Trasmetto un interessante articolo che fa luce su ciò che differenzia il genuino internazionalismo dalla pseudo-solidarietà di fascisti, stalinisti e terzomondisti vari alle "nazioni" oppresse.
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Quando il nero si traveste di rosso Ovvero quando la reazione incrocia il riformismo
Il sentimento patriottico è un’arma formidabile nelle mani dei padroni per controllare ideologicamente la classe lavoratrice e tenerla soggiogata alla politica borghese. Passeggiando per il centro di Bologna può capitare d imbattersi in una curiosa libreria in cui, accanto a un vasto reparto dedicato completamente a temi "new age", all’astrologia e all’esoterismo di tutte le specie, sono esposti numerosi titoli di case editrici minori e alternative, alcune apertamente schierate a sinistra. Ma molto più numerosi e in bella mostra risultano essere altri libri, come quelli editi da Arianna editrice, promotrice del localismo, del bioregionalismo, del comunitarismo anti-utilitarista e di altre idiozie anti-industriali, anti-moderne, in sostanza anti-storiche e conservatrici. C’è però di peggio: ovunque compaiono libri della Società Editrice Barbarossa, neofascista "di sinistra", più esattamente di quell’area che si autodefinisce "nazional- rivoluzionaria" o addirittura nazional-bolscevica(!) e tante altre chicche reazionarie, abbondantemente offerteci da una società borghese ormai da tempo caduta in decadenza irreversibile che sputa fuori spazzatura per tutti i gusti. Se poi ti accorgi che uno di coloro che lavorano nella libreria è lo stesso che gestiva il banchetto di libri al ciclo di conferenze tenutosi a Bologna nel dicembre ’98 dal titolo Fascio e martello – "comunisti" in camicia nera (Nicola Bombacci, Ugo Spirito, ecc.) allora i conti iniziano a tornarti. Un altro tassello lo trovi quando nell’angolo delle riviste scopri decine di copie di un giornale dal titolo che è tutto un programma: Rosso è Nero – periodico del Fronte Nazionale di Liberazione – linea comunitarista; questi di Rosso è Nero sono dunque la corrente "di sinistra" del Fronte Nazionale (FN) organizzazione neofascista sorta nel 1997 da una scissione di Fiamma Tricolore. Mentre le parole d’ordine del FN sono quelle tipiche del nazionalismo demagogico e anti-americano (piena occupazione, stato sociale, preferenza italiana nelle assunzioni, stabilimento di quote di immigrati, rimpatrio dei clandestini, ecc.) su Rosso è Nero dove alcuni articolisti amano firmarsi Rosso, Pisacane, Cafiero (sic) ci si spinge oltre. Ecco cosa arrivano a dire in un articolo: "Più che mai massima è l’esigenza che il FN sia la sintesi della rivoluzione nazionale e sociale! Che possa divenire punto di riferimento dei lavoratori, degli operai, di tutti i salariati e i nulla tenenti (…) Bisogna scartare le mezze misure (…) come corporativismo e collaborazionismo interclassista che servono solo a tenere in vita il capitale e il suo sistema! L’unica via necessaria è la socializzazione totale! (…) E questo vuol dire non certo il contentino corporativo della partecipazione agli utili dei lavoratori. Ma la loro diretta gestione attraverso gli organismi di partecipazione, quali i ‘consigli nazionali del lavoro’, forza di base del nuovo stato nazionale operaio sulla strada del socialismo nazionale" e via di seguito. Leggiamo poi un passo significativo dell’articolo "Crisi degli anni novanta e xenofobia operaia": "Solo quando immigrati e ‘nativi’ insieme troveranno la forza dell’unità per imporre una nuova civiltà del lavoro il circolo vizioso diventerà un circolo virtuoso. Ma sarà unità di interessi materiali, non altruismo del ‘nativo’ verso l’immigrato. Sarà solidarietà dei lavoratori, non carità cristiana. Sarà politica militante, non comunità d’accoglienza controllata da ‘agenzie no profit’ ". Sembra proprio che, purtroppo, questi strani pesci non siano affatto stupidi e non siano nemmeno pochissimi. Tra l’altro, non sono affatto l’unico raggruppamento socialista-nazionale italiano; insomma, l’anima socialpatriota della reazione antiproletaria è più viva che mai e, seppure oggi non rappresenti un pericolo, data la totale assenza di un movimento operaio da reprimere o da recuperare, un domani potrebbe risultare pericolosa. Fermo restando che il