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Movimento punto e a capo
by dal manifesto (interessante) Tuesday, Oct. 07, 2003 at 12:20 PM mail:

I no global si dividono sul corteo di sabato. Benzi della Cgil accusa: «C'è qualcuno che pensa già alle elezioni». I disobbedienti rivendicano lo «sfondamento della zona rossa» e attaccano le «burocrazie sindacali» sul palco di piazza del Popolo. Ma tra loro non c'è accordo sulle modalità di piazza. I Giovani comunisti: così paghiamo un prezzo troppo alto. E su Indymedia si parla di «vittoria della polizia».


Una sconfitta o una vittoria? L'inizio della fine o un nuovo punto di partenza? Se non aveva i numeri e le forze per impedire l'avvio della Conferenza intergovernativa, la manifestazione di sabato a Roma ha sicuramente prodotto il risultato di far discutere, probabilmente per la prima volta così in profondità, il cosiddetto movimento dei movimenti. Nei luoghi e con le modalità ad esso più consoni, ovviamente: dalle assemblee delle varie organizzazioni che lo compongono alla rete. Il bilancio della due giorni di contestazione al summit europeo è infatti impietoso, per quello che veniva presentato come l'avvio dell'«autunno caldo» del movimento: un corteo lontano dalle grandi adunate di un anno fa anche se dai numeri affatto irrilevanti visto che una parte consistente ha preferito puntare sulla Perugia-Assisi di domenica prossima, ma ingabbiato nella morsa di 5 mila agenti; un forum sulla Costituzione europea all'università di Roma che se da un lato è servito a creare «un clima di dialogo» e a evitare la contrapposizione con la contemporanea manifestazione dei sindacati europei, come spiega Gianfranco Benzi della Cgil, dall'altro è stato praticamente ignorato al di fuori del circuito militante. Parliamo dei media come di buona parte dei politici dell'opposizione ma soprattutto di chi avrebbe dovuto costituirne il corpo vivo, vale a dire gli studenti dell'università più grande d'Europa. Unici a intervenire, infatti, i pur lodevoli ragazzi che la sera precedente avevano occupato la facoltà. Nulla a che vedere con le centinaia e a volte migliaia di persone che hanno affollato le assemblee di movimento degli ultimi due anni. Cosa è accaduto nel frattempo? Il fatto è che «il movimento non può sopravvivere solo come riflesso di eventi esterni quali la guerra o il vertice di Cancun», spiega ancora Benzi, ma «deve entrare nel merito delle questioni sociali, altrimenti si esaurirà». «C'è troppa cautela nell'affermare cosa si vuole sul terreno delle lotte sociali e non dice nulla anche su grandi questioni sovranazionali come il conflitto israelo-palestinese», continua. E «può essere costruttivo solo se riesce a darsi un contenuto programmatico», non «se qualcuno pensa di utilizzarlo per candidarsi alle elezioni o qualche forza politica di poterne incassare i dividendi». Come a dire che la campagna elettorale è già cominciata e anche il movimento ne sta inevitabilmente facendo le spese.


La critica corre su Indymedia

Dopo sabato, quello che era latente già da qualche mese, più o meno dal dopo-referendum sull'articolo 18, è esploso con maggiore evidenza. Uno dei termometri più attendibili per misurare la febbre al movimento è ancora una volta Indymedia. Nato con il «popolo di Seattle» per raccontare attraverso gli stessi protagonisti i grandi eventi di contestazione, oggi si ritrova ad essere l'unico luogo in cui il confronto è alla luce del sole. Il «la» lo ha dato una delle anime del collettivo, Blicero. «Sabato si è dato lo scenario in cui gli unici perdenti siamo noi: la polizia è riuscita a tenere la piazza in maniera eccellente non prestando il fianco a possibili attacchi» e risanando «in parte Genova», ammette. Per questo ora non rimane che «surfare sull'onda di risacca». Altri commenti parleranno di «luci e ombre» o di «problemini e problemoni». C'è chi parla di «pratiche gruppettare» e chiede di «abbandonare la rappresentazione dello scontro» e «la sua spettacolarità», chi critica «il tentativo di sfondamento dei disobbedienti perché attuato in un punto pericolosissimo per la presenza di centinaia di agenti su ogni lato» che «se solo avessero voluto avrebbero chiuso ogni via di fuga e sarebbe successo un macello come a Napoli», e chi invece, pur «antidisobbediente», «a malincuore» rivolge loro i complimenti.

E qui veniamo al punto più dolente, che tocca una delle componenti più forti e vitali di questo movimento. L'assemblea di domenica al centro sociale Corto circuito di Roma ha partorito infatti un documento dai toni duri nei confronti delle «burocrazie sindacali» e che rivendica «fino in fondo la contestazione del vertice, in tutte le sue articolazioni», e segnato una frattura profonda in quel movimento con una parte significativa dei centri sociali che vi aderiscono e con i Giovani comunisti. Tanto che nei prossimi giorni la divisione dovrebbe produrre delle prese di posizione pubbliche da parte dei dissidenti. Problemi in parte preesistenti, se è vero che sabato notte per andare a Roma i disobbedienti milanesi hanno scelto tre orari e due stazioni diverse. E in piazza si è visto: il cospicuo spezzone disobbediente al momento del fronteggiamento con la polizia si è più che dimezzato, e Rifondazione ha addirittura fatto dietrofront senza arrivare alla fine del corteo. Tra i più insofferenti, il Leoncavallo di Milano che ora avanza «problemi molto seri di legittimità di quell'assemblea a decidere» per tutti, visto che ad essa sarebbero state presenti solo i disobbedienti di alcune aree geografiche, in particolare romani e del nord-est. «Ci sono ampi disaccordi di metodo e di sostanza», si limita a dire il portavoce Daniele Farina. Ma leggiamola, la «sostanza» contestata: «L'altra Europa non era sul palco di piazza del Popolo, se a parlare potevano essere solo le burocrazie sindacali, con il loro equilibrismo continuo che poco serve (o molto nuoce) a milioni di lavoratori. L'altra Europa non può nemmeno nascere se a parlare, anche all'Eur, fossero state le compatibilità o la testimonianza. L'altra Europa esiste se esistono coloro che sono disposti a costruirla, a conquistarla, anche scontrandosi con l'arroganza dei sovrani». E ancora: «La storiella che ci sono azioni "buone" e "cattive" è finita», scrivono rivendicando il diritto a non farsi utilizzare in piazza da nessuno. Posizioni che fanno storcere il naso ai Giovani comunisti, che non ci stanno a dire che le migliaia di persone scese in piazza sono «testimonianza», non condividono le accuse ai sindacati alla vigilia dello sciopero generale sulle pensioni e di quello della Fiom e pensano sia finita l'era delle zone rosse da violare. Così commenta il coordinatore nazionale Nicola Fratoianni: «Non si può presentare la giornata di sabato come un successo, perché rischiamo di pagare tutti un prezzo alto, a cominciare dai due arrestati». Uno dei quali è un dirigente del Prc di Arezzo.



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