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La tradizione diabolica presso gli Slavi, i Balti e gli Ugro-Finni
by x C H I L D Saturday, Jun. 21, 2003 at 10:00 PM mail:

Streghe, lupi mannari, Vampiri e draghi

Streghe, lupi mannari, Vampiri e draghi

Anche per gli Slavi orientali e per i Russi (come per altri popoli, n.d.N.) si sotiene la sicura presenza di una influenza iranica, diretta o tramitata dalla mediazione scitica, con il rilievo di una concezione dualistica. L'ipotesi è fondata su una notizia che appare presso Helmod, secondo il quale gli Slavi distinguevano un dio buono da un dio cattivo, designando il secondo con il nome di Diabol o Zcerneboch. "Diabol" sarebbe una trasposizione slava del nome del diavolo cristiano, mentre "Zcerneboch" è il Dio Nero, che A. Brückner ritiene ricavato, per la caratteristica del colore, dall'iconografia cristiana. Non vi è altra sicura evidenza, testuale o archeologica, circa queste contrapposte figure divine, e perciò l'ipotesi sia dell'influenza iranica, sia di un sostrato dualistico, deve essere considerata con cautela. Invece altre fonti sembrano attestare che presso gli Slavi occidentali aspetti demoniaci avevano assunto il dio Svarog nella forma di Zuarasici, che le fonti cristiane identificavano con il diavolo. Alcuni personaggi da considerare epifanie diaboliche erano presenti nelle pratiche magiche, soprattutto nella stregoneria che, per quanto è possibile ricavare dai documenti, si distingue per tratti sciamanici, derivanti, per la Russia e per i Cechi, con molta probabilità dall'area sciamanica finnica. In una cronaca del XIII secolo, l'esercito polacco è guidato, nel 1209, da una strega che, per taumaturgia, riesce a portare l'acqua raccolta da un fiume in un crivello bucato, senza che ne perda, «et hoc signo eis victoriam promittebat».

L'Omiliario di Opatovic riferisce, forse in termini esagerati, di donne che preparavano veleni, uccidevano i figli e si attribuivano il potere di provocare, con i metodi propri della magia tempestaria, la grandine. Esse mescolavano al cibo il seme dei propri mariti per filtri di magia sessuale e amatoria, o impedivano all'uomo e alla donna di generare. A questo tipo di credenze appartiene anche la licantropia, che sembra essere diffusa già presso gli antichi Slavi. Erodoto (IV, 105) dice che i Neuri, viventi lungo le rive del Bug e del Dniester, per una volta all'anno si trasformavano, per qualche giorno, in lupi. Secondo l'interpretazione di Brückner, i Neuri non erano un popolo, ma una casta di stregoni che praticavano la licantropia e il cui nome è stato dato da Erodoto erroneamente ad un'unità etnica. Lo stesso autore ritiene che la larga diffusione della credenza nella licantropia nei paesi slavi si spiega anche con il costante pericolo che i lupi, vera piaga del paese, rappresentavano. Di qui la loro demonizzazione. Ma sembra anche certo che, già in tempi antichi, ai lupi mannari si attribuiva la capacità di provocare eclissi di sole e di luna. In rapporto a tale credenza andrebbe spiegato un passo del Canto di Igor, in cui è detto che il principe Vseslav, di notte, correva come un lupo da Kiev a Tmutorokan e attraversava, correndo, la strada al grande Chors. L'attraversamento della strada di Chors, se questi è il sole o la luna, è una trascrizione mitologizzata della provocazione delle eclissi da parte del lupo mannaro. Il nome antico-slavo del lupo mannaro è vulko-dlak, probabilmente con il valore di lupo-pelle, ossia di «coperto da pelle di lupo», e riappare nelle forme vlukodlaku (bulgaro), volkulak (russo), wilkoalak (polacco). Il termine romeno vilcolac, che significa «eclissi» lunare, derivato dai precedenti, attesta il rapporto di fondo fra licantropia e mitologia lunare. V. J. Mansikka ha ampiamente esaminato i residui folkloristici della leggenda dal XIII secolo in poi. Nella credenza, la persona che ha la capacità di trasformarsi in lupo a sua volontà, si distingue per alcuni segni caratteristici. Si ritiene che sia figlio di un lupo e abbia avuto nascita podalica; la parte superiore del corpo somiglia a quella di un uomo, mentre la parte inferiore ha tratti lupini; di lupo sono il suo cuore e i suoi denti. Per praticare la trasformazione, egli berrà l'acqua raccolta dal cavo lasciato dall'orma di un lupo, ovvero girerà intorno ad un albero caduto e si coprirà, poi, di una pelle di lupo.



Nella notte seguente la trasformazione sarà completa. In Bulgaria si crede che il lupo mannaro nasca dal sangue di un uomo assassinato e che dimori nel luogo in cui l'assassinio è stato compiuto, rendendo arido il terreno. Con il lupo mannaro, nella tradizione slava , si confonde il vampiro, la cui diffusione, tuttavia, non pare chiaramente localzzata. Il nome russo è upyr, e Brückner, con un'ipotesi troppo ardita, lo fa derivare da una forma antico-slava apyr, in cui a- rappresenterebbe una particella privativa e pyr significherebbe uccello. Secondo le informazioni di Mansikka, il vampiro, come anima del defunto uscita dal sepolcro per danneggiare i viventi, appare nelle credenze dei Serbi: vampiro, in particolare, è lo spirito malvagio delle persone empie e delle streghe o degli stregoni che si sono trasformati, durante la vita, in lupi mannari. Beve il sangue dei viventi e alla sua presenza è attribuita spesso un'epidemia che colpisce un largo numero di persone. Vi è poi un vampiro vivente, non rappresentato dall'incarnazione di un'anima, che è più precisiamente una strega che, avvalendosi di poteri demoniaci, uccide gli uomini, porta disgrazia e provoca tempeste. Dalle fonti prevalentemente cristiane della religione dei Balti antichi e dalla tradizione folklorica baltica, risulta che le forze demoniache sono spesso connesse ai morti e alla morte. Una dea della morte è Giltine; le Laumes sono streghe che appaiono sotto forma di incubi, rapiscono i bambini e lo sostituiscono con otri; Lituwanis nottetempo monta i cavalli e li stanca. Piùà ricche sono le informazioni che riguardano gli Ugro-Finni, la grande famiglia di popoli diffusa in un'area molto vasta dell'Europa e dell'Asia. I Finni-Baltici, che hanno il loro principale documento nei due Kelevala, credevano in alcuni spiriti locali di carattere ambivalente, capaci di portare il male se provocati, quali per esempio il tonttu, genio capriccioso, ma anche disposto ad assicurare abbondanza di raccolto a chi gli presenti offerte. Il diavolo era identificato con con Perkele o Piru, dio del tuono, ricevuto certamente dagli Slavi e dai Balti. Anche qui il culto dei morti si interseca con la mitologia demoniaca: koljo è lo spirito tornante; il lituano kouko è lo spettro, che assume anche altro nomi come spirito collegato etimologicamente con il germanico kobold. Presso i Voguli si ricorda una divinità Tarn, Taran o Tarin, spirito antropomorfico che rappresenta il principio dualistico della distruzione, portatore della guerra, delle malattie e della carestia. Appare generalmente come spirito-femmina e rappresenta anche il fuoco distruttore. Nel nord della foce dell'Ob, i Voguli venerano un dio ipoctonio di colore nero, detto Kul Odyr, dal quale dipendono gli spiriti infernali (menkva). Per i Magiari la ricostruzione romantica dell'antica cultura, basata principalmente su elementi linguistici, portò a individuare un erroneo sistema dualistico, cui si attribuì un'origine iranica: un dio Armany, connesso, sempre secondo questi studiosi, all'iranico Ahriman, sarebbe stato l'aspetto oscuro e malefico della realtà, opposto all'aspetto luminoso rappresentato dal dio Hadur o Haddur. Contro questa mistificazione ottocentesca, sussistono le molte evidenze folkloriche che fanno riferimento a varie epifanie del male. I demoni sono numerosi e rappresentano la situazione negativa che irrompe principalmente nella manifestazioni cosmico-meteorologiche. Con essi concorrono le streghe e gli stregoni, sempre che sia sempre possibile operare una netta distinzione tra i due livelli. Sarkany è il «drago» che, nel folklore, è presente proprio nelle forme ampiamente note del drago delle favole e nelle saghe di molte altre aree europee e che, tuttavia, all'origine, deve essere stato un demonio del tempo meteorologico che porta le grandi piogge e che solleva con la coda il turbine. Sul suo dorso vola lo stregone. Ha poteri magici e riesce a trasformare gli uomini in pietra o ad assumere aspetti molteplici e proteici.

