Indymedia Italia


L'articolo originale e' all'indirizzo http://italy.indymedia.org/news/2003/07/343328.php Stampa i commenti.

Di nuovo a Baghdad
by didi Wednesday, Jul. 30, 2003 at 11:15 AM mail: mildendo@libero.it

La situazione a Baghdad negli ultimi giorni raccontata da una componente di delegazione di "Un ponte per..." arrivata in Iraq il 25 luglio 2003

Di nuovo a Baghdad

25 luglio 2003

Siamo arrivati a Baghdad giovedì’ 24 luglio in tarda mattinata dopo aver attraversato il confine giordano con due jeep impiegandoci circa 10 ore per raggiungere la capitale.
4 donne e 4 uomini compongono la delegazione dell’ong italiana ‘Un ponte per….’ presente in IRAQ ormai da 13 anni.
Sei di noi eravamo già stati in Baghdad nel mese di febbraio 2003 in occasione della manifestazione nazionale della pace del 15 febbraio; in quell’occasione abbiamo conosciuti degli irakeni che rincontreremo nel pomeriggio.
Abbiamo incontrato presso le sede delle ong i volontari di ‘Un ponte per…’ e subito dopo sono arrivate due donne irakene responsabili del progetto internazionale denominato ‘Occupation Watch’ che si occuperà di monitorare e denunciare le violazioni dei diritti umani nei settori economico, sociale e militare commesse dalle forze di occupazione presenti in Iraq.
‘Un ponte per…..’ è fra le organizzazioni che collaborano all’Occupation Watch e intende sostenere economicamente la realizzazione della cosiddetta ‘Casa Irachena’, che sarà la sede dell’osservatorio, già individuata nel centro di Baghdad.
Una delle due donne è la coordinatrice, si chiama Nermin Al Mufti e ci ha descritto la situazione che vive il paese all’indomani dei bombardamenti.
L’osservatorio cercherà di rendere la più ampia testimonianza su ciò che l’occupazione produce in termini di violenza generale nel paese
Nermin pensa che l’osservatorio potrebbe essere importante nel sollecitare un percorso di autodeterminazione del popolo irakeno, che potrebbe scegliere così il governo che vuole. Altre informazioni ci hanno offerto spunti per cercare di comprendere lo stato della società irakena dall’occupazione in poi, per esempio la gestione americana delle risorse petrolifere ha già prodotto il 37% dei licenziamenti, perché sono state impiegate forze lavoro asiatiche; ci ha detto, inoltre, che all’aeroporto ex Saddam sono richiusi 6000 prigionieri di cui non si conoscono le condizioni né le modalità di trattamento cui sono sottoposti dato che l’accesso all’aeroporto è stato interdetto dagli occupanti angloamericani.
Alla nostra domanda “quali passi per la democrazia” Nermin ci ha raccontato che sono state già varate due leggi dal governatore statunitense Paul Bremer:
- la prima stabilisce che nessun cittadino degli stati occupanti può essere sottoposto a processo secondo le leggi irakene;
- la seconda prevede la chiusura di testate giornalistiche che esprimono posizioni critiche contro l’occupazione.
Questa seconda legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per diffonderne la conoscenza ed è già stata applicata con conseguente chiusura di 4 testate giornalistiche.
L’archivio della Gazzetta Ufficiale dal 1921 è stato bruciato dagli occupanti con la chiara volontà di cancellare ogni identità del paese.
Infine Nermin ha posto l’accento su un’altra questione rilevante di cui fra l’altro l’osservatorio si occuperà, che è quella relativa alle donne ed alla violenze nei loro confronti diffusa e soprattutto accentuata a causa dell’occupazione. In questo momento sono attive a Baghdad almeno 3 organizzazioni di donne, la prima è ritenuta storica ed è stata creata nel 1952; la seconda è sorta all’interno del Partito Comunista Irakeno ed è ritenuta la più attiva; la terza di recente formazione.
Ci ha detto ancora cose che fanno riflettere; per esempio un dirigente irakeno degli affari esteri è stato arrestato dopo aver espresso su un quotidiano locale una forte critica nei confronti dell’occupazione e per aver detto che il popolo irakeno non la accetta. Ha aggiunto che la resistenza irakena, secondo la sua opinione, non farà differenza fra occupanti angloamericani ed altri di altre nazionalità, questo dopo averle chiesto come sono viste le forze italiane presenti.
In serata presso il nostro hotel AL FANAR abbiamo incontrato Thickra Nadir, scrittrice, giornalista e vicepresidentessa di un'organizzazione di donne chiamata "Rising of the iraqi women", tale organizzazione si occupa di sostenere donne sole, che hanno perso famiglia, lavoro e di qualificarle per rendere possibile una loro partecipazione alla vita politica e sociale del paese. Thickra ci ha detto " abbiamo grandi sogni anche se e' cosi' difficile".
Autrice di libri fra cui un racconto premiato nell'anno 2000 e diffusi in Egitto.