nemico principale della rivoluzione proletaria rimane comunque la socialdemocrazia che, spargendo il suo fango riformista, segue i lavoratori passo passo con l’obiettivo di impantanarli non appena dovessero imboccare la via del comunismo rivoluzionario. Un discorso a parte meritano quelli di Indipendenza, sulla quale scrive anche un ex-"compagno" come Costanzo Preve. La rivista si definisce nazionalitaria (leggi nazionalismo-che-si-vergogna) nel senso che del nazionalismo rifiuta i corollari razzisti, colonialisti, imperialisti e anti-democartici, ma il succo è quello del nazionalismo di sempre, secondo cui esistono interessi nazionali comuni che si contrappongono a quelli dello straniero (in questo caso gli USA) e secondo cui la nazione rappresenta il vero argine e il vero nemico dell’imperialismo e del capitalismo multinazionale (il capitalismo in piccola scala, invece, va bene). Secondo questi tizi bisogna quindi "porre in evidenza la contraddizione fondamentale tra interesse popolare/nazionale ed interesse imperial/capitalista (…) e liberare le forze popolari potenzialmente disponibili al conseguimento di radicali trasformazioni politiche sociali, prima fra tutte la riconquista dell’indipendenza nazionale, ineliminabile precondizione necessaria allo sviluppo di un processo di democrazia popolare e socialismo in senso ampio". E’ chiaro che con democrazia popolare e socialismo in senso ampio non dicono assolutamente nulla, se non che a loro della lotta… sociale (di classe è troppo) non gli frega molto e che comunque non sanno bene quale dovrebbe essere l’alternativa al capitalismo, se non un capitalismo nazionalitario ottocentesco, che si è appunto trasformato nel capitalismo imperialista odierno. Non a caso, diremmo, ma che importa? Si stava meglio quando si stava peggio, o qualcosa del genere. L’intellettualissimo Costanzo Preve, dunque, ha fatto la sua giusta fine, unendosi a questa gente e arrivando una buona volta a dire che la dicotomia borghesia/ proletariato è ormai obsoleta, il comunismo fallito e superato, ma – secondo la consuetudine di molti intellettualissimi di sinistra – il marxismo è invece ancora utilizzabile, opportunamente integrato, riletto ed epurato, s’intende, fino a farlo diventare tutto fuorché marxismo. Adesso per questo signore il problema vero è la "paurosa mancanza di coscienza nazionale" perché "la nazione italiana è una buona cosa, è una comunità legittima, difenderla è una causa giusta". Un generale non avrebbe saputo parlare meglio. E’ interessante notare come questi nazionalitari si ritrovino insieme a tanti rifondaioli, a molti antagonisti presenti nei centri sociali e nel sindacalismo di base, come anche insieme a tanti gruppi pseudo-leninisti, nell’appoggiare tutte le lotte di liberazione nazionale sparse per il mondo. Non solo, ma sono accomunati anche da un selvaggio furore antiamericano, per cui chiunque si batta per qualche motivo contro gli USA deve essere sostenuto o per lo meno ritenuto degno di un biasimo minore rispetto al gendarme del mondo che è in ogni caso il nemico imperialista n°1. Fatto sta che questo particolare odio verso gli USA – non verso la borghesia americana, ma genericamente contro la nazione americana – è lo stesso che caratterizza l’estrema destra. Si parte da premesse differenti, si arriva alla medesima conclusione: il nemico è lo zio Sam, tutto il resto è relativo. Molti sedicenti internazionalisti che difendono a spada tratta le nazioni oppresse avrebbero da imparare dai nazionalitari e definirsi come loro inter-nazionalisti: quel trattino significa infatti l’appoggio a tutti i nazionalismi possibili e il rifiuto invece dell’internazionalismo storicamente inteso, cioè l’internazionalismo proletario (il nostro) secondo cui gli interessi di classe non hanno nazione, come non ha nazione il proletariato, e secondo cui obiettivo dei proletari deve essere quello di abbattere tutte le frontiere nazionali, non crearne di nuove, anche perché il sentimento patriottico – non di meno nella sua versione regionalista e campanilista – è un’arma formidabile nelle mani dei padroni, forse la migliore, per controllare ideologicamente la classe lavoratrice e tenerla soggiogata alla politica borghese. jack
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