Dimora nel mondo sotterraneo e le sue armi sono la sciabola e la stella mattutina. Lo si immagina policefalo, con 7, 9 o 12 teste, e di misura gigantesca. Sembra, da alcuni residui che abbia partecipato ad una lotta cosmica contro la luce, poiché a cavallo di un puledro tempesta il sole e la luna e li rapisce legandoli alla sua sella. La Boszorkany, madre del precedente, presso gli Ungari, è, al principio, maschile, poi femminile. Indica nella legislazione antistregonica fino al XVIII secolo la strega, e, secondo la leggenda popolare, non muore se ha trasmesso ad altri il suo potere. Manò è reso negli antichi dizionari come malus genius, daemon, e rappresenta un altro aspetto negativo di connotazione non chiara. Guta, invece, si qualifica come un male sottile che nemmeno il dio supremo riesce a frenare, e come demone che colpisce le sue vittime con colpi improvvisi dell'apoplessia. Il carcinoma è connesso a Fene, demone che si nasconde in un nido e viaggia sopra una slitta e divora le sue vittime. Iz, che all'origine indicava l'anima del morto, l'ombra, personifica lo stregone malefico che procura malattie. Si torna ai demoni cosmico-meteorologici con Szél e con Nemere. Ka strega genericamente intesa è indicata come vasorru baba, «la vecchia con il naso di ferro», che doveva essere nella sua prima formazione una figura benefica, caricatasi sucessivamente degli aspetti negativi (fonte: Il Diavolo, Newton & Compton Editori).



Il mito del Vampiro

John Godwin, autore di Unsolved: the World of the Unknown, ci offre una spiegazione a quello che è l'interrogativo: che cosa spinge un uomo a trasformarsi in una bestia, licantropo o vampiro. «Gli individui attratti e tormentati da desideri impellenti che riconoscevano come bestiali, potevano desiderare di sfuggire alla forma umana che impediva la loro soddisfazione. Diventando bestie potevano infrangere i divieti e le paure e gratificare, senza provare alcun senso di colpa o di paura, tutte le brame distorte che ardevano nelle loro menti perché i tabù umani non si applicano agli animali" (questo il caso del licantropo). Ma talvolta l'essere umano non ha bisogno di trasformarsi in un animale per ignorare i tabù. È già un mostro, un animale da preda a due gambe senza discernibili sentimenti umani. Tale è il Vampiro, evocato dal regno dei morti e assetato di sangue, ma con uno strano ascendente erotico sulle sue vittime.

Le opinioni non sono concordi su cosa sia esattamente il vampiro tradizionale. Alcuni lo ritengono uno spirito del male che anima il corpo di un morto, altri pensano che sia un cadavere animato dalla propria anima. Per sopravvivere il vampiro ha bisogno del più vitale degli elementi: il sangue. "I vampiri escono dalle loro tombe durante la notte", scrisse John Heinrich Zopft nel 1733, "aggrediscono persone che dormono tranquillamente nei loro letti, succhiano tutto il sangue dal loro corpo e le distruggono".



In genere, il vampiro catturato o dissoterrato presenta una carnagione rosea, ben nutrita e, apparentemente, sembra un essere vivente. Il suo stato, tuttavia, è tradito dalle unghie lunghe e ricurve cresciute nella tomba e dal sangue che si è coagulato intorno alla bocca. Stando alla maggior parte delle leggende, l'unico modo per distruggere un vampiro è di infiggergli un palo nel cuore, provocando così un urlo terrificante e una fuoriuscita di sangue rubato. Poi, si debbono bruciare i resti insanguinati del corpo fino a ridurli in cenere.

Le leggende di vampirismo, come quelle di lupi mannari, traggono origine da alcune paure e da alcuni fatti reali. La paura era originata dalla credenza che i morti potessero tornare nelle loro antiche dimore, soprattutto quando si trattava di suicidi, di licantropi, di scomunicati o di infelici che erano stati bruciati senza sepoltura religiosa. Alcuni "maniaci" occasionali, afflitti da necrofilia o da qualche altra perversione che implicasse il furto di cadaveri, fornivano le prove apparenti che i defunti potessero anche lasciare le loro tombe. Altri dimostravano una sete patologica e fisiologica di sangue e contribuivano così ad alimentare le leggende sui vampiri.

Certi eventi terribili e misteriosi, come stragi inspiegabili o improvvise epidemie, erano facilmente associati a un risveglio di vampiri il cui presunto fetore era indistinguibile da quello dei corpi putrefatti dei moribondi e dei morti. In questi casi, era facile che persone dalla carnagione rosea, che uscivano rarramente di giorno, fossero accusare ingiustamente; e non erano poche. Alla fine del Medioevo, quando il fenomeno del vampirismo fece la sua prima apparizione nelle regioni slave e negli stati baltici dell'Europa orientale, i matrimoni consanguinei fra i nobili slavi portarono una serie di tare genetiche, tra le quali una rara malattia chiamata protoporphyria crythropoietica. Si tratta di un disturbo della pigmentazione per cui il corpo produce un eccesso di protoporfirina, sostanza che è alla base dei globuli rossi del sangue. Questa malattia era accompagnata da un prurito insopportabile, arrossamento, edema e ragadi sanguinolente dopo una breve esposizione al sole. Le persone affette da quel male tendevano ovviamente a evitare le passeggiate diurne e uscivano solo di sera. Questo morbo non fu diagnosticato fino al XIX secolo e, prima di allora, non era sorprendente che le persone affette fossero considerate con una repulsione che sfiorava la paura superstiziosa. Ma probabilmente la fonte più comune della credenza nel vampirismo è da ricercare nei casi di seppellimento prematuro. Capitava non di rado, infatti, che individui in coma, ubriachi fradici o in stato di catalessi fossero sepolti vivi.

E forse proprio in relazione a queste inumazioni precipitose, le storie di esumazioni successive diedero esca alla leggenda dei vampiri. All'inizio del 1732, un'apparente epidemia di vampirismo infuriò nei dintorni di Medegya, in Serbia, causando un tale panico che il governo inviò un distaccamento di soldati con tre medici dell'esercito per riaprire i sepolcri delle persone morte da poco. La squadra investigtiva aprì tredici tombe. Soltanto tre dei corpi esumati risultarono in via di decomposizione. Gli altri dieci, alcuni dei quali erano stati seppelliti da molto più tempo di quelli che si stavano decomponendo, avevano una carnagione rosea e carni sode, e, dissezionandoli, di scoprì che contenevano sangue fresco. Tutti e dieci furono rapidamente decapitati e cremati finché del loro corpo rimase solo cenere grigia.

Episodi come questo non mancarono di colpire anche la fantasia di alcuni viaggiatori e presto furono noti in tutta Europa. Romanzieri e poeti non poterono restare insensibili alla suggestione del "morso mortale" con i suoi connotati di erotismo orale e di attrazione-repulsione. Fra coloro che furono ispirati dai vampiri, Goethe, Tolstoj, il poeta Robert Southey, Lord Byron, Théophile Gautier e Alessandro Dumas padre. Nel 1847, un modesto scrittore di nome Thomas Prest diede alle stampe un best seller su questo tema (868 pagine che grondavano di sangue) intitolato Varney the Vampire; or, The Feast of Blood (Varney il vampiro; o Il festino di sangue). Dopo anni di incredibile successo, questo romanzo ginì senza tante cerimonie nel dimenticatoio con la pubblicazione, nel 1897 di Dracula, dello scrittore irlandese Bram Stoker. Il Dracula del romanzo - si tratta del più famoso racconto di vampiri - divenne il prototipo del vampiro. Ma infinitamente più orribile di qualsiasi parto sorto dalla fantasia era la figura storica sulla quale Stoker aveva costruito il personaggio del suo romanzo, Dracula (fonte: Viaggio nel Mistero, Selezione dal Reader's Digest).