25 luglio 2003

Oggi 25 luglio 2003, venerdì giorno festivo per i mussulmani, la giornata e' iniziata con un giro nel centro di Baghdad a Buthanabbi, mercato dei libri usati, ed alla università' antica Mustansirya.
Durante questo giro abbiamo raccolto le impressioni e le sensazioni di molte persone incontrate e desiderose di raccontarsi, accompagnate dal nostro interprete Giuseppe.
Tutto ciò che abbiamo ascoltato ci ha trasmesso una sensazione molto forte ed immediata, quella di una profonda disgregazione umana interiore e collettiva in questo popolo, abbiamo sentito in tutte le persone un senso di perdita di punti di riferimento non solo politici ma anche sociali e di relazione.
Ciò che appare più' evidente e' l'assoluta mancanza di sicurezza per la vita quotidiana e la incredibile fatica di vivere sopportando un livello di privazione materiale e psicologica disumana. A fronte di questo abbiamo percepito anche un desiderio nuovo di fare nel senso di ricostruire, ricostruire una identità' collettiva, ricostruire una rappresentatività autentica e prendere quindi in mano il proprio futuro. E' proprio questa la cosa più' impedita dato che le forze di occupazione dirigono tutti i meccanismi della società', stabilendo quali sono le nuove leggi, chi lavora e chi no e soprattutto legittimando il dilagare di furti e saccheggi causati dalla assoluta miseria che si e' diffusa.
Le persone incontrate ci hanno trasmesso sollievo per la caduta del rais Saddam Hussein, ma anche ferma convinzione che le truppe di occupazione debbano lasciare il paese.
Fa male al cuore affacciarsi dai tetti dell'antica università' per guardare il Tigri, i ponti che l'attraversano e trovarsi di fronte i carri armati con i soldati che puntano la mitragliatrice su tutto ciò' che si muove.

In seguito mentre ci dirigevano alla moschea di Kadimya siamo stati violentemente bloccati da due marines che con altri presidiavano un sito militare, motivo di questo intervento e' stato che alcuni di noi li hanno ripresi. Due giovani poco più' che ventenni armati fino ai denti ed agitati al punto da non riuscire a parlare con voce ferma, hanno ordinato ai nostri compagni di consegnare la telecamera immediatamente ; dopo tentativi di spiegare che si poteva cancellare tutto ciò che era stato filmato e con una buona dose di nostra agitazione ci hanno lasciato andare.
Arrivati alla moschea gremita di gente in quanto giorno di festa abbiamo, soprattutto noi donne, avvertito una pesante ostilità' negli sguardi degli uomini e di alcune donne; la sensazione e' stata giusta perché', pur coprendoci e velandoci come imposto, ci hanno impedito con odio e violenza di avvicinarci alla moschea e ci hanno intimato di lasciare la zona.
Questo episodio ci ha profondamente turbato dato che in pochi mesi l'ondata integralista e' montata rapidamente e in modo diffuso; solo a febbraio 2003 eravamo entrati senza alcun problema e ben accolti. Sembrerebbe chiara la logica spartitoria degli angloamericani , secondo cui agli sciiti si lasciano ampi margini di azione affinché' gli interessi occidentali possano essere perseguiti senza alcun ostacolo da parte del popolo.

Nel pomeriggio abbiamo visitato alcuni luoghi bombardati; la Centrale delle telecomunicazioni di Adhimya rasa al suolo e il Circolo Militare degli Ufficiali completamente distrutto. In quest’ultimo posto distrutto vivono 400 famiglie che non possono permettersi una casa; alcuni di loro ci hanno raccontato che gli americani sono spesso presenti, non certo per aiutarli, ma per appropriarsi di quel poco rimasto che ritengono necessario per la loro vita in Baghdad. Un fatto accaduto alcuni giorni fa lo dimostra: i soldati americani sono entrati e hanno portato via il generatore che utilizzavano queste famiglie, considerato che l’elettricità c’è 6 ore su 24.

