, dopo che il Gip ha stabilito che nella scuola Diaz i ragazzi furono pestati in maniera tanto barbara, quanto gratuita. Ora bisogna identificare i responsabili. E i mandanti.
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