Arppe, Oluf

Thomas Bartholin, danese che scriveva nel XVII secolo, narra, sulla testimonianza di un'antica Maga nominata Landela, la cui opera non venne mai pubblicata, un fatto che deve appartenere al secolo decimoterzo o decimoquarto. Un uomo del Nord che si chiamava Oluf Arppe, trovandosi in punto di morte, ordinò a sua moglie di farlo seppellire ritto in piedi davanti alla porta della sua cucina, onde non perdere interamente l'odore delle pietanze che gli erano care, e potesse vedere a tutto suo agio ciò che succedeva nessa sua casa. La vedova eseguì fedelmente il volere del marito. Alcune settimane dopo la morte di Arppe, la sua anima si vide spesso apparire sotto forma di un orrido fantasma che uccideva gli uomini al lavoro, e molestava a tal punto i vicini, che nessuno più ardiva abitare nel villaggio. Un contadino, per nome Olao Pa, fu abbastanza coraggioso da assalire il Vampiro e, dopo averlo ferito con un colpo di lancia, gli lasciò il ferro nella piaga. Lo spettro disparve e, il giorno dopo, Olao fece aprire la tomba del morto. Di fatto, la sua lancia si trovò immersa nel cadavere di Arppe nel luogo stesso in cui Olao aveva colpito il Vampiro. Il cadavere non era corrotto; lo si trasse dal sepolcro, lo si bruciò e si gettarono le sue ceneri in mare, liberando così il paese dalle sue funeste apparizioni. «Il corpo di Arppe», osserva Calmet che riferisce il fatto, «era dunque realmente uscito dal sepolcro allorché appariva. E il suo corpo doveva essere palpabile e vulnerabile, poiché si era rinvenuta la lancia nella ferita. Come dunque uscì dalla tomba, e come poté rientrarvi? Qui sta il difficile: perché non ci si deve meravigliare che si sia trovata la lancia e la ferita sul suo corpo: infatti è noto che quegli stregoni che si cambiano in cani, in versipelle, in gatti e simili, portano nei loro corpi umani le ferite che ricevettero, nelle stesse parti del corpo da loro rivestito in cui si fanno vedere» (fonte: Storie di Vampiri, ed. Economici Newton, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco).



Grando, Giure

Una leggenda citata da Goerres (La mystique divine, naturelle ed diabolique, Parigi, 1885, 1. v, cap. XIV), parla di un Vampiro chiamato Giure Grando, che infestò per lungo tempo il paese di Coridiggo, in Istria. Nel 1672 fu riesumato il suo corpo, sepolto sedici anni prima. Grando era apparso a diverse persone del paese, ed era entrato persino nel letto di sua moglie. Il cadavere apparve sorridente e fece diversi movimenti, come se fosse lieto di respirare l'aria fresca. Il prete del villaggio alzò allora in crocifisso, gridando: «Guarda Gesù Cristo, strigòn! Cessa di tormentarci!», Dagli occhi del Vampiro allora spuntarono delle lacrime. I più coraggiosi, pur rabbrividendo d'orrore, cercarono di piantargli nel cuore un paletto di biancospino. Ma non ci riuscirono: il palo rimbalzava sempre dal corpo del Vampiro. Allora vennero recitate delle preghiere d'esorcismo, e si tentò di decapitarlo. Quando la lama del boia s'affondò nella sua gola, il Vampiro lanciò un grido terribile, e tutta la bara fu inondata di sangue.



Huet, Pierre-Daniel

Celebre Vescovo di Avranches, morto nel 1721.Nella raccolta dei suoi scritti, pubblicata col titolo Huetiana (parigi, 1722), si trova un intero paragrafo dedicato ai Brucolachi dell'arcipelago ellenico. Scrive «Sono strani i fatti che si raccontano circa i Brucolachi. Si dice, nelle siole greche, che quanti, dopo un'esistenza di infamie, muoiono nel peccato, talvolta appaiono in luoghi diversi nella forma medesima ch'era lor proprioa in vita; che portano disordine tra i vivi, spaventando gli uni, succhiando il sangue agli altri; rendendo talvolta servizi utili, ma più spesso seminando terrore. Si crede che i loro corpi siano abbandonati alla mercè del Dèmonio, che li preserva, li anima e se ne serve per recare vessazione tra gli uomini. Padre Richard, gesuita, che in tali isole ha vissuto per cinquant'anni, ha dato alle stampe una relazione sull'isola di Santorini, la Thera degli antichi, di cui Cirene fu una colonia. In essa c'è un lungo capitolo sulla storia dei Brucolachi. Vi si legge che, quando i villici sono infestati da tali apparizioni, dissotterrano i corpi, che trovano esenti da corropimento, e li bruciano, oppure li fanno a pezzi, dopo averne estirpato il cuore; dopo di che le apparizioni cessano e i resti mortali si corrompono. La parola Brucolaco viene dal greco moderno brucos che significa «mota», e da laccos, che significa «fossa», «cloaca»: perché si trovano spesso - così si dice - le tombe in cui eran custoditi quei corpi ripiene di mota. Non posso dire se i fatti così narrati sian veritieri, o facciano parte delle false credenze del volgo: ma è certo che son riferiti da tanti autori meritevoli e degni di fede, e da tanti testimoni oculari,che non si può non prestat loro attenzione. Quando in quelle isole qualcuno uccide un suo simile fraudolentamente e in agguato, si pensa di impedire al morto di vendicarsi troncandogli i piedei, le mani, il naso e le orecchie: pratica che colà si chiama acroteriazein. Le membra troncate vengono poi appese al collo del defunto, o poste sotto le sue ascelle. È un uso che risale agli antichi Greci, e se ne trova testimonianza negli scolastici di Sofocle. Fu questa la sorte che Menelao riservò a Deìfobo (che, morto Paride, aveva ricevuta in sposa Elena), secondo quanto riferisce Virgilio, che ne fa incontrare l'ombra a Elena nell'Ade:

Qui dilaniato in tutto il suo corpo, ecco, vede
il figlio di Priamo, Deìfobo, sfregiato nel viso,
nel viso e in ambe le mani, e devastate le tempie, gli orecchi
strappati, tronco da brutta ferita anche il naso.
Svetonio scrive che dopo la morte violenta di Caligola il suo corpo venne arso soltanto a metà, e interrato in modo superficiale: per cui la casa in cui era stato ucciso e il giardino in cui era stato sepolto, vennero infestati da spettri, finché l'edificio non fu bruciato» (fonte: Storie di Vampiri, ed. Economici Newton, a cura di Gianni Pilo e Sebastiano Fusco).



Paole, Arnold

«Una sera, mentre Arnold Paole rientrava al suo villaggio, venne aggredito da un vampiro, riuscito a sfuggire all'attacco, egli seguì l'immondo essere fino alla sua tomba e gli conficco un paletto nel cuore cospargendosi tutto il corpo con il suo sangue. Rientrato al villaggio raccontò ciò che era accaduto ai compaesani, suscitando la loro ammirazione. Poco tempo dopo Paole fu trovato morto con il collo spezzato. Per il villaggio inizio un periodo di terrore ..., vennero rinvenuti diversi cadaveri completamente dissanguati e sembrò quindi che Paole fosse tornato dal mondo degli inferi come vampiro. Le autorità Austriache preoccupate per le voci che circolavano inviarono sul posto degli Ufficiali dell'Esercito per riesumare il cadavere di Paole; venne rinvenuto "intatto e senza alcuna traccia di decomposizione ... sangue fresco era defluito da occhi, naso, bocca e orecchie; le unghie delle mani e dei piedi erano cadute ed al loro posto ne erano cresciute di nuove. Era un vampiro ed era necessario conficcargli un paletto nel cuore. Al che, egli emise un alto gemito e cominciò a sanguinare abbondantemente». Questo è uno dei molti casi registrati a partire dal 1730 nel rapporto dei militari Austriaci Visume et Repertum.