Verso il tardo pomeriggio l’autista che ci ha accompagnato ci ha invitato a casa sua per raccontarci un po’ della storia della sua famiglia; ci ha detto di aver combattuto durante la prima guerra del Golfo e una delle conseguenze più drammatiche per lui è stata la nascita nel 1995 della sua bambina nata con malformazioni gravissime dovute alla cosiddetta ‘sindrome del golfo’ che lui aveva contratto. Oggi è un colonnello senza lavoro e senza alcuna prospettiva lavorativa come i suoi figli e si chiede “perché le forze americane non lasciano al popolo irakeno il diritto di ricostruire il paese”; prima di salutarci alla domanda rivolta alla figlia sedicenne “Hai avuto paura durante la guerra?” siamo rimasti colpiti dalla sua risposta “siamo abituati”.

Questa è la liberazione del popolo irakeno………..!


P.S. Vi faremo avere nei prossimi giorni aggiornamenti sul viaggio; quanto inviato può essere trasmesso agli organi di stampa.


26 luglio 2003

Questa mattina siamo stati all’ospedale ALWYA specializzato in ginecologia-maternita, per vedere gli interventi realizzati dal ‘ponte per’. Sono stati installati depuratori d’acqua, raffreddatori di acqua, e sono stati distribuiti prodotti di igiene, ossigeno ed accessori dell’impianto idrico.
Durante il giro nell’ospedale abbiamo notato che le donne sono sempre accompagnate dai mariti, vestite interamente con il chador nero, segno che l’integralismo islamico ha già’ imposto le sue regole.
Ci siamo recati all’ospedale da campo della Croce Rossa Italiana ‘protetto’ dai mezzi militari dei carabinieri italiani che ci hanno impedito di fotografare e di filmare. Al termine del colloquio di Giovanni Dani, nostro capo delegazione, con il responsabile del campo non c’è stato possibile entrare e ci hanno dato appuntamento nel tardo pomeriggio.

Nel pomeriggio, cercando il caffè degli artisti per incontrare il pittore Al Sabti, siamo entrati in un teatro dove un gruppo di attori irakeni stava provando “Aspettando Godot” di Beckett; questi attori ci hanno indicato il caffè degli artisti e inoltre ci hanno invitato a passare di nuovo per assistere ad una prova del loro spettacolo.
Al caffè degli artisti “HEWAR art gallery” abbiamo visitato una mostra fotografica di fotografi irakeni e poi abbiamo avuto la fortuna di conoscere Qasim Al Sabti fotografo, pittore e responsabile della galleria.
Chiacchierando con lui ci ha raccontato che sicuramente durante gli anni dell’embargo la situazione del paese è stata molto dura, però pur definendo il governo di Saddam un regime dittatoriale ha dichiarato che gli artisti godevano di una certa libertà di movimento ed erano garantiti economicamente; inoltre ha aggiunto che le forze americane sono entrate in Baghdad con i tanks distruggendo con accanimento tutti i luoghi di cultura: università, biblioteche, musei, sottolineando con ironia “gli americani i pezzi migliori se li sono messi nel taschino” la sua domanda ripetuta più volte è stata “perché distruggono la nostra cultura?” perché vogliono annientare la radicata identità culturale.
Nel salutarci ci ha invitato a pranzo e questo per l’ennesima volta ci ha rivelato la grande generosità e la voglia di comunicare del popolo irakeno violentemente isolato da anni e costretto ad una fortissima limitazione delle relazioni esterne.

Ritornati al Teatro AL_TALIAA in un teatro distrutto, senza luci, con una povera scenografia, con una platea di sedili sfondati , ci siamo resi conto che la polvere posata ovunque non ha spento la loro arte né il desiderio di comunicarla e condividerla.
In un Paese dove la guerra non è mai finita questo momento vissuto con questi artisti teatrali ci ha restituito l’intensità della loro voglia di vivere, di dare espressione al loro mondo interiore fatto di sogni legittimi e speranze non del tutto offuscate dalla violenta occupazione che stanno subendo.