Costumi alimentari e attività sessuale dei trapassati, sul succubo e incubo

L'accenno al sangue salda in un unico cerchio l'attività sessuale dei morti con quella di tipo nutritivo. Anticamente, la fame dei trapassati veniva placata con periodiche offerte alimentari (come l'ablazione di latte, miele e farina in uso nel mondo classico) ovvero richiudendo nelle loro tombe varie provviste di cibo reali o simboliche, queste ultime sotto forma in genere di affreschi e figurine di terracotta dipinta. Che il cibo reale venisse effettivamente utilizzato, risulta da varie testimonianze, anche in tempi relativamente recenti, giusta ragguardevoli trattati quali la Dissertatio Historico-Philosophica de Masticatione Mortuorum di Philip Rohr (1679) e il più celebre De Masticatione Mortuorum in Tumulis di Michel M. Raufft (1734), nei quali sono riportati vari esempi, risalenti a diverse epoche, sull'attività manducatoria nei sepolcri: morti (o presunti tali) che divorano ciò che era stato posto nel cenotafio e rodono i sudari, giungendo a divorare le proprie stesse membra. E, in effetti, secondo parecchie testimonianze, quando le riserve alimentari funebri venivano meno, o erano giudicate insufficienti, il morto provvedeva da solo. Le leggende nelle quali si scopre l'inopinata presenza di un defunto fra i convitati a un banchetto, sono numerose. Presso certe comunità era uso - specie nelle oiù solenni occorrenze - far sedere a capotavola un cadavere mummificato: si pensava che in tal modo, vedendo il posto già occupato, un eventuale risurgente desistesse dal tentativo di assedersi anch'egli a mensa. Peraltro, secondo una folta serie di tradizioni, quello preferito dai trapassati è un cibo del tutto particolare, che non si ammannisce solitamente nei banchetti tra i vivi: la carne umana. Nei miti più antichi, questa era considerata infatti l'alimento vivificante per eccellenza, il «cibo degli dèi» in grado di saldare la frattura tra la vita e la morte. La Lamia che, come riferisce Filostrato nella Vita di Apollonio di Tiana, aveva sedotto un giovane filosofo con l'intenzione di suggergli il sangue e poi divorarlo, ammise di scegliere per le sue necessità alimentari sempre «giovani belli e forti, perché essi hanno il sangue assai fresco» L'amplesso che precedeva il divoramento aveva del pari funzione vivificante, sulla base dell'intuitivo principio secondo cui l'attività sessuale è fonte di vita. Il collegamento vita d'oltretomba-sesso-sangue, è presente in molte remote tradizioni e in un ambio spettro di culture. Si chiamava Lamashtu, presso gli antichi Babilonesi, il dèmone femminile, larva di una prostituta, che attirava gli uomini per berne il sangue, e strappava il feto dal grembo delle donne incinte: colei, si legge in uno scongiuro, «che mi ha preso, notte e giorno mi travaglia, prosciuga le mie carni, tutto il giorno mi stringe, tutta la notte non mi lascia». Aluqa, ovvero «Succhiasangue», chiamavano gli Ebrei la larva che assaliva i viandanti persi nel deserto per suggerne l'alimento vitale: non solo il sangue, ma anche lo sperma. Un essere simile era detto Empusa dai Greci: in apparenza era una splendida fanciulla che col suo aspetto seduceva gli incauti, mentre in realtà era un orrido mostro con un piede di bronzo e l'altro di sterco d'asina. D'altronde, bere il sangue, oltre che operazione scolta ad acquisire una speciale forza di vita, può essere visto anche come piacere. Si legge nei Niebelunghi che i guerrieri di Hagen di Tronje, intrappolati in una sala cui era stato appiccato il fuoco, per spegnere l'arsura bevvero il sangue che stillava dai corpi dei caduti: «Disse Hagen di Tronje: "Nobili cavalieri, chi soffre per la sete, beva di questo sangue. Non c'è vino migliore per questa grande arsura. In un momento come questo, non c'è nulla di meglio"». Un cavaliere fece la prova, e si dissetò alle ferite di un agonizzante: «Dio vi compensi, Hagen, - disse il guerriero stanco - per il vostro consiglio mi sono ben dissetato. Non mi fu mai servito un vino migliore. Finché sarò vivo, ve ne sarò sempre grato. Verso la fine del Medio Evo, gli inquieti morti europei avevano ormai affinato questi concetti, sintetizzando le loro attività sessuali e vivificanti in una sola operazione: succhiare il sangie dei vivi. Con ciò, ne assorbivano l'energia essenziale, quella che la Bibbia chiama «vita» (ma talune vulgate traducono «anima»), e di cui più volte si proibisce esplicitamente di cibarsi. Per esempio, in Genesi, IX-4 e 5: «Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue. Del sangue vostro, anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto»; Levitico XVII-11 e 14: «La vita della carne è nel sangue... Il sangue è la vita d'ogni carne»; e Deuteronomio, XII-23: «Non ti nutrirai di sangue perché il sangue è la vita: e tu non devi mangiare la vita insieme con la carne». L'assorbimento del sangue di una persona, preferibilmente di sesso opposto - per aggiungere all'operazione l'ulteriore carica vitale insita nella sessualità - finì in tal modo per sostituirsi vantaggiosamente a ogni altra forma di commistione fra il mondo dei viventi e il mondo dei trapassati. Nella gran parte delle leggende vampiriche posteriori al Medio Evo, il bacio del morto seduttore scivola dunque dalla bocca alla gola della vittima e, mentre la forza vitale di quest'ultima viene aspirata insieme col sangue, si consuma un vero atto erotico: tanto che, apparentemente, il godimento dei due partecipanti è lo stesso (Introduzione a Vampiri, Newton).

Anche nel mondo mesopotamico i rischi legati alla fecondità, il sesso o i poteri generativi sono mitologizzati in una seri e di dèmoni. Il lilu (rappresentato talvolta con corpo di cane, coda di scorpione e fallo di toro), la sua paredra lilitu (che riappare nell'Ebraismo) e l'ardat lili, serva del lilu, esecutrice dei suoi ordini, sono forse, in origine, rappresentazioni del vento e dell'uragano, ma, in conseguenza della loro semitizzazione, esprimono il decadimento della sessualità negli stati morbidi, il piacere infecondo e lussurioso, divelto dalla sua naturale destinazione riproduttiva, le allucinazioni e le immagini oniriche di incubo-succubo, ben note nella patologia psico-sessuale e nella storia di tutta la stregoneria. Questi dèmoni sconvolgono l'ordine fisiologico dell'amore, che è fondamento della vita familiare e comunitaria, e perciò in particolare l'ardat lili è «vergine senza latte», una femmina che si unisce senza mai poter diventare madre, e che, dopo aver acceso nell'uomo la lussuria, non lo soddisfa. La lamashtu è, invece, il demonio che, ora in forma di incubo, ora in forma di febbre perniciosa, interrompe la gravidanza delle donne e sottrae loro gli infanti:

«Portatemi i vostri bambini (ella dice), affinché io li allatti,

e le vostre bambine, affinché ne sia la guardiana,

alla bocca delle vostre figlioline voglio dare il seno»

Si tratta, in fondo, di un rischio di infecondità e di sterilità che minaccia il tessuto sociale, ed esso appare, senza infingimenti mitologici, in uno scongiro contro il demonio Samana, del periodo neosumerico. In esso, il dio Assar-lu-dug, che è una delle forme di Asari-Marduk, nel rimettersi all'intervento del dio Ea, così descrive l'opera del demonio eversore del ritmo sessuale:

«Ha sottratto al poppante l'alimento,

ha sottratto il mestruo alla donna,

ha sottratto al giovane il potere virile»

(fonte: Il Diavolo, Newton & Compton Editori).



Nella demonologia tardo-medioevale - particolarmente nei processi inquisitoriali di stregoneria - il demone "succubo" appare in forma di donna per avere rapporti sessuali con un uomo e sottrargli il suo seme. Opera in senso contrario rispetto al demone "incubo", che appare invece in forma di uomo e trasferisce un seme - riconoscibile come non umano per il suo carattere gelido - alla donna. I romanzieri moderni hanno spesso mescolato succubi e vampiri, ma si tratta di due cicli mitologici e folklorici chiaramente diversi. La letteratura sui vampiri cita spesso un testo seicentesco particolarmente dettagliato in materia di succubi attribuito a un padre Luigi Maria Sinistrari d'Ameno. Sembra oggi accertato che si trattasse di un falso ò destinato a sedurre vari letterati con le sue morbose allusioni sessuali - orchestrato da Paul Lacroix, che firmava con il nome di "Bibliofilo Jacob", e preparato dall'erudito Isidore Liseux. Il "succubo" sottrae forza vitale all'uomo carpendo il suo seme in un falso rapposrto sessuale. (estratto da Per una definzione di vampiro, La stirpe di Dracula, a cura di Massimo Introvigne, Mondadori)



Il «vampiro psichico»

Il cosiddetto "vampiro psichico" è una persona umana, defunta o più spesso viva, o anche un'entità di altro genere che - normalmente senza contatto fisico - assorbe le energie vitali di persone umane e può condurle alla morte. Il "vampiro psichico" compare nella letteratura: uno dei classici esempi del genere è The Pasariste di Arthur Conan Doyle (1859-1930), il creatore di Sherlock Homes. Conan Doyle, che frequentava gli ambienti della Società Teosofica, conosceva le teorie che circolavano nell'ambiente esoterico sul "vampirismo astrale". Uno dei principali sostenitori di questa teoria, il filosofo tedesco Franz Hartmann (1838-1912), cercò di fare risalire questa dottrina a Paracelso (1439- 1541). È tuttavia più probabile che le sue origini vadano ricercate in un dibattito interno al mondo degli spiritisti francesi alla fine degli anni 1850. Nel 1858, in polemica con la Revue Spirite - che sosteneva la teoria della reincarnazione secondo il classico modello dello spiritismo francese - il dottor Z. Piérart (1810-1878), già redattore capo del Journal du Magnetisme, fondò la Revue Spiritualiste che fu pubblicata fino al 1873. Contrario alla reincarnazione, Piérart manteneva però un altro caposaldo dello spiritismo classico francese, l'esistenza di un "corpo astrale". Era precisamente questo "corpo astrale" che - secondo Piérart - spiegava i fenomeni di vampirismo, perché in certi casi poteva sopravvivere, separato da corpo fisico, soltanto nutrendosi dell'energia di persone viventi. Originariamente Piérart pensava che il corpo astrale "vampirico" fosse principalmente quello di persone che erano state sepolte prematuramente per errore (un tema che ritorna in tutta la letteratura che cerca di dare una spiegazione razionale alle credenze sui vampiri). In seguito si mostrò disponibile a riconoscere caratteristiche vampiriche anche a "corpi astrali" di defunti che non erano stati seppelliti anzitempo. In ambiente teosofico le teorie di Piérart furono sviluppate, come accennato da Franz Hartmann. Questi - d'accordo con lo spiritista francese - riteneva particolarmente pericolosi i corpi astrali di persone seppellite per errore quando non erano ancora morte. Pensava tuttavia che anche altri corpi astrali potessero attaccare in modo "vampirico" e svuotare di energia persone che avevano fatto loro torto durante la vita. Il teosofo tedesco era anche convinto che un'attività vampirica potesse essere sviluppata da "forze" o residui psichici non facilmente identificabili con una singola persona umana defunta. Le teorie di Hartmann rappresentavano una innovazione rispetto alle spiegazioni del vampirismo correnti negli ambienti della Società Teosofica. Qui - sulla scia (ma non sempre in conformità) delle teorie che la stessa fondatrice Madame Helena Blavatsky (1831-1891) aveva esposto in Isis Unveiled (1877), discutendo le tesi di Piérart - da una parte non si escludeva l'esistenza di vampiri nel senso classico del termine, dall'altra si credeva che i corpi astrali potessero effettivamente nutrirsi di sangue. La teoria del «vampirismo psichico» fu sviluppata anche negli ambienti dell'Ordine Ermetico della Golden Dawn, per cui passarono - prima di uscirne, aderendo o dando vita a organizzazioni rivali - sia Aleister Crowley (1875-1947) sia Dion Fortune (pseudonimo di Violet Firth, 1890-1946). Entrambi credevano all'esistenza di "vampiri psichici", che sarebbero però particolarmente persone viventi malevole, capaci di assorbire energia dagli altri. Il tema fu sviluppato - con riferimento a episodi che sarebbero realmente accaduti agli esordi della sua carriera esoterica - particolarmente da Dion Fortune nel suo Psychic Self-Defense. Le teorie di Dion Fortune hanno esercitato una notevole influenza negli ambienti esoterici, e hanno influenzato tutta la letteratura successiva in tema di "vampiri psichici". Tra gli autori di opere sul vampirismo in particolare Scott Rogo, Martin V. Riccardo e Vincent Hillyer - che considera psichici i veri non-morti dei giorni nostri, i "vampiri della New Age" - hanno insistito sui pericoli dei vampiri psichici. Nel mondo dell'esoterismo e dei nuovi movimenti religiosi è stata sviluppata anche la teoria, a cui aveva già fatto cenno Hartmann, secondo cui entità non direttamente riconducibili a una singola persona umana potrebbero svolgere il ruolo di vampiri psichici. [...]

Per quanto i «vampiri psichici» presentino un notevole interesse, e non possano essere ignorati dalla storia delle dottrine esoteriche o della parapsicologia, si tratta già di un primo stadio del vampiro metaforico, in quanto manca il collegamento - importantissimo - con il sangue. (fonte: La stirpe di Dracula, a cura di Massimo Introvigne, Mondadori).



Riconoscere un Vampiro, sui Demoni, strigoi vii e Revenant

Innanzitutto il vampiro è una persona umana. Dal campo dei vampiri dobbiamo quindi escludere gli spiriti mitologici e demoniaci che attaccano i viventi - e talora li mangiano, o si cibano del loro sangue - ma che non sono mai stati uomini. Tra questi si annoverano il ghoul delle leggende arabe, e un buon numero di personaggi del folklore indiano, cinese e giapponese nonché le làmie, le arpìe e le émpuse della mitologia greca e romana. Nonostante tutti i significati successivi del termine "strega", anche l'originaria strix o stryx dei greci e dei romani non era una persona umana ma un dèmone notturno, temuto perché ritenuto capace di attaccare i bambini e di cibarsi del loro sangue. Un certo numero di libri sui vampiri prende le mosse dalla storia di Menippo discussa nel quarto libro della Vita di Apollonio di Tiana di Filostrato. Menippo è amato da una bella straniera e viene salvato da Apollonio, il quale gli rivela che la sua bella è in realtà una émpusa o una làmia che si appresta a divorarlo. La storia affascinerà generalmente poeti, da Poliziano e Keats, ma certamente l'émpusa o làmia che concupisce lo sfortunato Menippo è un dèmone, non una donna che è stata umana e che esce dalla sua tomba alla ricerca del sangue. È interessante notare che, secondo un'ipotesi etimologica, il termine graco làmia deriverebbe da Lilith, nome di un demone assiro di cui la tradizione rabbinica farà la prima sposa infedele di Adamo, in seguito sposa del Diavolo e persecutrice dei neonati. Anche Lilith, evidentemente, è qualche cosa di più semplice di una persona umana. In secondo luogo il vampiro è una persona umana morta.Il "vampiro" - tra virgolette - come vivente che beve il sangue è un personaggio tutto moderno, il cui nome nasce per imitazione da quello del vampiro classico inteso come "non-morto" (undead in inglese). Non sono pertanto vampiri le "streghe" del tardo mondo greco-romano che non sono più mostri mitologici ma fattucchiere che divorano le persone e ne bevono il sangue. L'esempio più famoso viene dalla Tessaglia, la terra per eccellenza del mistero, e compare nelle Metamorfosi di Apuleio dove Lucio, il protagonista, ascolta da un certo Aristomane il resoconto di un'avventura occorsa al suo amico Socrate. Quest'ultimo era rimasto vittima di una maga, Meroe, e della sua compagna Pantia, che - nonostante i tentativi di Aristomane per salvarlo - avevano finito per assassinarlo. Meroe e la sua degna complice Pantia sono sicuramente delle streghe particolarmente malevole, assetate letteralmente di sangue, e sono anche chiamate "làmie", il che mostra l'evoluzione del termine dal mostro mitologico alla donna capace di sortilegi e malefìci omicidi. La confusione che circonda il termine "strega" nel latino e delle lingue che ne derivano si ritrova in Romania dove il folklore designa fin da tempi assai remoti con il termine strigoi i vampiri. Ma si è obbligati a distinguere - senza dubbio per gli equivoci che potrebbero derivare dal significato che la parola "strega" ha assunto in altri contesti - tra strigoi vii ("vivi") e strigoi mort ("morti"). Gli strigoi mort sono, effettivamente, vampiri. Gli strigoi vii sono streghe e stregoni viventi che possono occasionalmente uccidere ma che non hanno i poteri tradizionalmente associati ai vampiri. Piuttosto gli strigoi vii diventeranno facilmente vampiri dopo la loro morte.