Diretti all’ospedale da campo della Croce Rossa Italiana abbiamo notato che sia il Mausoleo dei Caduti della Guerra Iraq-Iran sia lo stadio sono occupati dalle truppe americane con postazioni di controllo.
Arrivati all’ospedale, dopo alcuni minuti di attesa alla temperatura di 50 gradi controllati dai carabinieri del Tuscania, comandati dal tenente Emanuele Barbieri, abbiamo incontrato Antonio Morrone, responsabile del campo, e il dottore Di Cosmo direttore sanitario dell’ospedale.
Una delle cose che ci ha subito colpito è che oltre il personale medico e paramedico italiano, prestano la loro attività come volontari anche medici irakeni altamente qualificati.
La cosiddetta “guerra umanitaria” ha fatto sì che irakene ed irakeni di tutte le età si rivolgano all’ospedale della CRI a causa delle gravissime ustioni riportate per lo scoppio di lampade a cherosene e dei vari combustibili utilizzati in casa per la mancanza di energia elettrica. Una pediatra, che lavora presso l’ospedale Gaslini di Genova, ci ha detto che in quarant’anni di attività professionale non aveva mai trattato, ma solo studiato sui libri, malattie storiche e ha definito l’ambulatorio pediatrico ‘una corte dei miracoli’.


27 luglio 2003

Questa mattina siamo stati a casa di Fawsiye Hussein Sabiha, 73 anni, appartenente dagli anni ’60 al Partito Comunista Irakeno. Figura storica straordinaria insieme al marito Hadi Al Timini, uno dei fondatori del Partito. Ci raccontano una vita di attiva militanza politica piena di arresti, carcere, torture ed intimidazioni continue da parte del regime di Saddam. In un dei tanti periodi di detenzione Fawsiye, incinta, perde il bambino a seguito delle torture subite. Ha 1 figlio che dal 1979 vive all’estero, attualmente in Olanda e 5 figlie di cui 3 a Baghdad, 1 in Germania e 1 a Praga; le due figlie e il figlio all’estero esuli a causa della loro militanza politica, scrivevano infatti sul giornale del partito “ Tarik Al Shaab” , la ‘via popolare’; sono 24 anni che Fawsiye non abbraccia i suoi figli.
Dopo i periodi di carcere, dal 1979 non sono mai stati lasciati in pace, venivano interrogati e visitati dalla polizia a qualsiasi ora giorno-notte ed è solo da 2 anni che non sono più stati perseguitati. Abbiamo chiesto a Fawsiye ed a Hadi “cosa pensate dell’occupazione?”, Hadi ha risposto “l’Iraq ha bisogno di aiuto da parte delle organizzazioni internazionali affinché amplifichino la voce di un popolo che rifiuta l’occupazione. L’Iraq ha un cultura millenaria, possiede enormi risorse economiche e se gli americani se ne andassero saprebbe ricostruire la propria società.” Fawsiye, invece, ha risposto alla domanda girandola semplicemente a noi “Voi accettereste il vostro paese occupato?”.
Li salutiamo con il cuore pieno di emozioni ed andiamo all’Iraqi Museum; all’ingresso principale un carro armato americano protegge non si sa che cosa, dato la devastazione avvenuta al suo interno proprio grazie a loro. Non riusciamo ad entrare e proseguiamo per scoprire che anche i supermercati sono stati ritenuti obiettivi della guerra umanitaria. Percorriamo il quartiere di Al Mansour il più colpito durante la guerra perché sede di Ministeri e ci dicono che Al Rasheed Street è caduta la prima bomba fra il 19 e il 20 marzo. Più in là, di fronte alla Banca Centrale, le cui macerie sono presidiate dai marines ci bloccano nuovamente perché alcuni di noi stavano filmando. Si avvicinano con pistole puntate e ci intimano di consegnare telecamere e macchine fotografiche, sequestrano un cassetta e distruggono due rullini; li notiamo tesi, pieni di paura nonostante le armi e ci dicono che ieri sono stati uccisi tre di loro.
Ci allontaniamo per assistere allo spettacolo doloroso della Biblioteca Nazionale completamente distrutta. Non c’è più alcuna traccia di libri antichi, memoria storica e culturale di un Paese culla della civiltà.

Nonostante lo scenario di distruzione continuiamo a ricevere sorrisi e calore dai volti delle persone che incrociamo ogni istante e forse ognuno di noi in quei sorrisi prova a leggere una speranza.






versione stampabile | invia ad un amico | aggiungi un commento | apri un dibattito sul forum

©opyright :: Independent Media Center .
Tutti i materiali presenti sul sito sono distribuiti sotto Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0.
All content is under Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 .
.: Disclaimer :.