In terzo luogo i vampiri sono persone umane morte che appaiono con il loro corpo, il quale assume una realtà fisica e tangibile e non è una semplice immagine o illusione. Il vampiro classico esce dalla tomba con il suo corpo che si può non soltanto vedere, ma anche toccare: anzi, è straordinariamente resistente e deve essere distrutto con mezzi drastici (dal paletto piantato nel cuore al fuoco). Si situa qui la distinzione tra vampiro e revenant, spettro, fantasma. Il revenant, come dice il suo nome, è un morto che ritorna e si fa vedere dai viventi. Come tale è un personaggio universale in tutte le culture, ma - particolarmente dove la tradizione religiosa distingue fra corpo e spirito o anima - le differenze con il vampiro sono evidenti. Naturalmente chi vede un revenant vede qualche cosa che sembra il corpo di una persona, ma che del corpo umano non ha la consistenza e la densità. Tipicamente la maggioranza dei racconti afferma che - se si cerca di afferrare il revenant - questo si rivela come fatto di nebbia, esattamente come il fantasma classico. Nella tradizione europea occidentale il revenant può apparire in spirito mentre il suo corpo continua a rimanere nella tomba. L'occidente cristiano, d'altro canto, diffida del revenant considerando la relativa credenza come una superstizione pagana. Sant'Agostino (354-430), che Jean-Claude Schmitt definisce "il vero fondatore della teoria cristiana dei revenant" condanna come superstizione antica la credenza che il morto possa apparire con il suo corpo, e nega perfino che appaia con la sua anima. Per Agostino non si tratta né del corpo né dell'anima ma di una "immagine spirituale" del defunto, nella maggior parte dei casi suscitata dal Diavolo. Agostino nega risolutamente ogni possibilità di commercio fra i viventi e i morti, e si sforza - contro quelle che definisce superstizioni dei pagani - di combattere qualunque forma di evocazione degli spiriti, di curiosità meravigliosa nei confronti dei fantasmi e degli spettri, di necromanzia. Peraltro lo stesso Agostino non esclude che, in qualche caso, l'"immagine spirituale" del morto possa essere - seppure in casi molto rari - introdotta nello spirito umano da un angelo buono. Per questa porta lasciata aperta da Agostino passa, a poco a poco, il ritorno degli spettri e dei revenant, la cui forza persuasiva e le cui radici nell'immaginario europeo dovevano essere veramente isnopprimibili. [...]

Da ultimo, il vampiro è una persona umana morta che non solo appare con il suo corpo, ma attacca i viventi e si sositene con il loro sangue. Anche se la letteratura più recente ci ha proposto esempi di vampiri simpatici e che operano per il bene dell'umanità, perché si tratti davvero di vampiri devono comunque attaccare persone viventi e nutrirsi del loro sangue. Naturalmente i vampiri "buoni" dei romanzi attaccheranno soltanto viventi "cattivi", ma la circostanza non modifica la loro natura. Il mito del vampiro richiama l'identificazione - forse ancora più antica - fra il sangue e la vita. Dove vi è l'attacco di un morto che ritorna con il suo corpo con intenzioni malevole, ma manca il collegamento con il sangue, siamo di fronte ad un primo abbozzo di vampiro (ne incontreremo alcuni esempi nel Medioevo) ma non a un vampiro vero e proprio. Al di fuori dell'Occidente si incontrano varianti del sangue in personaggi che presentano tutte le caratteristiche del vampiro: in Cina, dove il sangue è talora sostituito dal midollo spinale. Ma si tratta comunque di eccezzioni. (fonte: La stirpe di Dracula, a cura di Massimo Introvigne, Mondadori).



Teorie e ipotesi sulle origini del vampiro

Dove, esattamente, la credenza nel vampiro - in senso proprio - si manifesti per la prima volta è materia di notevole dibattito fra gli specialisti dell'atgomento. Nel congresso tenuto a Cerisy-la-Salle, in Francia, dal 4 all'11 agosto 1992 - una delle principali occasioni di discussione accademica sul tema - si contrapposero, sostanzialmente, due teorie. Secondo la prima il vampiro è antico quanto la storia umana, e le sue origini risalgono alla notte dei tempi. Un'altra teoria (sostenuta principalmente da Jean-Claude Aguerre) ritiene che il vampiro, come oggi lo conosciamo, nasca soltanto, sulla base di materiale seicentesco, nell'Europa del primo XVIII secolo. La questione, naturalmente, non è nata a Cerisy nel 1992, ed è più complessa. Possiamo distinguere quattro principali teorie: l'origine "universale" o preistorica, l'origine sciamanica, l'origine orientale, l'origine europea e l'origine moderna.



La teoria dell'origine «universale» o preistorica

Montague Summers ha sostenuto, con la più ampia dovizia di argomenti, la tesi dell'origine universale del vampiro nel suo volume The Vampire: His Kith and Kin del 1928. "La tradizione" dichiarava Summers "è mondiale, e di un'antichità senza data". Lo proverebbero esempi tratti dalle credenze di un buon numero di tribù africane (dai bantù ai buganda) e da resoconti assiri, arabi, cinesi, mongoli così come greco-romani, scandinavi e celtici. Summers - giustamente - collega ogni teoria sulle origini del vampirismo a una "filosofia del vampiro" che ne spiega la genesi da un punto di vista filosofico e teologico. La teoria "universale", secondo cui il vampiro esisterebbe fin dalla preistoria, postula che le origini del mito (ma lo scrittore inglese crede che esistano casi assolutamente reali e autentici di vampirismo) si trovino nella paura dei morti. Essa è più antica di tutte le religioni, e nessuna religione è riuscita completamente ad esorcizzarla. La stessa posizione si ritrova - con accenti diversi - negli studi di Ornella Volta e di Robert Baudry. Mentre Ornella Volta si dedica sopratutto all'inventario dei più curiosi - e macabri - costumi funerari, Baudry sottolinea "il timore reverenziale dei morti" nelle società arcaiche: "nella mentalità tradizionale 'i morti non sono morti; vivono fra noi'. Ci circondano; si aggirano". A questa teoria si può obiettare che si fonda su un uso piuttosto liberale del termine "vampiro", particolarmente evidente nel volume di Ornella Volta. Se si esamina la maggior parte delle sue storie relative a "vampiri" africani, assiri, greco-romani alla luce della definizione più rigorosa di vampiro che abbiamo proposto, ci si accorge che nella stragrande maggiornaza dei casi si tratta di demoni, divinità, personaggi mitologici, o morti malevoli che però non si cibano di sangue. Rimane, peraltro, innegabile il fatto che la paura di un ritorno dei morti è antichissima, e si accompagna spesso a pratiche - come il colpire al cuore i cadaveri con un paletto appuntito - che più tardi diventeranno parte integrante del mito del vampiro.



La teoria dell'origine sciamanica

Che il vampiro trovi le sue origjni nell'area sciamanica è stato sostenuto in anni recenti da specialisti ungheresi come Èva Pòcs e Gàbor Klaniczay, e - con ampia argomentazione - dall'italiana Carla Corradi Musi, docente di filologia ugrofinnica presso l'Università di Bologna. Secondo questi autori la credenza nel vampiro - e in personaggi affini ma diversi, fra cui il licantropo - nasce in un ambiente religioso preciso. L'ambiente è quello dello sciamaniscmo, in un'area geografica molto vasta che va dal mondo celtico alla Siberia, e dagli indiani dell'America del Nord alla Germania precristiana, alla Scandinavia e all'Europa orientale. Nell'area sciamanica il collegamento tra il mondo dei vivi e quello dei morti "non ammetteva soluzioni di continuità, secondo convenzioni del tutto mancanti nelle credenze "religiose" occidentali. L'aldilà era un mondo parallelo e rovesciato rispetto a quello dei viventi, opposto ma complementare, spesso posto oltre un fiume che poteva essere oltrepassato soltanto al termine di un percorso iniziatico. Giacché questo percorso non era facile, si comprende la tentazione, per il morto, di rinunciarvi cercando invece di ritornare verso il mondo dei viventi. A queste credenze si collega per esempio - in area sciamanica - l'abitudine degli Ungri dell'Ob di seppellire i defunti lontano dai villaggi. Cospargevano anche la via del defunto dal funerale al villaggio di oggetti appuntiti che scoraggiassero il defunto a tentare di ritornare al suo paese. Era particolarmente facile che il defunto si rifiutasse di compiere il viaggio iniziatico verso l'aldilà - dove avrebbe, nella maggioranza dei casi, atteso una nuova reincarnazione - se il suo corpo non si era decomposto. Da qui tutta una serie di rituali per favorire una rapida putrefazione del cadavere, compresa la sua riesumazione dopo un certo numero di anni - per esempio presso diverse tribù di indiani nord-americani - per assivurarsi che la decomposizione fosse avvenuta. Diversamente, si provvedeva a complessi rituali di distruzione della salma. Se nonostante tutte le precauzioni, il morto non si convinceva a intraprendere il difficile cammino verso l'aldilà, poteva trasformarsi in un elemento di turbativa dell'ordine cosmico. Rischiava di attaccare i viventi cercando di succhiare loro il sangue, che anche nel mondo sciamanico era collegato alla vita. "Il vampiro (...) nell'area sciamanica (...) nella sua ancora più singolare realtà di 'non-morto' e di 'non-vivo' era già di per sé una figura trasgressiva, in quanto espressione di una condizione assolutamente innaturale (...). Nella visione sciamanica il vampiro, non potendosi (...) reincarnare, ostacolava il collegamento tra il mondo ultraterreno e quello umano". Secondo Carla Corradi Musi il vampiro non va confuso con lo sciamano, che pure rappresenta anche lui un'eccezione ai normali rapporti fra i vivi e i morti. Lo sciamano proprio in quanto figura eccezionale, capace di viaggiare nel mondo delle divinità e in quello dei morti, celebra e garantisce il mantenimento dello status quo, vera personificazione dell'eccezione il cui scopo è confermare la regola. Non a caso, nel mondo sciamanico, lo sciamano "favoriva la fertilità (nell'estasi era in collegamento con l'albero, proiezione di quello archetipo della vita che si rinnovava attraverso la morte)", mentre "l'infecondo vampiro provocava la sterilità. È significativo che per allontanare il vampiro si spruzzasse dell'acqua, in relazione costante con la vegetazione e con la fecondità, sorgente di ogni fonte di vita". Il vampiro era, da questo punto di vista, un anti-sciamano, o il contraltare dello sciamano. Nel mondo sciamanico, peraltro, la distinzione fra bene e male non è così chiara come nell'area greco-romana e nel successivo cristianesimo o, pù esattamente, il male è accolto come in qualche modo necessario all'ordine cosmico. Così lo sciamano è una figura-limite che può correre diversi pericoli e trasformarsi in qualche cosa di diverso da un operatore positivo del sacro. Questo vale in special modo per gli sciamani che entrano in contatto con lo spirito - individuale o di gruppo - di un animale. La Pócs ha studiato soprattutto il taltos, una figura di sciamano o, più propriamente, di stregone che era "chiamato" da uno spirito animale che gli conferiva i suoi poteri. A questo incontro il taltos era predestinato fin dalla nascita da segni come i denti già presenti nel neonato, la "coda" o la "camicia" (tutti elementi che si ritrovano anche nel folklore ugrofinnico a proposito delle persone destinate a diventare vampiri). Dopo la morte il tàltos corre il rischio di rimanere in qualche modo "intrappolato" nell'anima animale che lo aveva chiamato e di trasformarsi in una sorta di lupo mannaro o anche di vampiro. La teoria dell'origine sciamanica riposa naturalmente a sua volta su una forma di "filosofia del vampiro". Questa filosofia lega l'emergere del relativo mito alla rottura dell'ordine cosmico fra i vivi e i morti, così importante per lo sciamanismo, e insieme alla previsione di una possibilità o perfino di una probabilità di questa rottura. Le opere degli autori che abbiamo citato mostrano in effetti singolari concordanze a proposito del ritorno di morti assetati di sangue in numerose regioni dell'area sciamanica. Alcuni quesiti rimangono tuttavia aperti. Non è sempre chiaro a quale data vadano fatti risalire i primi resoconti di casì di vampirismo, che sono stati trascritti raramente nel Medioevo e più spesso da folkloristi moderni. Queste difficoltà di datazione rendono difficile ai sostenitori della teoria dell’origine sciamanica spiegare in modo preciso come il mito – che dovrebbe avere origini siberiane e ugrofinniche – abbia potuto diffondersi, fino a emergere con i connotati moderni che conosciamo in area balcanica e slava nei primi secoli dell’era moderna.



La teoria dell'origine orientale

Anche se personaggi simili al vampiro erano stati segnalati in Oriente già da Marco Polo, i folkloristi e i viaggiatori occidentali ne hanno iniziato lo studio sistematico solo nell'Ottocento. In Malesia il polong e il pelesit - spesso accusati di succhiare il sangue - non sembrano vampiri spiriti "creati" o fatti apparire con atti di magia nera. In particolare il polong è uno spirito malvagio che può essere attirato in una bottiglia dove è stato raccolto per due settimane il sangue di un uomo assassinato. Il pelesit - che solito accompagna il polong - gli prepara la strada insinuandosi nel corpo della vittima. Qualche affinità con il vampiro hanno il langsuyar e il pontianak, talora cofusi fra loro con buone ragioni. Sembra infatti che in Malesia il langsuyar sia lo spirito di una donna morta durante il parto e il pontianak lo spirito di un bambino abortito. In Indonesia la terminologia è invertita ed è il pontianak essere lo spirito della donna morta di parto, che attacca soprattutto donne incinte e si nutre delle loro viscere. Sebbene si tratti all'origine di spiriti, essi possono prendere corpo, e - nel caso delle donne morte di parto - perfino risposarsi e avere figli, anche se di solito dopo qualche tempo scompariranno di nuovo. Come si vede, siamo tuttavia lontani dal tipo classico del vampiro.

Certamente più promettente è sembrata ai sostenitori di un'origine orientale del vampiro l'India. È peraltro difficile districarsi in una complessa mitologia che comprende un buon numero di personaggi mitici che attaccano i viventi e si cibano della loro carne e del loro sangue. Molti di questi personaggi (tra cui i rakshakas) fanno parte del mondo dei demoni e non sono spiriti di persone umane. Più vicini ai vampiri sono i bhutas e i brahmaparusha che - almeno in alcune varianti della mitologia che li riguarda - sono spiriti di morti particolari (che sono stati nella vita dementi o deformi, o che sono morti di morte violenta). Si aggirano fra i cimiteri, possono trasformarsi in pipistrelli e terroriz­zano i viventi apparendo loro come fantasmi o ombre. Non sono, dunque, vampiri in senso proprio perché non ap­paiono con il loro corpo, ma possono entrare nel corpo di persone viventi e possederle trasformandole in assassini antropofagi. Più vicini di tutti ai vampiri sono i vetalas o betails o baitals, spiriti che entrano nei corpi dei defunti e li rianimano. Non sembra peraltro che i defunti posseduti dai vetalas siano particolarmente attratti dal sangue, anche se amano prendersi gioco delle persone viventi, qualche volta mettendo a repentaglio la loro vita.

Dobbiamo, infine, fare cenno all'ipotesi di una origine non indiana ma cinese del mito del vampiro. Anche le re­lative leggende cinesi sono state raccolte in Europa sol­tanto a partire dall'Ottocento, e le storie di kiangshi (o chiang-shih) sono diventate note in Occidente attraverso l'opera monumentale di Jan Jacob Maria de Groot ( 1854­1921), The Religious System of China. Il mito del kiang­shi è collegato all'idea che un residuo vitale può rimanere nel corpo per parecchio tempo dopo la morte (mentre un principio superiore - che non tutti gli specialisti di religio­ni cinesi accettano di chiamare "anima" - se ne distacca). Questo principio - particolarmente in caso di persone che hanno conosciuto una morte violenta - può animare il ca­davere e renderlo capace di muoversi (anche se con mag­giori limitazioni rispetto a una normale persona umana: una differenza con il vampiro europeo classico). Il cada­vere trasformato in kiangshi - che de Groot traduceva let­teralmente in "corpo-spettro" - è, indubbiamente, ancora il corpo nella sua materialità e può andare alla ricerca di sangue umano. Fra le storie raccolte da de Groot una ri­guarda un certo Liu, precettore dei figli di una Famiglia nobile nel distretto di Yuen-hwo. Tornato a casa dalla mo­glie, a Wukiang, per una vacanza, il mattino in cui doveva partire per tornare dai suoi pupilli viene trovato nel letto senza testa. I magistrati sospettano la moglie e la arresta­no. Dopo qualche settimana tuttavia un vicino si imbatte per caso, in un vecchio cimitero trascurato, "in una bara con il coperchio aperto. Era un coperchio massiccio, forte e solido, eppure era stato leggermente aperto; per cui si sospettò naturalmente che fosse stato aperto dai ladri. Chiamò altre persone; aprirono il coperchio completamente e videro un cadavere con caratteristiche simili a quelle di una persona vivente e con il corpo coperto de peli bianchi. Tra le sue braccia teneva la testa di un uomo che riconobbero come quella di Liu, il precettore. Riferorono il caso al magistrato, che ordinò di portare via la testa: ma le braccia del cadavere la tenevano così stretta che lo sforzo combinato di un buon numero di uomino si rivelò insufficiente a sottrargliela. Così il magistrato ordinò di amputare le braccia del kiangshi. Sangue fresco sgorgò dalle ferite, ma nella testa di Liu non ce n'era neppure una goccia, perché tutto era stato succhiato dal mostro. Per ordine del magistrato il cadavere fu bruciato, e il caso fu chiuso con la liberazione della moglie di Liu dalla prigione". Come emerge da altri casi consimili, l'idea che fossero stati dei ladri ad aprire il coperchio della bara aveva senso anche in un ambiente in cui la credenza al kianghsi era data per scontata. Secondo numerose versioni del suo mito, infatti, il kiangshi non poteva uscire dalla bara da solo, ma aveva bisogno di qualche sorta di aiuto. Le leggende sul kiangshi sono state abbellite da una letteratura cinese successiva, ma sembrano effettivamente più antiche. Come per altre idee religiose e magiche, si può supporre una interazione reciprocamente feconda fra miti indiani e cinesi, senza che si possa dire con certezza quali fra i due siano più antichi. In ogni caso la teoria di un'origine cinese del vampiro è una variante di quella che gli attribuisce un'origine indiana. Il percorso si allunga ma rimane sostanzialmente lo stesso. Prevede un passaggio dalla Cina all'India e dall'India all'Occidente, tramite i viaggiatori sulla "strada della seta" o quel tipo particolare di viaggiatori che erano gli zingari al tempo della loro prima grande migrazione. La "filosofia del vampiro" soggiacente, in questo caso, inserisce le origni del mito in un contesto – se si eccettua quello tipico delle credenze più antiche dei Rom – dove i rapporti fra la vita e la morte sono integrati in un sistema religioso piuttosto preciso. Il mito non avrebbe quindi origine tanto da una difficoltà oggettiva di separare il mondo dei vivi da quello dei morti, ma dall’ambiguità soggettiva di certi defunti, particolarmente nel caso di una loro fine prematura o violenta.


La teoria dell'origine moderna

È stata da ultimo formulata la teoria secondo cui il mito del vampiro è di origine moderna e si forma nel Settecento, sebbene utilizzando materiale in parte già pubblicato nel secolo precedente. La "filosofia del vampiro" soggia­cente non manca di fare riferimento a un'epoca di confu­sione nei rapporti fra corpo e anima, ma si tratta di una crisi moderna collegata all'Illuminismo e alla perdita di vigore della tradizionale rappresentazione cristiana dell'aldilà. È perché si comincia a dubitare dell'immorta­lità dell'anima - prima a livello quasi inconscio, poi con l'Illuminismo in modo esplicito - che emergono ipotesi di immortalità del corpo. Il Settecento - secondo il principa­le sostenitore di questa teoria, Jean-Claude Aguerre - vede "il ritorno in forza dei corpi": l'anima, se esiste, è conside­rata come una parte del corpo che un giorno qualche abi­le chirurgo riuscirà a estrarre. Certo, nota Aguerre, non si può seriamente sostenere che le dottrine degli illuministi nell'Europa occidentale abbiano causato le crisi di vampi­rismo settecentesco nell'Europa orientale: "La semplice cronologia ci smentirebbe. Ma questi fenomeni - agitazio­ni del corpo, prove del corpo e cadaveri incorruttibili ­partecipano a uno stesso movimento del pensiero. All'alba del Secolo dei Lumi, lo spirito da divino diventa scientifi­co, la sperimentazione mostra la carne come corruttibile, priva di santità. Il vampiro si offre come un rifugio". Per valutare affermazioni come quelle di Aguerre - che se la prende particolarmente con chi fa risalire i vampiri fino a precedenti precristiani, che con il non-morto classico non avrebbero veramente nulla a che fare - occorre ancora una volta interrogarsi sulla definizione del vampiro. Se per vampiro si intende il personaggio che la maggioranza dei nostri contemporanei si immagina - con tutte le carat­teristiche del conte Dracula - non si tratta solo di una creatura moderna, ma modernissima. Non nasce neppure nel Settecento, perché - come lo stesso Aguerre nota ­ manca ancora una caratteristica che è diventata un marchio di fabbrica del vampiro cosi come tutti lo immaginiamo: i denti aguzzi, i fang della tradizione letteraria e cinematografica di lingua inglese. Il vampiro settecentesco rilevato dalle cronache francesi e tedesche che riprendono episodi dell'Europa orientale - non morde le sue vittime, ma ne aspira piuttosto il sangue attraverso la pelle.

Le osservazioni di Aguerre sembrano particolarmente pertinenti se si tratta di spiegare il successo del mito del vampiro nell'Europa occidentale del Settecento, dove invade rapidamente le gazzette e in seguito la letteratura. Da questo punto di vista le narrative classiche del vampiro sono prodotti moderni, che fanno da contrappunto al contesto illuministico. Ma queste narrative sono state costruite a partire da un materiale che veniva dalla Polonia, dall’Istria dalla Serbia e che esisteva già da diversi secoli. Allo stato degli atti, non sembra possibile apportare una soluzione definitiva alla questione dell'origine del vampiro. La pù debole, fra le varie ipotesi, sembra quella di una origine nell'Europa occidentale. Anche l'idea di una originine universale" o preistorica sembra per qualche verso generica, si tratta effettivamente di spiegare le origini del vampiro non semplicemente della paura di un ritorno dei morti. Le tracce di un personaggio molto simile al non-morto classico si ritrovano in Asia, sia a Nord nell'area sciamanica, si (con caratteristiche forse ancora più simili al vamp europeo seicentesco e settecentesco) in Cina e in India. È difficile dire se le credenze sciamaniche, attraverso una mediazione ugro-finnica, abbiano davvero originato la figura del vampiro o abbiano semplicemente predisposto certe aree europee alla ricezione di temi di origine diversa. Il passaggio dall'India -o dalla Cina e dall'India insieme- in Europa attraverso i viaggiatori o, più probabilmente, gli zingari pare un'ipotesi suggestiva e probabile, anche se non tutti i problemi di prova sono stati risolti da chi la propone.

In ogni caso - che la derivazione sia da un fondo sciamanico, dall'India e dalla Cina, o (ipotesi forse meno pro­babile) da un fondo autoctono, che si precisa (come vor­rebbe Perkowski) all'epoca della crisi dei bogomili - il vampiro così come il Seicento e il Settecento europeo lo definiscono e lo conoscono si incontra per la prima volta, con tutte le sue caratteristiche e con una diffusione socia­le culturalmente significativa, nell'Europa orientale verso la fine del Medioevo. Si tratta di una vasta area che va dal­la Polonia e dalla Prussia a Nord fino all'Albania, alla Bul­garia, alla Romania e alla Macedonia a Sud, anche se le fonti dei folkloristi raramente permettono datazioni pre­cise. È giusto osservare che figure che precedono il vam­piro, e il vampiro stesso, appaiono normalmente nelle epoche e nei contesti culturali contrassegnatì da una crisi e da una confusione - ovvero da un conflitto religioso ­sui rapporti fra il nostro mondo e l'aldilà, fra il corpo e l'anima. A queste crisi l'idea di un corpo animato che so­pravvive e aggredisce i viventi fornisce una risposta poco rassicurante ma, da qualche punto di vista, conseguente. Ritenere che il vampiro classico - preceduto da alcun

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